Vita (Alfieri, 1804)/Epoca III./Cap. II.

Cap. II. Continuazione dei viaggi. Liberatomi anche dall’Ajo

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Cap. II. Continuazione dei viaggi. Liberatomi anche dall’Ajo
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CAPITOLO SECONDO.

Continuazione dei viaggi, liberatomi anche dell’Ajo.


Incalzavaci frattanto l’imminente inverno; e più ancora incalzava io il tardissimo Ajo, perchè si partisse per Napoli, dove s’era fatto disegno di soggiornare per tutto il Carnevale. Partimmo dunque coi vetturini, sì perchè allora le strade di Roma a Napoli non erano quasi praticabili, sì per via del mio cameriere Elia, che a Radicofani essendo caduto sotto il cavallo di posta si era rotto un braccio, e ricoverato poi nella nostra carrozza avea moltissimo patito negli strabalzi di essa, venendo così fino a Roma. Molto coraggio e presenza di spirito e vera fortezza d’animo avea mostrato [p. 112 modifica]
1766 costui in codesto accidente; poiché rialzatosi da se,ripreso il rpnzino per le redini, si avviò soletto a piedi sino a Radicofani distante ancora piò d’un miglio. Quivi, fatto cercare un Chirurgo, mentre lo stava aspettando si fece sparare la manica delTabito, e visitandosi il braccio da se, trovatolo rotto, si fece tenere ben saldamente la mano di esso stendendolo quanto piò poteva, e coll’altra che era la man dritta se lo riattò si perfettamente, che il Chirurgo, giunto quasi nel tempo stesso che noi sopraggiungevamo con la carrozza, lo trovò rassettato a guisa d’arte in maniera che senza piò altrimenti toccarlo, subito lo fasciò, e in meno d’un’ora noi ripartimmo, collocando il ferito in carrozza, il quale pure con viso baldo e fortissimo pativa non poco. Giunti ad Acquapendente si trovò rotto il timone della carrozza; del che trovandoci noi tutti impicciatissimi, cioè noi tre ragazzi, il vecchio Ajo, e gli ’ altri quattro stolidi servitori, quel solo Elia col braccio al collo, tre ore dopo la rottura, era piò in moto, e piò efficacemente di noi tutti adopravasi per risarcire il timone; e così bene diresse quella provvisoria rappezzatura, che in meno di du’altre ore si riparti, e l’infermo timone ci strascinò senz’altro accidente poi sino a Roma. [p. 113 modifica]Io mi son compiaciuto d’individuare questo 1766 fatto episodico, come tratto caratteristico di un uomo di molto coraggio «gran presenza di spirito, molto piò che al suo umile stato non parea convenirsi. Ed in nessuna cosa mi compiaccio maggiormente, che nel lodare ed ammirare quelle semplici virtò di temperamento, che ci debbono pur tanto far piangere sovra i pessimi governi, che le trascurano, 0 le temono e le soffocano.

Si arrivò dunque a Napoli la seconda festa del Natale, con un tempo quasi di primavera. L’entrata da Capo di china per gii Studj e Toledo, mi presentò quella città in aspetto della piò lieta e popolosa ch’io avessi veduta mai fin allora, e mi rimarrà sempre presente. Non fu poi Io stesso, quando mi toccò di albergare in una bettolaccia posta nel piò bujo e sozzo chiassuolo della città: il che fu di necessità, perchè ogni pulito albergo ritrovavasi pieno zeppo di forestieri. Ma questa contrarietà mi amareggiò assai quel soggiorno, stante che in me la località lieta o no della casa, ha sempre avuto una irresistibile influenza sul mio puerilissimo cervello, sino alla piò innoltrata età.

In pochi giorni per mezzo del nostro 1767 [p. 114 modifica]
1767 Ministro fui introdotto in parecchie case; e il Carnovale, si per gli spettacoli pubblici, che per le molte private feste e varietà d’oziosi divertimenti, mi riusciva brillante e piacevole piò, ch’altro mai ch’io avessi veduto in Torino. Con tutto ciò in mezzo a quei nuovi e continui tumulti, libero interamente di me, con bastanti danari, d’età diciott’anni, ed una figura avvenente, io ritrovava per tutto la sazietà, la noja, il dolore. Il mio piò vivo piacere era la musica burletta del Teatro nuovo; ma sempre pure quei suoni, ancorché dilettevoli, lasciavano nell’animo mio una lunghissima romba di malinconia; «mi si venivano Costando a centinaja le idee le piò funeste e lugubri, nelle quali mi compiaceva non poco, e me le andava poi ruminando soletto alle sonanti spiagge di Ghiaja e di ’ Portici. Con parecchi giovani Signori Napoletani avea fatto conoscenza, amicizia con niuno: la mia natura ritrosa anzi che no mi inibiva di ricercare; e, portandone la viva impronta sul viso, ella inibiva agli altri di ricercar me. Cosi delle donne, alle quali per natura era moltissimo inclinato, non mi piacendo se non le modeste, io non piaceva pure che alle spie sfacciate: il che mi facea rimaner sempre col cuor vuoto. Oltre ciò, l’ [p. 115 modifica]
ardentissima voglia ch’io sempre nutriva in me di viaggiare 1767 oltre i monti, mi facea sfuggire di allacciarmi in nessuna catena d’amore; e così in quel primo viaggio uscii salvo da ogni rete. Tutto il giorno io correva in quei divertentissimi calessetti a veder le cose piò lontane; e non per vederle, che di nulla avea curiosità 0 di nessuna intendeva, ma per fare la strada, che dell’andare non mi saziava mai, ma immediatamente mi addolorava lo stare.

Introdotto a Corte, benché quel Re, Ferdinando IV, fosse allora in età di quindici, o sedici anni, gli trovai pure una total somiglianza di contegno con i tre altri Sovrani ch’io avea veduti fin allora; ed erano il mio ottimo Re Carlo Emanuele, vecchione; il Duca di Modena, Governatore in Milano; e il GranDuca di Toscana Leopoldo, giovanissimo anch’egli. Onde intesi.benissimo fin da quel punto, che i Principi tutti non aveano fra loro che un solo viso, e che le corti tutte non erano che una sola anticamera. In codesto mio soggiorno di Napoli intavolai il mio secondo raggiro per mezzo del nostro Ministro d‘. Sardegna, per ottenere dalla Corte di Torino la permissione di lasciare il mio Ajo, e di continuare il mio viaggio da ie. Benché noi [p. 116 modifica] 1767 giovanotti vivessimo in perfetta armonia, e che l’Ajo non più a me che ad essi cagionasse il minimo fastidio, tuttavia siccome per le gite da una all’altra città bisognava pure combinarci per muovere insieme, e siccome quel vecchio era sempre irresoluto, mutabile, e indugiatore, quella dipendenza mi urtava. Convenne dunque ch’io mi piegassi a pregare il Ministro di scrivere in mio favore a Torino, e di testimoniare della mia buona condotta e della intera capacità mia di regolarmi da me stesso, e di viaggiar solo. La cosa mi riuscì con mia somma soddisfazione, e ne contrassi molta gratitudine col Ministro, il quale avendomi preso anche a ben volere, fu il primo che mi mettesse in capo ch’io dovrei tirarmi innanzi a studiar la politica per entrare nell’aringo diplomatico. La cosa mi piacque assai; e mi parve allora, che quella fosse di tutte le servitù la men serva; e ci rivolsi il pensiero, senza però studiar nulla mai. Limitando il mio desiderio in me stesso, non l’esternai con chi che sia, e mi contentai di tenere frattanto una condotta regolare e decente per tutto, superiore forse alla mia età. Ma in questo mi serviva la natura mia assai più ancora che il volere; essendo lo stato sempre grave di costumi e di modi, (senza [p. 117 modifica]impostura però) ed ordinato direi,nello stesso 1767 disordine; ed avendo quasi sempre errato sapendolo.

Io viveva frattanto in tutto e per tutto ignoto a me stesso; non mi credendo vera capacità per nessuna cosa al mondo; non avendo nessunissimo impulso deciso, altro che alla continua malinconia; non ritrovando mai pace nè requie, e non sapendo pur mai quello che io mi desiderassi. Obbedendo ciecamente alla natura mia, con tutto ciò io non la conosceva nè studiava per niente; e soltanto molti anni dopo mi avvidi, che la mia infelicità proveniva soltanto dal bisogno, anzi necessità ch’era in me di avere ad un tempo stesso il cuore occupato da un degno amore, e la mente da un qualche nobile lavoro; e ogni qual volta l’una delle due cose mi mancò, io rimasi incapace dell’altra, e sazio e infastidito e oltre ogni dire angustiato.

Frattanto, per mettere in uso la mia nuova indipendenza totale, appena finito il Carnovale volli assolutamente partirmene solo per Roma, atteso che il vecchio dicendo di aspettar lettere di Fiandra, non fissava nessun tempo per la partenza dei suoi pupilli. Io, impaziente di lasciar Napoli, di rivedere Roma; [p. 118 modifica] 1767o, per dir vero, impazientissimo di ritrovarmi solo e signore di me in una strada maestra, lontano trecento e più miglia dalla mia prigione natía; non volli differire altrimenti, e abbandonai i compagni: ed in ciò feci bene, perchè in fatti poi essi stettero tutto l’Aprile in Napoli, e non furono perciò più in tempo per ritrovarsi all’Ascensione in Venezia, cosa che a me premeva allora moltissimo.