XIV

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XIII XV

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XIV.

Ma se la mamma era mesta, la bimba era più allegra che mai.

Il babbo le aveva portati tanti gingilli e così belli che lei non si poteva saziar di guardarli.

Di alcuni non comprendeva quasi il significato, e quando la mamma glieli spiegava, erano battimani e meraviglie che non finivan più.

Ma la tristezza della mamma non sfuggì per molto, tempo allo sguardo intelligente della piccina.

— Mamma! le disse accostandosele seria seria. O mamma! non sei contenta tu? Non t’ha regalato nulla a te, il babbo?

Poi, prendendole la mano vi cercò un bellissimo [p. 166 modifica]anello di brillanti che Cesare le aveva dato, e quando lo vide esclamò tutta trionfante:

— Ah! vedi cosa t’ha dato a te il babbo! Pare una stella.

Ma la mamma taceva sempre e pareva tanto mesta che la piccina gettò via i ballocchi e cominciò a far greppo e a singhiozzare anche lei senza sapere perchè.

La Teresina la prese in collo, se la strinse al cuore e cercò di calmarla a forza di carezze.

I suoi singhiozzi cessarono a poco a poco, e il sonno benefico la trasportò nel mondo dei sogni dove i bambini veggono ancora gli angeli: un mondo dove le mamme non piangono mai e i babbi sono sempre allegri e amorosi.

Peccato che questo mondo ideale non si trovi altro che nei sogni!

Il giorno dopo Cesare non si lasciò vedere. Mandò a dire che il nonno gli aveva ordinato di recarsi a visitare certi latifondi lontani e che sarebbe rimasto fuori un paio di giorni.

La Teresina non disse nulla, ma sentì un nuova peso nella sua tristezza.

Cesare non aveva alcun podere da visitare. Era inquieto, nervoso, incapace di prendere una [p. 167 modifica]risoluzione, irritato con sè e con gli altri. Rimase tutto un giorno chiuso in camera, poi andò a caccia due giorni.

Finalmente si mise alla ricerca del contadino che gli aveva parlato della malattia d’Emilia. Ma il contadino non si lasciò trovare.

Ridotto all’ultima esasperazione Cesare risolse d’andare a Pirano e di pesentarsi alla casa del signor Luigi per chieder nuove di sua cugina Gli pareva d’impazzire all’idea ch’ella avesse a morire per colpa sua; ma, nello stesso tempo, che gioia gli procurava quella malattia di cui era causa l’amore ch’ella sentiva ancora per lui.

Il signor Luigi però gettò delle brave secchie d’acqua fresca sopra il foco del suo entusiasmo. Gli assicurò che Emilia era già entrata in convalescenza, ma che il medico non le permetteva di parlare; spiegò la malattia con la causa innocente e prosaica del freddo preso in quella tal notte e dello spavento durante l’uragano, e finì col fargli comprendere assai asciuttamente che la ragazza non poteva più rivederlo e che tanto valeva rassegnarsi e sposare la contadina, poichè aveva avuto la generosità, il signor Luigi calcava ironicamente su questa parola, di preferirla in un momento decisivo. [p. 168 modifica]

Cesare capi che con quell’uomo non c’era nulla a sperare, e partì; solo avrebbe pagato una parte del proprio sangue affinchè il signor Luigi, invece di essere un settuagenario, fosse stato un giovane col quale almeno avrebbe potuto sfogare la sua collera.

Tornò in campagna; andò dalla Teresina. Fece sforzi supremi per nascondere il cordoglio che lo struggeva, e vi riesci in parte.

Ma poi risentendosi debole restò altri tre o quattro giorni senza farsi vedere. In questo tempo lo stesso contadino che gli aveva annunziata la malattia d’Emilia, trovò mezzo di fargli sapere che era guarita e che si stavano facendo i preparativi per le sue nozze col signor Arturo.