Che blancheggiavan fuor dalle feconde
Vene in piombar fra sterpi e sassi, e quindi 45Nere scorrean fra l’ombreggiate sponde.
Io mossi in pria su i sentier larghi, ed indi
Li cangiai spesso, e li ripresi, e poi, 48Ignaro s’io fra i Mauri errassi, o gl’Indi,
Seguii, qual Uom, che in suo cammin s’annoi,
E vigor perda, e cerchi invan la meta, 51E alla sorte abbandoni i passi suoi.
Alfin spirar m’avvidi aura più lieta
Presso ad un fiume, che nel sen cingea 54Un monticel con limpid’onda e cheta.
L’argin nudrìa un alloro, in cui piovea
Quanto ha il ciel di rugiada ampio tesauro, 57E tai nel ceppo incisi carmi avea:
In questa, ove or di ricche merci e d’auro
Splendon Città famose, Ercinia selva 60Sacro a Teresa Augusta è il più bel lauro:
Non lo profani mai pastor, nè belva,
Nè rechi oltraggio alle felici foglie 63Chiunque esce dal bosco, o si rinselva.
Le scolte note, espresso in cui s’accoglie
L’aspro, ombrifero suol, ch’unqua non scorsi, 66Paghe ne’ dubbj lor fér le mie voglie,
Che dal vetusto nome esser m’accorsi
Nelle Boeme piagge, e ne’ sonanti 69Di ferro ostil campi, e selvosi dorsi.
Già sorgea chiara all’atra notte avanti
L’Esperia stella, e a me il vicin periglio 72Per le fiere pingea nel bosco erranti;
Tal che dal mio timor preso consiglio,
La riviera tentai con lieve barca, 75Ch’ivi lasciò l’altrui fato, o l’esiglio.