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EPOCA TERZA. CAP. III. 119

che sempre ritornava a vedere. Ogni giorno [1767] poi capitando dal Conte di Rivera Ministro di Sardegna, degnissimo vecchio, il quale ancorchè sordo non mi veniva pur punto a noja, e mi dava degli ottimi e luminosi consigli; mi accadde un giorno che si trovò da lui su una tavola un bellissimo Virgilio in folio, aperto spalancato al sesto dell’Eneide. Quel buon vecchio vedendomi entrare, accennatomi d’accostarmi, cominciò ad intuonare con entusiasmo quei bellissimi versi per Marcello cosi rinomati e saputi da tutti. Ma io, che quasi più punto non gli intendeva, benchè gli avessi e spiegati e tradotti e saputi a memoria circa sei anni prima, mi vergognai sommamente e me ne accorai per tal modo, che per più giorni mi ruminai il mio obbrobrio in me stesso, e non capitai più dal Conte. Con tutto ciò la ruggine sovra il mio intelletto si andava incrostando sì densa, e tale di giorno in giorno sempre più diveniva, che assai più tagliente scalpello ci volea che un passeggero rincrescimento, a volernela estirpare. Onde passò quella sacrosanta vergogna senza lasciare in me orma nessuna per allora, e non lessi altrimenti nè Virgilio, nè alcun altro buon libro in nessuna lingua, per degli anni parecchi.