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XV

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XVII.

E qui la storia potrebbe essere finita. Una donna è morta, l’altra maritata: il protagonista libero di prepararsi a un secondo romanzo. La chiusa sarebbe logica.

Tuttavia c’è ancora qualche cosa. C’è una vendetta. E poi, come finì il conte nonno? Come finì il signor Luigi?

Cominciamo dal signor Luigi.

Visse fino al giorno che si dichiarò la guerra tra Francia e Prussia.

Appena morto lui, i creditori mandorono all’incanto la sua tenuta di Salvore.

La comprò il conte nonno, e questo non era difficile a immaginare. [p. 188 modifica]

Il signor Luigi però, s’ebbe ancora qualche soddisfazione prima d’abbandonare questa valle di lagrime. Tra le altre, e certo potentissima, quella di morire con l’intero convincimento che i Napoleonidi avrebbero disfatto quel piccolo regno di Prussia, I cui sovrani osavano trattarla da pari a pari con loro.

Ebbe però un amaro disinganno nel matrimonio della sua pupilla. Le cose non andarono affatto come egli se le era immaginate. Appena giunto al suo scopo il signor Arturo gli voltò le spalle. Sulla separazione dei beni non c’era che ridire, oramai il contratto era fatto; ma, poichè la moglie era sempre minorenne, la tutela toccava di ragione al marito, solo che la domandasse.

E il signor Arturo ebbe l’ingratitudine di domandarla. Il tutore però si vendicò presentando ancora un grosso conto di spese, tra le quali figurava anche la colazione del dì delle nozze, e in oltre chiedendo un lauto compenso per la buona amministrazione della dote di sua nipote, e le cure paterne che le aveva prestate.

Visto che per litigare con lui, che all’occasione sapeva essere avvocato abilissimo nel trovar cavilli, bisognava essere almeno della forza del conte nonno, le parti vennero ad un accomodamento. [p. 189 modifica]

Del resto, il signor Luigi morì solo, abbandonato da tutti: i due sposi essendosi stabiliti a Venezia, dove vivono ancora.

Emilia è sempre bella e giovane. Un numeroso stuolo d’adoratori le fa codazzo nei salotti eleganti, ai teatri, alle passeggiate. Solamente, per chi osserva le cose da vicino, quella corte ha il vizio di mutare di tempo in tempo, e di ringiovanirsi.

Una sua rivale, implacabile perchè sconfitta, disse che l’Emilia è al caso di fare confronti sapientissimi e molto ghiotti sulle diverse generazioni maschili del nostro secolo.

Emilia che l’ha risaputo da un suo fedele, osservò sorridendo che quella dama poco caritatevole pagherebbe la sua ultima parrucca parigina, perchè si potesse supporre la stessa cosa di lei.

Ma con tutto questo Emilia non è felice, tutt’altro. Non è neanche allegra, anzi i suoi adoratori si lagnano spesso del cattivo umore della signora. La storia del povero Gianni si rinnova assai di frequente, ed è su per giù, sempre quella.

Tutto questo non scema per nulla i suoi vezzi: anzi, diventa più piccante col suo bel sorriso e il suo cuore di ghiaccio.

L’estate, quando va a Recoaro o a Rimini, il [p. 190 modifica]suo umore diventa un pochino più roseo, la sua ironia meno tagliente; forse perchè allora il signor Arturo si contenta di farle una visita alla domenica, e ritorna a Venezia tutta la settimana.

Eppure il povero pedante è proprio la perla dei mariti, come dicono le amiche di sua moglie, e bisogna avere una testa romantica e balzana come la signora Emilia, per non essere felice con lui. Sempre ligio ai suoi comandi, sempre pronto ad eclissarsi: dorme per le anticamere mentre sua moglie balla, e non ha che due passioni innocenti come la candida anima sua: le dispute filologiche e il linguaggio dei fiori. Sempre quelle due vecchie passioni.

Tre o quattro anni fa, Cesare che viaggiava l’Italia si trovò a Milano durante il carnevalone; e anche i due sposi vi erano.

S’incontrarono a una festa da ballo in casa della marchesa X.

Il buon pedante che non ha fiele, e d’altronde non dava più alcuna importanza a certe ragazzate, andò subito incontro a Cesare e lo presentò a sua moglie.

Emilia impallidì un momento sotto lo sguardo scrutatore dell’uomo che aveva giurato di farla [p. 191 modifica]felice; ma poi, riprese il solito sorriso e il solito brio, e parve a tutti più brillante e più bella che mai, quella sera.

Questo fu come il prodromo dello sua vendetta.

Prodromo elegante.

Ma un giovane ch’era amico di Cesare fin da quando portavano tutti e due la camicia rossa in Sicilia, e poi a Custoza, s’accostò a lui e gli domandò se conosceva da un pezzo quella signora.

Cesare rispose che le era stato presentato quella sera soltanto, e arrossì per la bugia che diceva.

— Guardatene! sentenziò l’amico: è una donna molto pericolosa.

— Come sarebbe a dire?

— È una civetta, e delle peggio.

— Oh, per me sono corazzato. E poi, non capisco che si possa aver paura d’una civetta, disse Cesare con un’indifferenza un po’ troppo spinta se vogliamo, il che potrebbe provare che non era sincera.

— Non ti fidare! continuò l’amico. Guarda e fremi! E gli mostrò un giovine pallido, consunto, che non staccava mai gli occhi dal viso d’Emilia.

— Non capisco! esclamò Cesare che aveva paura di capir troppo. È il suo amante forse? In questo [p. 192 modifica]caso mi pare ch’è molto buona; invidio quel fortunato; morirà di quella dolce morte che Heine invidiava ad Oloferne.

— T’inganni. È tutt’altro il caso.

— Come sarebbe allora? domandò il cugino di Emilia con un impeto di gioia mal repressa.

— Senti, prese a dire l’amico; quel giovane è un veneziano ch’è qui soltanto perchè c’è lei, perchè la segue dappertutto. Due anni fa, faceva il volontariato, e il giorno prima di partire per le manovre, andò a salutare la signora che corteggiava da un pezzo, ma piuttosto per galanteria che per amore. Ella scherzava con lui e lo chiamava ragazzo. Quel giorno però vestito da lanciere le parve bello, e fu buona buona con lui. Tanto buona che egli osò dichiararsi. La signora sorrise, sai bene, donna che ride lascia sperare; almeno così si dice. Il giovane divenne più ardito e domandò un appuntamento, un pochino più intimo. La signora si fece pregare, ma finalmente accondiscese..... a una condizione però. Figurati se lui non accettava tutte le condizioni!

La condizione fu questa. Ella lo avrebbe accolto nel suo appartamento dopo mezzanotte, per una porticina secreta... [p. 193 modifica]

— Te lo ha raccontato lui? domandò Cesare pallido di rabbia.

— Sì, ma....

— Vigliacco! non si compromette una donna!

— Ma ascolta, ti dico, oh che ne sei già innamorato che ti scaldi tanto?

— Io? se la conosco appena. Continua.

— Bene; la condizione era ch’egli doveva prometterle sul suo onore che l’avrebbe rispettata; che non avrebbe nemmen tentato...

— E ha mantenuto la promessa?

— Sì, aveva promesso sul suo onore! e lui non rideva poverino di queste promesse; aveva ventanni! Ci andò era vestita da far dannare un santo, e fa implacabile. Il poveraccio partì colla speranza che al suo ritorno l’avrebbe trovata meno severa. E difatti lo accolse con gioia due mesi dopo, gli disse che lo amava, ebbe ancora appuntamenti notturni nella sua camera.....

— E la rispettò ancora? Via, credo che tu mi corbelli!

— No davvero; me lo ha raccontato lui piangendo»

— Ma allora è un imbecille!

— No: è innamorato morto: e la signora gli dice che il giorno in cui mancasse alla sua promessa gli [p. 194 modifica]sputerebbe in faccia e non vorrebbe vederlo ma più. Egli ha paura che dica sul serio, e preferisce morire.

— Ma perchè quest’infamia? domandò Cesare pensoso.

— Si dice che da ragazza la signora amasse un cugino che la tradì orribilmente per una pastora, una boara, o che so io...

— Tira innanzi, non preme, disse Cesare impaziente: che c’entra questo col veneziano?

— C’entra, perchè si dice che la signora ama sempre il cugino e si diverte a far soffrire quel giovinotto perchè somiglia a lui; è un genere di vendetta come un altro!

Il dialogo fu interrotto dal sopraggiungere di altre persone, ma Cesare ne sapeva abbastanza.

Quella sera il sonno fu tardo a scendere sulle sue palpebre, e quando finalmente s’addormentò non fece altro che sognare di sua cugina che lo andava uccidendo a colpi di spillo.

S’alzò tardi e a fatica. Continuava a sognare a occhi aperti. La vedeva sempre davanti a lui: bella, elegante, corteggiata. E con quel sorriso tra ironico e doloroso che le stava tanto bene. E sentiva che non la aveva dimenticato. Ma quel ricordo ostinato [p. 195 modifica]era amore o era odio? Trovava un senso di paura, la quegli occhi lampeggiava l’odio. Ma l’amore vive ancora sotto l’odio, dicono, e non è spento interamente se non quando è sepolto nell’indifferenza. Questa trovata della sapienza volgare, lo consolava. Intanto pensava che doveva andai e a farle una visita quello stesso giorno, alle due. Glielo aveva promesso. E certo non gli pesava il mantenimento di codesta promessa. Si vestì con cura. Pettinò i suoi bei capelli ricciuti davanti allo specchio, disponendoli artisticamente. Non dimenticò nemmeno l’essenza di opopanax che a lei piaceva tanto.

Ah, Emilia non era più la ragazza entusiasta e schietta che lui avrebbe sposato una volta! Non era più la creatura vergine che guardava così poco alle cose frivole, e cercava il sentimento dell’anima, col puro istinto dell’anima. Quanti anni erano passati da quel tempo e che mutamenti erano avvenuti!

Ora Emilia era una bella donna elegante, dagli occhi esercitati alla scelta: bisognava piacere prima di tutto ai suoi occhi. Così pensando sospirava. Quella bella donna gli pareva un abisso dove s’era affogata la fanciulla divina che aveva avuto tutto il suo amore.

Sentiva una profonda amarezza, e quasi [p. 196 modifica]un’impeto di collera; eppure non pensava che del naufragio di quella fanciulla diviua un po’ di colpa ce l’aveva anche lui. No, egli scusava se stesso quasi completamente, e non scusava lei. Se lei lo avesse amato davvero, non si sarebbe affrettata tanto a sposare il signor Arturo.

Era ingiusto, ma in questa ingiustizia aveva gran parte la passione e la gelosia che lo accecavano. Eppure in mezzo a quest’amarezza sentiva un fascino acre, più irresistibile del primo amore, che lo attirava verso di lei. Se lo avesse accolto fra le sue braccia, se avesse potuto baciare ancora una volta quel viso, come sarebbe stato felice! Anche se poi lo avesse respinto.

Ma era impossibile. No. L’Emilia non poteva respingerlo, nè prima nè poi. Sarebbe stato felice finalmente. Quanto al signor Arturo, quello era un’imbecille. Chi ci badava al signor Arturo?

E i suoi pensieri prendevano un’altra direzione. Diveniva indulgente anche per lei, poichè trovava mezzo di giustificarla senza accusare sè stesso. La colpa di tutto l’aveva quella birba del signor Luigi. Senza quel perfido tutore tutto sarebbe andato bene. Povera Emilia, era giusto che potesse essere felice una volta. [p. 197 modifica]

E pensava con compiacenza che questa felicità lui solo poteva fargliela provare, e che poteva essere una felicità duratura, poichè lui era libero e poteva stare sempre vicino a lei, e seguirla dappertutto come la sua ombra. Intanto aveva finito di aggiustarsi, e non mancava che un quarto alle due.

Escì di casa in fretta. Eppure non era tranquillo. Si rammentava improvvisamente di un certo risolino che aveva increspate le labbra di Emilia nel momento che gli diceva di andarlo a trovare, e provava un senso di malessere. Ma era una bella giornata piena di sole; le strade animate, e un’aria frizzante, elastica, che ringiovaniva i nervi. Gli tornò la sicurezza.

Emilia intanto lo aspettava nel suo salottino di confidenza. Il fuoco ardeva nel caminetto, le tende erano discretamente abbassate.

Una veste da camera di raso celeste stretta leggiadramente intorno alla vita, faceva spiccare tutte le grazie della sua bella persona. Era seduta sur un canapè ricoperto di velluto, e andava sfogliando l’ultimo romanzo in voga. Al suo fianco sedeva il giovane veneziano, pallido come un giglio, e gli occhi neri lucenti e innamorati, sempre fissi [p. 198 modifica]negli occhi di lei. Come l’amava! non osava più neanche dirglielo. Si contentava di vederla, poichè questo almeno gli era concesso a tutte le ore, ed era quasi felice di morire per lei. Un po’ sperava Sempre, s’intende. Bastava che gli sorridesse con un po’ d’espansione, o che gli abbandonasse la sua bella mano, la speranza rinasceva subito in fondo al suo cuore. Quella mattina era appunto di una bontà affatto nuova per lui. Lo guardava con certi occhi, che lui si sentiva tutto mutato e pieno di ardire.


In questo tempo arrivò Cesare.

Fu pregato d’aspettare in anticamera. Ma una semplice portiera di stoffa divideva quell’anticamera dal salottino.

Appena seduto, incapace ancora di raffrenare i battiti impazienti del suo cuore, egli fu scosso da uno strano bisbiglio. Era un concerto armonioso di parole dolci e sommesse, di caldi sospiri e di baci: una musica celestiale, che agli orecchi di Cesare faceva l’effetto di una musica assurda, di una musica stonata.

A un tratto gli parve che la cosa prendesse proporzioni veramente allarmanti. [p. 199 modifica]

Sentiva un respiro affannoso interrotto da esclamazioni di suprema felicità, un rantolo, che gli faceva drizzare i capelli in capo.

Non ci resse più, balzò in piedi; era pallido come una larva: grosse goccie di sudore bagnavano la sua fronte, tremava.

Gli era parso di riconoscere la voce di Emilia mischiarsi dolcemente a quell’altra voce.

Pazzo di furore o d’angoscia, afferrò la portiera, la tirò, la scostò, sporse il capo.... E un urlo selvaggio, un urlo simile a quello che aveva turbato il silenzio del bosco la sera del suo colloquio con la povera Teresa, turbò l’ebbrezza divina del giovine veneziano. Quanto all’Emilia, quel grido era aspettato da lei, e più caro al suo cuore di qualunque gioia.

Ma Cesare capì subito che quella era una scena preparata: una vendetta secondo la legge del taglione che l’Emilia aveva sempre venerata in fondo al suo cuore. Fece sopra di sè uno sforzo supremo: lasciò ricadere la tenda e s’allontanò a passi lenti, senza proferir parola.

E anche l’altro capì. Del resto l’Emilia non si curò d’illuderlo: appena ottenuto lo scopo, lo respinse con nausea e gli voltò le spalle. [p. 200 modifica]

Il giorno dopo i giornali milanesi registravano un suicidio di più: quello di un povero tisico, un veneziano, che aveva voluto sfuggire ai lunghi strazi di un malattia implacabile....

Almeno così dicevano i giornali.... che sanno tutto.

Poche righe più in basso era notata la partenza del conte Cesare di un ricco istriano e illustre garibaldino.

Cesare tornò alle sue terre e non si mosse più.

Ora le sue cinque sorelle sono tutte maritate.

Egli divide il suo tempo tra le cure per la sua vecchia madre e la sua giovane figlia, Angelina: il suo unico svago è la caccia.

L’Angelina è bella e grande, e porta il casato del padre, essendo stata riconosciuta e legittimata.

Il conte nonno è morto l’anno passato; aveva novantanni. Malgrado le sue calunnie, Cesare ha saputo che la Teresina era innocente, e ch’era morta per lui. Gianni gli contò ogni cosa.

Il corpo della povera filatrice, portato a terra da alcuni pescatori, riposa nelle tombe dei Conti ***, nei sotterranei della cappella. Cesare l’ha voluto e il conte nonno non ebbe coraggio di opporvisi. Ma in seguito egli parlò parecchie volte al nipote di quel [p. 201 modifica]sacro dovere che gl’incombeva, di perpetuare cioè il nome della famiglia, con un figlio maschio, messo al mondo sotto la tutela delle leggi.

Cesare ha avuto sempre la sfacciataggine di non darsene per inteso. Odia il matrimonio e non può soffrire le donne.

Per ora dei beni stabili è sempre padrone lui; il casato è portato con decoro: ma s’egli non ci provvede in tempo in che mani andranno, mio Dio? Divisi: dispersi! Disperse le fatiche di una vita quasi secolare, per un capriccio, per un’ubbia. Oh, i giovani!

Questi pensieri amareggiarono singolarmente gli ultimi anni del conte nonno.

— Bada, gli diceva ancora prima di morire; bada se proprio non vuoi prender moglie, ottieni almeno dall’uomo che sposerà tua figlia, ch’egli rinunci al suo casato per assumere il nostro... e non dare un lembo di terra alle tue sorelle.... non dividere, per carità non dividere.


Fine