Commentarii di m. Galeazzo Capella delle cose fatte per la restitutione di Francesco Sforza secondo duca di Milano/Libro Primo

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Prefatione Libro Secondo


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LIBRO PRIMO
DE COMMENTARII
DI GALEAZZO CAPELLA
delle cose fatte per la restitutione
de Francesco Sforza secondo
Duca de Milano.
TRADOTTE DI LATINO
IN LINGUA THOSCANA
per Messer Francesco Phi
lipopoli Fiorentino.



D
OPO l'acquisto fatto da Francesco Re di Francia dello stato di Milano, Erano gia passati alquanti anni senza che in Italia si fusse fatto guerra. Ne pareva che alcuno Principe Italiano havesse d'innovare alcuna cosa giusta cagione.

Primieramente Papa Leone havendo aggiunto all'imperio suo lo stato d'Urbino, et cacciatone il Duca, non haveva cosa, la quale egli con alcuna ragione potesse tentare. Carlo ancora di questo nome quinto Imperadore de Romani, non essendo le cose sue in Hispagna et nella Magna ancora posate era openione ch'adaltro, ch'à governare il Regno di Napoli in Italia non pensasse. I Vinitiani erano in strettissima lega col Re di Francia: et era honesto ch'al Re, per havere poco innanzi coll'aiuto suo recuperato Brescia et Verona, fusseno obbligatissimi. I Fiorentini governando la Repub. loro secondo [p. 12 modifica]l'arbitrio del Papa, niuna cosa fuori della voglia di quello facevano. Genova si posava nella autorità del Re. I Luchesi, i Sanesi et Federigo Gonzaga signore di Mantova, temevano più tosto che i più potenti principi non tentasseno qualche cosa contra loro, che essi di fare alcuna novità pigliasseno ardimento. Solo Alfonso da Esti, Duca di Ferrara, alquale dalla potentia della Chiesa erano state tolte due città, Modena et Reggio, era reputato che contra 'l Papa havesse cattiva volontà. Ma non era però fuori di speranza d'havere con l'aiuto del Re, del nome del quale era stato sempre grandissimo partigiano, venendone l'occasione, a recuperare, quando che fusse, le cose perdute. Et perciò al Papa non faceva d'haverne dolore sembiante alcuno. Trovavasi a Trento ne confini d'Italia dove era alquanti anni dimorato, Francesco Sforza figliuolo di Lodovico già Duca di Milano. Il quale havendo ricusato conditoni de non picciola importanza, che dal Re di Francia gli erano state offerte, non si potete mai per malignita di tempo, o di Fortuna a cederli le sue ragioni indurre: anzi per recuperarle varii partiti nell'animo rivolgendo, a principi cosi Forestieri come Italiani di chiedere aiuto non restava. La quale cosa quantunque il Re havesse innanzi temuta, nondimeno che di cio più non temesse era cagione la lega nuovamente con Svizzeri fatta. Co quali essendosi congiunto non li pareva che l'armi dell'altre genti li potesseno recare terrore. Così fatto era lo stato d'Italia nell'anno della christiana salute M.D.XXXI. quando Carlo Imperadore comencio a pensare esserli poco honorevole, che il Re di Francia tenesse lo stato di Milano, che per antiche ragioni all'imperio Romano apparteneva, sanza haverne da lui non solamente ottenuto, ma non pure domandato titolo alcuno. Parevagli anche havere un'altra giusta cagione di farli guerra. Perché haveva ritrovato [p. 13 modifica]c'hegli era stato autore che l'armi in Fiandra contra certe città gli erano state in quel tempo mosse. Per la qual cosa comincio a trattare con Papa Leone di cacciarlo d'Italia. Il quale assai tempo innanzi attendeva per lettere et ambasciate a sollicitarlo, perché alle cose d'Italia provedesse: ne permettesse che il Re di Francia, il quale affermava essere ad ambidue commune inimico, con l'acquistare nuove forze più l'uno giorno che l'altro crescesse.
Credesi che 'l Papa pigliasse tale deliberatione. Perché essendo stato dal Re poco innanzi ricercato che ad Adriano Cardinale d'Ambuosa, il quale egli haveva sopportato in Francia due anni legato, per qualche tempo ancora nella medesima degnita confirmasse, et havendogli il Papa risposto, che tale cosa era dannosa alla corte Romana, et di non buono essemplo il concedere ad alcuno per tanti anni tanta potesta, il Re sdegnato che Papa Leone li negasse quello, che a passati Pontefici non era parso mai grave concedere a Re di Francia, pel nuntio, che alhora in corte si trovava, li fece intendere, che non era per mancargli occasione di vendicarsi di questa ingiuria. Il Papa, essendo di questa cosa avisato, stava di massimo animo, et grandemente d'ira verso il re acceso: et pensava che le cose sue andasseno bene, poi che egli recusava la sua amicitia: ne sprezzava quelli, che con desiderio la cercavano. Accresceva ancora l'odio del Papa Francesco Maria dalla Rovera Duca d'Urbino: il quale egli pensava, che dal Re fusse stato mandato fuori ad assalire lo stato Ecclesiastico. Et per cio niuna cosa era, che più desiderasse, che vendicarsi di Franzesi, et satiare l'animo suo. Feceno adunque lega il Papa, et l'Imperadore con queste conditioni, che dovesseno cacciare i Franzesi fuori d'Italia, con armi et spese communi: che Piacenza et Parma obbedisseno alla chiesa Romana, et Francesco Sforza constituissino Duca [p. 14 modifica]nel restante dello Stato di Milano. Furono inviati a dare perfettione con più prestezza a questo trattamento dalla lega poco innanzi fatta dal Re co Svizzeri: la quale pensavano che si potesseno rompere per la autorità et gratia, che 'l Papa haveva con quella natione, innanzi che i Franzesi segli havesseno con loro trattamenti et donativi più strettamente obligati. Erano il Papa e l'Imperadore ancora che così uniti, sollicitamente a pigliare l'impresa confortati da Girolamo Moroni: il quale havendo gia valorosamente servito Lodovico.XII. Re di Francia, ne si vedendo appresso Francesco successore di quello essere in molta gratia, sanza curarsi di perdere la patria et le faculta, se n'era a Trento andato. Dove stando di mal'animo verso Franzesi, mentre che Francesco Sforza si trovava in quel tempo appresso l'Imperadore nella Fiandra Bassa attendeva tutto giorno a sollevare gli animi de Milanesi, et spetialmente di quelli, che erano della parte Ghibellina, perché si rebellasseno: alli principi d'Italia con lettere la restitutione di Francesco Sforza raccomandava. Et per demonstrare che il cacciare i Franzesi non era cosa difficile, fece intendere al Papa c'haveva nuovamente con molti de primi di Milano et delle altre vicine citta, li quali havevano appresso gli altri reputatione, trattato che dal Re e si ribellasseno, et fatto tumulto in uno medesimo giorno in tutte le citta traesseno lo stato di mano a Franzesi, sanza dare tempo loro di potere fanteria soldare, havendo eglino usanza di tenere di qua dall'Alpi alle stanze a tempo di pace mille huomini d'arme, et oltrettanti cavalli leggieri, coll'aiuto de quali non pensava che alle rebellioni de popoli si potesse resistere. E cosi egli in uno giorno determinato per affrettare l'impresa si parti da Trento. Non si potete la cosa tanto secretamente fare, che Federigo Gonzaga signor di Bozzoli, castello nel Mantovano, che [p. 15 modifica]allhora tirava soldo da Franzesi, subito non l'attendesse. Onde per metterli le mani adosso, pensando che senza proposito non si fusse partito, poscia ch'egli hebbe poste guardie di soldati ne luoghi opportuni, egli con gran prestezza se n'ando a Milano a Tommaso Fusio, il quale da uno Castelluzzo, di cui era in Guascogna Signore, era chiamato Monsignore de Lescuns per manifestarli molti inditii, che haveva della rebellione de Milanesi. Perché costui era per Odetto suo fratello Vice Re in Italia. Parve la cosa degna per la grandezza del pericolo: d'essere considerata: et perché molti pensavano che Parma si dovesse prima tentare, molti ribelli Milanesi non di buono animo verso il Re di Francia, a Reggio si raunarono. La onde Monsig. de Lescuns, sanza havere ancora congregato fanteria con gli huomini d'arme et alcuni capi Franzesi et Milanesi, che favorivano la parte di Francia, ne venne subito a Parma. Et havendo inteso che il Morone schifati gli agguati era arrivato a Reggio, si transferi subito in quel loco, et fece chiamare a parlamento quello, che in nome del Papa governava la terra. Fu Monsignor de Lecuns introdotto in certo antiporto fuori d'una porta della terra: dove secondo l'ordine allungando il parlare, molto si doleva che i ribelli et nimici del Re contra l'accordo fatto a Bologna tra 'l Papa et il Re, et per insino a quel giorno mantenuto, non solamente fusseno nello stato del Papa raccettati, ma cercasseno ancora et non invano aiuti et favori. In questo mezzo Alessandro Triultio con una compagnia d'huomini d'arme, i quali facevano sembianti d'essere soldati del Conte Guido Rangoni Capitano del Papa, fece pruova d'entrare nella terra per l'altra porta, che mena a Modena. Fu da quelli di Reggio conosciuto l'inganno: la onde prese l'armi il Triultio con tutti i soldati che haveva seco ributtarono: et lui con una palla [p. 16 modifica]d'archibuso, la quale forte d'arme e dalla maggior parte de soldati a pie in questi tempi usata, ferirono in maniera, che l'altro giorno fini la vita sua. La quale cosa sentendo il Governatore, il vice Re, che ancora nell'antiporto si tratteneva, molto riprese. Ne mancava chi giudicasse che fussi da prenderlo: parendo ragionevole che à chi prima haveva rotto la fede, ella non se li dovesse osservare. Ma non approvando tale consiglio il Governatore, lo licentiò con tale conditione, ch'egli mandasse a domandare il Papa che animo fusse il suo verso il suo Re, et se con esso la pace o, la guerra voleva: et il Governatore comandasse a tutti i ribelli Milanesi che di Reggio et di quelli confini si partissono: et in quel mezzo non si rinovasse cosa alcuna. A Milano fu portato novella per falsi rumori che Monsignor de Lefcuns era stato in Reggio fatto prigione. Onde che Manaldo Vescovo Terbellense, il quale era stato suo luogotenente rimaso a Milano, hebbe tanto spavento che chiamati i Senatori, et i primi della citta a consiglio, domandò loro, se i Franzesi nella terra potevano stare sicuri. Et quantunque da tutti fusse confortato a stare di buona voglia, nondimeno se poco dopo non s'intendeva per adviso certo come Monsignor de Lefcuns era tornato libero a Parma, tutti i Franzesi si sariano partiti. Accrebbe la paura loro uno caso maraviglioso. Era sopra la volta della porta del Castello di Milano una Torre non solamente fortissima per la diffesa, ma etiandio a guardarla molto bella. Perché nella fronte d'essa oltra gli altri ornamenti erano state poste le imagini de santi protettori di quel luogo, con grande artificio di marmo fabricate, con l'armi de Duchi Sforzeschi, che havevano fondato si gran maraviglia. Serbavansi per forte molti bariglioni di polvere per l'uso delle arteglierie dentro a quella torre: la quale una saetta caduta dal cielo percosse, et aperto il muro appicco [p. 17 modifica]il fuoco a quella materia sulphurea, l'impeto della quale non solamente ruino da fondamenti la torre, ma le mura ancora et gli alloggiamenti del Castello, et gli altri membri vicini del resto dell'edificio, mando per terra: due Capitani del Castello, i quali secondo il costume erano iti a salutare la Vergine in una chiesa propinqua alla porta, mentre che nella piazza spasseggiavano, furono da saxi, che qua et la volavano, ammazzati. Furono ancora morti altri soldati, i quali nel medesimo luogo essendo la state il fresco pigliavano. Ad altri fu rotto il capo, il petto, le braccia et le gambe, talche di dugento huomini che v'erano a guardia, dodici a pena di tanto flagello scamparono. NOn fu il romore di tanta ruina incognito alla citta: anzi essa essendo scossa da gagliardo tremuoto dette a molti cagione di temere ch'ella per tale impeto non ruinasse tutta. Il quale appena fu cessato, che molti havendo veduto el vehemente lampo della saetta verso il Castello corseno della terra a vedere cosi fatto prodigio: et tutta la piazza, la quale dinanzi al castello in grandissimo spatio s'allarga, di sassi et di ruine della muraglia trovarono coperto. Et si maravigliavano che molte pietre, le quali a pena diece paia di buoi hariano mosse, fusseno state meglio che cinquecento passi discosto gittate: et che i fondamenti della torre dissotterrati stesseno sopra la porta: et l'ultime sommità nel fondo si vedesseno. I Franzesi perché il castello senza guardia non restasse, vi feceno entrare i Senatori, Camerlenghi et altri magistrati della loro natione, li quali pochi et non atti all'armi nella terra si trovavano: insino a tanto che l'altro giorno messeno dentro cento huomini d'arme con altretanti cavalli leggieri, fatti da Noara venire. Questo caso non poco commosse Papa Leone pigliare la guerra contra Franzesi con maggiore ardimento, havendogli poco dopo inteso che i Svizzeri per tale [p. 18 modifica]cagione s'erano raffreddati a dare aiuto al Re, Contra il quale non solamente il Papa, ma Dio ancora pareva che l'arme pigliasse. In questo mezzo venne nuova come Manfredi Palavisini accompagnato da Giovanni per sopranome stolto, homo in quelli paesi di grandissima fama, con gente Tedesca per il Lago di Como veniva alla volta di Como: la qual cosa non messe poco terrore a Franzesi, come quelli che pensavano che tale cosa non si dovesse fare, se prima gli animi de Comesi non fusseno stati alla rebellione sollecitati. Ma non si potendo provedere presidio, che fusse a tempo, non restava loro altro partito, che lasciare la guardia della terra alla diligentia et industria di Gratiano Garro che n'era governatore. Non inganno costui l'opinione, che li fuori, havevano di lui concetta. Perché celebrando egli fuori della citta la festa di San Giovanni Battista, tosto ch'egli intese come le genti nemiche arrivavano, se ne torno nella terra: et distribui le guardie a torno alle mura, pigliando di quelli, i quali haveva conosciuti essere al nome di Francia affettionati. Ne 'l Palavisino differi l'appressarsi alla citta, fondatosi sopra le parole di Benedetto Rumo da Como, il quale gli affermava essere rimaso d'accordo con Antonio Rusca ch'egli di notte ad uno tempo determinato tanto spatio delle mura della terra da quella parte, alla quale egli habitava vicino di dentro rompesse, quanto bastasse a ricevere uno huomo armato. Et cosi sperava d'occupare la terra per inganno prima che i Franzesi, i quali erano molto pochi alla guardia di quella, se ne accorgesseno. Ma la cosa procedette in altra maniera. Perché non havendo ne 'l Rusca ne alcuno altro secondo la conventione fatto il cenno, et il Palavisino tratenuto da falsa speranza, collocata ch'egli hebbe la fanteria fuori dalle mura, con quell'ordine et in que luoghi, che a proposito li parse, stanco pel cammino essendo [p. 19 modifica]andato a dormire, fu fatto intendere che quelli di Como insieme co Franzesi uscivano fuori della terra, et le genti del Palavisino assaltavano. Laqualcosa feceno con tanta fortezza d'animo, che quantunque eglino arrivasseno a dugento, nondimeno dopo poco combattimento feceno voltare le spalle a quattrocento fanti Tedeschi, et altretanti Italiani. Il Palavisino vedendo i suoi sbigottiti, non sapeva che partito si pigliasse, stando ambiguo se dovesse tornare a navilii, o se fusse da pigliare il camino per terra. Finalmente persuaso dal capitano de fanti Tedeschi, il quale corrotto con danari da Gratiano Garro non haveva fatto il debito nel combattere, prese la via de monti per uno certo camino. Molti nondimeno tornarono alle navi: et il più che potevano co remi acceleravano la fuga. Gratiano Garro poscia ch'egli vide gli adversari pieni di paura, advertito da quelli, che sapevano i luoghi, ando per acqua ad occupare certa sboccaturo d'uno monte, dove conveniva che il Palavisino arrivasse. Et cosi, sanza ch'egli se ne guardasse, con Giovanni Stolto et molti altri compagni della fuga lo fe prigione, et a tutti li fanti Tedeschi dette potesta di partirsi. Il Palavisino condotto a Milano constretto da tormenti confesso non solamente tutti i suoi disegni, ma etiam dio scoperte tutte quelle cose, le quali dal Morone haveva inteso per questa impresa essere state deliberate. Et per cio a Milano fu preso Bartolomeo Ferrario, cittadino per haver administrato faccende pubbliche, et per lo splendore della vita molto honorato: il quale quantunque richiesto dal Morone che s'adoperasse contra Franzesi, non gli haveva acconsentito, nondimeno perché non haveva scoperto il trattato, poscia che il Palavisino fu crudelissimamente ammazzato, egli ancora con bruttissima morte alla vita pose fine. A Giovanni stolto in Como fu tagliata la testa. Tutti gli altri cosi congiurati come consapevoli della [p. 20 modifica]congiura, in diversi luoghi col fuggirsi cercarono la loro salute. In questo mezzo Monsig. de Lescuns havendo inteso che i rebelli s'erano partiti di Reggio, ritorno a Milano. Et havendo per opera di Battista Romano Banchiere, huomo alla parte di Francia affettionato, proveduto danari, mando a Svizzeri una paga per condurre otto millia fanti, preparando in tal maniera l'essercito contra 'l Papa: il quale poscia che da Franzesi fu Reggio tentato, haveva giusto colore di fare guerra. Rauno ancora fanterie nel Milanese, et le fece andare a Parma, dove il Signor Federigo da Bozzoli con mille cinquecento fanti era arrivato et egli ancora con gran prestezza in quel luogo si transferi.
Gia la corte del Re era piena de rumori et de gli avvisii ch'ogni giorno erano portati, de movimenti d'Italia. Et Monsig. del Lescuns non poteva fuggire le calunnie, che molti li davano dicendo ch'egli haveva dato al Papa giustissima cagione di fare guerra, havendo gia tenuto incarcerato tanti mesi Christofaro Palavisini huomo intero, et congiunto per affinita col Papa, per spogliarlo de la faculta, et fatto pruova d'occupare con inganno una citta dello stato Ecclesiastico: tal che Odetto, chiamato da Franzesi Monsig. di Lautrech da uno Castello del medesimo nome, Governatore dello stato di Milano, che allhora si trovava appresso al Re e, temendo la 'nvidia, che s'era contra il fratello commossa, ne venne quanto prima potette in Italia per correggere gli errori del fratello, se pur egli havesse per tal conto in cosa alcuna mancato. Et mentre che queste cose in Francia si trattavano, il S. Prospero Colonna, il quale per Carlo imperadore comandava l'essercito, era gia a Bologna comparito: et Federigo Marchese di Mantova, capitano delle genti del Papa, congregava da ogni luogo cavalli et fanti. Et perché nel tempo passato haveva ricevuto la collana d'oro di San Michele: del quale dono i Re [p. 21 modifica]di Francia sogliono i Baroni et Signori amici loro in segno d'honore et benevolenza ornare, quella medesima collana per uno trombetto secondo l'usanza de Principi che usono questa per internuntii, rimando a Monsignor di Lautrech, che poco inanzi era tornato a Milano, faccendogli intender che faceva professione d'esser nimico del Re. Et essendo il S.Prospero mosso da Bologna con quelli soldati, che s'erano quivi congregati, egli nel medesimo tempo arrivo con le sue genti al fiume Lenza dove ancora venne Ferrando Davalo Marchese d'Aterno, che hora si chiama Pescara, con huomini d'arme Napolitani. Et il signore Girolamo adorno con tre milia fanti Spagnuoli, i quali havendo tentato in vano lo stato di Genova, erano nuovamente sbarcati. Et in quello luogo fu fatto deliberatione d'aggiugnere alli fanti spagnuoli et Italiani, i quali tutti non passavano il numero d'otto milia, alquante compagnie di Tedeschi. Et così furono per quel di Mantova et di Verona mandati nella Magna alcuni capitani: i quali soldarono quattro milia Tedeschi, et due milia Roheti, che hoggi si chiamano Grigioni. Et perciò fu comandato al Marchese di Pescara che con trecento huomini d'arme et con grossa banda di fanti, stesse tanto ne confini del Mantovano, che la fanteria Tedesca scendesse dalle montagne di Trento, accioche se i Vinitiani facesseno forza d'impedire il passo, egli potesse dare loro presto soccorso. Essendo dunque cresciute le genti, il Signore Prospero Colonna, al quale et per la scientia dell'arte della guerra et per la eta era la somma delle cose conceduta, n'andò con l'essercito a Parma. La qual cosa sentendo in Milano Monsig. di Lautrech nelle città di tutto lo stato fece huomini sopra provedere danari. A quali, perché di Francia non gli era mandato largamente da pagare i soldati, per sostenere guerra, dette cura che privatamente congregasseno quanto maggior somma [p. 22 modifica]di danari potesseno. La quale cosa tanto acerbamente esseguivano che egli per tale cagione, et anco per gli supplicii et per la morte di quelli, che erano stati trovati consapevoli della congiura, divenne odioso a tutti i popoli, et dal Re alieno gli animi di molti. Dopo questo mandati di nuovo alcuni a Svizzeri per condurre otto milia di quella natione egli con quelli, che gia erano nel Milanese arrivati, se n'andò a Cremona. Ma innanzi che da Milano partisse, chiamato tutto il popolo da cavallo parlò in questa sententia. Io so per cosa certa o Cittadini Milanesi che questi nostri nimici, i quali ardiscono passare nel Milanese contra l'armi d'uno Re potentissimo, più tosto nell'aiuto d'alcuni di voi, che nelle proprie forze confidano. Perché com'è egli possibile che Papa Leone, il quale negli anni passati essendo assalito da Francesco Maria Duca di Urbino, a pena era in Roma sicuro, hora tanto poco conto faccia della potentia del Re, che contra Franzesi, i quali si sono di nuovo collegati co Svizzeri, spontaneamente muova l'armi? o che Carlo Re de Romani, mentre che le citta per tutta la Spagna se li rebellano, et ch'egli e in molte guerre Tedesche occupato, ardisca muover in Italia nuova guerra? Se questi fuori usciti Milanesi non solamente di se, ma di voi ancora molte cose non promettesseno? Fondatisi adunque sopra tale speranza conducono gia le machine et l'artiglierie per combattere le terre, et gia le fanterie et i cavalli mettono in ordine, pensando per certo che poscia che la guerra sara di fuori appiccicata, tutte le cose dentro s'habbiano adempiere di tumulto. Di che io sanza dubio temerei, se molti non havesseno della perfidia loro gia le pene portate: et altri, che havevano il medesimo animo, per paura de supplicii non se ne fusseno andati. Tal che io posso pensare che, poscia che io ne saro andato alla guerra, quando bene niuna guardia di Franzesi [p. 23 modifica]rimanga, non si habbia a trovare alcuno che in Milano faccia movimento. Ma essendo hora parati a questo effetto Capitani et Soldati, et trovandosi presente il Vescovo Terbellense, et essendo alla amministratione delle faccende et della giustitia preposti il Senato et gli altri magistrati, resta che voi non solamente stiate nella fede verso lo invittissimo Re constanti, ma che faccendo ancora voti desideriate la vittoria contra gli adversarii. Perché se noi (il che Dio non permetta) per sorte restassimo inferiori che differenza sia dalla signoria d'uno ricchissimo Re, a quella de gli adversarii per pruova conoscereste. Perciò che il Re essendo legittimamente Duca di Milano, ha desiderio che questa città si mantenga florida: Quelli con ingiusta guerra cercando imperio per potere predare, niente altro che consumare le vostre facultà desiderano. Et se io, che sono qui vice Re, ho messo mano nelle borse de privati, niuno debbe però havere della fede del Re dubitanza. Perché se io, secondo ch'io spero tornerò vincitore, dell'entrare del Ducato saranno al tempo debito i danari accattati restituiti. Ma se la cosa andrà altrimente, a me doverrà essere più grave la perdita del proprio honore et della vita ancora con le facultà del Re, che a voi quella di pochi danari. Poscia ch'egli hebbe in questa maniera parlato sanza aspettare risposta alcuna, si partì pigliando il camino verso Cremona. Quindi havendo fatto un ponte sopra Po, se n'andò co Svizzeri al Castello di S. Secondo. In questo mezzo il S. Prospero haveva con l'essercito serrato a parma, et con l'artiglieria haveva battuto due giorni in maniera le mura, che una gran parte di quelle si trovava in terra. La onde essendo quelli di dentro sbigottiti, abbandonarono quasi la terza parte della città, cioè, quella la quale dalla Parma, che di dentro passa dal restante separata, et la ripa del fiume, che termina il rimanente della terra con botte [p. 24 modifica]et gabbioni pieni di terra fortificarono. Entrati dunque dentro i soldati, tutto quello ch'era stato abbandonato, predarono. Et erano d'animo di dare uno assalto generale a tutta la città, come quelli, che havevano speranza d'occupare con non maggiore sforzo il restante. Ma il Marchese di Pescara Capitano della fanteria, o perché egli havesse invidia alla gloria del Signor Prospero, sotto il cui governo si faceva l'impresa, o perché temesse Monsig. di Lautrech, il quale era co Svizzeri propinquo, et specialmente se i soldati s'occupasseno in saccheggiare la terra, affirmava che la città essendo di buona guardia, di mura di Bastioni fortificata, non si poteva per forza pigliare: et perciò non voleva fare pruova della fanteria in quella cosa, della quale, essendo tanto propinquo il nimico, non sperava la vittoria. La qual cosa sopra tutti dispiaceva al Marchese di Mantova: il quale sì come egli honoratamente faceva i primi dirozzamenti della guerra, così ancora era grandemente di laude desideroso. Et si doleva forte nello animo, che li fusse quasi tolta di mano gran parte della vittoria, la quale nel disfar quella guardia di Parma consisteva. Et perciò haveva caro che per opera di Girolamo Moroni Oratore di Francesco Sforza disegnato Duca di Milano, il consiglio del Marchese di Pescara fusse riprovato, et che gli altri Capitani dello essercito fusseno a combattere la terra confortati. Ma non facendo profitto alcuno, perché il Marchese affermava che la città non si poteva sforzare, fu l'essercito al fiume Lenza ritirato: dove tanto dimorarono, che dal Papa tornarono lettere et nuntii, i quali referirono quello ch'egli voleva, che nella guerra si facesse. Erano già molti venuti in paura, ch'egli non domandasse che risoluto l'essercito si mettesseno guardie in Modena, Reggio, et Bologna, et egli in questo mezzo non ricusasse la tregua et la pace ancora, che dal Re gli era offerta, affermando molti ch'egli contra sua voglia haveva questa [p. 25 modifica]guerra presa. Ma l'animo del Papa ardeva di tanto desiderio di cacciare i Franzesi d'Italia, che a niente altro attendeva. Et già Ennio Vescovo di Veruli, il quale haveva nel principio della guerra mandato a Svizzeri, perché di la conducesse diece milia fanti, gli haveva scritto, che niente altro impediva, che tal cosa non fusse concessa, eccetto che non pareva loro cosa convenevole venire con le insegne contra Franzesi, co quali poco innanzi havevano fatto lega. Ma che erano bene per andare contra Piacenza et Parma, le quali Città appartenevano alla Chiesa, et anco contra il Duca di Ferrara. Et finalmente che saria facile corrompere, se così bisognasse, con danari alcuno de capi, i quali con arte et persuasioni facessero andare i soldati dove richiedesse il bisogno. Il Papa havendo approvato questa sententia, commesse a Iulio Cardinale de Medici suo fratel cugino, ma naturale, che subito si transferisse allo essercito. Medesimamente a Matteo Cardinale Seduense, del quale il Vescovo di Veruli si serviva nel tirare i Svizzeri nella sua voglia, dette quella medesima autorità, che haveva il Cardinale de Medici. Et confortò tutti e due che con quanta prestezza potesseno, facesseno i Svizzeri nel Milanese caminare. Le quali cose tosto che il S. Prospero hebbe intese, passò con l'essercito il Po havendo fatto uno ponte appresso il Castel di Casal maggiore: et in quel luogo con allegrezza di tutti arrivò il Cardinale de Medici havendo con gran prestezza caminato. Levato che fu l'assedio da Parma Monsig. di Lautrech lasciato nella terra il Sig. Federigo da Bozzoli solamente con ottocento fanti Italiani, se n'andò con resto delle genti per quella via a Cremona, dove hora il ponte che prima s'era fatto. Et quivi domandati tutti li Capitani, che tiravano soldo dal Re, del parere loro, la maggiore parte era d'oppinione che fusse da terminare la cosa con la giornata, prima che i Svizzeri, de quali s'intendeva che per ordine [p. 26 modifica]del Papa caminavano per li Grigioni et pel Bergamasco, si congiungesseno con l'essercito nimico: et innanzi che maggior numero di Svizzeri si partisse dalle genti Franzesi, de quali assai ogni giorno se ne tornavano a casa, o, perché non volevano essere comandati da Monsignor di Lautrech, o, perché erano dal Cardinale de Medici sollevati, il quale facendo loro gran promesse, con ogni diligentia operava che si partisseno, o veramente perché i danari ancora, i quali solamente dello stato di Milano et con difficultà si trahevano, erano qualche volta per sostenere sì gran guerra lentamente proveduti. Ma essendosi porta occasione di combattere a Rebecco, per havere il signor Prospero gli allogiamenti suoi al rincontro appresso la ripa del fiume Oglio, et affermando tra gli altri il Duca di Urbino, il quale dopo la perdita dello stato se n'era andato da Vinitiani, che se in quel tempo si combattesse con nimici, che la cosa harebbe felice evento, et domandando alquanti capitani de Svizzeri a Monsig. di Lautrech che desse loro facultà di venire alle mani, mentre che le forze de nimici non erano gagliarde, le quali poco dopo approprinquandosi il soccorso crescebbeno, non si potette mai indurre a lasciare combattere i Svizzeri. Ne si fa con che ragione, alcuni dicono ch'egli era venuto in speranza che la cpsa per opera de gli Oratori de Svizzeri, i quali andavano a trovare il Cardinale de Medici, si havesse a comporre. Altri affermano ch'egli, come nell'altre cose così ancora nella guerra, soleva domandare il parer di molti, et eleggere quello che meno agli altri sodisfaceva, come s'egli solo fusse savio. Ma in qualunque modo la cosa stesse, il signor Prospero sanza havere ricevuto danno alcuno, il più presto che potette, l'essercito di quel luogo ritrasse. Perché troppo bene sapeva, che nel collocare l'essercito non haveva preso buono partito. Ma egli s'era lasciato muovere dall'autorità et fede del proveditore [p. 27 modifica]Vinitiano, il quale nella guerra sta presso a capitani della Rep. costui ancora che in aiuto de Franzesi fusse venuto, nondimeno sanza portarsi interamente da nimico haveva promesso che non permetterebbe che le genti del Papa et dell'Imperadore, mentre che stesseno a Robeccho, fusseno offese da quelli, che nell'altra ripa del fiume guardavano la rocca di Pontivico. Ma allhora affermava che non era più in sua potesta mantenere le promesse, Perché richiesto da Mons. d Lautrech fuori della sua opinione che mettesse nel Castello et nella Rocca de Vinitiani guardie Frànzesi, era stato costretto tal cosa concedere. Havendo adunque il S. Prospero mandato a Svizzeri, che col Cardinale Sedunense et col Vescovo da Verul s'appressavano, una scorta di cavalli, poco dopo sanza che alcuno li desse impedumento congiunse le genti con loro. Et pensanso che nõ fusse da perdere più tẽpo, come quello, che essendo gia passato il terzo mese, et soprastando il verno, non haveva ancora fatto cosa degna di loda, sen'ando verso l'Abda Monsignor di Lautrech havedo cominciato a diffidare di se et dello essercito, non havendo gli Oratori de Svizzeri nõ solamente impetrato la pace dal Cardinale de Medici, ma nõ essendo pure stati uditi, si ritirava apoco apoco, et dolevasi et tormentavasi che non haveva i migliori consigli seguitato: et havendo innanzi mandato a fortificare la ripa dell'Abda, et ad instaurare, bastioni a Milano, non si fidava se non in luoghi forti: Oltre questo per mandati da Svizzeri che favorirono i Franzesi, quando con prieghi, quãdo cõ minaccie operava che quelli, ch'erano nell'essercito del Papa non venisseno con l'armi contra il Re di Francia, col quale poco innanzi havevano fatto lega. Ne fu tale cosa di poco frutto, dicendo gia molti apertamente che nõ erano per venire a Milano contra Franzesi. Per laqualcosa bisogno quelli, ch'erano venuti dal Cantone Tigurino, [p. 28 modifica]mandare a Reggio. Laquale terra il Duca di Ferrara bẽche sanza havere a far frutto, per ritenere le genti del Papa dall'impresa, era andato a bandiere spiegate per assaltare. Gli altri mossi dall'autorità de loro Capitani, ancora che lentamente, pure andavano dove il Cardinale de Medici et il S. Prospero comandava. Monsi. di Lautrech s'era gia cõ tutto l'essercito ritirato di qua da l'Abda: et haveva comãdato che tutte i Navili, o sotto le rocche di Trezzo et di Cassano, o alla ripa di qua fusseno condotte. Haveva ancora lungo la ripa del fiume, la quale era con bastioni fortificata, collocate alcune bandiere di cavalli et fanti per ributtare i nimici. Ma il S. Prospero, il quale s'era posato nella ripa di la, domandava da quelli, che sapevano i luoghi, et specialmente dal Morone, in che luogo si potesse più agevolmente guadare il fiume. Finalmente commesse a Francesco Moroni ribello Milanese, et ad alcuni altri Capitani Italiani, che tẽtasseno il passo. Costoro havendo tolto due Scaphe del fiume Brembo, che passa pel Bergamasco, et havendo lungo la ripa trovato un'altra nave più lunga, la quale era stata di Pescatori tra cespugli et foglie occultata, con grãde impeto et maggiore animo alla villa di Vapri con dugento fanti il fiume passarono. Et quantunque il Conte Ugo de Peppoli Bolognese con una buona banda di cavalli et fanti, facesse quivi resistentia si fermarono pure nella ripa di qua: et havendo occupato una casa per forza, vi messeno guardia per tenerla insino a tanto che gli altri rimandate le navi passasseno, attendendo in questo mezzo a ributtare con l'armi i nimici, i quali erano nel combattere la casa occupati. Essendone adunque passato buono numero, tutti quelli Franzesi ch'erano alla guardia di Vapri poco dopo messeno in fuga. Monsig. di Lautrech tosto ch'egli hebbe inteso che gli asversarii havevano havuto commodita di passare il fiume, raunate tutte le gent insieme se n'ando subito a [p. 29 modifica]Milano. Et vedendo che la fanteria Svizzera tutto giorno scemava, parendoli che 'l circuito de Borghi fusse troppo spatio, prese partito di difendere solamente le mura della citta. Mutato poi cõsiglio, per torre a nimici l'alloggiare per le case, essendo gia venuto il verno, trasse fuori l'essercito appresso a bastioni della terra: i quali, havendo raunati i villani che nella terra per paura de soldati s'erano fuggiti, comando che con prestezza fusseno restaurati, laqualcosa innanzi era stata lentamente esseguita. Furono allhora i cittadini oppressi da gran paura, per essere stata fatta maggiore impositiõe di danari, che in alcuno altro tẽpo innãzi tal che molti di quelli, i quali erano citati da quelli, ch'erano preposti a fare la provisione de danari, si fuggivano: o non potendo tale cosa fare, stavano ascosi: et si lasciavano bandire et publicare i beni, più tosto che alcuno benche piccolo soccorso di danari volesseno porgere a Frãzesi. Gli operari et Sacerdoti delle Chiese occultarono l'argento et l'oro lavorato, che havevano ne luoghi sacrati, temendo che per comandamento di Monsi. di Lautrech non fusse tolto loro. Laqual cosa gia in alcuni luoghi s'era tentata, et specialmente nella Chiesa di s. Ambrogio, dove uno altare coperto di piastre d'oro, et d'argento: il quale perché nõ fusse mano messo, ne fu cagione la venuta de nimici più presta che non si pensava. Li quali poi che hebbeno passato l'Abda per uno ponte che haveano fatto, non pensando che i Franzesi s'havesseno a fermare con si poca fanteria in così gran circuito della citta, non preseno il camino verso la terra, ma verso Marignano, accioche i Franzesi volgesseno a Pavia, gli assaltasseno in camino, et li costringessino a venire alle mani. Ma essendo avisati da gli esploratori come Monsignor di Lautrech con le genti sue et quelle de Vinitiani si trovava ancora a Milano, et che giorno et notte con grãde studio si rifacevano i Bastioni, il S. Prospero prese [p. 30 modifica]partito d'andare con l'essercito alla Badia di Chiaravalle, laquale non era oltra quattro milia passi dalla terra lontana. Non pareva al Marchese di Mantova, ne al Marchese di Pescara che fusse utile differire nel seguente giorno il venir alla citta essendo tanto propinqua: et a punto uno vecchio che veniva da Milano stato preso da cavalli leggieri, tutto tremante, domandava d'essere a Gierolamo Moroni prestamente condotto: il quale tosto ch'egli vide piangẽdo per l'allegrezza prego che non tardasseno di venire alla terra, affermando i Franzesi esser per la paura sbigottiti, ne sapere che partito dovesseno pigliare: ch'eglino penerebbeno tanto a pigliarla, quanto essi differisseno la venuta: Et che a Franzesi erano inimici, non solamente gli huomini, ma Iddii ancora: havendo essi le cose sacre loro et specialmente Santo Ambrogio Protettore fatto forza di manomettere. Essendosi udito il parlare del vecchio, che pareva dicesse il vero, il Cardinale de Medici havendo alquanto col Marchese di Mantova et col Marchese di Pescara et col Morone ragionato, delibero di pigliar nuovo partito: Et perché il Signore Prospero guidava le schiere del mezzo, essi che nelle prime si trovavano, comandarono a soldati che alla citta camminasseno: et tra primi si trovava il Marchese di Pescara? Il quale tosto che egli arrivo ad uno luogo chiamato Vigentino, dove i nimici alzavano uno bastione con terra, che cavavano, comincio a cõfortare i soldati, che salisseno, le genti Vinitiane, che guardavano quel luogo, nõ pẽsando a tal cosa, et facẽdo a pena i primi che dẽtro saltavano resistenza, tutte subito si diedeno in maniera a fuggire, che sanza difficulta i nimici salivano in sul Bastione. Non era molto discosto da quel luogo il Signor Theodoro Trivultio Governatore delle genti Vinitiane. Il quale poscia ch'egli hebbe sentito il terrore de suoi, et la venuta de [p. 31 modifica]nimici, quantunque egli allhora non stesse molto gagliardo, corse disarmato al bastione, dove trovando i suoi rotti, dette nelle mani de gli adversarii. Ma dopo pochi giorni dal Marchese di Pescara ricompero la sua liberta et licentia di potersi partire venti milia Fiorini d'oro. Essendosi messi i Vinitiani in fuga et affrettando d'entrare nella terra, fu fatto subito intendere a Monsignore di Lautrech che i Vinitiani sanza havere potuto difendere quel luogo, che guardavano, havevano dato la via a nimici. Onde egli advisatone il fratello, il quale era alla guarda d'una parte della terra sen'ando per la diritta al Castello: Et dimorato alquanto nella piazza di quello poscia ch'egli vi hebbe dentro messo molti di quelli magistrati, che non parevano all'armi molto atti egli col resto dell'essercito sen'ando a Como. Et havendo lasciato cinquanta huomini d'arme, et secento fanti alla guardia della terra, per la via di Plebiano arrivo a Lecco. Nel qual luogo passo l'Abda per uno ponte di pietra da gli antichi Duchi di Milano per tale uso fabricato. Il Cardinale de Medici essendo la notte con gli altri Capitani intrato in Milano, a pena per due giorni potette ad altro attendere che a ritenere soldati, che non saccheggiasseno le case de privati. Nella qual cosa fu di gran frutto l'auttorita di Girolamo Moroni: la quale per la sua eccellẽte dottrina et pratica de le cose buon tempo innanzi nõ solamente tra cittadini, ma ancora tra Principi forestieri et nello essercto haveva metitamẽte acquistata. Perché non si può agevolmmẽte dire quãto daccrescimento i conforti suoi, i consigli, l'ingegno, et la prõtezza dell'animo habbano tal volta fatto quelli, la parte de quali egli ha seguitato. Da lequali cose ĩdotto Frãcesco Sforza volle ch'egli l'administratiõe dello impio pigliasse. Poscia che Milano da gli ĩperiali et da quelli della chiesa fu tratto delle mani de Frãzesi et ridotto à loro potere, niuna cosa fu più a core al Cardinale de Medici [p. 32 modifica]et de gli altri Capitani, che fare ogni opera di reconciliarsi i Svizzeri. La onde dopo due giorni fu mandato a loro in nome del Papa Arrigo Vescovo di Veruli con commissioni et buona quãtita di danari, alli quali ancora poco dopo andarono Oratori Milanesi per trattare pace. Ma essendosi i Milanesi fermi ne confini dell'uno et dell'altro stato: perché nõ volevano passare più oltre sanza haver salvo condotto: il Vescovo di Veruli poi che egli arrivo a Bellinciona, subito fu da Svizzeri incarcerato. Donde agevolmẽte si comprese, che quelle cose, le quali havevano fatte nella passata guerra per Papa Leone, erano da loro state fatte più tosto per favorire privati, che per pubblico cõsenso. Laqual cosa benche al Morone et a gli altri, che desideravano la cacciata de Franzesi fusse molesta, nõdimeno quasi nel medesimo tempo per la fortuna, laquale nelle prosperita et nelle adversita lungo tempo non dura, aggiunse ancora cose di maggiore molestia. Perché Mõsignor di Lautrech, l'essercito del quale pensavano che in brueve s'havesse a risolvere, perché non haveva dove ritrarsi, passata l'Abda, et havendo inteso che Cremona s'era da lui ribellata, drizzo subito il camino verso quella terra, sperando con l'aiuto di Castello haverla agevolmente a recuperare. Et per cio haveva la mãdato innanzi Monsignor del Lefcuns suo fratello. Costui con trecento armati tento d'entrare per forza nella citta: Ma li fu da cittadini fatto resistentia: i quali persuasi da Nicolo Varolo et da altri ribelli, che erano entrati nella citta, non giudicavano che fusse da ricever più dentro i Franzesi, havendo sanza essere cacciati da persona, spontaneamente abbandonato la citta. Essendo poi avisati che Monsig. di Lautrech era propinquo alla terra con l'essercito salvo, del quale era stato detto che a Milano non era campato testa, pigliando miglior partito, se li detteno: ne fu comãdato loro cosa più grave che nutrire l'essercito insino tanto che [p. 33 modifica]dal Re fusse mandato danari. In questo mezzo Monsignore d Lautrech per difendere la terra con più forte guardia se dalle forze nimiche fusse assalita, scrisse al signor Federigo da Bozzoli, che si trovava alla guardia di Parma con una buona banda di fanti, che a Cremona tosto si trasferisse: la qual cosa poi venne male fatta. Perché il signor Federigo a pena s'era partito quãdo altre lettere venneno da Mõsignor di Lautrech, per le quali li comãdava che di quel luogo non si partisse: o se gia si fussi partito, subito vi ritornasse. Perché gia erano arrivate staffette che havevano portato aviso, come Papa Leone havẽdo inteso che Milano era stato preso da suoi, n'haveva preso grande allegrezza, laquale poco dopo s'era cõvertita in tristitia. Perché tra poco di tempo gli era venuto febbre, della quale essendoli scesa et catarrho sopragiunto dopo il terzo giorno non sanza sospetto di veleno s'era morto. La onde sperando Monsignor di Lautrech che l'essercito nimico nõ s'havesse a potere molto tempo con danari sostentare, essendo mezzo il Papa, che haveva nella passata guerra fatto spese smisurate, desiderava che Parma come una testa contra gli aversarii fusse da suoi tenuta. Ma il S. Roberto San Severino, che haveva per donna una Nipote di Papa Leone nata d'una sua sorella, era già nella terra con alquanti soldati entrato. Et perciò il S. Federigo da Bozzoli vedendosi tolta la faculta di tornare detro seguito il camino verso Cremona. In questo mezzo Monsignor di Lautrech per rendere ragione al Re delle cose c'havevano havuto malvagio fine, et per mostrarli il modo di ricuperare tutto lo stato di Milano, se l'essercito di fanteria s'instaurasse, et si facesse provedimento di danari, mando Monsi. del Lefcuns suo fratello con gran fretta in Francia, prima che Galeazzo Visconti, il quale dopo la perdita di Milano per il cammino de Svizzeri andava a trovare il Re, o alcuno altro trasferisse in lui la colpa del [p. 34 modifica]dãno ricevuto. In quelli giorni ancora il Marchese di Pescara con fanti Spagnuoli et Tedeschi combatteva Como. Et havendo per alquanto spatio di tempo battute le mura cõ l'artiglieria, i Franzesi non sperando alcuno presente soccorso, convenneno col Marchese di darli la terra con conditione che a loro fusse lecito partirsi, et a cittadini fusseno le faculta conservate: Ma mentre che la partita si preparava, gli Spagnuoli con impeto subito entrarono nella citta, et non meno i beni di quelli di Como, che de Franzesi saccheggiarono. Poscia che Como fu recuperato, et il Cardinale de Medici et il Sedunense havendo sentito la morte del Papa se ne furono andati a Roma, pareva a Capitani ĩperiali et al Morone havere a reggere uno gran peso: perché sapevano che i danari per sostẽtare l'essercito erano poco dopo per mãcare: et per allegerrsi di qualche parte del peso, primieramente data una paga a Svizzeri, detteno loro licentia, dicendo essi apertamente che verrebbeno in aiuto di Franzesi. Licentiarono poi la fanteria Italiana et i Grigioni. Gli huomini d'arme ancora, i quali erano pagati da Papa Leone, mandarono alle stanze col Marchese di Mantova a Piacenza: Ma perché i danari mancavano, sen'andarono chi in uno luogo et chi in uno altro. La fanteria Spagnuola et Tedescha et gli huomini d'arme imperiali, essendosi differito la impresa di Cremona nel tempo della prossima prima vera, sen'andarono ne castelli che sono preso all'Abda, si per nutrirsi alle spese de castellani, insino a tanto che si provedessino le paghe, si anchora perché fusseno a Milanesi come uno riparo contra Francesi, che stavano alle stante quella vernata in Cremona. In questo mezzo il Morone havendo inteso che Galeazzo Visconti era tornato a svizzeri, et diceva apertamẽte che il Re nel principio della primavera era per rifare l'impresa d'Italia, comincio a runare privatamente quanta maggiore somma di danari [p. 35 modifica]poteva. Ma tale cosa male agevolmẽte si faceva: perché fare forza agli huomini della parte sua, il numero dequali non era picciolo, non li pareva convenevole: et moltissimi della fattione contraria, dalli Franzesi se n'erano andati. Aggiungevasi ancora questa altra difficulta, che quantunque e si pensasse che Hadriano sesto nuovamente a Roma stato eletto Pontifice massimo, havesse a fare favore alle cose dell'imperadore, come quello ch'era stato in Spagna suo luogotenente, nondimeno per l'absentia sua poco d'aiuto si poteva da lui in Italia sperare. Oltra questo le fortezze, et la maggiore parte de luoghi più forte dello stato di Milano si tenevano dalle guardie Frãzesi: Cremona con tutto il suo stato: la fortezza di Milano, di Noara, et di Trezzo: Dondossola, Arona, et tutto illago maggiore. Alessandria ancora di la dal Po obediva a gli avversarii: Alla quale il Morone haveva volto il suo pensiero. Ma perché alcuno de soldati Imperiali non si poteva per mancamento delle paghe trarre delle stanze, congrego tumultuariamente assaissimi dello stato di Milano dando loro capi, di quegli i quali egli al nome sforzesco cognosceva esse affettionati. Et havendo comãdato che il vitto fusse dato loro da castellani, commesse che assediasseno Alessandria, laquale più tosto si teneva per la guardia de cittadini Guelfi che delle armi Franzesi. Procedette la cosa in maniera che gli Sforzeschi, essendo quelli, che guardavano la terra, usciti ad una scaramuccia tumultuariamente appiccata, intrarono nella citta insieme co nimici, et fuori di speranza l'ottẽnero. I Franzesi con quelli, che quivi seguitavano la parte loro, essendo la terra spatiosissima, agevolmente per l'altra porta, con la fuga si salvarono. Laqual perdta non fu poco a Franzesi dannosa: si per rimanere privati del commertio de Genovesi, si ancora perché con quella guardia [p. 36 modifica]tutto il paese di la da Po hariano in fede tenuto massimamente essendo tra Svizzeri Renato di Savoia Zio del Re et grã Meastro, che ne soldava diciotto milia: i quali non aspettavano altro a scendere nel Milanese, se nõ che nelle nevi de monti, lequali erano quella vernata maravigliosamente alzate per opera et co danari de Franzesi fusseno apte le strade? Lequali sopravenendo sempre nuova neve, tre volte fu necesario rifare? Tanto pareva che Dio contra la potenza de Franzesi combattesse: Et specialmente perché in questo mezzo erano al Morone submnistrati danari per condurre in Italia se milia fanti Tedeschi: Et d'altrettanti fanti tratti del Milanese la citta haveva i pagament contribuiti. Tãto era finalmente l'odio contra Franzesi che 'l Morone haveva in molti con diversi artificii generato, che in tutti i sestieri et parrocchie della citta si facevano bandiere, et si eleggevano capitani, i quali da tutti quelli che per l'eta potevano portare armi, et quando bisognasse, pigliando forma di soldati, fusseno seguitati. Erano ancora ogni di confortati a questo dalle predicationi di Frate Andrea da Ferrara dell'ordine di S. Agostino: la cui eloquẽza et maraviglioso ardore di dire non era ad altro fine diritto, che a fare il popolo di Milano a Franzesi nimicissimo. Ne si sapeva da che cagione egli fusse a fare tale cosa indotto. Molti pensano ch'egli col favore del popolo, il quale sapeva essere di mala volontà verso i Franzesi, sperasse d'acquistare il sommo sacerdotio della citta, et ch'egli fusse mosso da desiderio di gloria, cognoscendo l'incredibile favore, che da cosi gran ctta gliera fatto. In qualũque modo la cosa stesse, molti furono, che per il parlar suo a pigliare l'armi s'accesono. Et se alcuni nel pericolo comune si fusseno mostrati lenti, tolti loro i pegni erano condannati. Tal che molti ancora della fattione contraria per paura del Popolo caldi contra Franzesi si mostravano.