Vita (Alfieri, 1804)/Epoca III./Cap. III.

Cap. III. Proseguimento dei viaggi. Prima mia avarìzia

../Cap. II. ../Cap. IV. IncludiIntestazione 19 febbraio 2022 75% Da definire

Cap. III. Proseguimento dei viaggi. Prima mia avarìzia
Epoca III. - Cap. II. Epoca III. - Cap. IV.
[p. 118 modifica]

CAPITOLO TERZO.

Proseguimento dei viaggi. Prima mia avarizia.


Giunto in Roma, previo il mio fidato Elia, azzeccai a piè delle scalere della Trinità de’ Monti un grazioso quartierino molto gajo e pulito, che mi racconsolò della sudiceria di Napoli. Stessa dissipazione, stessa noja, stessa malinconia, stessa smania di rimettermi in viaggio. E il peggio era, stessissima ignoranza delle cose le più svergognanti chi le ignora; e maggiore ogni giorno l’insensibilità per le tante belle e grandiose cose di cui Roma ridonda; limitandomi a quattro e cinque delle principali [p. 119 modifica]che sempre ritornava a vedere. Ogni giorno 1767 poi capitando dal Conte di Rivera Ministro di Sardegna, degnissimo vecchio, il quale ancorchè sordo non mi veniva pur punto a noja, e mi dava degli ottimi e luminosi consigli; mi accadde un giorno che si trovò da lui su una tavola un bellissimo Virgilio in folio, aperto spalancato al sesto dell’Eneide. Quel buon vecchio vedendomi entrare, accennatomi d’accostarmi, cominciò ad intuonare con entusiasmo quei bellissimi versi per Marcello cosi rinomati e saputi da tutti. Ma io, che quasi più punto non gli intendeva, benchè gli avessi e spiegati e tradotti e saputi a memoria circa sei anni prima, mi vergognai sommamente e me ne accorai per tal modo, che per più giorni mi ruminai il mio obbrobrio in me stesso, e non capitai più dal Conte. Con tutto ciò la ruggine sovra il mio intelletto si andava incrostando sì densa, e tale di giorno in giorno sempre più diveniva, che assai più tagliente scalpello ci volea che un passeggero rincrescimento, a volernela estirpare. Onde passò quella sacrosanta vergogna senza lasciare in me orma nessuna per allora, e non lessi altrimenti nè Virgilio, nè alcun altro buon libro in nessuna lingua, per degli anni parecchi. [p. 120 modifica]

1767 In questa mia seconda dimora in Roma fui introdotto al Papa, effe era allora Clemente XIII, bel vecchio, e di una veneranda maestà; la quale, aggiunta alla magnificenza locale del palazzo di Montecavallo, fece sì che non mi cagionò punto ribrezzo la solita prosternazione e il bacio del piede, benchè io avessi letta la Storia Ecclesiastica, e sapessi il giusto valore di quel piede.

Per mezzo poi del predetto Conte di Rivera, io intavolai e riuscii il mio terzo raggiro presso la Corte paterna di Torino, per ottenere la permissione di un secondo anno di viaggi in cui destinava di vedere la Francia, l’Inghilterra, e l’Olanda; nomi che mi suonavano maraviglia e diletto nella mia giovinezza inesperta. E anche questo terzo raggiretto mi riuscì; onde, ottenuto quell’anno più, per tutto il 1768 in circa io mi trovava in piena libertà e certezza di poter correre il mondo. Ma nacque allora una piccola difficoltà, la quale mi contristò lungamente. Il mio Curatore, col quale non si era mai entrato in conti, e che non mi avea mai fatto vedere in chiaro con esattezza quello ch’io m’avessi d’entrata; dandomi parole diverse ed ambigue, ed ora accordandomi danari, ora no; mi scrisse in quell’occasione [p. 121 modifica]dell’ottenuta permissione, che pel second’anno 1767 mi avrebbe somministrata una credenziale di 1500 zecchini, non me ne avendo dati che soli 1200 pel primo viaggio. Questa sua intimazione mi sbigottì assai, senza però scoraggirmi. Udendo io sempre mentovare la gran carezza dei paesi oltramontani, mi riusciva assai dura cosa di dovermivi trovare sprovvisto, e di esservi costretto a far delle triste figure. Per altra parte poi, io non mi arrischiava di scrivere di buon inchiostro allo stitico Curatore, perchè a quel modo l’avrei subito avuto contrario; e m’avrebbe intuonato la parola Re, la quale in Torino nei più interni affari domestici si suole sempre intrudere, fra il ceto dei nobili; e gli sarebbe stato facilissimo di divolgarmi per discolo e scialacquatore, e di farmi come tale richiamar subito in patria. Non feci dunque nessuna querela col Curatore, ma presi in me la risoluzione di risparmiare quanti più danari potrei in quel primo viaggio dai 1200 zecchini già assegnatimi, per così accrescere quanto più potrei ai 1500 da esigersi, e che mi pareano scarsissimi per un anno di viaggi oltramontani. In questo modo io per la prima volta, da un giusto e piuttosto largo spendere, ristrettomi alla meschinità, provai un doloroso accesso di [p. 122 modifica] 1767 sordida avarizia. Ed andò questa tant’oltre, che non solo non andava più a visitare nessuna delle curiosità di Roma per non dare le mancie, ma anche al mio fidato e diletto Elia, procrastinandolo d’un giorno in un altro, io venni a negargli i danari del suo salario e vitto, a segno ch’egli mi si protestò ch’io lo sforzerei a rubarmeli per campare. Allora, di mal animo, glie li diedi.

Rimpicciolito così di mente e di cuore, partii verso i primi di Maggio alla volta di Venezia; e la mia meschinità mi fece prendere il vetturino, ancorchè io abborrissi quel passo mulare: ma pure il divario tra la posta e la vettura essendo sì grande, io mi vi sottoposi, e mi avviai bestemmiando. Io lasciava nel Calesse Elia col servitore, e me n’andava cavalcando un umile ronzino, che ad ogni terzo passo inciampava; onde io faceva quasi tutta la strada a piedi, conteggiando così sottovoce e su le dita della mano quanto mi costerebbero quei dieci o dodici giorni di viaggio; quanto, un mese di soggiorno in Venezia; quanto sarebbe il risparmio all’uscir d’Italia; e quanto questa cosa, e quanto quell’altra; e mi logorava il cuore e il cervello in cotali sudicerie.

Il Vetturino era patteggiato da me sino a [p. 123 modifica]Bologna per la via di Loreto; ma giunto con 1767 tanta noja e strettezza d’animo in Loreto, non potei più star saldo all’avarizia e alla mula, e non volli più continuare di quel mortifero passo. E qui la nascente gelata avarizia rimase vinta e sbeffata dalla bollente indole e dalla giovanile insofferenza. Onde, fatto a dirittura un grosso sbilancio, sborsai al vetturino quasi che tutto il pattuito importare di tutto il viaggio di Roma a Bologna, e piantatolo in Loreto, me ne partii per le poste tutto riavutomi; e l’avarizia diventò d’allora in poi un giusto ordine, ma senza spilorceria.

Bologna non mi piacque nulla più, anzi meno al ritorno che non mi fosse piaciuta all’andare; Loreto non mi compunse di divozione nessuna; e non sospirando altro che Venezia, della quale avea udito tante maraviglie già fin da ragazzo, dopo un solo giorno di stazione in Bologna proseguii per Ferrara, Passai anche questa città senza pur ricordarmi, ch’ella era la patria e la tomba di quel divino Ariosto di cui pure avea letto in parte il poema con infinito piacere, e i di cui versi erano stati i primi primissimi che mi fossero capitati alle mani. Ma il mio povero intelletto dormiva allora di un sordidissimo sonno, e ogni [p. 124 modifica] 1767 giorno più s’inrugginiva quanto alle lettere. Vero è però, che quanto alla scienza del mondo e degli uomini, io andava acquistando non poco ogni giorno senza avvedermene, stante la gran quantità di continui e diversi quadri morali che mi venivan visti e osservati giornalmente.

Al ponte di Lagoscuro m’imbarcai su la barca Corriera di Venezia; e mi vi trovai in compagnia d’alcune ballerine di teatro, di cui una era bellissima; ma questo non mi alleggerì punto la noja di quell’imbarcazione, che durò due giorni e una notte, sino a Chiozza, atteso che codeste ninfe faceano le Susanne, e che io non ho mai tollerato la simulata virtù.

Ed eccomi finalmente in Venezia. Nei primi giorni l’inusitata località mi riempi di maraviglia e diletto; e me ne piacque perfino il gergo, forse perchè dalle Commedie del Goldoni ne avea sin da ragazzo contratta una certa assuefazione d’orecchio; ed in fatti quel dialetto è grazioso, e manca soltanto di maestà. La folla dei forestieri, la quantità dei teatri, ed i molti divertimenti e feste che, oltre le solite farsi per ogni fiera dell’Ascensa, si davano in quell’anno a contemplazione del Duca di Wirtemberg, e tra l’altre la sontuosa regata, mi [p. 125 modifica]
fecero trattenere in Venezia sino a mezzo Giùgno 1767, ma non mi tennero perciò divertito. La solita malinconia, la noja, é l’insofferenza dello stare, ricominciavano a danni i loro aspri morsi tosto che la novità degli oggetti trovavasi ammorzata. Passai piò giorni in Venezia solissimo senza uscir di casa, e senza pure far nulla che stare alla finestra, di dove andava facendo dei segnuzzi, e qualche breve dialoghetto con una Signorina che mi abitava di faccia; e il rimanente del giorno lunghissimo, me lo passava o dormicchiando, 0 ruminando non saprei che, o il piò spesso anche piangendo, nè so di che; senza mai trovar pace, nè investigare nè dubitarmi pure della cagione che me la intorbidava o toglieva. Molti anni dopo, osservandomi un poco meglio, mi convinsi poi che questo era in me un accesso periodico d’ogni anno nella primavera, alle volte in Aprile, alle volte anche sino a tutto Giugno; e piò o meno durevole e da me sentito, secondo che il cuore e la mente si combinavano essere allora piò o meno vuoti ed oziosi. Nell’istesso modo ho osservato poi, paragonando il mio intelletto ad un eccellente barometro, che io mi trovava avere ingegno e capacità al comporre piò 0 meno, secondo il piò 0 men peso dell’aria; ed [p. 126 modifica] 1767una totale stupidità nei gran venti solstiziali ed equinoziali; ed una infinitamente minore perspicacità la sera che la mattina; e assai più fantasia, entusiasmo, e attitudine all’inventare nel sommo inverno e nella somma state che non nelle stagioni di mezzo. Questa mia materialità, che credo pure in gran parte essere comune un po’ più un po’ meno a tutti gli uomini di fibra sottile, mi ha poi col tempo scemato e annullato ogni orgoglio del poco bene ch’io forse andava alle volte operando, come anche mi ha in gran parte diminuito la vergogna del tanto più male che avrò certamente fatto, e massime nell’arte mia; essendomi pienamente convinto che non era quasi in me il potere in quei dati tempi fare altrimenti.