Al parlamento austriaco e al popolo italiano/Parte prima/I
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I.
LA QUESTIONE UNIVERSITARIA.
Scienza e Nazionalità.
Discorso pronunciato al parlamento di Vienna il 28 ottobre 1911.1
Il modo con cui il Governo ed il Parlamento austriaci han trattato la questione universitaria italiana dal 1871, anno in cui fu portata in questa Camera per la prima volta, fino ad oggi, è il documento maggiore dell’insipienza di stato austriaca.
Un postulato dei più semplici, dei più facilmente attuabili, dei più adatti a guadagnar prestigio al Governo stesso, fu in tutti i modi inceppato e si volle che da esso scaturissero gravi complicazioni e questioni internazionali prima di ammetterne l’alta importanza.
Malgrado tutto, dubitiamo assai che anche oggi il problema sia stato posto dal Governo con sincerità e con vera volontà di risolverlo.
È doloroso, è avviliente a constatarsi: gli Stati conquistatori, gli Stati colonizzatori, quando vogliono portare il loro dominio su altri popoli, in terre incivili, ci vanno con la forza, ma nel loro stesso interesse finiscono con l’erigere scuole e far opera di civile elevamento.
L’Austria, dacchè si è consolidata entro i limiti attuali, ha agito differentemente verso gli italiani. Ha trattato i lor paesi, che son paesi d’alta e antica civiltà, come se fossero una terra di conquista. Vi ha portato cannoni, poliziotti e uffici delle imposte, ma quanto a scuole, anzichè crearne di nuove, ha tolto quelle di cui prima godevano.
Giacchè avevamo prima del 1866 complete università nostre entro i domini austriaci, ed avemmo nel 1904 una Facoltà legale nostra ad Innsbruck; ma questa e quelle ci furono tolte.
Erano a disposizione nostra fino al 1866 le celebri università di Padova e di Pavia, ove accorrevano in massa i giovani delle nostre terre ed ove, a testimonianza della cultura nostra, come è ricordato nei marmi che adornano gli atrii di quegli atenei, scendevano da Trento e dalle regioni adriatiche, oltre agli scolari, molti professori di grido, scienziati, letterati ed artisti.
Staccate dall’Austria la Lombardia ed il Veneto, venne a mancare a noi il diritto di frequentare quegli studi superiori.
Ci volle la continua pressione degli studenti che reclamavano la presenza di interpreti italiani alle lezioni di medicina dell’Università di Innsbruck, ci volle la richiesta di poter dare gli esami in lingua italiana perchè il Governo un po’ alla volta si determinasse a erigere ad Innsbruck, in seno all’Università tedesca, alcune cattedre italiane, quasi tutte giuridiche, e ci volle sopratutto che i tedeschi dichiarassero incompatibile la presenza di quelle cattedre, perchè il Governo nel 1904, in via d’ordinanza, si determinasse a riunirle in un istituto autonomo, intitolato «Facoltà provvisoria italiana di Willen».
E tanto fu «provvisoria» quella Facoltà, che non visse se non un giorno.
Inaugurata al mattino, fu demolita alla notte e al mattino seguente dai dimostranti pangermanisti, mentre centocinquanta studenti italiani venivano condotti nelle carceri.
Dal 1904 ad oggi il Governo e il Parlamento non hanno saputo dare agli italiani altro che parole e promesse, ma non fatti. E per vero la rude politica dei tempi in cui si negava ogni diritto, era più leale dei sistemi attuali che consistono nel creare e presentare progetti per poi cooperare con ogni forza a seppellirli, giovandosi oggi dell’ostruzionismo sloveno e domani degli sfoghi sciovinistici di qualche pangermanista.
Giacchè, o miei signori, è la quarta volta che in questa Camera si arriva alla discussione di un progetto destinato poi a cadere in seno alle commissioni, o ad essere comunque arenato.
Eppure sarebbe bastato che il Governo avesse voluto, per vincere le difficoltà opposte. Su quei banchi, miei signori, sono passati tanti trafficanti, che hanno saputo acquietare burrasche ben più gravi di quelle scatenate contro l’Università italiana; ma su quei banchi non è ancora apparso un ministro che abbia mostrato di fare sul serio. Se così fosse stato, come in via d’ordinanza si era eretta la Facoltà di Wilten, e come in via d’ordinanza si provvide a scuole d’altre nazioni, altrettanto si poteva fare per noi.
Ma è solo a fin di male e mai a fin di bene, che in Austria si sa usare del diritto di emetter ordinanze e del paragrafo 14.
La realtà vera si è che il peggior nemico dell’Università italiana è stato sempre il Governo, il quale neppur ora ha saputo mostrare un po’ di benevolenza, dacchè pur avendo fatto ampie promesse e impegnata la parola della Corona, non seppe adempiere il suo dovere e dovette esser trascinato, con la votazione di martedì, a questa discussione.
Tutto questo dovea esser detto per metter bene in chiaro le responsabilità.
Io debbo qui constatare che venerdì scorso il signor ministro dell’istruzione ha avuto parole vibranti di calda ammirazione per l’antica ed alta cultura italiana ed ha riconosciuto il nostro pieno diritto al soddisfacimento dei nostri bisogni culturali. Ha altresì constatato che nella questione della Facoltà non si tratta per noi di un «lucro cessante», ma di un «danno emergente», giacchè siamo stati in possesso di scuole superiori, in seguito perdute, come egli dice con frase eufemistica.
Ma queste belle dichiarazioni del ministro corrispondono a quelle che ci furono fatte da quei banchi almeno una ventina di volte, con susseguente esito negativo. Perciò io non mi sento di prodigare al signor ministro gli applausi che gli hanno tributato alcuni miei connazionali, e dico semplicemente: Vi attendo ai fatti.
Vediamo ora in che consiste il progetto del Governo sul quale siamo chiamati a discutere.
È un progetto che sotto nessun riguardo corrisponde ai bisogni degli italiani.
Anzitutto esso è limitato alla sola Facoltà legale; secondariamente contempla per quattro anni una sede che non corrisponde ai bisogni e ai desiderii degli italiani e allo sviluppo stesso dell’istituzione.
Una Facoltà legale è utile e necessaria ma noi abbiamo diritto ad un completo istituto di studi superiori, non ad una piccola fabbrica di impiegati.
Sarà certo bene avere giudici e dirigenti delle varie amministrazioni politiche che non siano stati educati in ambiente estraneo a quello dove devono svolgere la loro attività, e avere in genere impiegati meno ignoranti della lingua italiana, ma assai più urgente è l’aver buoni medici, e sopratutto buone forze insegnanti per la cultura del popolo. Occorrono quindi anche la Facoltà filosofica e la medica.
Solo un’Università completa si presenta vantaggiosa, oltre che alla borghesia, che è la prima beneficata, a tutta la popolazione di ogni ceto sociale, per quell’intimo rapporto per cui la cultura di un paese procede con anelli ininterrotti dagli asili d’infanzia, alla scuola elementare, alla scuola media, alla superiore, ed i progressi della scienza si tramutano in benefici per l’umanità.
Senza un buon studio superiore noi non avremo neppure buone scuole elementari e medie. E in questo riguardo la mancanza di un’Università è stata deleteria agli italiani dell’Austria, giacchè è ovvio, che non si possono allevare buoni maestri di scuole italiane con un’istruzione tedesca.
Potrei parlare, riferendomi all’esperienza personale e di molti colleghi, del decadimento del carattere e della cultura nazionale, ma preferisco appellarmi in proposito ad un’autorità non sospetta, al defunto professore Mussafia dell’Università di Vienna, membro della Camera dei Signori.
Parlando delle generazioni dei suoi connazionali, passate dinanzi a lui, vecchio insegnante dal 1866 in poi, egli diceva:
“Le prime generazioni di studenti, erano uscite da scuole i cui professori aveano studiato a Padova; le seconde furono istruite da professori che, se non avevano studiato in Italia, avevano però avuto a maestri, nelle scuole medie coloro che aveano studiato in Italia; le terze non avevano goduto nè direttamente nè indirettamente di tale vantaggio; peggio fu delle quarte e delle seguenti, sicchè ogni anno io ho potuto constatare un affievolimento graduale dell’impronta italiana ne’ nostri giovani, un imbarbarimento progressivo, ho avvertito il nascere di un carattere indeciso, amorfo, ibrido, non bene più italiano nè ancora tedesco e che so io. Mi sembra di diventare sempre più estraneo a questa gente che pure ho sempre riconosciuta come della mia nazione„.
Così il Mussafia.
La mancanza di un centro di cultura filosofica per gli italiani in Austria fa sì che i giovani che sentono inclinazione a questi studi si recano tutti nel Regno d’Italia e raramente ritornano. Si contano a centinaia e centinaia i trentini che insegnano nelle università e nelle scuole medie del Regno e tutto il mio paese soffre di questa emigrazione di intelligenze.
Nel progetto del Governo vedo in un paragrafo un accenno alla possibilità che presso alla Facoltà legale abbia a sorgere la filosofica:
“Agli studenti della facoltà è da offrirsi l’occasione di udire presso la facoltà stessa quelle lezioni che sono indicate nel § 4, III capoverso, lit. A. e B. della citata legge, e che dovrebbero frequentarsi presso la Facoltà filosofica„.
Ma a distrugger le speranze che si possono nutrire per questa sua disposizione sta il fatto che l’unica cattedra filosofica italiana esistente in Austria e precisamente all’Università di Innsbruck, coperta con tanto lustro dal prof. Farinelli, è stata lasciata vacante pur essendosi presentati al concorso ottimi professori. Noi chiediamo perciò il mantenimento e il trasporto di questa cattedra in seno alla Facoltà giuridica, ripromettendoci da essa il primo germe della Facoltà filosofica, cui dovrà seguire in un non lontano avvenire la Facoltà medica.
Intanto fino a che non avremo una completa Università reclamiamo il riconoscimento dei diplomi ottenuti negli atenei del Regno, ricordando come in proposito sia stato elaborato dal Ministero un progetto buttato poi, come al solito, nel dimenticatoio.
Il progetto del Governo contempla la sede della Facoltà a Vienna per quattro anni, senza fissare in quale delle città italiane la collocherà poi.
Ora la sede di Vienna non è accettabile. Vi si oppongono ragioni didattiche e politiche, se forse non è meglio dire più semplicemente che vi si oppone il senso comune.
Un’università non può vivere avulsa dal corpo della propria nazione.
Lo sviluppo di ogni manifestazione scientifica ed artistica dipende non tanto dalle scuole e dagli insegnamenti, quanto dall’atmosfera morale e intellettuale in cui si deve compiere.
Credere che si possa seriamente provvedere alla cultura di giovani italiani in un ambiente tedesco è come credere che si possa coltivare la palma sulle alpi o l’abete nel deserto.
La scienza ha un carattere universale, è vero; ma il genio nazionale è il fattore speciale che stabilisce il metodo ed i limiti entro i quali è possibile lo studio dei problemi scientifici.
E il nostro genio, la storia nostra, la nostra tradizione sono essenzialmente diversi da quelli dei popoli nordici.
Còmpito altamente civile e bello è quello di appropriarsi la cultura delle altre nazioni, ma a questo non si può arrivare — salvo rare eccezioni — se non dopo essersi plasmato una cultura ed un carattere con un’educazione nazionale.
Gli italiani colti stimano tutti la cultura ed apprezzano la lingua tedesca, ma altro è apprezzarla, altro è esser forzati ad apprenderla.
Occorre che fuori delle aule universitarie lo studente trovi modo di accostarsi alle molteplici altre fonti del sapere, occorre che possa attingere al gran libro della vita; occorre che non sia costretto, come succede ora agli studenti italiani in terre tedesche, ad isolarsi ed appartarsi.
Ma, prescindendo dalle ragioni didattiche, mentre si scatenano tante tempeste sciovinistiche, non è, semplicemente, onesto il proporre Vienna. È un voler accattar brighe. Sappiamo anche noi che alla grande massa della popolazione viennese poco importerà che duecento studenti italiani si trovino in casa propria nel III distretto, anzichè uniti ai tedeschi nel I distretto, perchè la grande massa non è stupida. Ma bastano quattro scalmanati sciovinisti per turbare le lezioni, per suscitare col loro contegno la reazione, e portar la guerra là dove solo si dovrebbe sentire la parola calma e serena della scienza.
E che di questi signori scalmanati ce ne siano oggi a Vienna, lo sappiamo anche vivendo solo in Parlamento.
Noi vi ricordiamo, o signori, che non fu possibile l’esistenza della Facoltà italiana ad Innsbruck, che fra italiani e tedeschi si ebbero gravi conflitti a Graz, che si arrivò alle revolverate a Vienna, che dovunque in questi luoghi ci son stati ferimenti a sangue. Si vuole che i conflitti si ripetano? O forse vuole il ministro della Giustizia dar occasione ai giudici di Vienna di dimostrare che pei futuri demolitori di una Facoltà italiana vi sarà un tipo di giustizia differente da quello che si applica in questi giorni contro i bambini che protestarono contro la carestia?
L’unica sede ammissibile per un’Università italiana è Trieste, giacchè come non si può parlare di città tedesca così non si può tener conto neppure delle piccole città italiane ove mancano i mezzi di cultura.
Trieste è l’unica città italiana che abbia dovizia di biblioteche, di musei, di società scientifiche, di istituzioni di cultura, di ospedali, ecc.
Trieste è in condizione di far germinare dalla nuova Università due nuove istituzioni: una Scuola superiore di commercio e Un’Accademia orientale.
A Trieste si recheranno volentieri, oltre ai seicento studenti italiani dell’Austria, molti stranieri e molti connazionali del Regno.
Trieste è città relativamente centrale per gli italiani, che ora recandosi a Vienna e a Graz devono compiere viaggi assai più lunghi.
Trieste infine, città marinara, potrà aggiungere all’importanza dei traffici la gloria della cultura, seguendo le orme di quello sviluppo che ebbero tutte le città marinare d’Italia.
Ragioni serie di contrarietà a Trieste non ci sono.
È puerile l’osservazione del Governo che a Trieste l’Università sarà focolare d’irredentismo. Codesti sono pretesti non so se più ridicoli o cattivi. È solo la testardaggine del Governo, è solo la sua insipienza che può far sorgere l’irredentismo.
D’altronde il Governo mostra ben poca fiducia in sè se crede compromessa la sicurezza dello Stato da un centro di cultura e di studio.
Gli sloveni sono del pari contro Trieste, perchè Trieste ha una minoranza slovena. E che vuol dir ciò? A questa stregua Vienna non dovrebbe avere un’Università tedesca, poichè ha una minoranza czeca.
C’è però chi (e chiudendo, il mio discorso devo dire una parola anche a costoro) non solo non vuole l’Università italiana a Trieste, ma non la vuole in qualsiasi parte dell’Austria.
Sono portavoce di questa idea quei deputati pangermanisti tirolesi, che, mentre costringono gli italiani a star nell’ibrido nesso provinciale, non tollerarono gli italiani nella loro Università e neppure nella Facoltà di Wilten e non vogliono dar loro quartiere in nessuna parte del mondo.
Io non ho sentito dal deputato a Innsbruck signor Erler dei ragionamenti. Ho sentito solo parole di brutale prepotenza ed offese.
Ci avete detto che noi non meritiamo un’Università perchè siamo solo 500 000. Vi sbagliate: noi siamo più di un milione.
Voi dite che non hanno l’Università nè i tedeschi d’Ungheria nè quelli di Russia e che perciò non dobbiamo averla neppur noi. Ebbene, se questi tedeschi devono vivere, per tristi circostanze, che qui non è il caso di analizzare, come schiavi in confronto dei russi e dei magiari, noi vi diciamo che noi italiani non vogliamo far la parte di schiavi, non vogliamo saperne dello knut. Vogliamo diritti eguali a quelli degli altri cittadini dell’Austria.
Voi ci rinfacciate le imposte maggiori che i tirolesi pagano in confronto dei trentini. Questa è la favola del lupo e dell’agnello. Siete voi che con la vostra amministrazione provinciale ci impedite ogni sviluppo di industria e di commercio ed è il Governo che vi dà man forte intralciando ogni grande industria sulla zona di confine. Per questo non paghiamo in via assoluta; ma in via relativa sul nostro povero suolo paghiamo quanto e forse più di voi. E quando si tratta poi dell’imposta sul sangue, non siamo certo risparmiati.
La vostra, signor Erler, è inaudita arroganza, quando in cambio di Un’Università volete darci un asilo infantile pei nostri analfabeti. Io ci tengo qui a dire per la difesa del popolo trentino che esso oggi non ha neppure il 4 per cento di analfabeti mentre in certi distretti avea il 30 per cento nel 1880 ed avverto il signor Erler che in tutta l’Austria invece la percentuale degli analfabeti è oggi del 32 per cento.
Se l’analfabetismo sta oggi scomparendo nel Trentino non è questo un merito del Governo o dell’amministrazione provinciale, ma il risultato dei sacrifici di un popolo e della sua decisa volontà a non arrestarsi sulla via del progresso.
Altra mirabolante ragione del signor Erler per non darci l’Università si è il fatto che il Regno d’Italia si è ben guernito di forti e cannoni al confine.
Ma anche l’Austria non ha fatto di meno.
E se voi, signor Erler, volete sapere chi fornisce al militarismo i maggiori pretesti agli armamenti che dissanguano il popolo, vi diremo che siete voi con la vostra politica sciovinistica e tutti quei vostri amici pantedeschi che farneticano nel loro cervello di far diventare Innsbruck la capitale della Lombardia. L’ultima ragione da voi addotta è quella della concorrenza. Voi non volete che gli italiani coprano posti d’impiegati, voi li vorreste ancora più esclusi di quel che sono adesso da tutti i posti elevati.
Ma con o senza il vostro permesso abbiamo diritto anche noi a vivere, signor Erler, ed avere in tutto e per tutto diritti eguali ai vostri nello Stato.
Se così non dovesse essere, noi vi diremo: Cacciateci via dall’Austria. E la sarà finita una buona volta!
Dep. Erler interrompendo: Desideriamo solo che siate buoni tirolesi.
Battisti: Jamais.
Io voglio sperare, miei signori, che ben pochi siano i tedeschi che accedono alle idee dei deputati pangermanisti del Tirolo. Voglio sperare che i tedeschi sappiano dimostrarsi degni figli di quella nazione che ha avuto sempre profondo amore per la civiltà italiana ed ha documentato questo suo affetto e la sua gratitudine nelle pagine dei suoi più grandi scrittori.
Tutti possono convincersi che l’Università italiana a Trieste non toglierà nulla, proprio nulla, alla grandezza della cultura tedesca, come pur troppo non riuscirà a diminuire la piccolezza di intelligenza e la grettezza d’animo di coloro che avversano il nostro postulato.
Io voglio sperare che i rappresentanti delle varie borghesie nazionali, si sentiranno scossi dall’esempio che viene da noi socialisti, che tutti ci troviamo d’accordo nel riconoscere per ogni nazione il diritto alla cultura.
Sono i rudi lavoratori, sono i rappresentanti di coloro che pur troppo non possono usufruire delle università, che qui a mezzo nostro lanciano la parola della giustizia e della pace nazionale.
Date dunque, se non volete che un’onta nuova pesi su questo Parlamento, date agli italiani dell’Austria l’Università a Trieste!
Adempirete ad un sacro dovere di giustizia verso di noi, verso la nazione a cui apparteniamo, verso la civiltà!
- ↑ Contro il volere del Ministero, su proposta del deputato italiano dott. Conci, nella seduta del 20 ottobre 1911 venne dal Parlamento austriaco deciso di porre al primo punto dell’ordine del giorno della prossima seduta il progetto di legge per l’erezione di una Facoltà legale in lingua italiana a Vienna. Alla discussione in prima lettura partecipò col discorso qui riportato il deputato di Trento. Il progetto venne passato ad una Commissione che lo approvò, dopo lunghe sedute ostruzionistiche, alla quasi unanimità, indicando però come sede della Facoltà Trieste. Avvenuto questo, il Governo con scuse e pretesti riuscì a dilazionare la pertrattazione in seconda e terza lettura, pertrattazione che non ebbe più luogo e che avrebbe dovuto esser coronata da pieno successo in favore degli italiani se i deputati dei vari partiti avessero votato in Parlamento in modo corrispondente al voto della Commissione. Per la storia della questione universitaria, che valse a richiamare sugli italiani dell’Austria e sulle loro misere condizioni l’attenzione non solo d’Italia, ma di tutto il mondo civile, sono da consultarsi l’inchiesta e lo studio di Scipio Sighele (Treves, 1907) e il lavoro di Ferdinando Pasini: L’università italiana a Trieste (Firenze, 1909).