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rassegna bibliografica 483

siero c’è dunque ne’ libri sacri cinesi; e se ne può dedurre, che, superiormente al cielo materiale di Confusio, un principio razionale animi l’universo. Solamente i Cinesi non seppero identificare questo principio cui Dio vivente e consciente»1. E osserva, che Confusio raccoglitore e volgarizzatore delle antiche tradizioni nel VI secolo avanti Gesù Cristo, non vi aggiungeva nulla che si riferisse alla metafisica; ed era solito rispondere a chi lo chiedesse intorno l’immortalità dell’anima: «Se ancora non conosco la vita, come potrei conoscere la morte?» Dal quale positivismo negativo venendosi a spegnere il pensiero, persino la potenzialità del pensiero; negli ultimi anni del viver suo, egli stesso, Confusio, s’accasciava disperato davanti l’impotenza della ragione umana2. E unicamente per potere trovarci in grado di dare una spiegazione della sterilità di quella mente, se ne deve forse ricercar la cagione nell’indole della lingua cinese a monosillabi3; la quale diniegandosi a qualunque investigazione filosofica, soffocava allo stato di pretto naturalismo la coscenza di Dio presso quel popolo; e ne impediva che in nulla progredisse; e circoscrivendolo alla materia, lo isolava e staccava dal rimanente dell’umanità4. E, meno qualche parziale protesta politico-religiosa, quel popolo si trova tuttavia qual era tremila anni prima dell’era volgare: senza un fine al quale progredire. E se la società ebraica, scrive Edgar Quinet, gravitava verso Jehova, la greca verso Giove, e il mondo cristiano gravita verso il Cristo; nella quale attrazione della terra verso il cielo sta appunto il segreto della vita sociale; «nella società cinese l’uomo non ha altro scopo che l’uomo, e trova il suo fine nel punto medesimo onde si parte; e gli accade di trovarsi a soffocare nei limiti dell’umanità. Facendo la virtù troppo comoda, la rende impossibile:

  1. Pag. 96-7.
  2. Pag. 101.
  3. «Toute syllabe est un mot, et chacun des trois cents mots primitifs esprime un objet physique, material. L’esprit, la pensée, n’ont pas d’espression, pas de nom ea chinois» (pag. 99).
  4. «Ainsi un profond abìme séparé le sinisme ’do toutes les autres histoires de l’humanité. C’est le méme abìme qui séparé la vie inorganique, de la vie organisée, l’ètre inconscient de celui qui a conscience de soi», (pag. 99).