Chi l'ha detto?/Parte prima/57
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§ 57.
Povertà, ricchezza
1274. Vivent les gueux!1
è il ritornello di una canzone di P. J. De Béranger intitolata appunto Les gueux e composta nel 1812; ma se Béranger gli ha dato quella popolarità di cui godono tutte le sue rime, è pur vero ch’egli non n’è l’autore. Il Fournier racconta di averlo trovato in diversi canzonieri del secolo xviii, e principalmente alla fine di alcune strofe di Piron pubblicate dalla Société des Bibliophiles nel vol. V dei suoi Mélanges.
Non v’ha dubbio che colui che sa contentarsi, può trovare qualche conforto anche nella povertà, se non altro quello di ridersela dei ladri! È cosa ormai vecchia che:
1275. Cantabit vacuus coram latrone viator.2
Perciò la povertà era levata a cielo e professata dai filosofi, a cominciare da colui che soleva dire:
1276. Omnia mea mecum porto.3
Le privazioni e la povertà sono sopportate coraggiosamente, direi quasi lietamente, quando si hanno le forze e la fede che dà la gioventù:
1277. Dans un grenier qu’on est bien à vingt ans!4
1278. Ivi povera vivea,
Sol contenta del mio stato.
1279. Inopem me copia fecit.5
1280. Magna servitus est magna fortuna.6
1281. Latifundia perdidere Italiam.7
Senza dunque spregiare le ricchezze che pure possono dare molte soddisfazioni, se non altro quella di giovare altrui, nessuno può disconoscere che più felice di molti Cresi è il modesto lavoratore che sa contentarsi del poco sufficiente ai suoi reali bisogni, e trae dall’opera sua una onesta e ben guadagnata mercede, purché, dico, sia ben guadagnata e non provenga da turpe fonte. Che il danaro di mala provenienza poco profitta; e a chi te l’offre, rispondi pure con le parole della Bibbia:
1282. Pecunia tua tecum sit.8
1283. Je veux que le dimanche chaque paysan ait sa poule au pot.9
La tradizione attribuisce questo voto a Enrico IV, e benchè manchino le prove dirette della sua autenticità, tuttavia il consenso universale e l’indole del principe ce la fanno credere probabile. La fonte più antica del motto della poule au pot sarebbe nell’Histoire du roi Henri le Grand, di Hardouin de Péréfixe, vescovo di Rodez, stampata per la prima volta nel 1661. Il Péréfixe che non fu veramente un contemporaneo del gran re (aveva cinque anni quando egli morì), ma visse nell’ambiente della Corte e fu familiare di Richelieu, narra che il re avesse detto al duca di Savoia: «Si Dieu me donne encore de la vie, je ferai qu’il n’y aura point de laboureur en mon royaume, qui n’ait moyen d’avoir une poule dans son pot.» Il voto di Enrico IV fu anche nei secoli posteriori augurio comune per i re non meno che per i primi ministri: e sotto Luigi XIV, Colbert scriveva all’intendente di Tours nel 1670 parafrasando il desiderio reale, che sembra ch’egli avesse preso a cuore e domandando: «si les paysans commencent à estre bien vestus et bien logés, et s’ils pourront enfin se réjouir un peu, aux jours de feste et de noces.». Non si sa se la risposta dell’intendente fosse tale da soddisfare completamente l’illustre ministro.
Quasi cent’anni più tardi l’avvenimento al trono di Luigi XVI aveva ispirato a tutti le migliori speranze, per cui una mattina si lesse sul piedestallo della statua di Enrico IV sul Ponte-Nuovo la iscrizione Resurrexit. L’indomani non mancava la risposta, contenuta nel seguente distico:
Resurrexit? j’approuve fort ce mot,
Mais, pour y croire, il faut la poule au pot.
Cui un terzo anonimo ribatteva con un nuovo epigramma:
Enfin, la poule au pot sera donc bientôt mise!
On doit du moins le présumer,
Car, depuis deux cent ans qu’on nous l’avait promise,
On n’a cessé de la plumer.
1284. In virtù de la santa boletta.
È del Metastasio un’osservazione non nuova, ma sempre vera, che mostra come anche la ricchezza sia soprattutto relativa, in modo che molti beni, levati a cielo e invidiati dagli uni, son tenuti in piccol conto dagli altri, poichè:
1285. ....Han picciol vanto
Le gemme là, dove n’abbonda il mare:
Son tesori fra noi, perchè son rare.
Ed è di G. Gioachino Belli un mirabile sonetto che suggerisce delle considerazioni piuttosto melanconiche a proposito della stima che il mondo ha sempre avuto per chi ha, in confronto di chi non ha:
(3 aprile 1836).
Merito dite? eh poveri merlotti! |
(I Sonetti Romaneschi, pubbl. dal nipote Giacomo a cura di L. Morandi, Città di Catello, 1887, vol. V, pag. 13)
L’ultima terzina è meritamente popolarissima, ma essa riproduce sana sana una colorita immagine dantesca:
1286. Con quel furor e con quella tempesta
Ch’escono i cani in dosso al poverello
Che di subito chiede, ove s’arresta.
Queste due citazioni dettero lo spunto a un argutissimo opuscolo, elegantemente illustrato, di propaganda per il VI Prestito Nazionale (1920), intitolato: Dante, Belli, i cani e i poverelli, opuscolo anonimo ma che mi dicono scritto da uno dei pezzi grossi della Banca d' Italia.
Agli stessi concetti s’ispira una celebre quartina di Giuseppe Giusti:
1287. Un gran proverbio
Caro al Potere,
Dice che l’essere
Sta nell’avere.
1288. La base de tuto.
Sullo stesso soggetto ecco anche un bel testo latino:
1289. Beati possidentes.10
Ordinariamente la si crede citazione d’Orazio, e la opinione comune è stata confortata dall’autorità del Fournier, che nel libro più volte ricordato L’esprit des autres cita la frase indicando anche il luogo di Orazio donde sarebbe tolta, cioè dall’ode IX del lib. IV verso 25; e sulla fede di Fournier molti altri repertori ripetono pecorinamente lo stesso errore. Ed altro non è, che se si cerca il passo indicato, nulla vi si trova di simile, ma soltanto ai v. 45-46 si legge
Non possidentem multa vocaveris |
1290. À l’origine de toutes les grandes fortunes il y a des choses qui font trembler.11
1291. Facilius est camelum per foramen acus transire, quam divitem intrare in regnum coelorum.12
Sono parole di Gesù: ma con tutta la reverenza per la Bibbia mi si lasci dire che la imagine di un cammello che cerca di passare per la cruna di un ago, anche per gli orientali, così vaghi di iperboli, sembra alquanto esagerata. E poi perchè proprio un cammello? Alcuni commentatori, tra i quali Teofilatto, suppongono che si tratti di un errore di traduzione della Volgata, poiché χάμηλος vorrebbe dire non soltanto cammello, ma anche quel grosso canapo a cui i naviganti legano le àncore, che secondo Suida e altri lessicografi si scriverebbe piuttosto χάμιλος;. cioè con la ι in luogo della η. Quindi si dovrebbe intendere che è più facile di far passare una grossa fune dalla cruna di un ago che far entrare un ricco nel regno dei cieli, e allora la frase soddisfa di più.
Come conclusione di tutta questa filosofia, teniamoci prudentemente in una via di mezzo, e senza agognare immoderatamente le ricchezze, cerchiamo di tenere almeno lontana da casa nostra la:
1292. Malesuada Fames ac turpis Egestas.13
- ↑ 1274. Viva i pezzenti!
- ↑ 1275. Il viandante con le saccoccie vuote può cantare in faccia al ladro.
- ↑ 1276. Porto con me ogni mia ricchezza.
- ↑ 1277. Come si sta bene anche in un granaio a venti anni!
- ↑ 1279. L’abbondanza mi fe’ povero.
- ↑ 1280. Una grande fortuna è una grande servitù.
- ↑ 1281. I latifondi condussero l’Italia a perdizione.
- ↑ 1282. Tienti il tuo danaro.
- ↑ 1283. Io voglio che alla domenica ogni contadino abbia il suo pollo in pentola.
- ↑ 1289. Beati coloro che posseggono.
- ↑ 1290. All’origine di tutte le grandi ricchezze ci sono cose che fanno fremere.
- ↑ 1291. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli.
- ↑ 1292. La Fame cattiva consigliera e la Povertà vergognosa.