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nona 167

Che blancheggiavan fuor dalle feconde
     Vene in piombar fra sterpi e sassi, e quindi
     45Nere scorrean fra l’ombreggiate sponde.
Io mossi in pria su i sentier larghi, ed indi
     Li cangiai spesso, e li ripresi, e poi,
     48Ignaro s’io fra i Mauri errassi, o gl’Indi,
Seguii, qual Uom, che in suo cammin s’annoi,
     E vigor perda, e cerchi invan la meta,
     51E alla sorte abbandoni i passi suoi.
Alfin spirar m’avvidi aura più lieta
     Presso ad un fiume, che nel sen cingea
     54Un monticel con limpid’onda e cheta.
L’argin nudrìa un alloro, in cui piovea
     Quanto ha il ciel di rugiada ampio tesauro,
     57E tai nel ceppo incisi carmi avea:
In questa, ove or di ricche merci e d’auro
     Splendon Città famose, Ercinia selva
     60Sacro a Teresa Augusta è il più bel lauro:
Non lo profani mai pastor, nè belva,
     Nè rechi oltraggio alle felici foglie
     63Chiunque esce dal bosco, o si rinselva.
Le scolte note, espresso in cui s’accoglie
     L’aspro, ombrifero suol, ch’unqua non scorsi,
     66Paghe ne’ dubbj lor fér le mie voglie,
Che dal vetusto nome esser m’accorsi
     Nelle Boeme piagge, e ne’ sonanti
     69Di ferro ostil campi, e selvosi dorsi.
Già sorgea chiara all’atra notte avanti
     L’Esperia stella, e a me il vicin periglio
     72Per le fiere pingea nel bosco erranti;
Tal che dal mio timor preso consiglio,
     La riviera tentai con lieve barca,
     75Ch’ivi lasciò l’altrui fato, o l’esiglio.