Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871)/Rassegna bibliografica/Dio nella Storia
Questo testo è completo. |
di C. C. J. Bunsen
◄ | Rassegna bibliografica - I Notamenti di Matteo Spinelli da Giovenazzo | Rassegna bibliografica - Di Paolo Guinigi | ► |
DIO NELLA STORIA, di C. C. G. di Bunsen1.
I.
«Una filosofia della storia dal punto di vista religioso, è quanto l’A. si è proposto nel presente lavoro. Ora, ogni filosofia della storia consistendo della ricerca della legge progressiva nello storico movimento; questo movimento agli occhi del credente non ha luogo se non a fine che lo spirito umano riveli l’eterno pensiero della Divinità; e, in modo consciente, si adoperi a recarlo ad effetto nel tempo... E sebbene all’uomo sfuggano, e il punto onde si parte e il fine cui intende questo movimento, pure egli possiede il sentimento vago che tutto vi proceda con ordine; sentimento onde ha poi origine la coscienza della Divinità: imperocchè questa Divinità sia supposta nel modo più assoluto, dalla medesima legge progressiva». Nelle quali parole che si leggono sin dalla prima pagina della prefazione, il Bunsen fa sentire la vastità del programma accennato nel titolo stesso del libro: Dio nella Storia. E davvero che è un programma vasto, quasi quanto suoni la parola Dio; che per le leggende, i miti, i profeti, le sibille, e i dogmi e le formole e i sistemi speculativi, l’A. dovrà giungere a darsi conto delle varie credenze religiose.
L’idea di Dio corrispondendo alla serie delle conoscenze sensibili e razionali, l’A. vi si trova a dover distinguere i modi diversi di sentire e d’intendere pi-esso le varie genti, e a passare in rassegna le loro concezioni rispetto alla Divinità; a ricercare quindi il credo delle loro chiese, e il simbolo del loro culto; e quindi ancora determinare con precisione il sentimento onde ognuna di esse dava anima e vita alle proprie credenze. Il sentimento religioso come è il principio d’ogni teorica razionale, così ne è anche il fine; e quanto più l’uomo estende colla riflessione il dominio della propria coscienza2, di altrettanto egli s’inalza religiosamente. Il Bunsen, vero credente, nell’opera I segni del tempo, dalla quale fu preceduta quest’ultima sua, mostrava timore che lo scetticismo dell’Europa meridionale, «così bene espresso negli immortali canti dell’illustre Leopardi»,3 potesse anche irrompere nella sua patria; e nel proposito di riparare a cosiffatto male, sin d’allora risolveva scrivere il Dio nella Storia. I tempi attuali parendogli somiglianti assai a quelli dello sfasciamento del mondo romano4, veniagli fatto di esclamare: «È alto o basso il mare? si progredisce o s’indietreggia? si sale o si discende? ecco la questione che sorge in tutti i tempi d’agitazione, di grandi eventi, di grandi memorie e di grande aspettazione»5. E senza punto smarrirsene soverchiamente, fiducioso che l’umanità sarebbesi ritemperata per la libertà di coscienza, per l’associazione (Ecclesia), e per la personalità rinvigorita, davasi a ricercare le manifestazioni di Dio nella Storia; ch’essa storia, «contemplata sul suo punto centrale, non solo è madre dell’avvenire, ma ne è anche la profetessa, la vera Philia»6.
Il quale punto centrale trovasi nella idea e nel sentimento onde i popoli venerarono Iddio; e nella investigazione di quel sentimento e di quella idea sta per l’appunto il principale ufficio della storica filosofia7. Se, come fu detto da Portalis8, la storia non è se non quasi una fisica esperimentale dell’istituzioni sociali: la filosofia della storia dove raccogliere di quelle istituzioni tutti i risultamene utili; e giudicare invece che raccontarli; e tenendo dietro al confronto dello istituzioni, delle costumanze e delle tradizioni de’ vari popoli, valutarle in ragione del loro portato logico e razionalo: il quale appunto, perchè razionale, non può non essere filosoficamente storico. La filosofia della storia, non altrimenti che la metafisica per l’uomo individuo, è un bisogno per le società. E se ne vedono quindi saggi sin dalle età remotissime: quali la scuola pitagorica nell’Italia meridionale e in Egitto e in vari punti dell’Asia9; le profezie di Daniele10; la Repubblica di Platone; la Città di Dio di Sant’Agostino11; la Città del Sole di Campanella12; l’Utopia di Tommaso Moro: o il Novum Organum di Bacone; e anche prima di questi ultimi, i discorsi sullo Doche del Segretario fiorentino. In quelle scritturo, è vero, non vi sono che indizi o aspirazioni alla filosofia storica. E se questo e pure qualche cosa, il merito di avere indirizzati quegli studi con procedimento dialettico, si spetta al Bossuet. Nella Storia delle variazioni delle Chiese protestanti, e più specialmente ancora nel Discorso sulla Storia Universale, egli intende nulla meno che a insegnare «il genere umano e le mutazioni memorabili che nella successione de’ secoli vennero prodotte nel mondo»13. E dividendo la storia in grandi epoche, per Adamo e Noè e la vocazione di Abramo giunge alla promulgazione della legge scritta di Mosè; e per la presa di Troia alla fondazione di Roma e alla distruzione di Cartagine: o indi per Costantino che porta la sede dell’imperio in Oriente, al trionfo del cristianesimo che s’incorona con Carlo Magno. Nello svolgersi di tanti e così grandi avvenimenti, il Bossuet vedo una successione continua e progressiva sulle vie tracciate da Dio all’umanità: o poro scrive: «Il n’est point arrivò de grand changement (nella storia), qui n’ait eu ses causes dans les siècles precedens.... Et comme dans toutes les affaires il y a ce qui les prepare, ce qui determine à les entreprendre, et ce qui les fait reussir, la vrai science de l’histoire est de remarquer dans chaque temps ces secretes dispositions qui ont preparé les grands changemens, et les conjonctures importantes qui les ont fait arriver»14. Ammesso il quale principio di filosofia storica, non si sa capire come ne venga poi a giudicare che il popolo avrebbe veduto con orrore gli ulteriori svolgimenti della legge mosaica: a meno che non intenda che ognuno di essi aveva ad essere esaminato e giudicato primamente dal Consiglio de’ Seniori15. Il Bossuet, in quel discorso, riesce veramente grande, quando prende a tener dietro alle lotte dell’Arianesimo, sparsosi co’ Visogoti in Ispagna, in Francia e in Italia; e quando giudica l’istituzione del monacato di San Basilio in Oriente, e quella di San Benedetto in Occidente16; e di mezzo a così vasto movimento di cose e d’uomini, quando mostra lo stabilimento dell’unità cattolica in Roma. Allora procede davvero con dialettica sulle tracce della filosofia. E non può quindi certamente piacere di udirlo a insegnare al suo alunno, quasi conclusione di tutto quel magnifico libro: «À tout prendre, il en arrive à peu prés comme dans le jeu, ou le plus habile l’emporte à la longue»17: massima che rammenta un po’ troppo le teoriche della scuola di Hobbes18.
Ma gli è a Vico, che spettasi la gloria di aver dato metodo e forma scientifica alla filosofia della storia.
Qui lo scrittore non è più in corte, precettore di principe; ma vivendo nella solitudine e in mezzo a’ suoi libri, sente di ritrovarsi davanti l’umanità e davanti a Dio: davanti a Dio, onde scruta riverente gli attributi e gli influssi della sua provvidenza sugli uomini; e davanti all’umanità, della quale indaga le origini, la ragione delle istituzioni, e lo scopo finale cui è intesa. Il libro che intitola la Scienza Nuova, egli lo rifece due volte; ma il pensiero onde s’informa, si ritrova in tutte le opere di lui, libri come opuscoli: che la scoperta della «storia ideale eterna», com’egli la dice, gli affaticava la mente come a Colombo quella di America. E se a volte pare, procedendo con esso, che uno si possa smarrire nel fitto buio, nota il Manzoni che ogni tanto quel buio si vede illuminato di splendidissima luce. E vedesi Vico, nelle scienze, nelle lettere, nella filosofia della storia, sentire e ricercar Dio da per tutto: nell’uomo individuo, che ne ha rischiarata la mente e la ragione19; negli svolgimenti sociali, che ne sono retti e indirizzati uscendo dalle selve sino alle accademie20; e da Vico, e in Vico, si può quindi ripetere la prima idea filosofica dell’opera onde discorriamo. Vico sentiva Dio da per tutto: e accettando dagli Egizi le età degli Dei degli eroi e degli uomini, vi sapeva ritrovare il simbolo e il mito di quella condizione di cose. E nella Metafisica poetica, notava «l’origine della poesia, dell’idolatria, della divinazione e de’ sacrificii»; nella Poetica logica, «i corollari intorno alle origini delle lingue e delle lettere; e quivi dentro le origini de’ geroglifici, delle leggi, de’ nomi, dell’insegne gentilizie, delle medaglie, delle monete»; e nella Poetica morale, «le origini delle vulgari virtù, insegnate dalla religione co’ matrimonii»; e spiegava indi per l’economia poetica l’origine delle famiglie; e quella delle repubbliche aristocratiche per la politica poetica; e così risaliva sino a determinare una fisica, una cosmografia, una astronomia, una cronologia, e una geografia poetica. Egli tutto riannodava al suo alto e vasto concepimento; e non altrimenti che al centro sono attratti i corpi per legge di attrazione, così vedeva svolgersi le istituzioni sociali secondo la legge di provvidenza onde son rette. E chiamando ricorso l’orbita così percorsa da ogni popolo nella propria storia, vedeva, su quel ricorso, segnati i vari momenti dello incremento e dello scadimento di ciascuno di essi popoli. E quando si tosse l’atta «solitudine di animi e di voleri», in mezzo a quella «folla di corpi», sempre per quella legge fatale «le nazioni vogliono disperdere sé medesime, e vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, donde qual fenice nuovamente risorgono»21. E quasi volesse persuadere a sé stesso quella legge di fatalità provvidenziale, aggiungeva: «Questo che fece tutto ciò, fu pur Mente, perchè il fecero gli uomini con intelligenza; non fu Fato, perchè il fecero con elezione; non Caso, perchè con perpetuità sempre facendo escono nelle medesime cose»22; e ne riusciva, come dice Michelet, a quella teologia sociale, che presenta la dimostrazione storica dei decreti pe’ quali la, Provvidenza governa la città del genere umano, inconscii e soventi volte anche nolenti gli uomini23. Non venne accettato da tutti quel ricorso storico di Vico: che altri gli volle sostituita la figura a spirale, e Balbo invece quella della parabola24; ma senza dare eccessiva importanza a simili disputazioni, pare che s’abbia ad accettare quale principio di filosofia storica, che ogni età assommi in sé le precedenti. E si può forse ammettere con Saint-Simon, che negli annali umani le epoche organiche si avvicendino con le critiche. E per assegnare la parte che può esser dovuta a ciascun popolo, e a ciascuna istituzione nella somma della civiltà comune, gioverà forse accettare la teorica dei Nessi proposta dallo Janelli: 1.° Nesso di origine, del legame cioè che hanno le cose umane con le loro cagioni; 2.° Nesso di coesistenza, del legame cioè di quella simultaneità onde si costituisce la vita comune sociale; 3.° Nesso di successione, per cui le umane cose si subordinano reciprocamente fra loro nel tempo; 4.° Nesso di comunicazione, onde le idee e le istituzioni si diffondono e propagano fra le genti25. E se parve al Balbo, che potesse in qualche modo ritrovarsi un principio storico, nel detto comune: Post hoc, ergo propter hoc26; gioverà bensì sempre soggiungere, come si abbiano sufficientemente a determinare nell’hoc cagione, le ragioni degli effetti che ne sono conseguitati.
Che se da Vico, e in Vico, si può ripetere la idea filosofica dell’opera del Bunsen; per ciò che si riferisca al soggetto medesimo del libro, si ha a notare che in Germania già erano pubblicate la Simbolica di Moehler, e la Storia dei Dogmi di Klee27; de’ quali il primo riesce forse inferiore al secondo. Limitatosi il Moehler alle controversie delle varie comunioni cristiane dopo la riforma, viene a ritrovarvisi troppo circoscritto nel tempo e nelle materie da discutere: che esponendovisi le teoriche e le conclusioni pratiche degli Anabattisti, dei Quacheri, dei Fratelli Moravi, dei Metodisti; come pure di Schwedenborg, e dei Sociniani e degli Arminiani; per il seguito di tale esposizione storica uno si ritrova troppo di continuo fra gli uomini, e come intronato dalle loro ricriminazioni. All’idea di Dio e alla sua influenza nella società, come la intende il Bunsen, si accosta forse meglio il Klee: il quale, per il soggetto onde discorre, si trova a svolgere il medesimo punto di vista religioso della filosofia storica. Il Bunsen, col Klee, non di rado s’incontrano perciò a discorrere delle medesime questioni; e non di rado, finchè rinfangasi nella sfera delle speculazioni, procedono argomentando nello stesso modo, e no riescono alle medesime conclusioni. Ma venuti poi alle applicazioni dei principii, l’uno essendo quasi hegeliano, l’altro invece cattolico, di necessità si trovano divisi e in contradizione. Cosi si trovan d’accordo, scrivendo il Klee: «La cognizione Divina non consiste nella continuità de’ pensieri o nella discorsività delle idee, ma è una pura intuizione senza successione alcuna»28; e discorrendo dei due principii soggettivi rispetto alla credenza religiosa, quel del pensiero e quello dell’azione29; e prendendo a determinare i caratteri speculativi delle due Chiese, d’Oriente e d’Occidente; e della parte avuta in esse controversie da Origene e da Sant’Agostino30. Si troveranno all’opposto divisi non ammettendo il Bunsen, invece che la espiazione, se non il sacrificio spontaneo nel Cristo; e accettando una stessa rivelazione per tutte le religioni: completa e perfetta per la cristiana, monca e parziale per le altre; e rifiutando il soprannaturale nella storia31. Un Italiano, se non in Italia, quindici anni prima del Bunsen, nel Buono, aveva preso a svolgere il punto morale, anzi che il religioso, della filosofia storica. E scrivendo che la morale ha «per oggetto il maggior bene degli uomini, cioè la virtù, e sia la più importante delle scienze umane e costituisca la somma della sapienza»32; nota come siasene parlato abbastanza dal punto speculativo; mentre invece «le attinenze del Buono colla storia, che hanno pure dell’attrattivo assai, e sono di gran rilievo, vennero trascurate dai moralisti»33. Le quali attinenze del Buono colla storia volendo mettere nel debito rilievo, il filosofo italiano insegnava come si abbia a procedere armonicamente colla intuizione e colla riflessione; e giungere per tal guisa a darsi conto adeguato dei fatti sociali, i quali sono la estrinsecazione delle idee. Il Buono, a suo parere, è quanto di meglio rivela l’origine divina dell’uomo34. E il mondo delle nazioni essendo coordinato all’adempimento di un disegno provvidenziale, «il perfezionamento degli ordini terrestri, scrive Gioberti, mediante l’effettuazione successiva del tipo cosmico, scorre per le varie parti dell’Utile, del Bello, del Buono e del Santo, e comprende tutte le cose che dall’arbitrio umano in qualche parte dipendono»35. E ne giunge indi a questa conclusione, che non è se non un principio di storica filosofia: «Fra tutte le idee, la sola che abbia ragion di fine, è il bene; la sola che valga a costituire il fine ultimo, è il Buono. L’Utile, il Bello, lo stesso Vero, non possono per sé stessi servir di mira agli umani affetti, che tendono al bene per un insuperabile istinto.... Il bene adunque non può essere l’ultimo fine delle operazioni, se non è il Buono»36. - Anche il Mamiani, nelle Confessioni di un Metafisico, si trova a discorrere dell’argomento medesimo. E quasi avesse in mente un ricordo dell’opera di Bunsen, egli scrive: «Dio eterno ed inaccessibile dee venire studiato assai più nelle opere sue che nella chiusa e tremenda sua maestà. Però noi ci stenderemo volentieri nella scienza degli enti creati, cercandovi da per tutto le orme di Dio»37; le quali da per tutto appariscono. E Dio, l’assoluto, egli lo cerca negli studi dell’universale come del particolare; della natura esteriore come dell’uomo interiore, dell’individuo come delle comunanze, e di tutta quanta la società degli uomini: la quale «vede... fondarsi nell’autorità; e l’autorità, mutato nome ed aspetto, essere Dio legislatore universo e padre del giure, come lo chiamarono appunto i Latini con l’appellazione di Juspater»38. La quale fede in Dio padre del giure, anima e avviva la esposizione delle Confessioni39; e uno sente come si abbia poi col tempo a verificare la legge di Vico; e come nel mondo delle nazioni ogni cosa abbia a ridursi nel suo vero essere40; e come «il progredire di tutta la stirpe aiuti ed accerti quello dei singoli popoli, quanto il progredire di ciascuno di essi aiuta ed accerta il moto perfettivo dei singoli cittadini»41. E che quindi «il me si confonda sempre col noi, e l’egoismo privativo più non sussista»42. E quindi ancora che «nella storia civile splenda lucentissima l’orma di Dio»43; onde sarà per muovere e pigliar norma l’associazione di tutte le forze vive sociali44; e se ne avrà quindi a scemare sempre più l’importanza della individualità, anche delle maggiori, sulla scena del mondo45.
II.
Entrato, bensì, a discorrere del punto religioso della storia dei vari popoli, il Bunsen viene subito a comporsi nella gran falange della moderna scuola tedesca. Accettando, come si esprime l’Hegel, che negli annali dell’umanità l’anima del mondo siasi venuta svolgendo sotto quattro aspetti: il sostanziale identico e immobile, in Oriente; - l’individuale variato e attivo, in Grecia; - un terzo aspetto composto dei due primi, in Roma; e poi, ultimo, il quarto aspetto in Germania, ove per la prima volta vedesi funzionare concorde ed armonica la vita sociale in tutti i suoi elementi; il Bunsen intende meglio determinare quel gran movimento storico, assegnando la rappresentazione dell’idea egemoniaca, nel mondo antico, al popolo ebreo; al popolo greco nell’epoca successiva; e al popolo tedesco poi nell’epoca cristiana; e ponendo accanto a que’ tre popoli egemoniaci, quasi stromenti e cooperatori, con gli Ebrei i popoli Arii, Batrii, Medi e Persiani; con i Greci il popolo romano; e i popoli neo-latini e gl’Inglesi con i Tedeschi46. E intende per tal guisa a mostrare, come tutte le forze vive della società concorrano nella successione de’ tempi a propagare ed ampliaee la consciente vita comune sulla terra; la quale si avvalora e si cementa per la credenza in Dio rivelato nella storia e per la storia47: e si dimostra storicamente per l’Iliade e per la tragedia greca e per i libri d’Erodoto; e filosoficamente poi per le opere di Leibniz48. Le teoriche razionalistiche e panteistiche a lui non vanno. E la filosofia tedesca, a suo giudizio, da Leibniz sino a Hegel, non le ebbe a sufficienza dimostrate vane e sofistiche; e ne trova la ragione nell’essersi quella filosofia tenuta troppo esclusivamente alla metafisica. Ciò che importa, più della metafisica, a suo giudizio, si è di convincere e persuadere la coscenza della presente generazione: che la volontà e il pensiero creatore sono eterni in Dio; - che l’uomo è scopo della creazione; - e che tutta quanta la storia del mondo testifica quel pensiero divino, come del pari lo testificano la Bibbia, Platone, Aristotele; e, coerente a sè stesso, pone nel novero di quelle testimonianze anche la moderna filosofia tedesca49. Procede indi nel suo libro, stabilendo quali verità dogmatiche: 1.° avere il Cristo personificata in se l’idea dell’umanità; 2.° la Libertà individuale risponsabile davanti a Dio, essere radice del sentimento religioso; 3.° le Comunità, cioè la divisione dell’umanità in chiese e popoli diversi, essere intese a recare ad effetto sulla terra il pensiero divino; e 4.° finalmente, la Bibbia essere un divino riassunto della coscenza individuale e sociale, e per ciò appunto uno specchio della umanità50. Le quali verità egli intende dimostrare colla filologia, onde si stabiliscono i caratteri de’ vari fenomeni; colla storia, die ne determina le loro relazioni; e in ultimo colla filosofia, la quale distingue in essi quello che vi abbia di essenziale o d’insignificante, di necessario o di accidentale; e quindi quello che vi si ritrovi di veramente progressivo.
E avendo posto l’Ebreo primo fra que’ popoli egemoniaci, il Bunsen da esso incomincia lo studio della coscenza di Dio fra yli uomini. Le primitive credenze religiose oscuratesi nelle altre genti, negli inizii medesimi de’ tempi storici egli le trova custodite dagli Ebrei: come la creazione, della quale l’uomo non è che l’ultima fase; l’unità del genere umano; la primitiva vita felice; il diluvio e la salvezza, che sono due lati della medesima idea. Ma oltre a queste credenze che corrispondono alla legge generale del mondo morale, gli Ebrei avevano pure un’altra credenza propria, a sè, esclusiva: quella della missione assegnata loro dalla Provvidenza, per l’avveramento del regno di Dio sulla terra. Elevata sino alla indiscutibilità di un articolo di fede, il Bunsen ne nota informate tutte le manifestazioni della loro vita domestica politica e sociale. E sin da quando il patriarca Abramo, primo morale rappresentante del popolo ebreo, emigrava dal proprio paese e passava l’Eufrate in cerca d’una terra, ove Iddio aveva a dar principio al suo popolo eletto; sin d’allora Abramo si sentiva forte della fede, che Dio parla all’uomo per lo spirito e la coscenza. E rotta la servitù e le maledizioni attaccate al culto di Moloch, al sacrificio sanguinario dei primogeniti sostituiva nel nuovo popolo la circoncisione: simbolo per il quale giungevasi a una transazione tra i diritti della creatura e quei del Creatore; e si consacravano così i figliuoli a Dio, obbligandosene i parenti a educarli nella osservanza della legge. - Altro morale rappresentante del popolo ebreo è Mosè; uomo politico, più che profeta; il quale si viene a ritrovare in circostanze da poter continuare su larga scala l’opera d’Abramo. Attraversato il deserto, ove, nel corso di quarantanni, ebbe a seppellire tutti quelli - meno due - della generazione che aveva servito in Egitto; bandiva dal Sinai la sua legge basata sul principio della continua relazione tra Dio e l’uomo. Per essa legge, la coscenza di Dio, o la legge morale, veniva ad essere sostituita alla fatalità, onde sin allora reggevasi l’individuo; come pure quella coscenza di Dio pigliava nella nazione il posto del potere politico e del culto religioso; e si rinnovavano così nel popolo Ebreo i patti della primitiva alleanza tra Dio e l’umanità. E guida degli Ebrei senza volerne essere il padrone, sul modello del governo patriarcale Mosè istituiva una repubblica informata dal principio della sovranità di Dio: e vieppiù così confermava in quel popolo la credenza che Dio lo avesse destinato a portare sulla terra il regno della giustizia e della verità; e ne’ suoi libri si vede pur sempre applicata agli Ebrei la legge morale di tutta l’umanità. - E incominciando poi a sfasciarsi l’opera di Mosè; e per lo sbaragliamento della nazione rischiandosi che il sensualismo e l’idolatria potessero prevalere, allora Dio suscitava Elia, la terza di quelle potenti individualità morali rappresentanti del popolo. Vedendo egli il pericolo, e in seguito dello scisma abbisognandosi sempre più rinvigorire il principio della unità nazionale, davasi a predicare al popolo; nè esitava ad attaccare gli ottocentocinquanta sacerdoti di Baal, fautori dello scisma; come pure affrontava le persecuzioni di Achab; ma accorgendosi che ne sarebbe stato sopraffatto, ad esempio di Mosè giudicava di aversi a ritirare sul Sinai. Il Signore allora gli appariva, rassicurandolo che la giustizia avrebbe trionfato, e il popolo non sarebbe perito; delle quali rivelazioni mettendo a parte e confortandosene i suoi discepoli, si trovano di lui i più grandi esaltamenti nel libro de’Macabei.- E quarta ed ultima di quelle grandi individualità, si ci mostra poi Geremia. Diventando ognor maggiore lo scadimento di tutte le forze vive della nazione, egli si pone da vero patriota a capo del popolo; e le sue profezie mostrano come in lui primeggiasse pur sempre l’uomo politico. Ardentissimo patriota, non per questo si lascia trascorrere ad illusioni. E vedendo il male sino nella sua radice, non credeva che si potesse guarire con semplici paliativi. E cosi, nel 626 avanti G. C, quando Giosia davasi a far prova d’instaurare il culto religioso, e niente altrochè il culto religioso, egli se ne teneva in disparte silenzioso. Più che il culto, a suo giudizio, bisognava instaurare e rinvigorire il medesimo principio morale. E solo quando Giosia fu morto, e che il popolo parevane abbastanza commosso, allora levava la voce contro Gioacchino; al quale prediceva che sarebbe vinto nella giornata di Circesio: come avvenne, grandemente aumentandosene la sua autorità di profeta. E del pari che alla usurpazione di Gioacchino, continuava allora oppugnando e opponendosi a quelle di Zedechia. E per ventidue anni cimentavasi a tali contrasti, operando e scrivendo: e ne’ suoi libri sempre denunciava le sventure del suo popolo quali spettanti a tutta l’umanità. E giunto poi il giorno in cui il nemico stava per impadronirsi di Gerusalemme, egli per l’appunto allora vi comprava un terreno: prevenendo così il Romano, il quale faceva acquisto dei campi sui quali spiegava le tende Annibale. E poi ancora la città essendo venuta a cadere, il profeta patriota si univa ai pochi i quali intendevano di continuar la guerra; e con essi si ritraeva in Egitto, sperando di poterne tornare con sufficienti forze per attaccare i Babilonesi. E dopo aver perdurato quarantadue anni egli osteggiando per tutte le guise lo straniero oppressore della sua patria, veniva a morire senza mai mancare ai suoi propositi. E anche negli ultimi giorni, guardava all’avvenire con la serena fiducia della gioventù; e forte della coscenza che Dio non sarebbe per abbandonare il suo popolo, come il più gran cittadino e scrittore del suo tempo, mostravasi pure il profeta che maggiormejate comprendesse la coscenza di Dio onde il suo popolo era animato.
Ma quale l’ufficio, e chi profeta presso il popolo ebreo? La parola profeta significa «ispirato,» come il vate de’ Latini; e appropriavasi all’uomo dotato di visioni, il quale per lo spirito entrava in relazione più diretta con la divinità; e ne riceveva una percezione maggiormente penetrante delle verità morali, e i medesimi principii razionali intuiva distinti fuori delle categorie logiche. Prima dello stabilimento della monarchia, v’erano educandati di profeti; i quali, maestri e discepoli, percorrevano insieme il paese nel disegno di esercitarvi una azione diretta; e così, alla buona, improvvisando, predicevano l’avvenire, e predicavano la morale: una morale che si potrebbe dir politico-religiosa; la quale s’illuminava dalla storia provvidenziale del popolo, ed era intesa a conservare gli animi nella fede dell’ordine divino. Soltanto verso il x secolo av. Cristo, nel regno di Giuda, una scuola di profeti con Joele prendeva a rivestire le sue sentenze di forma letteraria: mentre invece, nel regno d’Israele, un’altra scuola di profeti con Elia si conservavano oratori e attori politico -religiosi nell’antico senso; successione che si continua sino a Geremia alla caduta di Gerusalemme. In quelle profezie, il fatto più importante forse delle profezie medesime, si è la coscenza di Dio che vivissima vi ha conservato il popolo: e la realtà, per i profeti, non essendo se non quasi uno specchio nel quale riflettevasi la vita dello spirito; vi sapevano guardare i destini particolari del popolo; e ne veniva occasione che manifestassero la loro fede nei destini dell’umanità, e nella onnipotenza di Dio: e come Sion era la capitale del popolo eletto, in essa pure così trovavano il prototipo del regno di Dio che s’aveva a verificare sulla terra. Non è vero il compimento delle profezie perchè i profeti lo avessero predetto; ma sì la predizione è vera, perchè il compimento l’ha confermata; e quel compimento si è verificato in forza dello svolgimento progressivo dell’umanità; che piglia regola e s’informa dall’eterno pensiero di Dio: «e credere a questo pensiero di Dio, scrive Bunsen, è ciò che dicesi religione»nota; come per religione si giunge a credere «che sarà recato ad effetto il disegno divino sulla terra, per il quale la luce e la verità trionferanno della violenza e della menzogna»nota: nella quale credenza sta appunto il pensiero di tutte le profezie del popolo ebreo. Quel pensiero, pertanto, si vede contenere in sé cinque grandi idee: la prima, che la religione dello spirito sarà quella dell’avvenire e diverrà patrimonio comune dell’umanità; seconda, che la religione dello spirito verrà recata ad effetto, appena che da un giudizio di Dio sieno distrutte le forme esteriori che le sono state sostituite; terza, che verrà la salute di Giuda da un re della stirpe di David, il quale stabilirà la salute e la pace nell’umanità; e quarta, che la verità e la giustizia regneranno sulla terra; e quinta finalmente, 51 52 che Iddio medesimo verrà da sé a giudicare il mondo; e che quindi per mezzo di una umana potenza stabilirà il regno di Dio. Nel quale pensiero sta la grande epopea nazionale ebraica; mentre sta invece ne’ salmi la lirica, la quale dall’intimo cuore si leva sino a Dio, all’universo, al popolo e all’umanità.
Che se la credenza in quella missione, di avere, cioè, a recar sulla terra il regno di Dio, informava la vita del popolo ebreo; essa credenza riusciva pure a dargli una idea esagerata di sé, e a falsarne l’indirizzo. Ritenendosene come il solo popolo eletto di Dio, esso veniva in qualche modo ad isolarsi di mezzo all’umanità; e a non riconoscersi quindi sottoposto e regolato per le medesime leggi dello svolgimento comune. Il privilegio di una iniziativa egemoniaca, quel popolo lo scambiava non altrimenti che uno stato eccezionale permanente; e se l’io per esso significava l’anima medesima53, riteneva che a lui solo spettasse di guardare la ragione quasi non altro che la coscenza54, e la legge divina immedesimatasi colla morale55. Quel popolo aveva una grand’idea di sè, e d’ogni singolo suo cittadino. E s’intende quindi, come non riconoscesse se non le opere proprie quali titoli al governo della cosa pubblica; e così gli riuscisse duro piegarsi alla dominazione altrui - presidente di repubblica, o re; - e il suo ideale consistesse nel giungere per la famiglia e il patriarcato alla tribù, e quindi alla confederazione di tribù; nella quale ogni tribù aveva a conservare la medesima coscenza di Dio; e riconoscersi sottomessa, non altrimenti che la famiglia, alla medesima legge morale; e l’Jehovah ritenere quale unico legislatore e signore. Il Bunsen, dopo i tempi di Esdra, nota come avesse avuto luogo una grave alterazione in quel popolo, per la coscenza che professava di Dio; e come in seguito delle sventure grandi che gli erano toccate, più non si confidasse nella Provvidenza; e alla primitiva fiducia in Dio, fosse venuto sostituendosi il sentimento pauroso di un deismo secco e sterile; nè più sapessero guardare alla creazione quasi interiormente animata dallo spirito divino56.
E dagli Ebrei, senza tener dietro allo studio della coscienza di Dio presso altri popoli della medesima razza semitira, il Bunsen si riconduce direttamente agli Egizii. Separati per il deserto dall’Asia e dall’Affrica, invece che svolgersi da sè e in sè come portava la loro situazione geografica, ci si mostrano da principio dati a un culto siderale frammisto di elementi di naturalismo, imitato da altri popoli dell’interno dell’Asia; e durante quel periodo d’anni, il Bunsen non trova in essi se non una velata coscenza di Dio57; la quale viene poi rischiarandosi, quando v’incomincia a prevalere il culto di Osiride, e con esso la credenza nella metempsicosi. Quel culto, anzi che informarsi da vane astrazioni speculative, partivasi da principii di alta moralità: che Osiride era il padre di tutti gli uomini, giudice del diritto, premiatore del bene come punitore del male: e, qual Dio solare presiedendo alla fecondità della terra, dava norma ai lavori degli uomini; e significava la credenza nella metempsicosi, che il problema della esistenza degli uomini non si risolve tutto quaggiù; e che le anime s’hanno a purificare delle colpe colla espiazione, e diventar così degne di ricongiungersi a Dio58. C’era, in quel culto, il principio dell’unità dell’umana famiglia, e quella della indistruttibilità dello spirito; e se ne originava quindi una immediata relazione tra Dio e l’uomo. E quindi ancora se ne produceva un senso di profondo rispetto per le leggi e le tradizioni della patria; e la pubblica amministrazione era riguardata non altrimenti che un riflesso del governo divino: d’onde la costumanza che il popolo desse giudizio dei re dopo morte59. E a chi ben guardi, apparirà come quindi traesero origine i nomos, specie di famiglia o associazione sacra:
i cui componenti dimoravano insieme nello stesso luogo, e praticavano il culto divino nello stesso tempio, e avevano parimente comuni gli stessi tribunali. E per naturale successione d’idee, e svolgimento di cose, apparirà come dai nomos si avessero a derivar pure le caste: alla costituzione delle quali il Bunsen opina debba l’Egitto quelle libertà civili e politiche, onde si è trovato a godere per parecchi secoli60.
E indi, dal Nilo, riconducendosi verso oriente, Bunsen s’incontra ne’ popoli turranici. Allo stato di disgradante naturalismo, nell’universo non vedono che ignote forze e spiriti; e senza storia e tradizioni, meno forse alcune leggende61, la loro unica credenza consiste delle paure continue di quegli spiriti e di quelle forze, delle quali sono sacerdoti gli uomini maggiormente invasi dall’esaltamento di quelle paure62. Non avendo pertanto coscenza di Dio, o peggio che velata, il Bunsen non ne accenna se non per la loro posizione intermedia dall’Egitto all’estremo Oriente63. - Nel quale Oriente, egli trova un popolo di oltre trecento milioni d’uomini, su una superficie di millequattrocento miglia dall’est all’ovest, e altrettante dal nord al sud: da diecine di secoli in possesso di arti, che noi Europei riputiamo quasi una recente conquista dell’incivilimento; con la istruzione popolare diffusa, e da antichissimo anche coltivate le scienze: chè Confusio, contemporaneo di Erodoto, parla di osservazioni di eclissi lunari che coincidono con i più esatti calcoli astronomici moderni. Presso il qual popolo, o meglio complesso di popoli, le istituzioni civili e politiche che vi reggono da secoli, non vennero mai attaccate se non forse da qualche invasione di popoli stranieri. E se l’Hegel, dal punto di vista della coscenza della libertà64, aveva già scritto di quel popolo, studiandone li famiglia, l’amministrazione, la legislazione e la religione; ne scriveva pure il Balbo nelle Meditazioni; e nella VI discorreva della diffusione della stirpe umana in Asia a zone longitudinali: al sud, i Chamitici; superiormente nella medesima direzione, i Semitici; e più superiormente ancora, i Giapetici. E più specialmente ancora nell’XI; nella quale ragionando della immutabilità cinese, stabilisce questo principio critico di storia, che tiene forse un po’ del bisticcio: «Non sono le istituzioni che abbian generata l’immutabilità; è la non mutazione quella che produsse istituzioni immutabili, o per meglio dire difficilmente mutabili»65. Come pure osserva con ragione sull’ordinamento civile di quella società: «Dell’ordinamento civile della nazione cinese abbiamo già detto che ella fu, come l’altre contemporanee, composta di parecchie genti, una principale o regia, imperiante alle minori vicine; ma che, diversamente dall’altre, e per effetto della sua situazione estrema continentale, ella fu composta di genti tutte consanguinee . e tutte rimanenti eguali, senza soprapporsi anche quando l’una vincea l’altra. E quindi è che non solamente caste, ma nemmeno servi non si trovano alla Cina, né nell’età primitiva, né, ch’io sappia, in nessuna antica. Dove furono, i servi furono infima casta nell’età delle caste, e sola casta sopravvivuta nelle età posteriori: onde che, dove non furono caste, non dovettero essere nemmeno servi»66. Mentre l’Hegel avea già detto, che gli ordinamenti sociali di un popolo e la sua costituzione non formano «che una sola sostanza e uno spirito colla sua religione, colla sua arte, e colla sua filosofia, o almeno colle sue opinioni, pensieri, e coltura in generale; per non rammentare qui gli elementi esterni, il clima, i vicini, e la sua posizione nel mondo»67. Così, in Cina, si trova il padre responsabile e solidale con tutta la famiglia di ciò che faccia un figliuolo; e che lo può vendere insieme alla moglie; mentre alla morte del padre tutta la famiglia deve osservare un lutto di tre anni, senza vino, senza carni, e senza attendere a’ negozi68. E così vi si trova il governo; non arbitrario, che dovea obbedire, se non a leggi, a regole fisse, tradizionali, gelosamente custodite dai Censori ma personale; e fanno capo all’imperatore, detto figlio del cielo, gli affari di tutte le amministrazioni; ed egli tiene la suprema giurisdizione nel civile e nel criminale; e gli spetta per sua lista civile la nona parte dei prodotti di tutto l’impero. E vi si trovano gli uffizi pubblici conferiti ai mandarini dopo tre esami pubblici, coli’ intervallo di tre anni dall’uno all’altro; al terzo de’ quali deve assistere l’imperatore in persona. Vi si trova che nessuno può essere mandarino, o uffiziale addetto al governo, nelle provincie e nel paese ove è nato, o ove ha l’abituale sua residenza; nè in una amministrazione unitamente ad altri suoi consanguinei; e che deve ogni tre anni essere traslocato. Vi si trova che nei loro cinque libri sacri, detti King, si fondano la storia, i costumi e le leggi chinesi69: nel primo de’ quali vengono registrate da antico le ordinanze de’ re; nel secondo si contengono argomenti di meditazione, tolti dal primo; nel terzo le preghiere del culto e le canzoni pe’ matrimoni; ogni anno l’imperatore aggiungendovi quelle poesie pubblicate nel frattempo, giudicatene degne; nel quarto gli usi e i rituali delle cerimonie; e nel quinto si tratta della musica: nei quali libri sacri vengono così ad essere registrate le regole d’ogni atto più intimo della vita di famiglia. E se ne genera quindi quella uniforme esteriorità, che toglie qualsiasi manifestazione spontanea; e la immobilità nelle istituzioni e nelle costumanze, che non si giunge a spiegare, sufficientemente per la «non mutazione» del Balbo. E quindi ancora quella imputazione, per la quale estendesi il reato all’intera famiglia e a tutta la provincia70. E però, notava l’Hegel, che non si svolge in quel popolo se non una esistenza vegetativa: nè vi si ritrova alcun principio morale di suggettività71.
Alle quali conclusioni accostandosi, dal suo punto di vista il Bunsen piglia ad esame i libri sacri cinesi; e mostra come nei King nulla vi sia che si riannetta alla credenza in Dio, o alla immortalità dell’anima72. Il Dio egli ve lo trova contemplato non altrimenti che il complesso dei corpi onde si compone l’universo; e trova che non vi sono altri precetti per la coscenza del popolo, se non che l’uomo debba conoscere il vero e praticare il bene; del qual vero e del qual bene assegnali giusto criterio nell’universale consentimento. Che si legge nel Chin-King: «La volontà e il giudizio del Cielo si manifestano per la volontà e il giudizio del nostro popolo. L’approvazione e la disapprovazione del Cielo si esprimono per l’approvazione e la disapprovazione del nostro popolo. Un* intima relazione lega il mondo dell’alto al nostro. Oh! che devono coloro i quali regnano sulle nazioni, imporre a sè stessi vigilanza e cura massima»73. E il Bunsen commenta: «Ora, come deve il popolo interpretare pei principi le celesti volontà? Per la ragione; avvegnachè il Cielo non operi se non in ordine ai dettami della ragione, alla quale il popolo obbedisce. La voce del popolo è dunque voce di Dio, un’intima persuasione dicendogli ciò che sia giusto, e ciò che no; e avvegnachè senta il popolo in Cina, come altrove, che le leggi dell’ordine morale corrispondono alla generale testimonianza dell’umana coscenza. Questo pensiero c’è dunque ne’ libri sacri cinesi; e se ne può dedurre, che, superiormente al cielo materiale di Confusio, un principio razionale animi l’universo. Solamente i Cinesi non seppero identificare questo principio cui Dio vivente e consciente»74. E osserva, che Confusio raccoglitore e volgarizzatore delle antiche tradizioni nel VI secolo avanti Gesù Cristo, non vi aggiungeva nulla che si riferisse alla metafisica; ed era solito rispondere a chi lo chiedesse intorno l’immortalità dell’anima: «Se ancora non conosco la vita, come potrei conoscere la morte?» Dal quale positivismo negativo venendosi a spegnere il pensiero, persino la potenzialità del pensiero; negli ultimi anni del viver suo, egli stesso, Confusio, s’accasciava disperato davanti l’impotenza della ragione umana75. E unicamente per potere trovarci in grado di dare una spiegazione della sterilità di quella mente, se ne deve forse ricercar la cagione nell’indole della lingua cinese a monosillabi76; la quale diniegandosi a qualunque investigazione filosofica, soffocava allo stato di pretto naturalismo la coscenza di Dio presso quel popolo; e ne impediva che in nulla progredisse; e circoscrivendolo alla materia, lo isolava e staccava dal rimanente dell’umanità77. E, meno qualche parziale protesta politico-religiosa, quel popolo si trova tuttavia qual era tremila anni prima dell’era volgare: senza un fine al quale progredire. E se la società ebraica, scrive Edgar Quinet, gravitava verso Jehova, la greca verso Giove, e il mondo cristiano gravita verso il Cristo; nella quale attrazione della terra verso il cielo sta appunto il segreto della vita sociale; «nella società cinese l’uomo non ha altro scopo che l’uomo, e trova il suo fine nel punto medesimo onde si parte; e gli accade di trovarsi a soffocare nei limiti dell’umanità. Facendo la virtù troppo comoda, la rende impossibile: imperocché l’uomo non possa rimanersi nel mezzo; e se mira alla mediocrità, si trovi a cogliere sempre al di sotto, e s’accasci sulla terra; e rinunciando al cielo, come non agitandosi per la ricerca della vita assoluta, venga a Unire nel nulla. Io quella società nana ogni cosa è dunque monca della sommità. E alla morale manca l’eroismo, alla reggia la musa reale, ai versi la poesia, alla filosofia la metafisica, alla vita l’immortalità, imperocchè manchi Dio in cima di tutto ciò. E se sfuggono il pericolo sfuggendo la grandezza; ed evitano di credere alfine di evitare lo scetticismo; per non avere la giornata di Cheronea, si astengono pure da quella di Salamina. Gente degna d’invidia, voi dite: essi durano già da più che cinquemila anni. Lo credo. Ma dubito assai, che in tutte quelle migliaia d’anni abbiano avuto un sol giorno di vita»78.
Dalla Cina il Bunsen viene indi ai popoli Batrii. I quali dediti dapprima a superstizioni mitologiche, avevano pure la credenza nella lotta tra la luce e le tenebre: lotta che Zoroastro indirizzava moralmente, insegnando come s’avesse a intendere per la lotta tra ’l bene e il male. Questo si proponeva; ma, alla pari di Socrate, quale ateo e fazioso era sottoposto al giudizio de’ Seniori. Sicuramente egli esponeva loro che senza volere in nulla opporsi e contrastare al culto emblematico delle due forze79, era di parere che si avesse a interpetrare e mettere in armonia col culto dovuto alla divinità; il quale consisteva nell’offerirgli la purezza morale e la virtù. Esponeva, come non fosse suo intendimento di assegnare un uguale governo sul mondo al genio del bene che a quello del male; imperocchè dando al primo tutta la potenza produttrice del vero e del buono, cioè dell’essere; al secondo non attribuiva che i fenomeni del non essere: il quale però, per il medesimo suo principio, col tempo aveva a cedere e a scomparire davanti il continuo espandersi del primo. 80 Poco a poco tali dottrine si diffondevano, e penetravano nelle menti, e venivasene a dare un passo sulle vie dello spiritualismo: che l’uomo virtuoso eravi mostrato come la più completa manifestazione della divinità81; e vi si stabiliva un principio d’identità tra ’l vero e il bene, la coscenza e la ragione, la metafisica e la morale. E vi si sente come già vi si muova l’aria della nostra umanità; e come in seguito dell’insegnamento di Zoroastro, la coscenza di Dio de’ Batrii c’introduca a conoscere quella degli Arii, dai quali hanno origine gli Europei82.
Quella coscenza di Dio c’introduce dunque a conoscere la medesima coscenza di Dio presso gli Arii; formulata dai Veda, e più specialmente ancora dal Rig-Veda. In que’ libri, per le idee come per la lingua83, ci troviamo quasi in famiglia: che vi si vede il culto de’ morti celebrato col sentimento di una vera religiosità84; l’adorazione del fuoco, quale simboli di spiritualismo85; la vita pastorale a dimora fissa, con un principio di corporazione associata: ma non più caste o collegi di sacerdoti teocratici. Siccome predomina in quel culto l’adorazione del fuoco, così al fuoco, col nome di Dio sconosciuto, s’indirizza il bellissimo tra i loro inni; ove la luce è detta la signora nata del mondo, della quale si riempie il cielo e la terra; i quali per essa furono creati insieme alle acque cristalline; e della quale gli Dei medesimi invocano la benedizione; e la quale è detta persino i guardiano della verità. In quell’inno il vocabolo luce, senza tema d’ingannarsi, va inteso come corrispondente a quello di spirito; e vi si sente l’ispirazione delle primitive credenze religiose; e Dio vi è invocato creatore e ordinatore dell’universo, vendicatore de’ cattivi e rimuneratore de’ buoni. Se più tardi decaddero, e si diedero in braccio di un misticismo panteistico, gli è in seguito dello scadimento delle primitive credenze: che non è vero, come alcuni presumono, che le società si costituiscano nel culto di un naturalismo mitologico86. Una idea di sintesi – meno rare eccezioni, e forse perchè non è a nostra cognizione il periodo anteriore della loro storia – informa sempre la coscenza e il sentimento di un popolo giovane; e il culto de’ simboli mitologici non è se non posteriore, nè può aver luogo se non in seguito e per la corruzione; allorchè, come dice Lucrezio, il timore dà vita ai primi Dei; e le menti pervertite abbisognano di essere trastullate co’ simboli e colle parabole leggendarie; le quali «sono poi fissate e identificate con l’essenza medesima delle cose»87; e non è se non allora, che, per quella corruzione siasi venuta perdendo la coscenza della libertà, e si venga invece preparando la servitù; come appunto accadde agli Arii, i quali, in quel periodo della loro storia, videro dapprima l’ormarsi tra di essi le caste, poi sorgervi i Bramini; e poi ancora la loro teocrazia panteistica: dei quali s’ha bensì a notare, ch’essi, per quella chiesa o scuola, non hanno se non un valore negativo rispetto alla coscenza di Dio negli Arii. Nè forse, rispetto alla coscenza di Dio più valgono le due scuole filosofiche che vi si produssero nel VI secolo avanti l’era volgare; l’una dei Vedenta, che si proponevano di poter penetrare l’essenza di Brahama e la prima sostanza degli esseri; l’altra dei Sankhya, dediti alla meditazione, e intesi alla ricerca della ragion pura: esagerazione mistica tutte e due d’un’idea forse giusta. E forse neppure vale meglio di esse la riforma di Budda, intorno al quale Bunsen si trova a dissentire da molti che lo precedettero nel giudicare quel riformatore88. Invece che ateo e materialista, il buddismo gli pare credente e spirituale: e giovasi, a provarlo, di tre inni ritenuti quali articoli di fede, da’ suoi seguaci89, e nei quali insegnasi la morale voler essere praticata con la pietà e la carità; e la famiglia vi si indica come il più efficace modo per migliorare la società scaduta. Come pure vi si legge: «Brahama si trova nelle famiglie ove si venera con religione e con fedeltà il padre e la madre; imperocchè, secondo la legge (l’insegnamento del maestro) il padre e la madre, per il figliuolo, sono Brahama medesimo»90. E vi si legge pure: «Non uccidere un essere vivente; – Non rubare; – Non commettere impurità; - Non mentire»91. E diceva Budda a suoi seguaci, i quali aveva istituiti con gli ordinamenti del monacato cattolico, diceva poco prima di morire: «lo sono al più alto grado della saviezza; senza desiderii, senza udii, e senza egoismo... Possano migliaia d’uomini, vissuti da Santi, risuscitare nel rinnuovamento dei mundi di Brahama»92. Le quali citazioni, se bastano per farci intendere il pensiero onde era animata la riforma buddistica, provano pure che se non ebbe stabilità di pratiche, devesi appunto a che non era basata su un principio metafisico, e neppure aveva un proprio elemento reale. Era intesa, e rimase sempre esclusivamente speculativa, e astenendosi, per istituto, da tutto ciò che avesse relazione con le agitazioni della vita pubblica, non giunse mai, com’era necessario, a provocare una rivoluzione, che le sgomberasse la via delle pratiche e regolamenti e leggi braminiche. Rimase oziosamente speculativa, incerta, tentennante in contradizione collo scopo medesimo, che di necessità il suo autore non poteva non averle almeno sottinteso. E se pure fa un passo nella via della moralità, per quello che si riferisca a determinare, nella successione storica, la coscenza di Dio presso quel popolo, il Bunsen ne scrive:
«Non essere (il Buddismo) se non una sosta dell’umanità, una tregua benefica dopo il regno oppressivo de’ brahamani, e quello di un naturalismo selvaggio: la sosta di un viaggiatore stanco, infastidito, che disperi del diritto e della verità, e più specialmente ancora della sociale giustizia. E nell’armonia dell’ordine universale, il buddismo non appare altrimenti che una pozione calmante, una dose d’oppio, con cui si procura un po’ di riposo tranquillo alle razze abbattute e scoraggite dell’Asia»93.
Bartolommeo Aquarone.
(Continua)
Note
- ↑ Traduzione francese ridotta, di L. Dietz, con una Notizia della vita e delle opere di Bunsen di Arrigo Martin. Parigi, Didier e C, 1868.
- ↑ Vico scriveva: Conscientia autem sapientissimae originis vox est; scire enim est verum noscere; conscire est cum alio verum noscere (De uno universi Iuris principio, § LXIX).
- ↑ Lettera I.a, pag. 4. Trad. di Emilio Leoni. Torino, 1860.
- ↑ Ivi, pag. 5.
- ↑ Lett. VIII, pag. 161.
- ↑ Lett. X, pag. 226.
- ↑ Non so come un dotto uomo abbia scritto queste parole, le quali certamente non suonano bene: «Parlo della così detta filosofia della storia, che tanto spesso non è altro che una storia della umana fantasia» (pag. xii, Introduzione alla Storia della Costituzione dei Municipii italiani, del dottor Carlo Hegel). Il prof. Francesco Conti fu mosso forse da un senso di riazione contro l’abuso che di tal nome si è fatto; ma certo la filosofia della storia non può non essere rispettata nella patria di Machiavelli e di Vico.
- ↑ Discorso sulla legge del 30 ventoso anno, XII. - E il Balbo la disse: «La storia è la scienza delle azioni del genere umano» (Medit. Stor. l. a, pag. 10, Ediz. Le Monnier.l - E il Canta: «La storia nacque dal desiderio ingenito all’uomo di conoscere le azioni de’ suoi simili; divenne poi esercicizio d’arte, quindi scuola d’esperienza, poi campo di lotta, infine scienza dell’umanità».
- ↑ Vedi a questo proposito il Buono di Gioberti, pag. 241. - Ediz. di Capolago, 1845.
- ↑ Daniele, IX. 25. Cosi quando l’Angelo gli dice: «Io ti dimostrerò le cose che avverranno nell’ultimo della maledizione; imperocchè questo tempo ha il suo fine» (VIII, 19). - «Non temere, o uomo di desiderii; pace sia a te: ripiglia vigore e robustezza > (X, 19). - «Gli intendenti risplenderanno come lo splendore della distesa» (XII, 3). - «Va’, Daniele, perciocHH’queste parole son nascoste e suggellate infino al tempo della fine» (XII, 9)
- ↑ Dove nelle profezie di Daniele s’impreca al passato e al presente, rifuggendosi nell’avvenire, Sant’Agostino invece accusa e incrimina un po’ troppo il passato, e pare che non tenga conto che pure ne era stato prodotto il presente. Inteso al cielo, egli dimentica affatto la terra; e dei due amori - il terrestre e il celeste - ognun de’ quali si aveva edificato la propria città, scrive che «una cerca la gloria degli uomini, e l’altra non vuole per sua gloria se non il testimonio della sua coscienza» (Lib. XIV, cap. 20. Vedasi pure lib. XIX, cap. 13). Il Mamiani della Città di Dio, così scrive: «Certo, nella Città di Dio di Sant’Agostino è il primo concetto d’un avvicendamento ed intrecciamene preordinato dei casi umani, in tutti i quali vuolsi scorgere certo legame di unità e certa preparazione al fine che è di raccogliere in una sola famiglia le diverse nazioni, e reggerle con una legge suprema ed universale di giustizia e di amore» (Confessioni di un Metafisico, Vol. II, pag. 862-63).
- ↑ Fra le altre cose, vi si legge: «Egli viene (il sommo sacerdote reggitore della città) incessantemente assistito da tre altri capi, detti Pou, Sito, Mor, nomi che appresso noi equivalgono a Potenza, Sapienza, ed Amore» (pag. 7, ediz. Ruggia, 1836); i quali poi in sostanza equivalgono al Nosse, Velle, Posse, di Vico.
- ↑ Disegno generale dell’opera, pag. 6. Ediz. Hiard. Parigi, 1831.
- ↑ Vol. II, pag. 101.
- ↑ «Moise éclairé de l’esprit de Dieu, avait tout prevu. On ne voit point d’ordonnances ni de David, ni de Salomon, ni de Iosaphat ou d’Èzéchias, quoique tous très-zélés pour la justice: les bons princes n’avaient qu’ à faire observer la loi de Moise, et se contentaient d’en recommander l’observance à leurs successeurs: y ajouter ou en retrancher un seul artieie, était un attentat que le peuple eut regardé avec horreur» (Vol. I, pag 220).
- ↑ Il dotto propugnatore della Chiesa gallicana, pare si compiacesse rammentare le deliberazioni del primo Concilio di Nicea, per le quali Gerusalemme, la Città santa, era elevata alla dignità di prima sede patriarcale della Cristianità. Rammenta pure altre deliberazioni, onde la sede di Costantinopoli era elevata alla medesima dignità; e si venissero a ritrovare così cinque le sedi di patriarca: ad ognuna delle quali era ugualmente assegnato il primo posto nei Concilii (Vol. I, pag. 165).
- ↑ Vol. II, pag. 193.
- ↑ Non è forse qui fuor di luogo riportare le parole di una lettera del P. Lacordaire a una signora russa: «Quando getto gli occhi sulla storia, sono colpito da cosa che vi voglio dire: ed è, che dovunque ha stabilmente prevalso il dispotismo, si è quasi estinto il vero cristianesimo.... Si dirà che la libertà della fede può stare senza la libertà civile e politica; forse per giorni: ma per lungo tempo, ve ne sono forse esempi? La servitù civile e politica corrode gli animi, li rende deboli anche nell’ordine religioso, e dà la vertigine dell’idolatria persino a Bossuet» (Revue des deux Mondes, 1.er mai, 1864, pag. 234).
- ↑ «Omnis divinae atque humanae eruditionis elementa tria, nosse, velie, posse; quorum principium unum Mens, cujus oculus Ratio, cui lumen praebet Deus (Proloquium, De uno Universi Iuris principio).
- ↑ Secondo Vico così procedettero nel loro svolgimento le cose sociali: dapprima gli uomini vissero nelle selve; poi nei tugurii; indi nei villaggi; e indi ancora nelle città, ove si costituirono pure le Accademie. (Dign. LXX).
- ↑ Scienza nuova, Lib. V. - Conclusione dell’opera, pag. 499. - Torino, Edizione Predari.
- ↑ Ivi.
- ↑ Principes de la Philosophie de l’histoire, traduits de la Scienza Nuova.
- ↑ Meditazioni storiche, IV, pag. 112. Ediz. Lemonnier, 1856.
- ↑ Janelli, Cenni sulla natura e necessità della scienza delle cose e delle storie umane, cap. VIII.
- ↑ Meditazione seconda, pag. 34.
- ↑ La Simbolica di Moehler, professore nell’Università di Monaco. Traduzione del sacerdote P. P. Milano, 1840; - Storia dei dogmi del dottor Enrico Klee. Trad. italiana. Torino, 1858, Vol. II.
- ↑ Vol. I, pag. 133. Del quale principio non pare convenga il Mamiani, quando scrive: «Le nozioni e gli influssi del vero, del buono, del bello e del sauto, sempre vivi nel fondo dell’anima e recati a forza dall’istinto e dalla ragione a Dio Ottimo Massimo, convergono inverso di Lui tutte le facoltà e tutti gli affetti; sebbene la pura scienza speculativa conosca si poco e si oscuramente le forme e la perfezione di Dio; e la notizia che ne coglie proceda non già dall’intuito diretto, ma si veramente dalla significazione delle idee» (Confessioni di un Metafisico, Vol. I, pag. 396).
- ↑ Vol. 1, pag. 31.
- ↑ Giova, a mio avviso, che qui siano riportate testualmente le parole dell’A. Egli scrive: «L’attivo ingegno de’ Greci si occupò specialmente a mettere in moto la sostanza dogmatica, laddove lo spirito più osservatore e più conservatore dell’Occidente si mostro più contegnoso, diede misura e forma al movimento partito dall’Oriente, e ne impedì le aberrazioni sopì a una scala pervertita e falsa. Se la Chiesa orientale si è occupata speciala coltivare ciò che vi ha di più teoretico e di appartenente alla più alta metafisica, la Chiesa occidentale ha fatto oggetto delle sue meditazioni mento pratico, cioè quelle parti della dogmatica che si legano immediatamente coll’etica, e ne sono la base e la sostanza capitalo. Insomma, Luna ha presa la teologia propriamente detta; l’altra l’antropologia in tutte le sue parti (come sarebbero la dottrina della caduta dell’uomo, del libero arbitrio, della grazia;, e l’ecclesiastica; e sostennero entrambe la forma e il ni’ nza che ereditarono dai loro predecessori. L’Africa, per posizione e linguaggio divisa fra l’Oriente e l’Occidente, divise altresì le sue inciinazioni: imperocchè la parte orientale si avvicino alla maniera alla romana. Gii ingegni più prominenti nell’uno e nell’altro _ . direm così . i rispettivi rappresentanti di ciascheduno sono due africani . Origene e Sant’Agostino; che ebbero, quello sull’Oriente, questi sull’Occidente una influenza estesissima e di molta conseguenza» (Vol. I, Prolegomeni, pag. 20).
- ↑ Dell’opera del Dupuis: De l’origine des Cultes, a proposito dell’opera del Bunsen non occorre dar conto; come quella che parte da principii opposti, e ne viene a conclusioni puramente negative.
- ↑ Gioberti, Del Buono. Ediz. di Capolago, 1845, pag. 108.
- ↑ Lo stesso, ivi, pag. 109.
- ↑ «L’uomo è imagine di Dio, perchè ha uso di ragione, e gli rassomiglia, in quanto è capace di bontà» (Ivi, pag. 115).
- ↑ Ivi, pag. 259
- ↑ Ivi, pag. 400.
- ↑ Vol. I, pag. 368.
- ↑ Ivi, pag. 398.
- ↑ Della fede vi si leggono queste parole notevoli: «La fede interviene così a confermare e corroborare i trovati della ragione speculativa; come a dilatarli ed a compierli» (Ivi, pag. 395). - «Grande errore commetterebbe colui, per nostro giudicio, il quale stimasse che dalla scienza e dalla sapienza non rampolli una fede immensamente più pura e sublime della volgare» (Ivi, pag. 399).
- ↑ Egli scrive: «Fa maraviglia a pensare, come questo concetto di Dio e questo continuo meditare delle sue perfezioni venga col tempo e il sere della civiltà dilatandosi dentro le menti, e informi profondamente di sè gli abiti più sostanziali del nostro sapere e del nostro operare» (Ivi, pag. 398).
- ↑ Vol. II, pag. 847.
- ↑ Ivi, pag. 856.
- ↑ Ivi, pag. 862.
- ↑ L’A., a pag. 886 e seguenti, rassegna dodici o tredici cagioni dei mescolamenti e ingerimenti dei vari popoli fra loro. A me pare che vi corrisponda meglio il procedimento de 1 nessi proposti dallo Ianelli, e riportati di sopra.
- ↑ Il Mamiani scrive: «Il consorzio civile quanto più dura, e quanto moltiplica di vantaggio le unioni e le comunanze fra i cittadini, tanto questi vivono meno della vita propria individuale e maggiormente della socievole; di maniera che assimilati a poco per volta alla l’urina generale e perpetua della repubblica non serbano nulla di separato e diverso da quella. E sebbene il progresso civile accresce la libertà dell’animo e di tutte le azioni, non perei» gli individui si differenziano per niente dal tutto, ma solo vi si conformano ed immedesimano spontaneamente e credendo di sempre condursi giusta l’arbitrio dei loro pensieri e delle loro risoluzioni»( Ivi, pag. 874).
- ↑ Introduzione generale, pag. 14.
- ↑ Prefazione, pag. 2.
- ↑ Introduzione generale, pag. 12.
- ↑ Le but de la philosophie allemande, dopuis Leibnitz jusqu’à Hegel, a été de refuter cus deux manieres de voir extremes (i deisti, che mettono Dio in faccia all’uomo - l’infinito opposto al finito; i panteisti, che dicon Dio e l’universo essere identici). Elle s’est proposé, sans y parvenir, parce qu’elle est restée trop oxclusivement metaphysique, de montrer cu Dieu la volonté et la pensée créatrice éternelles, dans l’esprit humain le but de la création, dans le monde la manifestation de la pensée eternelle. Ce fond commun de la philosophie allemande est commun aussi à Platon et à Aristote et à tous les livres sacrés, à la Bible surtout» (Preface, pag. 8-9).
- ↑ Prefazione, pag. 7.
- ↑ Pag. 34.
- ↑ Pag. 35.
- ↑ «La moi, dans l’hebreu, c’est l’àme» (pag. 61).
- ↑ «Les Hebreux se placent surtout au point de vue moral, et la raison est pour eux, avant tout, la conscience» (pag. 61).
- ↑ «Pour ceux-là (gli Ebrei) la loi divine est une loi morale» (pag. 61).
- ↑ Pag. 183-84.
- ↑ Pag. 85.
- ↑ Pag. 78-9. Vi si legge in una nota dell’Editore: «Il ne faudrait pas prendre ceci au pied de la lettre. Il ne s’agit pas de l’anéantissement en Dieu, à la facon du panthéisme brahmanique, mais de l’association morale de l’homme avec Dieu. L’àme immortelle dovient le soldat d’Osiris, dans la lutte éternelle le contre le mal».
- ↑ Il Bunsen ritiene le piramidi fatte non per altro che per servire di tomba ai principi. Champollion invece opina fossero fabbricate nell’intento di rompere il vento del gran deserto, e impedire così che se ne spargessero le sabbie sull’Egitto. Veramente dal disegno e dalla disposizione delle quattordici piramidi, le quali più o meno guaste rimangono tuttavia, pare sia confermata e avvalorata l’opinione del Francese.
- ↑ Il Tommaseo, Della Educazione, prima del Bunsen già aveva accennato, come dalle caste potevasi avere una eccellente norma, in ispecie per l’istruzione delle arti industriali.
- ↑ «Là, l’histoire ne joue aucun róle, et ne saurait satisfaire les sens surexcités; cependact la tradition y conserve religieusement certaines legendes epiques. La poesie lyrique prend seule son essort, et le drame revét lui-mème la forme de l’ode» (pag. 89).
- ↑ «Les prétres d’une pareille conscience de Dieu sont naturellement les hommes le plus inspirés. Là point de savants, point de maitres, mais seulement des hommes dont la parole a je ne sais quoi de surnaturel, et qui sont capables de communiquer aux autres les effets qu’ils rossentent» (pag. 87).
- ↑ Pag. 90.
- ↑ Filosofia della Storia del Mondo antico: Introduzione, pag. 52 (Ediz. Capolago, 1841).
- ↑ Medit. XI, pag. 301. Ediz. Lemonnier, 1855.
- ↑ Medit. XI, pag. 300.
- ↑ Filosofia della Storia, Introd., pag. 48.
- ↑ E ne scrive il Balbo: «L’autorità esagerata del padre di famiglia,.... è resto dell’età patriarcale: e come tutti i resti di età troppo discosti, è piuttosto degenerazione che reliquia buona, piuttosto contrassenso, sconnettitura e disordine che ordinamento (Medit. XI, pag. 301).
- ↑ Ivi, Vol. I, pag. 117.
- ↑ Il Brougham scrive: «Parecchi anni addietro, un uomo insieme con la moglie si attentò di bastonare la propria madre; ambidue furono decapitati; la genitrice della moglie, comecchè affatto innocente, venne bastonata; la casa dove abitavano fu smantellata; il distretto fu solennemente maledetto; tutti gli scolari ch’esso conteneva furono degradati, rati destituiti e banditi dal luogo» (Filosofia Politica, Vol. I, pag. 148. Ediz. Batelli, 1850.)
- ↑ Filosofia della Storia, pag. 181.
- ↑ Pag. 96
- ↑ Pag. 96
- ↑ Pag. 96-7.
- ↑ Pag. 101.
- ↑ «Toute syllabe est un mot, et chacun des trois cents mots primitifs esprime un objet physique, material. L’esprit, la pensée, n’ont pas d’espression, pas de nom ea chinois» (pag. 99).
- ↑ «Ainsi un profond abìme séparé le sinisme ’do toutes les autres histoires de l’humanité. C’est le méme abìme qui séparé la vie inorganique, de la vie organisée, l’ètre inconscient de celui qui a conscience de soi», (pag. 99).
- ↑ Edgar Quinet, Le Genie des religions, Lib. III, pag. 224-5. Edizione Paguerre, 1857.
- ↑ «il est deux Génies; également libres, ils régnent sur la pensée, la parole et l’action; ce sont le bon et le méchant. Entra eux deux il faut choisir; choisissez donc le bon Génie» (pag. 118).
- ↑ Pag. 124.
- ↑ Pubblicava Zoroastro durante il tempo del processo, un canto di undici strofe; nelle prime tre delle quali, si legge:
«Quegli che da principio creava della sua propria luce l’innumerevole moltitudine degli astri celesti, quegli cavava pure dalla, sua ragione la verità, che è il fondamento della virtù. O savio Genio, che sei sempre lo stesso, immutabile, fai che abbia trionfo la verità.
«Sei tu, savio Masda, il primo di tutti, che io guardo quale supremo signore della natura e dello spirito. Io ti ho veduto con gli occhi della mente, e in te ho trovato il padre della virtù; e sei tu che io guardo come l’essenza del bene, come il creatore, come il fine dell’intera vita.
«Gli è in te che riposa la terra sacra, in te che con tanta sapienza si è formato il centro della terra. Spirito vivente, o Masda, la terra seguita la via che da principio tu le hai tracciato. Essa ricompensa di una raccolta abbondante il contadino che la lavora, e ricusa i suoi favori a quegli che la lasci incolta» [ pag. 121). - ↑ «La langue des Vedas ne différe guere que par des degrés dans ses formes grammaticales et que par des nuances de prononciation, des plus anciennes formes du grec, de l’italique, surtout du latin. La langue des races slaves et germames ne ressemble pas moins à cet antique idiome. Mais ce qui nous émeut encore plus que l’analogie des formes, ce qui établit entre nous et ces freres ainés uue etroite solidarieté, e’ est que tout ce qui tient au coeur de l’homme par les plus profondes racines, a conserve chez nous tous a travers les siècles son noni primitif: pere et mère, soeur et frere, età, et tous les autres termes du méme genre reproduisent de très-pres la racine védique» pag. 129-30).
- ↑ Non e vero che gli Arii bruciassero la moglie sul rogo del defunto. Vi era stesa, accanto al morto, durante i funerali; ma appiccandovi il fuoco, ne era tolta con queste parole:
- «Levati, o donna, torna al mondo della vita;
- «Ti sei coricata sul letto d’un morto, scendi da questo letto:
- «Abbastanza sei stata la sua donna,
- «A lui che ti avea scelto e ti ha resa madre.
«E indirizzandosi agli altri astanti, un amico del defunto pronunciava: «Profittate del tempo, godetevi quanti siete la vita. Il Creatore, il quale vi ama, vi promette di lunghi anni». E in seguito a qualche altra cerimonia: «Andiamocene, e si ripiglino le gioconde faccende della vita». Per il qual modo, osserva Max Muller, quel popolo otteneva che i funerali unissero più sempre fra loro gli uomini, e se ne stringessero viepiù i vincoli che collegano l’umanità a Dio benefico e misericordioso. - ↑ «L’hymne qui chante sa gloire brille non-seulement par l’élégance, la gràce merveilleuse du style, mais par l’élément spiritualiste, par l’àme tout humaine qui y respire» (pag. 133).
- ↑ «La mythologie naturaliste n’est nullement la forme première de la religioni, ainsi qu’on te prétend souvent de nosjours. Une idée synthétique et unitaire la précède» (pag. 134-35).
- ↑ Pag. 135.
- ↑ L’Hegel aveva già scritto: «L’indiano delle altre caste deve quindi onorare il Bramino come Dio.... I Bramini sono il Dio presente» (Filos. della St. ant., parte I, lez. 2. a ).
- ↑ «L’idée que nous nous faisons de Bouddha est tout juste l’oppose de l’opinion admise par Burnouf et tous» (Pag. 160;. - Forse l’A. non conosceva la Medit. stor. X, del Balbo.
- ↑ Questi tre inni s’intitolano: Le mille Parole; - La Parola di Budda; e La Parola di Brahma (V. pag. 160-65).
- ↑ Pag. 171.
- ↑ Pag. 166.
- ↑ Pag. 170.
- ↑ Pag. 182.