Chi l'ha detto?/Parte prima/78
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§ 78.
Virtù, illibatezza, modestia
1766. Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti.
Ma per seguir virtute e conoscenza.
1767. Esse oportet ut vivas, non vivere, ut edas.1
E con più modesti intendimenti ammonisce Marziale che:
1768. Non est vivere, sed valere, vita.2
Quando si è rinunziato ad ogni alto scopo della vita, che cosa resta di essa? Così poco che non vale più la pena di vivere:
1769. Summum crede nefas animam præferre pudori,
Et propter vitam vivendi perdere caussas.3
1770. ....Stimulos dedit semula virtus.4
1771. Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
....A te nel petto sieda |
Virtutem incolumem odimus, |
(Odi, lib. III, carm. 24, v. 31-32).
Non nego che qualche volta il fascino della virtù e del merito l’impone, e, attraverso le aspre vicende della lotta quotidiana per la vita, merito e virtù trovano la loro ricompensa, in modo che
1772. Palmam qui meruit ferat.5
Meno male che per colui che è sicuro di sè e della rettitudine delle sue azioni rimangono altri conforti, e uno di questi può essere il pensare col grande agitatore Genovese, che
1773. Due gioie concesse Iddio agli uomini liberi sulla terra: il plauso dei buoni, e la bestemmia dei tristi!
negli Scritti editi ed inediti. Milano, 1861.
vol. I, pag. 168).
Ma per conservare spirito tanto sereno di fronte agli attacchi dei malevoli, la prima cosa necessaria è la tranquillità della coscienza, e allora l’innocenza conculcata può riconfortarsi poiché
1774. Difesa miglior, ch’usbergo e scudo,
È la santa innocenza al petto ignudo.
1775. Sotto l’osbergo del sentirsi pura.
1776. Io son fatta da Dio, sua mercè, tale
Che la vostra miseria non mi tange.
1777. Chi delitto non ha, rossor non sente.
1778. Conscia mens recti famæ mendacia risit.6
Ecco il linguaggio dell’innocenza:1779. D’un pensiero, d’un accento
Rea non son, nè il fui giammai
come canta Amina nella Sonnambula (parole di Felice Romani, musica di Bellini, a. I, sc. 11).
1780. La verginella è simile alla rosa
Ch’in bel giardin su la nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Nè gregge nèpastor se le avvicina:
L’ura soave e l’alba rugiadosa,
L’acqua, la terra al suo favor s’inchina:
Gioveni vaghi e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.
1781. Pura siccome un angelo.
Ricordisi per assonanza anche il verso di Dante:
1782. Puro e disposto a salire alle stelle.
1783. Omnia munda mundis.7
che nei Promessi Sposi del Manzoni (cap. VIII) Fra Cristoforo cita così a proposito e con tanta efficacia allo scrupoloso Fra Fazio; e più calzantemente anche il seguente motto, che può benissimo essere adottato come impresa della purità e di cui la singolarissima istoria merita di essere conosciuta. Il motto è questo:
1784. Potius mori quam fœdari.8
Regia stirps, Jacobus nomen, Lusitana propago,
Insignis forma, summa pudicitia,
Cardineus titulus, morum nitor, optima vita.
Ista fuere mihi; mors juvenem rapuit.
Ne se pollueret maluit iste mori.
Vixit a. XXV. m. XI. d. X. obiit an. Sal. MCCCCLIX.
Vedi il Ciacconio, Vitæ et res gestæ pont. roman., to. II, col. 990. Questo motto con leggiera variante, Malo mori quam fœdari, fu di Anna di Bretagna e anche di altri, per esempio di Ferdinando I di Aragona, re di Napoli, il quale, avendo perdonato al Principe di Rossano, suo cognato, che gli si era ribellato contro e che caduto prigione gli consigliavano di far morire, «per dichiarare - come narra il Giovio (Dialogo dell’imprese militari et amorose, Vinegia, 1557, a pag. 22) - questo suo generoso pensiero di clemenza, figurò un Armellino circondato da un riparo di letame, con un motto di sopra, Malo mori quam fœdari, estendo la propria natura dell’armellino di patire prima la morte per fame e per sete che imbrattarsi, cercando di fuggire, di non passar per lo brutto, per non macchiare il candore, e la pulitezza della sua pretiosa pelle». E lo stesso racconto con maggiori particolari è ripetuto dal Giannone nella Istoria civile del Regno di Napoli, lib. XXVII, cap. III, aggiungendo che il re con quest’impresa istituì un nuovo ordine di cavalleria detto appunto dell’Armellino.
Ma per contrapposto, ecco, intorno all’onestà delle donne, due delle solite ciniche sentenze del Duca de La Rochefoucauld (§ CCCLXVII e CCCLXVIII):
1785. Il y a peu d'honnêtes femmes qui ne soient lasses de leur métier.9
1786. La plupart des honnêtes femmes sont des trésors cachés, qui ne sont en sûreté que parce qu’on ne les cherche pas.10
1787. Mentem peccare, non corpus; et, unde consilium abfuerit, culpam abesse. 11
1788. Benignamente d'umiltà vestuta.
Note
- ↑ 1767. Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare.
- ↑ 1768. La vita non sta nel vivere, ma nell’esser validi (ossia sani).
- ↑ 1769. Per turpissima cosa avrai l’anteporre la vita all’onore, e pur di salvare la vita, perdere ogni ragione di vivere.
- ↑ 1770. La virtù emulatrice lo stimolò.
- ↑ 1772. Porti la palma chi l’ha meritata.
- ↑ 1778. La coscienza retta si ride delle bugie della fama (ossia delle mendaci ciarle del pubblico).
- ↑ 1783. Tutto è puro per i puri.
- ↑ 1784. Piuttosto morire che contaminarsi.
- ↑ 1785. Poche sono fra le donne oneste quelle che non sono stanche del loro mestiere.
- ↑ 1786. Le più fra le donne oneste sono dei tesori nascosti, che sono al sicuro soltanto perchè nessuno le cerca.
- ↑ 1787. La mente pecca, non il corpo; e là dove mancò l’intenzione, non ci può essere colpa.