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una vendita di vite all’incanto. 361


Diogene. Se io ti prendo a discepolo, ti svesto della mollezza, ti chiudo nella povertà, e in questo mantello. Ti obbligherò a faticare, stancarti, dormire a terra, bere acqua, nutrirti d’ogni cibo a caso. Se avrai ricchezze, e vorrai ascoltar me, le getterai in mare. Di moglie, di figliuoli, di patria non ti darai un pensiero, saran niente per te: e lasciando la casa paterna, abiterai un sepolcro, una torre abbandonata, o anche una botte. Porterai la bisaccia piena di lupini e di scartafacci zeppi di scrittura: e in questo arnese dirai d’esser più felice del gran re. Se ti frustano o ti collano dirai che non è dolore.

Compratore. Che dici? le frustate non fan dolore? io non ho la pelle come il guscio della testuggine o del granchio.

Diogene. Seguirai la massima di Euripide, con leggiero mutamento.

Compratore. Qual massima?

Diogene. Il cuore soffre, sì; la lingua dice, no.1 Le qualità che devi avere, son queste: esser sfrontato ed arrogante, insultar tutti egualmente, senza aver rispetto a re o a privati: e così tutti ti ammireranno e ti terranno per coraggioso. Devi avere un parlare barbaro, una voce stridente come un cane, un viso arcigno, un andare strano, ogni cosa della bestia selvaggia: nè pudore, nè dolcezza, nè moderazione, nè punto di rossore in faccia. Va’ nei luoghi più frequentati, e quivi rimanti solo, disdegna tutti, fuggi l’amicizia e l’ospitalità, che manderebbero in rovina quel tuo regno. Fa’ in pubblico quello che altri arrossirebbe di fare in privato, le più ridicole e sozze lascivie. Infine, quando te ne viene la voglia, muori mangiando un polpo crudo o una seppia.2 Questa è la felicità che io ti prometto.

Compratore. Va’ via, son cose sozze e da bestia.

Diogene. Ma sono facili, e tutti possono metterle in pratica: non hai bisogno d’ammaestramenti, di discorsi, e di altre sciocchezze, ma così per una scorciatoia giungi alla gloria. E se anche sei un dappoco, un ciabattino, un salumaio,

  1. Il verso d’Euripide è così tradotto da Cicerone negli Ufficii: Juravi lingua, mentem iniuratam gero. Diogene lo travolge a suo modo.
  2. Si crede che così morisse Diogene.