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XIV XVII

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XV.

Nei giorni feriali, il parroco che dirigeva la parrocchia di Salvore in quegli anni, usava dir messa all’alba, perchè i lavoratori devoti potessero ascoltarla, prima di andare al lavoro dei campi.

La Teresina che non poteva più dormire la notte, s’alzava tutte le mattine appena sentiva la campana chiacchierina snocciolare all’aria le sue solite frasi scucite.

Una mattina che non ebbe bisogno d’alzarsi perchè non era andata a letto la sera, si mise in cammino più presto del solito, forse sperando di riaversi un poco.

Non aveva visto Cesare da quattro giorni.

Era la più bell’alba d’estate. La rugiada [p. 170 modifica]cominciava a brillare sull’erba e sugli alberi. La ginestra spandeva il suo profumo acuto. Gli uccelli cantavano con un abbandono e una gioia, come se quella fosse stata l’ultima mattina che gli era permesso di cantare.

Lei camminava a capo basso, indifferente a tutte queste bellezze. Si sentiva morir di dolore, non aveva tempo di fare attenzione a cose che non avevano alcuna pietà del suo dispiacere.

Quando fu arrivata a quell’incrociatura di strade vicino al bosco, dove aveva veduto Cesare, circa un mese addietro, s’arrestò un momento, scosse il capo, poi continuò la sua strada.

La campana cominciò a suonare. Teresina camminava in cima alla riva, ch’è altissima, mentre il fondo del mare giù, è basso, e spesso scoperto nella stagione delle grandi secche. È un piccolo porto quello di Salvore, interrato e deserto, che s’insinua tra le due punte: la piccola Punta di Salvore, e l’altra detta della Lanterna. Non vanno a ripararvi che barchette e battelli di pescatori. Una schiera di grette, nude e scure di cui alcune assai alte, lo circonda tutto; quando l’aqua sale queste grotte restano sommerse; ma la sponda terrosa, la quale frana continuamente, e forma dietro alle roccie come [p. 171 modifica]il secondo gradino d’un anfiteatro colossale, resta in tutte le stagioni a parecchi metri sopra il livello dell’acqua.

Tra codesta terra e le grotte, sul pendio che in certi punti è quasi a picco, cresce abbondante la ginestra.

Giù, sul fondo sabbioso e intorno alle grotte, si vede spesso un certo numero di monelli scalzi che s’arrabattano con la melma e i sassi per cercarvi i granchiolini, le chiocciole e le telline, che il mare ritirandosi, lascia allo scoperto.

Ma a quell’ora non c’era nessuno, nè si sentiva alcun rumore; l’acqua saliva fin sopra la cima della più alta grotta.

La Teresina guardava.

Le pareva di vedere un uomo seduto sopra una frana vicino alle onde, stretto a una pianta di ginestra. Certo non s’ingannava: era proprio un uomo.

Ella scese in fretta un viottolo intermezzato da scalini scavati dai marinai.

Quell’uomo seduto là a quell’ora, in una posizione evidentemente pericolosa, le faceva paura. Forse l’eccitazione nervosa in cui viveva da alcuni giorni e i tristi pensieri la rendevano più sensibile e impressionabile. [p. 172 modifica]

La campana intanto suonava il secondo segno per la messa. L’uomo aggrappato alla ginestra voltò la faccia verso terra.

— Gianni! gridò la giovane: Ohè Gianni, che fate là?

Gianni, ch’era proprio lui, s’alzò meravigliato di sentirsi chiamare.

Pareva un pò confuso, e non sapeva cosa rispondere; tanto per non dar maggior sospetto disse che voleva pescare. Ma non osava guardarla.

Teresina però fece sembiante di non comprendere la sua confusione, e lo invitò semplicemente a andare piuttosto in chiesa con lei a sentir la messa.

Gianni obbedì a quell’invito che gli parve un’ordine.

Dopo la messa il giovane si credè in obbligo di congratularsi con lei per la sua inaspettata fortuna. Ma ella non gli rispose; chinò il capo e s’avviò verso la porta del cimitero.

Là c’era allora una vecchia panca di pietra all’ombra d’un gelso altissimo. Era giorno fatto e il sole cominciava a scottare; i due giovani sedettero insieme all’ombra dell’albero cui nessuno osava levar la foglia per darla ai bachi preziosi che producono la seta. [p. 173 modifica]

— Che avete Gianni? chiese la Teresina con interesse: mi sembrate afflitto?

Non aveva nulla. Era un pazzo, diceva. A questo mondo quando si era poveri bisognava rassegnarsi al destino. Ma, era più forte di lui, certe umiliazioni gli pesavano troppo; tanto più dacchè sapeva di non averle meritate! E non l’avevo meritate da lei, nò, lo poteva giurare. La teneva in venerazione come la madonna. E lei, quella signorina tanto gentile, come lo aveva trattato. Oh! ma era meglio non lo facessero parlare!

Lei lo ascoltava a bocca aperta; ma finchè parlava a quel modo era come se non avesse parlato. Lei non ci racapezzava nulla lo stesso; e intanto sorrideva suo malgrado a vederlo così confuso. Se avesse potuto giovargli in qualche cosa, o se trovava sollievo a confidargli le sue pene, era certo che non avrebbe potuto trovare una persona più disposta a compatire i suoi dolori.

Gianni che sentiva davvero un bisogno irresistibile di levarsi di dosso il peso d’un dispiacere non confidato, cominciò a raccontare come meglio potè, e non senza molte digressioni, della sua triste avventura con la signorina; dei colpi di frusta e dell’oro che gli aveva gettato in faccia. E intanto [p. 174 modifica]diventava rosso e pallido, e si andava asciugando le lagrime col rovescio della manica.

Ma come l’aveva amata! Ascoltando il suo racconto, la Teresina leggeva nel suo cuore più ch’egli non credesse.

E la desolazione d’Emilia come le riesciva chiara appunto dalle stranezze del suo contegno. Come doveva soffrire anche lei!

La Teresina era buona: le sofferenze della sua rivale non le facevano piacere; ma sentiva in cuore un dolore acuto pensando che Emilia e Cesare si amavano tanto ancora.

— O Teresina! esclamò Gianni terminando la sua breve storia; come morirei volentieri!

— Morire Gianni!. E vostra madre?

Il giovane abbassò il capo in silenzio.

Allora lei cominciò a rampognarlo dolcemente, e nello stesso tempo a fargli coraggio. Lei non era che una povera ignorante e non sapea far discorsi, pur troppo; ma una cosa gli poteva dire: lei non conosceva che un solo caso in cui le pareva ci fosse permesso di togliersi la vita; e questo non era il caso di lui, certo.

— Come la intendete? domandò il giovane.

— Intendo così, disse lei, vi possono esser dei [p. 175 modifica]casi che la nostra vita è un inciampo alle persone che amiamo: capite? dei casi, per esempio, che, morendo, si può fare la felicità di una persona cara, liberandola da un impegno preso senza riflettere. Allora sì, Gianni, allora sì che abbiamo diritto di morire, anzi è forse nostro dovere! Così, se morissi io, vedete, sarebbe un bene. Cesare sarebbe libero di sposare.... sua cugina. Mentre, se moriste voi, sarebbe un gran male per vostra madre, e.... niente altro!

Lui la guardò meravigliato e più confuso che mai.

Non era rozzo, lo sappiamo, per un campagnolo. Aveva un indole geniale e buona; e poi, amava.

Era nato in una casetta colonica dei conti di dove i suoi genitori vivevano da anni: poi era passato a servizio del signor Luigi che gli aveva fatto fare qualche viaggio per affari suoi particolari, e se ne era cavato bene; in fine aveva accompagnato Cesare a Venezia, e a forza di trovarsi sempre a contatto coi padroni, la sua mente si era sviluppata e ingentilita. Sentì subito che la Teresina diceva qualcosa di straordinario.

Infine comprese tutta la delicatezza di quel sentimento così semplice e vero che spingeva la ragazza verso il sacrifizio. Tuttavia per togliersi ogni dubbio, disse: — Ma allora è cattivo. [p. 176 modifica]

— Cattivo Cesare? Il mio Cesare è un angelo. Ma non si comanda all’amore. Tutta la generosità, tutta la bontà immaginabile non basta a farlo nascere dove non c’è; nessun dovere può distruggerlo quando esiste davvero.

— Ma dunque voi credete ch’egli non vi voglia bene, a voi? insisteva Gianni.

La Teresina scrollò il capo e sorrise con amarezza. Non era questo. Lei sapeva che il suo Cesare era buono e le voleva bene e avrebbe voluto vederla felice insieme alla sua bambina che amava tanto. Ma lei non era il suo amore: non poteva esserlo. Doveva metterla un pò al confronto colla signora Emilia: sapeva anche lui, Gianni, quanto fosse bella! a guardarla pareva una rosa di maggio, mentre lei, la povera operaia, somigliava appena a un fiorellaccio di campo, già mezz’appassito.

Quando si vestiva un pò meglio, le pareva di stare peggio. Tremava all’idea di doversi vestir da signora. Sarebbe imbarazzata, ridicola. Eran quindici giorni che andava calzata e i suoi poveri piedi incalliti ai sassi e ai bronchi, ma avvezzi a star liberi, si ribellavano a questo cilizio. Oh, lo sapeva, sarebbe brutta mascherata da signora, perderebbe anche quel poco di grazia naturale che piaceva [p. 177 modifica]tanto al suo Cesare quando correvano per i boschi assieme, da ragazzi. L’aveva già perduta! Le sue cognate come la deriderebbero! E il conte nonno! Che viso gli farebbe il conte nonno? Le si gelava il sangue solo a pensarlo. E se andavano a stare in città, come diceva Cesare, si sentiva morire a pensare con che occhi di compassione la guarderebbero i signori o le signore, che lei non saprebbe ricevere, che si divertirebbero a farla arrossire. Cesare finirebbe col vergognarsi di lei. Forse se ne vergognava già adesso.....

Gianni la interruppe.

Sì, c’era del vero in quello che diceva, ma gli pareva che esagerasse. Era vero che non era una signorina; ma era bella, anche lei, e certe cose s’imparavano specialmente le avrebbe imparate lei col suo giudizio!...

Lo credete? replicò Teresa con un sorriso incredulo. Il giudizio giova poco in codeste faccende. S’impara a pensare, s’impara a leggere e a scrivere; si può diventare meglio che non sono loro, qui e qui e si toccava la testa e il cuore — ma tutte quelle piccolezze che bisogna fare o non fare, quelle abitudini, quella scioltezza; son cose che non s’imparano mai se non ce l’hanno insegnate fin da [p. 178 modifica]piccini. Siamo goffi e i signori ridono. E quando facciamo ridere, sia pure che si rida di nascosto, la persona che si è legata a noi finisce col non poterci soffrire. Oh! È tanto che ci penso. Ho letto negli occhi di Cesare che mi paragonerà tutta la vita con lei, con la sua bella cugina, e che mi troverà sempre inferiore.

— Ma la sua bella cugina è cattiva. Non gli vuol punto bene più, credete: è troppo superba. Non sapete che sposa il signor Arturo?

— Per disperazione. A me, mi piace di dire la verità: la signora Emilia non è cattiva. Se io morissi e che lei potesse sposare suo cugino vedreste come farebbe presto a mandare al diavolo il signor Arturo.

Ma Gianni non voleva che la Teresina parlasse di morire. Lei doveva pensare alla sua bambina, come lui alla sua mamma.

La Teresina invece avrebbe voluto che nessuno le parlasse della sua figliuola. Povera piccina! Lo sapeva lei quanto l’amava, guanto l’aveva amata sempre. Ma, da qualche giorno pensava che forse anche alla sua bimba sarebbe più utile la sua morte che la sua vita. Cesare le aveva già detto che bisognava metterla in un collegio per farla educare; [p. 179 modifica]non era questa una maniera indiretta di farle comprendere che lei non era capace di educarla?

Gianni trovava troppe sottigliezze nei sentimenti della filatrice. Gli pareva che facesse apposta per tormentarsi. Quanto a lui accusava il destino che li aveva canzonati tutti. Quel maledetto destino che invece di fare che si amassero tra di loro li aveva spinti a innamorarsi di persone così diverse, che non potevano altro che farli soffrire.

Lei sorrideva a fior di labbro. Sapeva già che l’amore era una fatalità, e che per lei era la morte. Intanto si alzò e cominciò a camminare. Egli la raggiunse cercando sempre di consolarla.

Ma la ragazza non lo ascoltava più; era chiusa in se stessa, con gli occhi fissi a terra; pareva non potesse togliersi a una qualche triste immagine che la perseguitava. Andava innanzi chinando sempre il capo e affrettava il passo, mentre Gianni brontolava inutilmente, che quella era un’idea fissa che bisognava scacciarla.

Quando furono arrivati al principio del viale dei gelsi, lui che doveva pigliare a destra per andare laggiù sui campi del signor Luigi, mentre lei doveva seguire la strada del bosco, si fermò e la salutò con parole affettuose; le raccomandò ancora [p. 180 modifica]una volta di lasciar andare quelle brutte ideaccie, e vedendo che non gli dava retta, giunse nel suo zelo amichevole, fino a posarle una mano sulla spalla come per riscuoterla dal suo torpore.

Lei alzò gli occhi un momento e gli disse addio.

Così si lasciarono.

Ma aveva fatti appena pochi passi, allorchè un uomo uscì dal bosco e venne difilato a lei.

— Dove andate bella ragazza? chiese costui con accento ironico.

La Teresina s’arrestò impaurita e guardò quell’uomo. Un sudore freddo lo corse per tutto il corpo, quell’uomo era il conte nonno.

— Si fa all’amore alla Sordina, eh?

La Teresina indietreggiò più impaurita che mai.

— Non mi state a far l’innocentina, ora vi ho veduta, sapete. Gli è un pezzo che vi pedino. Non potevo capacitarmi di questa premura d’andare a messa tutte le mattine. Stamani vi ci ho colta. Sentite: siete uscita all’alba: io avevo preso il mio fucile per andare a caccia, ero dunque nel bosco quando siete passata la prima volta.

Naturalmente, due o tre settimane fa, non vi avrei guardata; ma, dacchè vi hanno dichiarata contessa, capirete bene che, almeno per me, siete [p. 181 modifica]diventata un personaggio importante, ma punto simpatico, ve lo dico: una specie di bestia nera, ecco. Ho voluto vedere se i miei sospetti erano fondati. Tò! dissi, da me da me, che sia proprio tanto devota questa contessina. Stiamo a vedere. E, scusate sapete, nell’interesse della famiglia mi sono permesso di tenervi d’occhio, seguendovi da lontano.

Il vecchio prese fiato. Aveva parlato con una foga e una vivacità maligna da stordire. Fissava la ragazza in viso, cercando di scoprirvi l’effetto delle sue parole, ma lei era come intontita: gli occhi bassi, immobile, pallida: ciascuno l’avrebbe giudicata colpevole a vederla.

La vera innocenza ha più volte che non si creda l’apparenza della colpa, quando si trova calunniata e accusata.

Un sorriso di soddisfazione diabolica sfiorò le labbra del conte.

— E non ero solo, sapete, continuò dopo un poco; non ero solo. Appena ho veduto che c’era un rigiretto in aria ho chiamato il mio staffiere perchè mi servisse da testimonio: colle donne ci vuol prudenza, son più furbe del diavolo. Così noi abbiamo veduto che Gianni era là vicino al mare che [p. 182 modifica]v’aspettava: voi siete discesa, l’avete chiamato, poi siete andati via assieme. Avete fatto le viste d’entrare in chiesa perchè suonava la messa; ma invece siete andati laggiù sotto quella tettoia.

A queste parole la Teresina si scosse, e fece uno sforzo per dir qualche cosa: ma la voce restò soffocata dalla commozione: il suo accusatore riprese a dire arditamente:

— Vorreste difendervi, ma non potete. La verità non si nega. Dopo una buona ora di colloquio intimo siete ricomparsi e avete continuata la conversazione sotto l’ombra del gelso. Poi finalmente vi siete rimessi in cammino e prima di lasciarvi vi siete dati ancora un bacio in mezzo alla strada.

— Non è vero! gridò la ragazza con impeto disperato: non è vero nulla!

Era escita finalmente dallo stato d’apprensione che l’aveva resa muta e come insensibile. La reazione era violenta.

Piangeva, gridava:

— Sono innocente, lo giuro! sono innocente, pietà di me signor conte!

Pietà! domandava pietà a lui, all’uomo che vedeva in lei la rovina de’ suoi più cari progetti; pietà, al conte nonno, a quell’anima risoluta e tenace, [p. 183 modifica]che aveva sopportate in silenzio per quindici lunghi giorni le più angosciose inquietudini a causa di lei! Ella non sapeva dunque ch’egli aveva già calcolato di comprare i fondi del signor Luigi coi denari della dote d’Emilia, anzi, con la metà di quei denari, poichè egli teneva già in mano di che fare una lite al tutore per la cattiva amministrazione dei beni della pupilla, e con questo mezzo poteva ridurlo a ciò che voleva!

E lei domandava pietà. Poverina!

E poi, pietà di che?

Lui non le voleva male; anzi, le avrebbe fatto una piccola dote se sposava un altro, mettiamo Gianni invece di Cesare. Che difficoltà la ci poteva avere? Erano due bei giovani tutti e due. Che differenza ci poteva esser per lei!

L’amore? Oibò!

Cos’era mai l’amore? Chi poteva immaginarsi di dar valore a una ragazzata quando si trattava degli alti interessi di una famiglia nobile e potente come la sua? E poi se lo amava, chi le impediva d’amarlo anche dopo, anzi tanto meglio: l’importante era che non lo sposasse. Ma il conte nonno pensava che probabilmente c’entrava un poco d’ambizione. Sicuro, quella ragazza poteva avere l’ambizione di diventar contessa. [p. 184 modifica]

Egli conveniva in cùor suo che quello era un bel sogno per una povera diavola; e quasi quasi si sentiva dispetto ad ammirare quella piccola oscurità che sapeva trovar la sua strada per salire alla luce. Ma per quanto ambiziosa, ella non aveva certo la forza necessaria da misurarsi con lui.

Il conte nonno, sicuro della vittoria oramai, sorrideva di quell’ambiziosa impotenza; che si lasciava cogliere così alla sprovvista.

Intanto ella s’era inginocchiata in mezzo alla strada e pregava e piangeva con tutto il fervore dell’anima sua.

Ma il vecchio le voltò le spalle, lanciandole ancora queste parole di scherno:

— Bisogna esser prudenti quando s’è ambiziosi: perchè vi siete lasciata cogliere, se vi premeva tanto di diventar contessa?

Quando Teresina lo vide partito, e capì che tutto era inutile, restò come fulminata.

Tutto era contro di lei. Sì sentiva stretta come in una macchina di ferro.

Era persa, morta. Pensava che Cesare sarebbe stato contento d’avere un pretesto per rompere la sua promessa e sposare la signorina Emilia. Poi il suo pensiero si perdeva completamente. Non vedeva [p. 185 modifica]altro che un gran buio. Sentiva un freddo intenso al cuore, un foco intollerabile al cervello, e la vita che le sfuggiva.

Batteva i denti sotto i raggi del sole ardente che le sferzavano il viso, su quella strada polverosa e scoperta.

Finalmente fece uno sforzo supremo e si alzò. Si scosse la polvere di dosso e s’avviò barcollando verso casa.

Mormorava parole sconnesse, senza senso.

Improvvisamente s’arrestò, si battè la fronte; una nuova idea più disperata l’aveva colpita: Cesare avrebbe creduto le accuse deb vecchio; e lei non avrebbe potuto giustificarsi.

Svoltò bruscamente verso il mare.

— Addio, Angelina! mormorò col cuore gonfio.

Poi si messe a correre, e correre, senza arrestarsi, senza pigliar fiato, fino all’estremità della Punta, dove l’acqua era alta ancora.

Là scomparve.


Alla medesima ora un corteggio nuziale entrava nella chiesa della Madonna della Salute a Pirano.

Il signor Luigi, tutto gongolante, dava il braccio [p. 186 modifica]alla sposa, pallida e smunta ancora, per la recente malattia.

Il signor Arturo, li seguiva con una vecchia parente sotto il braccio.

Il corteggio non era lungo: il signor Luigi non amava le spese inutili, e il rinfresco doveva pagarlo lui.

Poco dopo la cerimonia i due sposi montavano in una bella carrozza nuova, regalo del signor Arturo alla sposa, che doveva condurli fino a Trieste, per cominciare il loro viaggio di nozze.

Emilia piangeva, e le sue lagrime non somigliavano a quelle solite e di circostanza che ogni ragazza ben nata spreme dai suoi begli occhi in momenti similj.

Così Cesare perdeva due donne in un giorno.