Una vendita di vite all'incanto
![]() |
Questo testo è completo. | ![]() |
Traduzione dal greco
di Luigi Settembrini (1862)
Antichità
- Giove.
- Tu, disponi gli scanni e prepara il luogo agli avventori: tu presenterai ad una ad una le vite che abbiamo a vendere; ma ripuliscile prima, affinchè abbiano buona apparenza ed attirino gente assai. E tu, o Mercurio, fa' il bando, e chiama col buono augurio i compratori ad entrare in bottega. Per ora metteremo all'incanto queste vite qui, questi filosofi d'ogni specie e d'ogni setta. Chi non ha contanti da sborsare subito, darà mallevadoria, e pagherà l'anno venturo.
- Mercurio.
- È già venuta la folla: bisogna sbrigarci, e non indugiarla.
Giove. Dunque vendiamo.
- Mercurio.
- Chi vuoi che esponiamo prima?
- Giove.
- Quel Giono dai lunghi capelli, che m'ha un venerabile aspetto.
- Mercurio.
- Ehi tu, o Pitagora, vieni innanzi, e fatti vedere da questa gente.
- Giove.
- Da' il bando.
- Mercurio.
- Io vendo la vita ottima, la vita santa: chi la compera? chi vuol essere più che uomo? chi vuol conoscere l'armonia dell'universo, e dopo che è morto risuscitare?
- Compratore.
- Non m'ha cattiva cera: che sa bene egli?
- Mercurio.
- Aritmetica, astronomia, magia, geometria, musica, furfanteria: tu vedi un valentissimo strologo.
- Compratore.
- È lecito d'interrogarlo?
- Mercurio.
- Interrogalo pure.
- Compratore.
- Donde se' tu?
- Pitagora.
- Di Samo.
- Compratore.
- E dove imparasti?
- Pitagora.
- In Egitto, da quei sapienti.
- Compratore.
- Orbè, s'io ti compero, che cosa m'insegnerai?
- Pitagora.
- Niente t'insegnerò, ma ti farò ricordare.
- Compratore.
- Come mi farai ricordare?
- Pitagora.
- Rendendoti pura l'anima, e mondandola d'ogni sozzura.
- Compratore.
- Fa conto ch'io sia già puro, come io mi ricorderò?
- Pitagora.
- Primamente con un silenzio lungo, col non aprir bocca nè formare parola per cinque anni interi.
- Compratore.
- Va' ad ammaestrare il figliuolo di Creso: ch'io voglio chiacchierare, io, e non essere statua. E dopo quel silenzio, e quei cinque anni?
- Pitagora.
- Ti eserciterai nella musica e nella geometria.
- Compratore.
- Tu canzoni: ei bisogna prima diventar citarista, e poi sapiente?
- Pitagora.
- Dopo di queste saprai l'aritmetica.
- Compratore.
- Io la so ora l'aritmetica.
- Pitagora.
- E come conti?
- Compratore.
- Uno, due, tre, quattro.
- Pitagora.
- Vedi? quel che a te par quattro è dieci, il triangolo perfetto, il nostro giuramento.1
- Compratore.
- Egli è un gran giuramento per quattro! io non ho udito mai discorsi più divini e più sacri.
- Pitagora.
- Dipoi, o forestiero, tu saprai che cosa sono la terra, l'aria, l'acqua, ed il fuoco; e che forma hanno, e come si muovono.
- Compratore.
- Han forma il fuoco, l'aria, e l'acqua?
- Pitagora.
- E molto visibile: perchè senza forma e senza figura non avrebbero la qualità di muoversi. Ed appresso di questo conoscerai che la Divinità è un numero ed un'armonia.
- Compratore.
- Tu mi dici cose mirabili.
- Pitagora.
- E dopo di queste tu saprai che tu stesso che sembri uno, tu altro sembri, ed altro sei.
- Compratore.
- Che dici? io sono un altro? io non parlo io ora con te?
- Pitagora.
- Ora se' tu: ma una volta tu comparisti in altro corpo e con altro nome: e col tempo di nuovo ti muterai in altro.
- Compratore.
- Vuoi tu dire che io sarò immortale cangiando parecchie forme? Ma basti di questo, veniamo al tuo modo di vivere, qual'è?
- Pitagora.
- Io non mangio alcun cibo animale: gli altri sì, eccetto le fave.
- Compratore.
- E perchè? forse hai a schifo le fave?
- Pitagora.
- No: ma le sono sacre, ed hanno mirabile natura. Primamente esse sono il gran generatore: e se sgusci una fava fresca, vedrai che l'ha una figura simile ai genitali dell'uomo. Se le fai bollire, e poi le lasci alla luna per certo numero di notti, ne farai sangue. Ma la ragione maggiore è, che gli Ateniesi sogliono con le fave eleggere i loro magistrati.
- Compratore.
- Che belle cose m'hai dette, che riposta dottrina! Ma spògliati: chè ti vo' vedere anche nudo. O Ercole! egli ha una coscia d'oro. Costui pare un dio, non un mortale: vo' comperarlo senz'altro. Che prezzo gli hai messo?
- Mercurio.
- Dieci mine.2
- Compratore.
- Lo compero io: ei ci vale.
- Giove.
- Scrivi il nome del compratore, e donde è.
- Mercurio.
- Parmi, o Giove, che sia un Italiano, di quelli di Crotone, di Taranto, di quella Grecia lì. E non è solo, son quasi trecento che l'han comperato in comune.
- Giove.
- Se lo conducano via. Esponiamo un altro.
- Mercurio.
- Vuoi quel tutto lordo, quello del Ponto?
- Giove.
- Sì, lui.
- Mercurio.
- O tu che porti la bisaccia, e la tunica senza maniche, vieni, e gira un po' intorno all'adunanza. Vendo una vita maschia, una vita ottima e coraggiosa, una vita libera: chi la compera?
- Compratore.
- O banditore, che dici? tu vendi un libero?
- Mercurio.
- Io sì.
- Compratore.
- E non temi che ti accusi di venderlo come schiavo, e ti citi innanzi l'Areopago?
- Mercurio.
- Non gl'importa niente d'esser venduto: perchè crede che in ogni modo egli è libero.
- Compratore.
- E che si potria fare di uno così sozzo e misero e lacero? appena fargli zappar la terra o portare acqua.
- Mercurio.
- Potria fare anche il portinaio, assai più fedelmente dei cani. Sta' certo: egli ha tutto del cane, anche il nome.3
- Compratore.
- Di che paese egli è? e che dice di sapere?
- Mercurio.
- Dimandane lui; chè è meglio così.
- Compratore.
- Quella cera scura e severa mi fa temere che s'io me gli avvicino, non abbai e non mi morda. Vedi come solleva il bastone, aggrotta le sopracciglia, e guarda in torto e minaccioso?
- Mercurio.
- Non temere: è cane domestico.
- Compratore.
- Dimmi prima, o dabben uomo, di che paese tu se'?
- Diogene.
- D'ogni paese.
- Compratore.
- Che intendi dire?
- Diogene.
- Che son cittadino del mondo.
- Compratore.
- Di chi sei seguace?
- Diogene.
- D'Ercole.
- Compratore.
- E perchè non vesti anche la pelle del leone? La clava l'hai come lui.
- Diogene.
- Questo mantello è per me pelle di lione. Come Ercole fo guerra ai piaceri; e non per comando, come lui, ma da me, ho preso l'uffizio di purgare la vita umana.
- Compratore.
- Bell'uffizio: ma che sai particolarmente? che arte hai?
- Diogene.
- Io sono il liberatore degli uomini, il medico delle loro passioni: in somma io sono il profeta della verità e della franchezza.
- Compratore.
- Orbè, o profeta: e se io ti compero, in che modo tu mi ammaestrerai?
- Diogene.
- Se io ti prendo a discepolo, ti svesto della mollezza, ti chiudo nella povertà, e in questo mantello. Ti obbligherò a faticare, stancarti, dormire a terra, bere acqua, nutrirti d'ogni cibo a caso. Se avrai ricchezze, e vorrai ascoltar me, le getterai in mare. Di moglie, di figliuoli, di patria non ti darai un pensiero, saran niente per te: e lasciando la casa paterna, abiterai un sepolcro, una torre abbandonata, o anche una botte. Porterai la bisaccia piena di lupini e di scartafacci zeppi di scrittura: e in questo arnese dirai d'esser più felice del gran re. Se ti frustano o ti collano dirai che non è dolore.
- Compratore.
- Che dici? le frustate non fan dolore? io non ho la pelle come il guscio della testuggine o del granchio.
- Diogene.
- Seguirai la massima di Euripide, con leggiero mutamento.
- Compratore.
- Qual massima?
- Diogene.
- Il cuore soffre, sì; la lingua dice, no.4 Le qualità che devi avere, son queste: esser sfrontato ed arrogante, insultar tutti egualmente, senza aver rispetto a re o a privati: e così tutti ti ammireranno e ti terranno per coraggioso. Devi avere un parlare barbaro, una voce stridente come un cane, un viso arcigno, un andare strano, ogni cosa della bestia selvaggia: nè pudore, nè dolcezza, nè moderazione, nè punto di rossore in faccia. Va' nei luoghi più frequentati, e quivi rimanti solo, disdegna tutti, fuggi l'amicizia e l'ospitalità, che manderebbero in rovina quel tuo regno. Fa' in pubblico quello che altri arrossirebbe di fare in privato, le più ridicole e sozze lascivie. Infine, quando te ne viene la voglia, muori mangiando un polpo crudo o una seppia.5 Questa è la felicità che io ti prometto.
- Compratore.
- Va' via, son cose sozze e da bestia.
- Diogene.
- Ma sono facili, e tutti possono metterle in pratica: non hai bisogno d'ammaestramenti, di discorsi, e di altre sciocchezze, ma così per una scorciatoia giungi alla gloria. E se anche sei un dappoco, un ciabattino, un salumaio, un fabbro, un gabelliere, tu diventerai un uom d'assai se ti mostri audace ed impudente, e sai insultare bravamente.
- Compratore.
- Va', non ho bisogno di te: ma forse potresti fare il navalestro, o talvolta l'ortolano. Se ti voglion rilasciare al più per due oboli....
- Mercurio.
- Prendilo: ce ne sbrigherem con piacere: costui strilla, insulta, sermoneggia, mette scompiglio in tutti, ed ha il fistolo in corpo.
- Giove.
- Chiama un altro, quel di Cirene, quell'ornato di porpora e di corone.
- Mercurio.
- Zitti, attenti tutti: questo è fior di roba, e ci vuole un ricco a comperarlo. Questa è vita dolcissima, è vita beatissima. Chi desidera la delicatezza? chi compera tutte le morbidezze?
- Compratore.
- Fàtti qui, e dimmi che sai fare, chè ti compererò io, se sei da qualche cosa.
- Mercurio.
- Non molestarlo, o buon uomo, non dimandarlo: è ubbriaco, e non ti risponderebbe, chè, come vedi, la lingua gli casca fuori.
- Compratore.
- E qual uomo di senno vorria comperare uno schiavo sì fradicio e rotto? come odora d'unguenti! come balena, e tentenna su le gambe. Dimmi tu, o Mercurio, l'abilità sua, ed in che è versato.
- Mercurio.
- È buon compagnone, trincatore valente, balla a suon di flauto nei conviti; e varria tant'oro per un padrone perduto d'amori e di lascivie: e poi sa la scienza dei savori e delle delicature, l'arte di fare i dolci migliori, ed è il più compiuto maestro delle voluttà. Allevato in Atene, fu servo de' tiranni in Sicilia, ai quali piacque assai. Il principio della sua setta è sprezzare tutto, godere di tutto, raccoglier la voluttà da ogni cosa.
- Compratore.
- Adocchia qualcuno di questi ricchi e sfarzosi, chè non fa per me comperare una vita voluttuosa.
- Mercurio.
- Pare, o Giove, che costui non abbia compratori, e rimane a noi.
- Giove.
- Menalo dentro, e fa che esca un altro: no, è meglio quei due, quel baione di Abdera, e quel piagnone d'Efeso. Gli voglio vendere a paio.
Mercurio. Venite in mezzo tuttaddue. Vendo un paio di vite inestimabili, un paio di sapienti perfetti.
- Compratore.
- O Giove! che contrasto! Questi non finisce di ridere, e quegli par che pianga qualcuno. Oh, ei piange davvero. E tu, che vuol dir questo? Perchè ridi?
- Democrito.
- Mel dimandi? perchè mi par tutto ridicolo, le opere vostre, e voi stessi.
- Compratore.
- Come dici? Ti ridi di tutti noi, e tieni per niente le opere nostre?
- Democrito.
- Così è: non c'è niente di serio in esse: tutto è vuoto, concorso di atomi, immensità.
- Compratore.
- Vuoto se' tu, e immensamente sciocco. Oh, mi dài la baia, e non cessi di ridere? E tu perchè piangi, o caro? Credo che con te potrò parlare.
- Eraclito.
- O forestiero, io credo che tutte le cose umane sono triste e deplorabili, e tutte sono soggette alla morte: però sento pietà di voi, e piango. Il presente non mi par bello; il futuro mi scuora assai, e vi dico che il mondo anderà in fiamme ed in rovine. Io piango che niente è stabile, tutto si rimescola e si confonde: il piacere diventa dispiacere; la scienza, ignoranza; la grandezza, piccolezza; tutto va sossopra, e gira, e cangia nel giuoco del secolo.6
- Compratore.
- E che cosa è il secolo?
- Eraclito.
- Un fanciullo che scherza, che giuoca a dama, che va all'impazzata.
- Compratore.
- E che cosa son gli uomini?
- Eraclito.
- Dei mortali.
- Compratore.
- E gli Dei?
- Eraclito.
- Uomini immortali.
- Compratore.
- Tu parli con enigmi ed indovinelli: pari l'oracolo, t'abbindoli, e non dici niente.
- Eraclito.
- I' non mi curo di voi.
- Compratore.
- E nessun uomo di senno ti compererà.
- Eraclito.
- Ed io vi dico, piangete tutti come fanciulli, compratori e non compratori.
- Compratore.
- Questo poveretto è pazzo malinconico. Per me non vo' comperare nè l'uno nè l'altro.
- Mercurio.
- Ed anche questi rimangono a noi.
- Giove.
- Mettine al bando un altro.
- Mercurio.
- Vuoi quell'ateniese, quel ciarliero?
- Giove.
- Quello sì.
- Mercurio.
- Vieni qua tu. Noi mettiamo al bando una vita buona e sennata: chi compera questo santo?
- Compratore.
- Dimmi, che conosci tu specialmente?
- Socrate.
- Io sono amatore di giovanetti, e dottissimo nell'arte di amare.
- Compratore.
- E come io ti compererò? Io avrei bisogno d'un precettore per un mio figliuolo, che è bel giovanetto.
- Socrate.
- Io sarei il caso per un bel giovanetto. I' non amo la bellezza del corpo, ma quella dell'anima. Non temere: nessuno di quelli che giacciono meco sotto lo stesso coltrone ti direbbe cosa disonesta di me.
- Compratore.
- Pare incredibile: tu che ami i giovani, non ti curi più in là dell'anima loro: e li hai in tua balía, e sotto lo stesso coltrone.
- Socrate.
- Oh, te lo giuro pel cane e pel platano: così è.
- Compratore.
- Per Ercole! che nuova razza di Dei.
- Socrate.
- Che dici tu? E non tieni per dio il cane? E non sai che dio è Anubi agli Egiziani? e Sirio in cielo, e Cerbero in inferno?
- Compratore.
- Hai ragione: ho sbagliato io. Ma in che modo tu vivi?
- Socrate.
- Abito una città che m'ho fabbricata io stesso, dove serbo usanze nuove, e vivo secondo leggi fatte da me.
- Compratore.
- Vorrei saper una di coteste leggi.
- Socrate.
- Eccoti la principale ch'io ho fatta intorno alle donne: nessuna è di nessuno particolare, ma di chiunque vorrà mescolarsi con lei.
- Compratore.
- Che diamine dici? abolir le leggi sull'adulterio?
- Socrate.
- Sì, per Giove: e tutte le inezie di simil fatta.
- Compratore.
- E dei giovanetti?
- Socrate.
- Anch'essi con un loro bacio daranno premio agli uomini più chiari e più valorosi.
- Compratore.
- Cappita, che premio! Ma quale è il punto principale della tua sapienza?
- Socrate.
- Le idee, e gli esemplari di tutti gli enti. Tutto quello che vedi, la terra, quanto è su la terra, il cielo, il mare, tutte queste cose hanno loro esemplari o immagini invisibili, che son fuori l'universo.
- Compratore.
- E dove stanno?
- Socrate.
- In nessuna parte: perchè se esistessero in qualche luogo, non sarebbero.
- Compratore.
- Ma io non vedo cotesti esemplari, che tu di'.
- Socrate.
- E non puoi, perchè sei cieco degli occhi dell'anima. Ma io vedo le immagini di tutte le cose, un te invisibile, ed un altro me: insomma tutto a doppio.
- Compratore.
- Quand'è così meriti d'esser comperato, perchè se' savio, ed hai vista acuta. Dimmi tu, quanto vuoi di costui?
- Mercurio.
- Dammi due talenti.
- Compratore.
- Lo compero per tanto: ma il danaro lo pagherò un'altra volta.
- Mercurio.
- Che nome hai?
- Compratore.
- Dione, di Siracusa.
- Mercurio.
- Prendilo col buon augurio. - O Epicuro, sì, chiamo te. Chi compera costui? è discepolo del baione e dell'ubbriaco, che testè abbiam messi all'incanto. Una cosa egli sa più di essi, che ci crede un tantino di meno: per altro è di buona pasta, e sta su tutti i punti della gola.
- Compratore.
- Che prezzo fa?
- Mercurio.
- Due mine.
- Compratore.
- Eccole, ma, così per sapere un po', di che è ghiotto egli?
- Mercurio.
- Ei mangia chicche, zuccherini, melate, e massime fichi secchi.
- Compratore.
- Oh, è niente. Gli comprerò i pani di fichi secchi di Caria.
- Giove.
- Chiama un altro; quella zucca rasa, quel viso scuro, quel colui che viene dal portico.
- Mercurio.
- Dici bene. La maggior parte della gente venuta alla vendita pareva che l'attendessero. I' vendo la virtù stessa, la vita perfettissima. Chi vuole egli solo conoscere ogni cosa?
- Compratore.
- Come? che vuoi dire?
- Mercurio.
- Che egli solo è sapiente, egli solo è bello, egli solo è giusto, e forte, e re, ed eloquente, e ricco, e legislatore, e tutto.
- Compratore.
- Dunque egli solo è anche cuoco, è coiaio, è ferraio, ed altro?
- Mercurio.
- Pare.
- Compratore.
- Vieni qui, tu, e dimmi, chè io ti voglio comperare, chi sei tu? e primamente se non ti spiace che sei venduto, e che sei schiavo?
- Crisippo.
- Niente affatto: perchè le non son cose che sono in poter nostro: e quel che non è in poter nostro è indifferente.
- Compratore.
- Non so quel che dici.
- Crisippo.
- Come? Non sai che vi son cose proposte, e cose posposte?
- Compratore.
- Non lo so nemmeno ora.
- Crisippo.
- Eh, sì: tu non sei usato ai nostri nomi, nè hai fantasia comprensiva: ma chi ha bene imparata la dottrina logica, non solo conosce queste cose, ma ancora l' accidente, e l' accidente dell'accidente, e quanto differiscono tra loro.
- Compratore.
- Deh, per la filosofia, non t'incresca dirmi che è l' accidente, e l' accidente dell'accidente: chè coteste parole m'empiono l'orecchio di non so quale armonia.
- Crisippo.
- Che increscere! ecco qui. Se un zoppo offende col piè zoppo in una pietra, e a caso si fa una ferita, il zoppicare è l' accidente, la ferita è l' accidente dell'accidente.
- Compratore.
- Che acutezza di mente. Ma che ti vanti più di sapere?
- Crisippo.
- I' so fare una rete di parole nella quale ravviluppo chi si mette a disputare con me, lo stringo, lo fo tacere, gli metto un morso: e quest'arme potente è il famoso sillogismo.
- Compratore.
- Uh! sarà un'arma terribile cotesta.
- Crisippo.
- Vedila un po'. Hai tu un figliuolo?
- Compratore.
- Perchè mel dimandi?
- Crisippo.
- Se un coccodrillo te lo prendesse mentre egli passeggia su la sponda di un fiume; e poi ti promettesse di rendertelo, se tu gli dimostri netto se ha o non ha risoluto di rendertelo: tu che diresti? ha o non ha risoluto?
- Compratore.
- Non so rispondere a questa dimanda: non so dir sì, nè no per riaverlo. Ma deh, per Giove, rispondigli tu per me, salvami il figliuol mio, ma presto, chè ei se l'inghiotte.
- Crisippo.
- Non temere: ma io te ne insegnerò anche di più maravigliosi.
- Compratore.
- E quali?
- Crisippo.
- Il Mietitore, il Dominatore, e sopra tutti l'Elettra ed il Velato.
- Compratore.
- Che sono cotesto Velato e cotesto Elettra?
- Crisippo.
- Elettra è quella famosa figliuola di Agamennone, la quale nello stesso tempo sa e non sa la stessa cosa. Quando Oreste le sta innanzi ancora sconosciuto, ella sa che Oreste è suo fratello, ma non sa che quegli è Oreste. Il Velato poi è più maraviglioso: odilo. Dimmi, tu conosci tuo padre?
- Compratore.
- Certamente.
- Crisippo.
- E se ti presento uno velato, e ti dimando: conosci costui? tu che risponderai?
- Compratore.
- Che nol conosco.
- Crisippo.
- Ma questi è tuo padre: onde se tu non conosci costui, è chiaro che non conosci tuo padre.
- Compratore.
- Ma no: gli tolgo il velo, e vedrò bene il vero. Infine che scopo ha cotesta tua filosofia? e che farai quando sarai giunto sulla cima della virtù?
- Crisippo.
- Allora io giungerò a godere i beni maggiori della vita, ricchezza, buona salute, ed altrettali. Ma prima bisogna durar fatiche molte, perdere gli occhi su libri di minuta scrittura, raccoglier comenti, riempirsi un sacco di solecismi e di parole viete e strane. Ma il punto è che non si può divenir filosofo, se per tre volte di seguito non hai bevuto l'elleboro.
- Compratore.
- Son belle e generose parole coteste. Ma essere un avaro e un usuraio (come io vedo che sei tu) ti pare che stia bene ad un uomo che ha bevuto l'elleboro, e che è perfetto nella virtù?
- Crisippo.
- Sta benissimo, perchè al solo sapiente convien prestare ad usura. Egli solo sa ragionare: prestare ad usura è ragionar gl'interessi: ragionar gl'interessi è ragionare: dunque a lui solo sta anche il prestare ad usura. E siccome non si ferma ad una conseguenza, così non prende un solo interesse come fan gli altri, ma l'interesse dell'interesse. Non sai tu forse che ci sono i primi interessi, ed i secondi che son quasi figliuoli di quello. Or eccoti il sillogismo: se egli prenderà il primo interesse, prenderà anche il secondo: ma prenderà il primo, dunque prenderà il secondo.
- Compratore.
- Dunque direm lo stesso anche dei salari che tu prendi dai giovani ai quali insegni filosofia; ed è chiaro che il solo sapiente può prendere un salario per la sua virtù.
- Crisippo.
- L'hai capito. Io prendo non per me, ma per far un piacere a chi mi dà. Poichè c'è chi versa e chi raccoglie; io mi esercito a raccogliere, il discepolo impara a versare.
- Compratore.
- Ma tu dicevi il contrario, che il discepolo raccoglieva, e tu, come il solo ricco, versavi.
- Crisippo.
- O tu, motteggi, tu? ma guárdati che io non ti scocchi un indimostrabil sillogismo.7
- Compratore.
- E che male mi farai con quest'arme?
- Crisippo.
- Ti sconfonderò, ti farò tacere, ti farò perdere il senno. Se voglio, in un attimo ti mostrerò che tu se' pietra.
- Compratore.
- Come pietra? Non mi pare che tu hai lo scudo di Perseo.
- Crisippo.
- Ed ecco come. La pietra è corpo?
- Compratore.
- Sì.
- Crisippo.
- E un animale è corpo?
- Compratore.
- Sì.
- Crisippo.
- Tu sei un animale?
- Compratore.
- Mi pare.
- Crisippo.
- Dunque essendo corpo, tu sei pietra.
- Compratore.
- Niente affatto. Deh rifammi, ritornami uomo.
- Crisippo.
- Cosa da nulla; ritorna uomo. Dimmi: ogni corpo è animale?
- Compratore.
- No.
- Crisippo.
- E la pietra è animale?
- Compratore.
- No.
- Crisippo.
- E tu se' corpo?
- Compratore.
- Sì.
- Crisippo.
- Ed essendo corpo, se' tu animale?
- Compratore.
- Sì.
- Crisippo.
- Dunque non sei pietra, essendo animale.
- Compratore.
- M'hai risuscitato! già mi si freddavano e intirizzivano le gambe, come quelle di Niobe. Però voglio comperarti. Quanto debbo dar per costui?
- Mercurio.
- Dodici mine.
- Compratore.
- To', eccole.
- Mercurio.
- L'hai comperato tu solo?
- Compratore.
- No: ma con tutti questi che vedi.
- Mercurio.
- Siete molti, e con buone spalle tutti, e proprio degni del Mietitore.
- Giove.
- Sbrighiamoci: chiama un altro, il Peripatetico.
- Mercurio.
- Dico a te ora, o bello, o ricco, vieni. Su via, comperate il gran senno, il sapiente universale.
- Compratore.
- Che qualità ha egli?
- Mercurio.
- È moderato, facile, pieghevole, ma specialmente è doppio.
- Compratore.
- Come doppio?
- Mercurio.
- Di fuori egli pare uno, e di dentro ei pare un altro, onde se lo comperi ricordati di chiamarlo ed esoterico, ed essoterico.8
- Compratore.
- Che conosce egli specialmente?
- Mercurio.
- Che vi sono tre sorte di beni, quelli che sono nell'anima, nel corpo, e nelle cose fuori di noi.
- Compratore.
- La pensa da uomo. Che prezzo fa?
- Mercurio.
- Venti mine.
- Compratore.
- È troppo.
- Mercurio.
- No, o caro: egli ha anche dei quattrini, come pare: onde non te lo fare sfuggire, comperalo. Egli poi t'insegnerà di grandi cose, quanto vive un moscherino, fino a qual profondità giungono nel mare i raggi del sole, e di che natura è l'anima delle conchiglie.
- Compratore.
- Cappita! che scienza sottile!
- Mercurio.
- Eh! e che dirai udendolo ragionare di cose più sottili, della generazione, del feto, e della formazione dell'embrione nell'utero? e dire che l'uomo solo ride, e l'asino non ride, non fabbrica, non naviga?
- Compratore.
- Questo è sapere mirabile ed utile! Lo compererò per venti mine.
- Mercurio.
- Sia. Chi altro ci resta? Oh, lo scettico. Vien qui, o Pirria,9 ti vogliam vendere tosto. Già se ne son iti molti; pochi compratori rimangono. Nondimeno chi compra costui?
- Compratore.
- Io. Ma prima dimmi tu quel che sai.
- Il Filosofo.
- Niente.
- Compratore.
- Come niente?
- Il Filosofo.
- Perchè mi pare che niente esiste.
- Compratore.
- E noi, non esistiam noi?
- Il Filosofo.
- Neppure lo so.
- Compratore.
- Neppure se tu esisti?
- Il Filosofo.
- Molto meno conosco questo.
- Compratore.
- O che incertezza! E che fai con coteste bilance?
- Il Filosofo.
- Peso in esse le ragioni, e le ragguaglio: e poichè le vedo perfettamente simili e di egual peso, allora sì, allora non so qual è la più vera.
- Compratore.
- E d'altro che sai far bene?
- Il Filosofo.
- Tutto, tranne che seguitare un fuggitivo.10
- Compratore.
- E perchè non puoi far questo?
- Il Filosofo.
- Perchè nol potrei raggiungere.
- Compratore.
- È vero: chè sembri un omaccio tardo e balordo. Ma quale è il fine della tua dottrina?
- Il Filosofo.
- L'ignoranza; e il non udire, e non vedere.
- Compratore.
- Dunque sei anche e sordo e cieco?
- Il Filosofo.
- E di più; non giudico, non sento, e son poco diverso da un verme.
- Compratore.
- E però sei da comperare. Che prezzo vuoi per costui?
- Mercurio.
- Una mina attica.
- Compratore.
- Eccola. E tu, che dici? t'ho comperato?
- Il Filosofo.
- Non è certo.
- Compratore.
- Certissimo: t'ho comperato, e sborsato il danaro.
- Il Filosofo.
- I' non l'affermo, e ne dubito.
- Compratore.
- Per ora seguimi, perchè sei mio schiavo.
- Il Filosofo.
- E chi sa se tu dici il vero?
- Compratore.
- Lo sa il banditore, la mina, e quanti son qui presenti.
- Il Filosofo.
- E qui sono alcuni presenti?
- Compratore.
- Or ti menerò al mulino, e con un argomento inferiore e manesco ti persuaderò che hai un padrone.
- Il Filosofo.
- Non decidere la quistione.
- Compratore.
- Oh, per Giove, l'ho già decisa.
- Mercurio.
- Non ostinarti, e segui chi t'ha comperato. Voi altri sarete richiamati dimani, chè venderemo altre vite all'incanto, gl'ignoranti filosofastri, i facchini della scienza, i disputatori di piazza.
Note
- ↑ Pitagora somma 1, 2, 3, e 4, che fan dieci. Il triangolo perfetto è il problema del triangolo equilatero trovato da Pitagora. Il quattro era numero sacro pe' Pitagorici: anzi essi designavano le divinità coi numeri. Però più appresso è detto che la Divinità è un numero e un'armonia.
- ↑ La mina attica valeva quasi cinquanta lire. Il talento attico era di sessanta mine.
- ↑ Kύων, significa cane e cinico.
- ↑ Il verso d'Euripide è così tradotto da Cicerone negli Ufficii: Juravi lingua, mentem iniuratam gero. Diogene lo travolge a suo modo.
- ↑ Si crede che così morisse Diogene.
- ↑ Eraclito credeva il tempo finito, e lo chiamava Aίών, secolo. Egli poi parlava molto scuro, e lo chiamavano il tenebroso.
- ↑ Indimostrabil sillogismo, cioè inoppugnabile, contro di cui non si può fare altra dimostrazione.
- ↑ Esoterico ed essoterico, interno ed esterno: voci usate anche nella filosofia moderna.
- ↑ Pirria. Pirrone, detto Pirria per beffa.
- ↑ Questo fuggitivo è il Vero, che gli scettici non raggiungono mai.