Vite dei filosofi/Libro Ottavo/Vita di Pitagora

Libro Ottavo - Vita di Pitagora

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Ottavo - Vita di Pitagora
Libro Ottavo Libro Ottavo - Vita di Empedocle
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LIBRO OTTAVO




CAPO PRIMO.



I. Dopo che abbiamo discorso l’ionica filosofia, che derivò da Talete, e gli uomini che in essa furono degni di considerazione, or via trattiamo anche dell’italica, la quale incominciò da Pitagora di Mnesarco, intagliatore di anelli, samio, come dice Ermippo, o, come dice Aristosseno, tirreno, di un’isola; che, scacciati i Tirreni, occuparono gli Ateniesi. Taluno per altro afferma ch’era figlio di Marmaco di Ippaso di Eutifrone di Cleonimo, profugo in Fliunte, e che avendo Marmaco abitato in Samo, Pitagora ne fu appellato samio; che andò in Lesbo raccomandato a Ferecide da Zoilo suo zio; e che avendo fabbricato tre coppe d’argento, le portò a regalare in Egitto ad ognuno dei sacerdoti. — Ebbe fratelli, uno maggiore, Eunomo, un altro mezzano, Tirreno, e per ischiavo Zamolsi, al quale, secondo Erodoto, sagrificano i Geli, stimandolo Saturno. [p. 188 modifica]

II. Pitagora come è detto sopra, fu discepolo di Ferecide siro; e dopo la morte di questo andò a Samo e udì Ermodamante, nipote di Creofilo, già vecchio.

III. Essendo giovine e studioso, si abseatò dalla patria, e si iniziò a tutti i misteri ellenici e barbarici. Fu pertanto in Egitto, allorchè Policrate lo raccomandò per lettera ad Amasidi; e apparò quella lingua, come narra Antifo, nel libro Di coloro che primeggiarono nella virtù, e fu appo i Caldei ed i Magi. Dopo scese in Creta, con Epimenide, nell’antro ideo, ed anche in Egitto negli aditi, e s’instruì negli arcani dei numi. Quindi ritornò in Samo, e trovando la patria tiranneggiata da Policrate, fece vela per Crotone d’Italia; e quivi costituite leggi agli Italioti, divenne celebre co’ suoi discepoli, i quali essendo intorno a trecento, ottimamente amministrarono la repubblica, per modo che quel governo fu quasi un’aristocrazia (reggimento di ottimi).

IV. Scrive Eraclide pontico ch’egli di sè stesso queste cose narrava: come una volta fosse stato Etalide e lo si stimasse figlio di Mercurio; e Mercurio avessegli detto di scerre, dall’immortalità in fuori, ciò che gli potea essere in grado; quindi aver egli chiesto di serbare memoria, vivendo e morendo, delle cose che accadono; che però in vita di tutto s’avea ricordato, e la stessa memoria era per conservare quando e’ morisse; che poscia col tempo, passato in Euforbo, era stato ferito da Menelao; che Euforbo narrò, come una volta fosse stato Etalide, e come pel dono di Mercurio avesse conosciuto e il vagare intorno dell’anima, e per qual [p. 189 modifica]modo ella va intorno vagando, e in qualunque pianta e animale perviene, e ciò che l’anima patisce all’inferno e il resto di quanto ella sostiene; e che dopo la morte di Euforbo l’anima sua trapassò in Ermotimo, il quale, volendo di ciò pur esso dar prova, tornò a Brauchidi, ed entrato nel sacrato di Apollo, mostrò lo scudo appesovi da Menelao, dicendo che questi, quando rinavigò da Troja, appeso aveva in voto ad Apollo lo scudo già putrefatto; però soltanto rimanervi la maschera d’avorio; che in seguito, morto Ermotimo, era diventato Pirro, un pescatore delio; che ogni cosa passata ricordavasi, come prima era stato Etalide, poscia Euforbo, dopo Ermotimo, quindi Pirro; e che, morto Pirro, era diventato Pitagora; e che di tutte le cose dette aveva memoria.

V. Affermano alcuni nè uno scritto aver lasciato Pitagora; ma s’ingannano; poichè Eraclide il fisico, quasi mettendo un grido, dice: Pitagora di Mnesarco s’esercitò più ch’altr’uomo nella storia; e scegliendo tra gli scritti di quella, formò la propria sapienza, molta perizia e mal’arte. E così s’esprime costui, perchè Pitagora incominciò il suo trattato di fisica dicendo: No, per l’aria ch’io respiro; no, per l’acqua ch’io bevo, non comporterò il biasimo di questa scienza. — Tre opere scrisse Pitagora, Dell’educazione, Della politica, Della fisica; ma ciò che si reca come di Pitagora è di Liside, pitagorico tarentino, che fuggì a Tebe, e fu precettore di Epaminonda. Racconta Eraclide figlio di Serapione, ne’ Epitome di Sozione, ch’esso aveva scritto [p. 190 modifica]anche Sull’universo, in versi; secondo un discorso che incomincia:

     Queste cose onorate, o giovinetti,
     Tutte in silenzio.


— Terzo, Dell’anima — Quarto, Della pietà — Quinto, Elotale figlio di Epicarmo coo — Sesto, Crotone ed altro. — Il discorso mistico però affermano scritto da Ippaso in onta di Pitagora. Molte cose composte anche da Astone crotoniate si attribuiscono a Pitagora. Dice poi Aristosseno, Pitagora aver avuto dalla Temistoclea, sacerdotessa di Delfo, la maggior parte de’ suoi dommi morali. E Ione di Chio, ne’ Triagmi, racconta, lui, scrivendo alcuni poemi , averli attribuiti ad Orfeo. Si credono suoi anche gli Scopiadi, il principio dei quali è, Non essere impudente con alcuno.

VI. Narra Sosicrate, nelle Successioni, che interrogato da Leonte tiranno de’ Fliasii, chi egli fosse, Un filosofo, abbia risposto: e abbia paragonato la vita ad una sagra, alla quale vengono alcuni per disputare i premj, alcuni par trafficare, i migliori per esservi spettatori, dicendo parimente nella vita nascere alcuni mancipj della gloria e cacciatori del miglior utile, altri amanti la scienza del vero. E così queste cose; ma ne’ tre surriferiti opuscoli di Pitagora in generale si riportano queste: Non permette che si facciano preci per sè, perchè non conosciamo ciò ch’è utile. — L’ebrietà chiama, alla lettera, un’ignominia, e disapprova ogni eccesso, dicendo, non doversi passar modo nè colla bevanda nè col cibo. — E della venere dice così: Le cose veneree esser da farsi [p. 191 modifica]il verno, non la state; d’autunno e di primavera più lievi, ma gravi in tutte le stagioni e alla salute non buone. Anzi interrogato un giorno se qualche volta vi si poteva accostare, rispose: Quando vuoi far te stesso più fiacco.

VII. Divide in questo modo la vita dell’uomo: Il fanciullo vent’anni; il giovinetto venti; il giovine venti; il vecchio venti. Le età colle stagioni commisurate così: Fanciullo, primavera: giovinetto, estate; giovine autunno; vecchio, inverno. Il giovinetto è per lui giovine, il giovine uomo.

VIII. Primo, come afferma Timeo, disse le cose degli amici esser comuni, e l’amicizia un’equalità. E i suoi discepoli ponevano le sostanze in comune; e per cinque anni stavano in silenzio ascoltando ragionamenti, e non vedevano mai Pitagora finchè non fossero provati. Dopo diventavano di casa e partecipavano del suo cospetto. Non osavano bare di cipresso, come narra Ermippo, nel secondo Di Pitagora, per essere fatto di questo legno lo scettro di Giove.

IX. Raccontasi ch’egli era di sì venerando aspetto che i suoi discepoli avevano opinione ch’e’ fosse Apollo venuto dagli Iperborei; e narrano che una volta spogliandosi mostrò una coscia d’oro; e v’erano molti che affermavano che attraversando il fiume Nesso, da lui era stato chiamato.

X. Secondo Timeo, nel decimo Delle storie, egli disse, quelle che abitano cogli uomini, vergini, ninfe, aver nomi di dee, poscia chiamarsi madri.

XI. Egli aveva ben oltre condotta la geometria, [p. 192 modifica]essendo Meride, come afferma Anticli, nel secondo Di Alessandro, il primo che trovò i primi elementi di quella; e Pitagora aver atteso massimamente ad una specie di essa, l’aritmetica; e aver trovato la regola tratta dalla corda sola. Neppure la medicina e’ neglesse. — Dice Apollodoro il Calcolatore aver egli sacrificato un’ecatombe, perchè trovò che il lato dell’ipotenusa del triangolo rettangolo è eguale in valore a que’ che lo contengono. E v’ha un epigramma che sta così:

   Ecco la celeberrima figura
      Che rinvenne Pitagora , e per cui
      Fe’ di bovi solenne sagrificio.

XII. È fama ch’egli abbia il primo allevato colle carni gli atleti, e che primo, al dire di Favorino, nel primo De’ commentarj, fosse tra questi Eurinome; poichè per l’addietro, secondo lo stesso Favorino, nell’ottavo Della varia istoria, apparecchiavasi il corpo di essi con fichi secchi, e formaggi umidi, ed anche colle biade; ma altri crede avergli in siffatto modo nutriti un certo Pitagora untore d’atleti, non questo. Poichè questi vietava l’uccidere, non che il gustare, gli animali, che, avendo l’anima, hanno con noi un diritto comune. Ciò per altro era un pretesto; avend’egli veramente proibito di gustare animali per esercitare e assuefare gli uomini ad un vitto facile, onde avessero cibi comodi da procacciarsi, apprestati senza fuoco, e beessero semplice acqua, e quindi ne derivasse e salubrità di corpo e acutezza di spirito. E per verità solamente in Delo e’ si [p. 193 modifica]prostrava all’ara d’Apollo genitore, ch’è dietro la cornea, perchè frumento e orzo e non altro che focacce si collocavano sopra di quella, senza fuoco, e, al dire di Aristotele, nella Repubblica de’ Delii, senza nessuna vittima. E primo, credono, aver egli affermato che l’anima passando per un circolo di necessità, in diversi tempi ad altri animali si leghi.

XIII. E, come afferma il musico Aristosseno, primo tra Greci aver introdotto le misure ed i pesi.

XIV. E primo aver chiamato Espero e Fosforo la medesima cosa. — Altri crede Parmenide.

XV. Fu egli oggetto di tanta ammirazione, che i suoi famigliari asserivano lui possedere la voce di dio; ed esso stesso narra ne’ suoi scritti che dopo dugento e sett’anni era venuto dall’altro mondo tra gli uomini. Il perchè lo seguivano costantemente, e andavano a visitarlo a cagione delle sue dottrine e Lucani e Picenti e Messapi e Romani. Sino a Filolao non eravi chi conoscesse i dommi pitagorici. Costui solo divulgò i famosi tre libri, i quali Platone scrisse che gli fossero comperati per cento mine. Non erano poi meno di seicento que’ che di notte andavano ad udirlo. Che se taluno era fatto degno di vederlo, ne scriveva a’ suoi amici, come avesse ottenuto qualche cosa di grande. I Metapontini chiamavano la di lui casa sacrato di Cerere, e la stradetta, come narra Favorino, nelle Varie istorie, luogo dedicato alle Muse. Gli altri Pitagorici, secondo Aristosseno, nel decimo Delle leggi per l’educazione, credevano che non ogni cosa fosse da palesare a tutti, ed ivi si racconta pure, che interrogato il [p. 194 modifica]pitagorico Senofilo come potrebbe educare meglio un figlio, rispose, se fosse nato in una città ben governata. — Molti altri e’ fece, per l’Italia, onorati e virtuosi, e Zaleuco e Caronda i legislatori.

XVI. Era Pitagora dell’amicizia abile cultore, sopra tutto quando sapea che taluno fosse unito seco per comunanza di simboli.

XVII. E simboli suoi erano questi: Non rimuovere il fuoco colla spada. — Non passare sopra la bilancia. — Non seder sulla chenice. — Non mangiare il cuore. — Non concorrer a toglier il peso, ma ad accrescerlo. — Fa di aver sempre legate le coltrici. — Non portare attorno l’immagine di dio nell’anello. — Scancella nella cenere le tracce della pentola.Non pulirti il sedere con una teda. — Non far acqua rivolto al sole. — Non andare per la via frequentata. — Non tendere facilmente la destra. — Non aver comune il tetto colle rondini. — Non allevare uccelli dall’unghia adunca. — Non pisciare nè posarti su’ ritagli dell’unghie e sui capelli tagliati. — Evita la spada acuta. — Viaggiando non volgerti indietro a guardare i confini. — Col non rimuovere il fuoco colla spada intendeva esso che non si movesse lo sdegno e la tumid’ira dei potenti. Col non passare sopra la bilancia, che l’equo, cioè, ed il giusto non si oltrepassasse. Col non sedere sulla chenice, che s’ha a prendere cura eguale del presente e del futuro, poichè una chenice è il nutrimento di un giorno. Per mezzo del non mangiare il cuore significava di non macerarsi l’anima con angosce e dolori, e per quello che viaggiando non s’ha a volgersi indietro per guardare esortava [p. 195 modifica]coloro che sono per uscir di vita a non desiderare di vivere, nè a lasciarsi condurre alle voluttà di qui. E pel resto, s’interpretino l’altre da queste, senza che noi andiamo per le lunghe.

XVIII. Sopra tutto proibiva che si mangiasse erutino e melanuro; e comandava di astenersi dal cuore e dalle fave. Aristotele dice anche dalla matrice e dalle triglie talvolta. In quanto a sè, dicono alcuni, stava contento di solo miele, o favo, o pane: vino non gustava fra il giorno. A companatico, per lo più, camangiari bolliti e crudi; rado cose marine. Il suo vestito era bianco e netto, bianche e di lana le coperte, poichè le robe di lino non ancora erano giunte in que’ luoghi. Niuno s’accorse mai ch’egli, nè vuotasse il ventre, nè usasse la venere, nè s’ubbriacasse. Astenevasi dalla derisione e da ogni piacenteria, al pari che da ogni molto pungente e da’ racconti importuni; e irato, non punì mai nè schiavi, nè liberi. Ammonire chiamava cicognizzare (pascere a mo’ cicogna). Usava la divinazione che fassi per presagi ed augurj, non mai quella che per arsioni, eccettuato che col mezzo dell’incenso. Ne’ sagrificj si serviva di cose inanimate: altri affermano che di galli soltanto e di capretti lattanti, che diconsi teneri, ma non di agnelli; Aristosseno per altro, che e’ permetteva si mangiassero tutti gli altri animali, e soltanto era solito astenersi dal bue aratore e dal montone.

XIX. Scrive lo stesso, come è detto prima, aver Pitagora ricevuti i suoi dommi dalla Temistoclea, sacerdotessa di Delfo. E si racconta da Ieronimo esser [p. 196 modifica]egli disceso all’inferno e aver veduto l’anima di Esiodo incatenata ad una colonna di bronzo e stridente, e quella di Omero appesa ad un albero con serpi all’intorno, per le cose che avevano dette circa gli dei; ed ivi anche punirsi coloro che non vogliono stare colle proprie mogli. Però a cagione di questo essere onorato da Crotoniati. Aristippo cireneo, nel libro Dei fisiologi, afferma ch’e’ fu chiamato Pitagora per aver predicata la verità non meno del Pitio. — E fama che raccomandasse ognora a’ discepoli di dire queste parole entrando in casa:

     Donde passai? Che fei? Che cosa ommisi?


Vietava che si offerissero a’ numi vittime scannate e adorava solo are non insanguinate. — Nessuno giurasse per gli dei; quindi essere debito mostrare se stesso fededegno. — Si onorassero i maggiori, stimando più onorevole ciò che va innanzi per tempo; siccome, nel mondo, il levante più del ponente; nel vivere, il principio più del fine; nella vita, il nascimento più della corruzione; e più doversi onorare i numi dei dèmoni; gli eroi più degli uomini; degli uomini i genitori massimamente.E che è mestieri conversare gli uni cogli altri per modo di non fare nemici gli amici, ma amici i nemici. — Nulla stimare come proprio. — Soccorrere alle leggi; combattere la licenza. — Non far perire o danneggiare l’albero domestico; e neppure l’animale che non nuoce agli uomini. — Il pudore e la modestia consistere nel non durare troppo nel riso e nel non fare il burbero. — [p. 197 modifica]Fuggire l’eccesso della pinguedine. — Ne’ viaggi riposarsi e sforzarsi. — Esercitare la memoria. — Nell’ira nè parlare nè fare. — Non onorare ogni divinazione. — Usare canzoni sulla lira, e coll’inno rendere debitamente grazie agli dei ed agli uomini virtuosi. — Proibiva di mangiar fave, perchè essendo piene di vento, più s’accostano a ciò ch’è animato (e d’altra parte, non usandone, i ventri operano più regolarmente); e per ciò anco ne’ sogni si effettuano visioni lievi e placide. — Alessandro, nelle Successioni dei filosofi, dice di aver rinvenuto ne’ commentarj de’ Pitagorici anche queste cose: Principio di tutto essere l’unità; da essa la dualità infinita, come materia soggetta a quella unità ch’è cagione; e dalla unità e dalla dualità infinita i numeri; dai numeri i punti, da questi le linee, dalle linee le figure piane, e dalle figure piane le solide, e da queste i corpi sensibili, gli elementi dei quali essere quattro, fuoco, acqua, terra, aria; e tramutarsi e volgersi per tutto, e da essi generarsi il mondo animato, intelligente, simile ad una sfera, avente nel mezzo la terra, sferica anch’essa e all’intorno abitata; ed esservi gli antipodi, a cui ciò che per noi è sotto per essi è sopra; ed in egual misura trovarsi nel mondo luce e tenebre, caldo e freddo, secco ed umido; dei quali, prevalendo il caldo, nascere la state; il freddo, l’inverno; il secco, la primavera; l’umido, l’autunno. Se sono in parti eguali, bellissimi essere i tempi dell’anno; di cui salubre la primavera, che verdeggia, malsano l’autunno, che appassisce. Anche del giorno verdeggiare l’aurora, appassire la sera, quindi essere più malsana. L’aria che è intorno alla [p. 198 modifica]terra immobile e malsana, e tutto ch’è in essa mortale; ma l’altissima sempre in moto, e pura e sana; e il sole e la luna e le altre stelle essere iddii, poichè in essi predomina il calore, il quale è cagione di vita: e la luna risplendere pel sole; ed esistere affinità tra gli uomini e gli dei, per essere l’uomo partecipe del calore; e però dio providente verso di noi; e il destino essere cagione del governo e dell’universo e delle singule parti; i raggi che provengono dal sole penetrare a traverso l’etere freddo e denso. Chiamano l’aria etere freddo, e il mare e l’umidità etere denso. E que’ raggi immergersi ne’ profondi, e perciò vivificare ogni cosa; e vivere quante cose partecipano del calore, onde anche le piante essere animali; per altro tutte non avere un’anima; ed essere l’anima una parte staccata dall’etere caldo e freddo, perchè compartecipe dell’etere freddo; e differire l’anima dalla vita; e quella essere immortale, avvegnachè ciò da cui fu staccata è immortale; e gli animali generarsi gli uni dagli altri da semi; ma inabile a sussistere ciò che dalla terra si genera; essere il seme stilla cadente dal cervello, avente in sè un vapor caldo; e, portata questa nella matrice, essere dal cervello prodotto l’icore, l’acqua e il sangue, dei quali consistono e carni, e nervi, e ossa, e peli, e tutto il corpo; e dal vapore l’anima e i sensi. Formarsi il primo rappigliamento in quaranta giorni, e, secondo le ragioni armoniche, in sette o nove o dieci mesi al più compito, essere partorito l’infante; ed avere in sè tutti i principii della vita, i quali contiene uniti insieme secondo le ragioni armoniche, ciascuno a’ tempi stabiliti sviluppandosi successivamente. I [p. 199 modifica]sensi in generale, ma specialmente la vista, essere un vapore assai caldo; e per questo, dice, vedersi da noi traverso l’aria e traverso l’acqua, resistendo al freddo il calore. Poichè se il vapor degli occhi fosse freddo, struggerebbesi contro un’aria che il fosse del pari. Ora, in qualche luogo, chiama gli occhi porte del sole. Sì fatta dottrina insegna anche circa l’udito e gli altri sensi. — Triplicemente dividersi l’anima dell’uomo, in mente, ragione, animo: mente ed animo essere anco negli altri animali, ragione soltanto nell’uomo. Il principato dell’anima stendersi dal cuore sino al cervello; e la parte di essa ch’è nel cuore essere l’animo, la ragioue e la mente quella che nel cervello, e stille cadenti da questo i sensi; la parte ragionevole, immortale; le altre, mortali. L’anima essere nutrita dal sangue; e le ragioni dell’anima, venti; e dessa e le ragioni, invisibili, dacchè invisibile è anche l’etere. Essere legami dell’anima le vene, le arterie ed i nervi; ma fatta ch’ella sia vigorosa e quieta in balìa di sè, diventare suoi legioni i ragionamenti e le opere. — Gettata sulla terra, vagare per l’aria a guisa di corpo. Mercurio essere il custode delle anime, e per ciò chiamato conduttore e preside a’ commerci di quelle, e terreno, portando via le anime dai corpi dalla terra e dal mare, e conducendo le pure in luoghi altissimi; ma le impure nè a queste accostare, nè le une all’altre, per essere dalle erinni legate con nodi infrangibili. Tutta l’aria essere piena di anime, e queste considerarsi di démoni e d’eroi, e da queste mandarsi agli uomini i sogni ed i segni del male e della salute, ed agli uomini non solo, ma eziandio a’ quadrupedi ed all’altre [p. 200 modifica]bestie, e per essi farsi e purificazioni ed espiazioni e presagj e simili. — Delle cose che esistono negli uomini chiamò principalissima l’anima, conduca essa al bene od al male; e felici gli uomini ch’ebbero in sorte un’anima buona; essa per altro nè mai essere tranquilla, nè mai dominata da uno stesso pensiero. Il giusto essere quello per cui si giura, e però giurarsi per Giove. Essere un’armonia e la virtù e la salute e ogni bene e dio; e quindi ogni cosa consistere d’armonia; e l’amicizia essere un’eguaglianza armoniosa. Stimare che gli dei e gli eroi non debbansi onorare a uno stesso modo, ma i numi sempre con lodi e vestir bianco, e col serbarsi puri; gli eroi da mezzo dì. Ottenersi la purità per mezzo di espiazioni e lavacri e aspersioni, e coll’essere incontaminati da’ funerali, da’ concubiti e da’ immondezze d’ogni maniera, e coll’astenersi da carni rose e morticine, e da triglie e da melanuri, e dalle uova e dagli animali che nascono dalle uova, e dalle fave e dal resto che vietano anche quelli che celebrano le purificazioni ne’ sacrati. — Dice Aristotele, nel libro Delle fave, aver egli ordinato di astenersi da esse, sia perchè sono simili alle pudende, o alle porte dell’Averno, non essendo geniculate; sia perchè corrompono, o perchè sono simili alla natura dell’universo, o perchè oligarchiche: certo si dà con esse il voto. — Non doversi raccogliere ciò che cade dalla mensa, per non avvezzarsi intemperante del cibo, o per lasciarlo a qualche morto. — Aristofane per altro afferma essere degli eroi ciò che cade, dicendo negli Eroi:

     Non gustar quel che cade nel banchetto.

[p. 201 modifica]— Non doversi mangiare gallo bianco, perchè sacro al Mese e supplice; ed essere tra le cose buone; e sacro al Mese per lo indicare l’ora. — Astenersi da qualunque pesce sacro, poichè le stesse cose non sono ordinate per gli dei e per gli uomini, siccome nè pure pei liberi e per gli schiavi. — Il bianco della natura del bene, e il nero del male. — Non doversi dividere il pane, poichè gli amici antichi convenivano insieme, siccome ancora i barbari de’ nostri giorni, nè s’ha a dividere ciò che quelli assembrava. Altri riferisce questo ai giudizj dell’altro mondo; altri al far timore in guerra; altri perchè da questo ebbe principio l’universo. — E delle figure solide più bella essere la sfera, delle piane il circolo. — La vecchiezza e tutto che diminuisce, simili; stessa cosa, l’accrescimento e la gioventù. — Salute il continuo durare della forma; malattia il guastarsi di questa. — Circa i sali, doversi porre sulle mense per commemorazione della giustizia; poichè i sali conservano tutto ciò che li riceve, e sono prodotti da acque purissime e dal mare. — Sì fatte cose afferma di aver trovato Alessandro ne’ Commentarj pitagorici, le aggiunte a queste, Aristotele.

XX. La gravità di Pitagora, quantunque per morderlo, non dimenticò, ne’ Silli, anche Timone, dicendo così:

                      — Pitagora
     Affezionalo alle dottrine magiche,
     Parlator grave per far caccia d'uomini.

[p. 202 modifica]Circa all’essere egli stato un’altra volta un altro, fa testimonianza Senofane in un’elegia che incomincia:

     Or verrò ad altro e mostrerò la via.


Ciò che dice di lui sta così:

     Narrano che una volta un passeggiero
     Un cuccio maltrattando, e’ n’abbia messo
     Compassionevol lagno, e sì dicesse:
     Cessa, no’l bastonar, chè un amico,
     Nell’udirlo gridar, l’alma conobbi.


Così Senofane. — Anche Cratino lo morde, nella Pitagorizzante; ed eziandio, ne’ Tarentini, dice in questo modo:

     Han per uso costor, se un ignorante
     Mai da prender ci capita, di fare
     Prova quant’abbia forza il suo discorso;
     Di vessarlo, imbrogliarlo colle loro
     Conchiusioni, obbiezioni, paragoni,
     Grandezze, errori, pieni di buon senso.


E Mnesarco, nell’Alcmeone:

     Come i Pitagorei sagrifichiamo
     Ad Apolline, affatto non mangiando
     Cosa animata.

Aristofane, nella Pitagorista: [p. 203 modifica]

                          — e disse,
     Quando scese degli inferi al soggiorno,
     Che avea veduto ognuno, e che dagli altri
     Differivano molto i Pitagorici;
     Perchè soli costor, per la pietade
     Verso i numi, dicea, pranzan con Pluto.
  B. Facile chiami il dio se gode starsi
     Con chi di sudiciume è pieno tutto.


E ivi stesso ancora:

     Mangian erbe e vi beon sopra dell’acqua;
     Ma i pidocchi e il mantello e la sporcizia
     Nessuno dei più giovani comporta.

XXI. Morì Pitagora in questo modo. Tenendo egli una sessione co’ suoi compagni soliti, in casa di Milone, alcuni ch’e’ non istimò degni d’esservi accolti, per invidia, posero fuoco alla casa. — Altri crede che ciò facessero i Crotoniati per timore di un disegno di tirannide: e che Pitagora, sorpreso che fuggiva e che giunto presso un campo pieno di fave, quivi si era fermato, dicendo: Piuttosto morire che calpestare; meglio perire che parlare, vi fosse, da chi seguivalo, sgozzato; e così anche si trucidasse il più de’ suoi amici, che erano presso ai quaranta, e pochissimi ne fuggissero, tra’ quali Archippo talentino e Lisia, di cui sopra si disse. Dicearco racconta che fuggito Pitagora nel sacrario delle Muse, in Metaponto, ivi perì, dopo di essere rimasto senza cibo quaranta giorni. Ma narra Eraclide, nell’Epitome della [p. 204 modifica]vita di Satiro, che dopo di aver sepolto Ferecide in Delo, ritornò in Italia, e trovatavi la mensa di Milone crotoniate piena d’ogni lautezza, si recò a Metaponto, ed ivi finì la vita d’inedia, non volendo altro campare. Ermippo dice che guerreggiando Agrigentini e Siracusani, vi andò Pitagora co’ soliti compagni e si unì agli Agrigentini; ch’essi volti in fuga, girando egli attorno ad un campo di fave, fu ucciso dai Siracusani; che gli altri, ch’erano circa trenta cinque, furono bruciati in Taranto, perche volevano governare la repubblica in opposizione a chi v’era preposto. — Un’altra cosa narra di Pitagora Ermippo. Dice pertanto che venuto in Italia, si fece una casetta sotterra, e ordinò a sua madre di scrivere su di una tavoletta ciò che accadea di notabile e il tempo, e di mandargliene fin che uscisse di là; e che ciò la madre avea fatto. Che, dopo del tempo, Pitagora, uscitone magro e disseccato, e recatosi ad un’adunanza di popolo, avea raccontato come fosse giunto, dall’inferno, specificando tosto ad ognuno le cose accadute; che a sì fatte narrazioni tutti commossi, erano dati in lagrime ed in omei; e che avevano creduto Pitagora qualche cosa di divino, a segno di confidargli le proprie donne, acciocchè apparassero alcuna delle sue dottrine; e che queste furono chiamate Pitagoriche. — Così Ermippo.

XXII. Pitagora aveva anche una moglie per nome Teano, figlia di Brontino crotoniate. Altri dice ch’era moglie di Brontino, ma discepola di Pitagora. Egli aveva una figlia, Damo, siccome afferma Lisia, in un’epistola ad Ipparco, così esprimendosi sul proposito di Pitagora: [p. 205 modifica]Dicesi che tu pubblicamente filosofeggi; la qual cosa sdegnò di fare Pitagora, che consegnando a sua figlia Damo i suoi commentarj, le ingiunse di non affidarli a nessuno fuori di casa. Ed essa potendoli dare per molto prezzo, non volle a patto, stimando che fosse di maggior valore la povertà che non l’oro. — Anche Telauge era suo figlio, il quale surrogò il padre e, secondo alcuni, fu precettore di Empedocle. Ippoboto certo afferma che Empedocle dicesse:

     Di Teano e Pitagora, Telauge
     Inclito giovinetto.

Non vanno attorno opere di Telauge, ma di sua madre Teano alcune; ed anche si narra che interrogata dopo quanti giorni una donna fosse pura dall’uomo, rispose: Dal suo all’istante, dall’estraneo mai. Ed esortava quella ch’era per accostarsi al proprio marito a deporre insieme colle vesti anche la modestia, e sorgendone, a riprenderla di nuovo insieme con esse. Interrogata, qual modestia? rispose: Quella per cui sono appellata donna.

XXIII. Pitagora dunque, come dice Eraclide di Serapione, morì secondo il proprio modo di segnare le età, di ottant’anni: ma come dicono i più, il nonagesim’anno di vita. — Sono nostri i versi scherzosi su di lui che stanno così:

   Dalle cose animate non astieni
      Già tu solo, o Pitagora, le mani;
      Perchè, chi mai cose animate gusta?

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     Ma quante volte una cosa sia stata
     Salata, lessa ed arrostita, allora
     La mangiamo senz’anima anche noi!


Altro:

   Fu, Pitagora, tale un sapiente
      Da non toccare a carni e d’affermare
      Ch’era peccato, e poi nutrirne altrui.
      Ammiro il sapiente! Esso insegnava
      Di non essere ingiusti, e il fu cogli altri.


Anche un altro:

   Se v’ha talun che riconoscer voglia
      La mente di Pitagora, contempli
      Dello scudo d’Euforbo l’ombelico;
      Perch’e’ dice: Quest’uomo io prima fui,
      E, ripete, quant’io non era, certo
      Era desso, non era quant’io era.


E un altro come morì:

   Ahi, ahi, perchè Pitagora cotanta
      Ebbe venerazione per le fave?
      Che misto a’ suoi discepoli moria.
      V’era un campo di fave; e perchè queste
      Calpestate non fossero, in un trivio
      Fu dagli Agrigentini trucidato.

XXIV. Fiorì nell’Olimpiade sessagesima, e la sua [p. 207 modifica]scuola si mantenne quasi nove o dieci generazioni; poichè gli ultimi Pitagorici, i quali vide anche Aristosseno, furono Senofilo da Calcide, in Tracia, Fanto fliasio, Echecrate, Diocle, Polinnesto fliasio e lui. Furono suoi discepoli Filolao ed Eurito, fra Tarentini.

XXV. V’ebbero, quasi allo stesso tempo, quattro Pitagora, non molto lontani l’uno dall’altro. Un Crotoniate, uomo tirannesco. — Un altro fliasio, maestro d’esercizj corporei (untore, come dicono alcuni). — Terzo, un da Zacinto. — Quarto, quest’esso, al quale si attribuiscono gli Arcani della filosofia, (maestro di quelli); e da cui venne in uso il proverbiale Ei lo ha detto. — Alcuni affermano esservi stato anche un altro Pitagora, da Regio, statuario, che pare fosse il primo ad osservare le proporzioni e l’accordo. — Ed un altro, statuario da Samo. — Ed un altro, cattivo retore. — E un altro, medico, che scrisse i libri sulla squilla, e compose alcun che intorno ad Omero. — E un altro, come racconta Dionisio, scrittore delle cose doriche. Eratostene, secondo che è citato da Favorino, nell’ottavo Della varia istoria, dice essere questo il primo che, chiomato e vestito di porpora, combattè con arte al pugilato, intorno l’Olimpiade quarantesima ottava; e che, escluso da’ fanciulli e posto in canzone, fu tosto ammesso fra gli uomini, e li vinse. Ciò spiega anche l’epigramma composto da Teetete:

   Forestier, se un Pitagora conosci,
      Un Pitagora samio, capelluto,
      Celebrato pugile, io son quel desso.

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      Che se dell’opre mie chiedi a un Eleo
      Dirai ch’e’ narra incredibili cose.

Costui, scrive Favorino, si servi di definizioni tratte dalla materia matematica; più spesso, per altro, Socrate e i suoi seguaci, e in seguito Aristotele e gli Stoici. Primo appellò mondo (κόσμον) il cielo, e rotonda la terra, siccome afferma Teofrasto di Parmenide, e Zenone di Esiodo. Si dice che fu suo antagonista Cilone, come di Socrate Antidico. — Su Pitagora atleta si leggeva anche questo epigramma:

   Uscendo impube de’ fanciulli, venne
      Alle gare d’Olimpia questo samio
      Pitagora, figliuolo di Crateo.

XXV. Il filosofo scrisse anche questa lettera:

pitagora ad anassimene.

„E tu pure, o ottimo, se per famiglia e per gloria di nulla fossi superiore a Pitagora, saresti partito da Mileto onde cambiar paese. Ora ti rattiene la paterna celebrità, che me pure riterrebbe se fossi simile ad Anassimene. Se voi che siete uomini utili abbandonate le città, tolto è l’ornamento di esse, e maggiore si fa per loro il pericolo de’ Medi. Nè bello è ognora l’astrologare, e più bello è l’aver cura della patria. Nè io tutto mi do alle deputazioni, ma sì alle guerre che in diversi luoghi fannosi gli Italioti fra loro.“. [p. 209 modifica]

E da che ci siamo intrattenuti di Pitagora egli è mestieri parlare dei celebri Pitagorici; dopo dei quali diremo di coloro che sparsamente si riferiscono da taluni. In seguito di questi riattaccheremo la successione di que’ che sono degni di memoria, sino ad Epicuro, come sopra si disse. Già di Teano e di Telauge abbiamo parlato; or s’ha a discorrere di Empedocle il primo, perchè, al dire di alcuni, fu uditore di Pitagora.

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