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una vendita di vite all’incanto. 359


Pitagora. E dopo di queste tu saprai che tu stesso che sembri uno, tu altro sembri, ed altro sei.

Compratore. Che dici? io sono un altro? io non parlo io ora con te?

Pitagora. Ora se’ tu: ma una volta tu comparisti in altro corpo e con altro nome: e col tempo di nuovo ti muterai in altro.

Compratore. Vuoi tu dire che io sarò immortale cangiando parecchie forme? Ma basti di questo, veniamo al tuo modo di vivere, qual’è?

Pitagora. Io non mangio alcun cibo animale: gli altri sì, eccetto le fave.

Compratore. E perchè? forse hai a schifo le fave?

Pitagora. No: ma le sono sacre, ed hanno mirabile natura. Primamente esse sono il gran generatore: e se sgusci una fava fresca, vedrai che l’ha una figura simile ai genitali dell’uomo. Se le fai bollire, e poi le lasci alla luna per certo numero di notti, ne farai sangue. Ma la ragione maggiore è, che gli Ateniesi sogliono con le fave eleggere i loro magistrati.

Compratore. Che belle cose m’hai dette, che riposta dottrina! Ma spògliati: chè ti vo’ vedere anche nudo. O Ercole! egli ha una coscia d’oro. Costui pare un dio, non un mortale: vo’ comperarlo senz’altro. Che prezzo gli hai messo?

Mercurio. Dieci mine.1

Compratore. Lo compero io: ei ci vale.

Giove. Scrivi il nome del compratore, e donde è.

Mercurio. Parmi, o Giove, che sia un Italiano, di quelli di Crotone, di Taranto, di quella Grecia lì. E non è solo, son quasi trecento che l’han comperato in comune.

Giove. Se lo conducano via. Esponiamo un altro.

Mercurio. Vuoi quel tutto lordo, quello del Ponto?

Giove. Sì, lui.

Mercurio. O tu che porti la bisaccia, e la tunica senza maniche, vieni, e gira un po’ intorno all’adunanza. Vendo una vita maschia, una vita ottima e coraggiosa, una vita libera: chi la compera?

  1. La mina attica valeva quasi cinquanta lire. Il talento attico era di sessanta mine.