Degli studi e de' costumi di Luigi Bufalini cesenate
Questo testo è stato riletto e controllato. |
DEGLI STUDI E DE’ COSTUMI
DI
LUIGI BUFALINI
CESENATE
COMMENTARIO
DI
FILIPPO MORDANI
FAENZA
DALLA STAMPERIA DI PIETRO CONTI
M. DCCC. LXVI.
LUIGI BUFALINI
Giusta e pietosa cosa è dolersi della morte degli uomini buoni, quantunque abbiano compiuto l’ordinario corso di questa vita mortale1. Ond’è che all’annunzio della perdita che testè facemmo di Luigi Bufalini, l’animo nostro tutto si contristò, veggendo tolto per sempre alla patria un molto onorevole cittadino. Intorno agli studi e costumi del quale abbiamo dettato alquante parole, stimando che sieno per tornar accette a tutti quelli ch’hanno in amore le morali e civili virtù, che a noi paiono apprezzabili e care più dell’ingegno.
Ed a cominciare con ordine, diciamo: che suo padre Iacopo, nato a Londa nella diocesi di Fiesole, di antica e nobile famiglia fiorentina2, era stato chiamato a Cesena nelle Romagne; e vi faceva la sua arte di medico e di cerusico con riputazione di valentissimo. Quivi fra gli altri figliuoli ch’ebbe da Maddalena Zambelli riminese, sua donna, fu questo Luigi, venuto al mondo il 5 di agosto del 1789.
Educato a’ primi studi nella casa paterna da privati maestri, andò poscia a continuarli alle scuole del Ginnasio, dove tenea cattedra di belle lettere Cesare Montalti, ed insegnava fisica Pietro Giordani; che in questa scienza non sappiamo quanto valesse; ma grande smisurato ingegno, ed uno de’ primissimi scrittori che vanti la lingua italiana3. Vi studiò anche filosofia; e da un Andrea Argentini agrimensore apprese privatamente i principii della geometria e dell’algebra.
Poi si condusse a Bologna. E postosi nell’animo di voler professare la scienza degl’ingegneri, udì le lezioni del Magistrini, del Venturoli, del Guglielmini, del Re, del Ciccolini, del Bacelli, del Savioli, dell’Antolini, che allora, insieme con altri eccellentissimi, mantenevano in credito quella già da secoli celebre università. E pel grande profitto che fece, ancora di ventitrè anni, n’ebbe diploma di laurea a pieni suffragi, con tutti quegli onori che sogliono darsi a’ giovani di bellissime speranze.
Dopo di che tornò a Cesena: vi fece la pratica della sua professione: fu ascritto al corpo degl’ingegneri civili: poi ingegnere aspirante del distretto; e perito geometra de’ luoghi pii. Ma in questo mezzo, cioè l’anno 1815, gli mancava per morte il suo amatissimo padre4; di che egli portò inconsolabil dolore.
Nel 1818, riordinandosi il corpo degl’ingegneri sopra le acque e le strade, fu fatto ingegnere aspirante della provincia di Forlì. Ma poco stette in questo ufficio, però che nell’agosto del 1819 il card. Ercole Consalvi, segretario di Stato, che avea in molta stima l’ingegno di lui, l’invitò a Ferrara, acciò che desse lezioni d’architettura statica ed idraulica nella scuola degl’ingegneri.
Il Bufalini, giovane d’animo posato e per natura timido, e non avvezzo a far udire in pubblico la sua voce, accettò l’incarico per obbedire; e, come ho da lui medesimo, si condusse tremando a leggere in cattedra le sue lezioni, che scriveva di giorno in giorno con caratteri stenografici. E torna a grande onore di lui che i discepoli le ascoltassero con animi attenti, e ne facesser conserva.
Ma abolita poi nel 1820, col finire dell’anno scolastico, quella cattedra, ei n’ebbe piacere grandissimo, come quegli che non amava ufficio di cattedrante; propostosi di vivere una vita quietissima, e per quanto gli fosse possibile, ritiratissima. Onde pregato dal prof. Venturoli ad accettare non so che cattedra in Roma, questa volta ricusò. Fu per tanto nominato ingegnere aspirante nella delegazione di Urbino e Pesaro; e poco appresso eletto a ingegnere ordinario di seconda classe nella provincia ravegnana.
E dimorando in Faenza per cagione di suo officio, già venuto alla età di trentasette anni, cominciò a rincrescergli lo star solo. Volse l’animo alle nozze; e nel giorno 30 di agosto del 1826 ebbe tolta per sua moglie una figliuola dell’egregio prof. Bernardino Sacchi, protomedico della città assai riputato5, di nome Elisabetta; giovane ornata d’ogni bel costume, e secondo il cuor suo. E questo fece con maturo e considerato giudicio, avendo osservato che spesso le figliuole ritraggono verso la natura delle madri loro; e la madre di Elisabetta era Anna Strocchi, sorella al celebre cav. Dionigi; donna che per sue domestiche virtù ben poteva proporsi in esempio.
Ora essendo il Bufalini, sì per la scienza delle acque, detta con greco nome idraulica, e sì per la probità sua, in molto pregio appo quelli che governavano, fu chiamato a dirigere la grande e difficile opera del Bonificamento delle Paludi Pontine vicin di Terracina. Partì dunque verso Roma pochi giorni dopo le nozze: ed ito al luogo disegnato, s’accorse ben tosto come i lavori, che chiamano d’appalto, fossero condotti con fraude. Benchè vedesse che si tirava addosso l’odio e le insidie di alcuni, che del mal fare traevano guadagno, pure tenne fermo a volere le cose giuste; nè impaurì per minacce di morte, nè prese guardia della sua persona.
La quale virtù di lui è degna d’essere magnificata con lode; però che pochi hanno il cuore così ardito (e in una indole tanto mansueta e gentile, come la sua, reca maraviglia maggiore) da contrastare all’altrui malvagità, arrischiando la propria vita per amore della rettitudine e del vero. Ma ei n’ebbe bene il debito guiderdone; e fu d’essere meglio conosciuto per quell’onorato uomo ch’egli era. E non solo fece più favorevoli a sè gli animi de’ buoni; ma gli stessi suoi avversari ammirarono l’onestà e la giustizia di lui, nè più ebbero ardire di nuocergli.
Veramente in questa opera della Bonificazione Pontina (sopra la quale, prima di lui, assai idraulici aveano fatto studi profondi, massime l’illustre francese Prony) il Bufalini diede una grande prova di quanto valesse nella sua scienza; essendo che i lavori proposti e diretti da lui intorno al prosciugare i terreni furono d’una importanza grandissima; principalmente quelli che fece per abbassare le acque dell’Ufente, nella parte più alta del fiume; con che, secondo che avea predetto, conseguì il diseccamento di gran vastità di terreno, nominato de’ Gricilli; opera che gl’idraulici tenevano per disperata.
Ma non andò guari che dovette provare gli effetti di quell’aria umida e maligna; onde nell’estate del 1832 infermò di febbre perniciosa, sì che venne a pericolo di morte. Per consiglio dei medici domandò e ottenne di poter tornare in Romagna, a fine di riavere intera la sanità. E già cominciava (dopo nuove tribolazioni di febbri) a ripigliare le prime forze; quando, verso la metà del 1833, gli vennero lettere da Roma che lo chiamavano da capo a Terracina.
L’egregio uomo si mosse subitamente a quella volta: e seguitò col medesimo ardore e zelo, anzi pose cure sempre maggiori all’opera incominciata; ma temendo di non poter reggere a lungo in quell’aria, dettò un suo progetto di totale compimento di detta Bonificazione; dopo di che venne chiedendo con molte instanze d’essere tramutato a luogo d’aria migliore.
Molto doleva a’ governanti che venisse loro a mancare la scienza e l’incorruttibile probità di quell’uomo; per ciò recavano la cosa ad indugio: pur finalmente, non avendo ne potendo avere che apporre, lo nominarono nel 1843 ingegnere di prima classe nella legazione di Forlì. Nè vi si era ancora condotto, che fu promosso all’ufficio d’ingegnere in capo della legazione di Ravenna. Ivi, caduto infermo di febbri, gli fu permesso di trasferirsi in Forlì. Poi lo si volle di nuovo in Ravenna; e da ultimo, nel 1850, fu mandato nella delegazione di Urbino e Pesaro. Ma stanco oramai del servire lungo di quarant’anni; e recatosi a noia l’essere trabalzato qua e colà: dopo avere adempiuti con saggezza e diligenza assai grande incarichi importantissimi e difficilissimi, volle con prudente consiglio ridurre il suo vivere alla pace; e per diritto di legge, domandò ed ebbe onorato riposo.
Allora poneva la sua stabile dimora in Forlì per la bontà di quell’aere, ch’avea sperimentato giovevole alla sua salute; ma molto più per godere la compagnia del suo dilettissimo fratello, il prof. Maurizio; uomo famoso d’alto sapere, non pur nella medic’arte (in che è primo), ma sì nella filosofia e nelle lettere e nella politica; il quale da Firenze qua ogni anno soleva ridursi a passare i mesi dell’estate.
Ma ben presto avvenne cosa che gli turbò la tanto desiderata, e già conseguita, domestica quiete; essendo che fu fatto (nè volle rifiutare) della deputazione che dovea discutere se si avessero a mettere in Po le acque del Reno; e chiamato a Bologna. Era d’estate e ’l caldo grandissimo e cocente; per che i viaggi dell’andare e del subito ritorno (non essendosi allora tenuta quella raunanza) gli nocquero assai. Da prima ammalò di piccole febbricciuole; poi il male aggravò sì fattamente che ruppe in una miliare, com’avea antiveduto l’acutissimo ingegno del prof. Maurizio; il quale con la sua dottrina, e le cure amorevoli e continue, potè fermargli la vita che già gli fuggiva.
Tornatagli, come parve, la sanità, e non potendo stare in ozio, si diede tutto all’amore dei suoi studi. Scrisse due Memorie che mandò all’Accademia Agraria di Pesaro: la prima delle quali ragiona de’ danni cagionati alle campagne dalle acque inalveate, e mostra come scansare le inondazioni; l’altra similmente parla dello scolo delle campagne in pianura. Avea cominciato e abbozzato anche altri lavori egualmente importanti su ’l Reno, su l’ordinamento delle strade campestri, e intorno all’arte di costruire i muri di cotto6; ma per morte non li compiè.
Ben condusse a termine i suoi Cenni su le Paludi Pontine; delle quali fece il disegno a colori con ogni diligenza. Ed è questo il più pregevole de’ suoi scritti, avendovi posto maggiori studi, e direi anco affezione. Racconta nel proemio, come egli ebbe diretta quella Bonificazione per quasi diciassette anni; dal settembre del 1826 al giugno del 1843; e che quando dovè lasciarla, non era ancora condotta al suo total compimento. Il perchè (reco le sue parole) considerando l’importanza di quell’opera, e le molte fatiche che io vi ho spese, credo opportuno, forse anche utile, di descrivere lo stato preciso nel quale fu da me lasciata, ed indicare eziandio succintamente tutto ciò che allora per mio avviso mancava al suo compimento, e che forse manca tuttora. Così scriveva nel 1859. E sappiamo che alcuna volta gli venne il pensiero di mettere in luce questi suoi Cenni; ma poi, per la sua troppa modestia, non vi s’indusse già mai; solamente nel 1861 si risolvè di mandarli al Peruzzi, ministro de’ lavori pubblici pel Regno d’Italia: il quale li ebbe molto graditi; e disse che attestano la intelligenza di lui in opere idrauliche, e che alla opportunità saranno tenuti nella debita considerazione.
Detto de’ suoi studi, è da dire de’ suoi costumi; i quali furono di tal fatta che gli accattarono la stima e la benevolenza di quanti lo conobbero ed ebbero a conversare con esso lui. La sua modestia mi parve mirabile e singolare: sobrio, mansueto, affabile, gentile, religiosissimo. Ebbe in odio la simulazione, la quale è una delle arti ch’usa oggidì il mondo; e come l’ottimo suo genitore amò sempre vita casalinga e tranquilla. Giovò a quanti potè, non cercando utile dal benefizio: e questo suo buon animo mostrò spezialmente inverso de’ suoi.
Imperocchè s’ebbe raccolto in casa un suo nipote dal lato della moglie (Emilio Toni) insin da piccol fanciullo: l’educò con amore di padre; e lo fece ammaestrare in Roma nelle scienze matematiche. E visto poi come le sue cure fossero riuscite a bene (tanto quel giovane si mostrò docile e buono e studioso e di lui amantissimo); e non avendo nè esso nè i fratelli suoi discendenza, lo adottò in figliuolo, lo fece erede delle sue sustanze, e volle che portasse il nome del suo casato.
Non è dunque a maravigliare se tanta bontà di vita e di costumi, congiunta alla scienza, gli procacciasse (secondo che riferimmo di sopra) la stima e l’affetto degli uomini da bene. Ebbe anco onori; chè fu socio di merito dell’Accademia delle belle arti di Ravenna: socio ordinario dell’Accademia Agraria di Pesaro; ed aggregato all’Ateneo di Forlì.
Ora (rifacendomi un po’ a dietro) se bene fosse scampato di quella sua ultima e pericolosa infermità, pure la salute non gli tornò mai intera nè vigorosa; anzi era preso spesse volte da gastralgia (come sogliono chiamarla i medici), non di rado anche a periodici ritorni, massime nella stagione umida e fredda. E questo malore, al quale invano fu tentato e sperato rimedio, lo travagliò maggiormente all’entrar di novembre del 1863.
Poco appresso però parve che avesse trovato un po’ di sollievo: e già era tornato alle sue abitudini; e usciva di casa a visitare gli amici. Ma, venendo il gennaio del 1864, i freddi crescevano smisurati; ed a lui che n’era mal sofferente, sì per la sostenuta infermità e sì per la età avanzata (avea compiuti i settantaquattro anni), furono sensibilissimi e molestissimi. A mezzo il mese, sentendo dolori in diverse parti del corpo, si rimise in letto. Pur non pareva che ’l male fosse venuto all’estremo; quando la mattina del giorno 19, dopo preso un po’ di cibo, com’era solito, tutto ad un tratto, voltosi alla moglie che sola era nella sua camera: O Dio, disse, mi manca il respiro; e subito trapassò.
Non è valor di parole che sia tanto da poter esprimere le angosce della sua donna; la quale incerta se quella cara vita ancora durasse, dirottamente piangendo, mise altissime strida. Vi trasse la famiglia; ma egli avea già reso il suo spirito. E lui beato che appena s’accorse di dover allora finire; che troppo gli sarebbe stata dolorosa la dipartenza da’ suoi più cari; ed in quegli ultimi momenti avrebbe riempito d’amaritudine la dolcissima anima sua.
Questa morte dell’uomo virtuoso recò indicibile affanno al cuore de’ suoi chiarissimi fratelli, il prof. Maurizio e l’avv. Lazzaro, che tanto l’amavano, quanto erano da lui riamati, cioè infinitamente; nè la moglie, nè ’l figliuolo, nè i congiunti, nè gli amici poterono ricevere consolazione. Aperto il cadavere, si conobbe che la rottura di un ventricolo del cuore, per lenta degenerazione della sostanza stessa di quel viscere, era stata la cagione della morte improvvisa. Gli furono fatte esequie solenni in s. Mercuriale di Forlì: poi fu portato a Cesena, e seppellito nel cimiterio7, allato alle ceneri de’ suoi.
Note
- ↑ [p. 23 modifica]I Sacri Libri danno alla vita dell’uomo la età di anni 70; leggendosi nel Salmo lxxxix, v. 10, giusta la traduzione di M. Antonio Martini: „.... pe’ giorni di nostra vita si hanno i settant’anni. E pe’ più robusti gli ottant’anni: e il di più è affanno e dolore„. Ora Luigi Bufalini morì nella età di anni 74, mesi 5 e giorni 14.
- ↑ [p. 23 modifica]Iacopo Bufalini discese per sangue da antica famiglia, descritta alle Tratte de’ Cittadini e Nobili Fiorentini del Quartier S. Giovanni, Gonfalone Leon d’Oro; come si legge nel Diploma di Nobiltà Fiesolana conceduta dal Granduca Leopoldo II, il 5 di luglio 1840, al Cav. Prof. Maurizio Bufalini, ai Fratelli di lui, alle loro Consorti e ai Discendenti per retta linea mascolina.
- ↑ [p. 24 modifica]Benchè il Giordani tenesse se stesso per meno che mezzanamente istruito nelle fisiche (Op. vol. 1. p. 379, Firenze 1846); tuttavia non sarà alcuno che voglia negare lui essere stato uno dei primi sapienti del secolo, uno de’ primissimi scrittori che vanti la lingua italiana, come lo disse l’illustre amico mio signor Antonio Gussalli; cui gl’Italiani dovrebbero essere grati sì degli Scritti inediti di quel grand’uomo, ch’ei mise in luce, e sì della pregevole Vita che ne dettò.
- ↑ [p. 24 modifica]In lode del dottor Iacopo Bufalini, morto il 14 di novembre 1815, dettò un bellissimo Discorso il suo celebre figliuolo prof. Maurizio; e lo recitò egli stesso il giorno 28 di settembre 1819 nella chiesa del pubblico cimiterio di Cesena, in occasione del solenne trasporto delle ceneri di alcuni defunti nelle nuove catacombe ivi costrutte. Di questo Discorso ne fu fatta una seconda edizione in Pesaro dal Nobili l’anno 1828.
- ↑ [p. 24 modifica]Di Bernardino Sacchi scrisse un elegante Commentario il cognato suo cav. Dionigi Strocchi, ed una diligente Biografia il prof. Domenico Vaccolini. La famiglia Sacchi si onora anche oggi del cav. Iacopo, esso pure valente medico, come il padre suo, ed egregio traduttore e annotatore delle Satire di Aulo Persio Flacco.
- ↑ [p. 24 modifica]Il Bufalini avea abbozzato questa sua Memoria intorno all’arte di costruire i muri di cotto, con intendimento di mandarla (se l’avesse recata a buon fine) all’Accademia delle belle arti di Ravenna. Comincia con queste parole: Veramente l’Accademia elementare delle belle arti in Ravenna è istituzione, io credo, commendevolissima ec.
- ↑ [p. 25 modifica]Nel suo monumento sarà incisa questa iscrizione:
qui riposa
LUIGI BUFALINI FIGLIUOLO DI IACOPO
per iscienza di matematica e idraulica commendato
incomparabile esempio di bontà
morto a forlì il xix di genn. m . dccc . liv
di a. lxxiv m. v g. xiv