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122 | VITA DI VITTORIO ALFIERI |
[1767] sordida avarizia. Ed andò questa tant’oltre, che non solo non andava più a visitare nessuna delle curiosità di Roma per non dare le mancie, ma anche al mio fidato e diletto Elia, procrastinandolo d’un giorno in un altro, io venni a negargli i danari del suo salario e vitto, a segno ch’egli mi si protestò ch’io lo sforzerei a rubarmeli per campare. Allora, di mal animo, glie li diedi.
Rimpicciolito così di mente e di cuore, partii verso i primi di Maggio alla volta di Venezia; e la mia meschinità mi fece prendere il vetturino, ancorchè io abborrissi quel passo mulare: ma pure il divario tra la posta e la vettura essendo sì grande, io mi vi sottoposi, e mi avviai bestemmiando. Io lasciava nel Calesse Elia col servitore, e me n’andava cavalcando un umile ronzino, che ad ogni terzo passo inciampava; onde io faceva quasi tutta la strada a piedi, conteggiando così sottovoce e su le dita della mano quanto mi costerebbero quei dieci o dodici giorni di viaggio; quanto, un mese di soggiorno in Venezia; quanto sarebbe il risparmio all’uscir d’Italia; e quanto questa cosa, e quanto quell’altra; e mi logorava il cuore e il cervello in cotali sudicerie.
Il Vetturino era patteggiato da me sino a