Un dramma nell'Oceano Pacifico/4. Le bizzarrie di Bill
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Capitolo Quarto.
Le bizzarrie di Bill.
Il naufrago era tanto fisso nella sua contemplazione, che non si era accorto della presenza del capitano e del signor Collin. Le braccia incrociate sul petto, seguiva con uno sguardo ardente, che talvolta pareva mandasse lampi magnetici, l’evoluzioni delle belve le quali continuavano a mandare potenti ruggiti, tentando di slanciarsi verso di lui.
I suoi occhi si fissavano specialmente, con strana attenzione, su di una grossa tigre che pareva fosse la più robusta e la più feroce, seguendola in tutte le mosse, con un’ostinazione inesplicabile. Si sarebbe detto che egli conosceva quella fiera delle jungle indiane o che tentava di soggiogarla con la potenza del suo sguardo.
Ad un tratto la gran tigre, che dapprima pareva la più indemoniata, si arrestò guardando a sua volta il naufrago che era sempre fermo dinanzi alla gabbia, e, cosa davvero stranissima, la si vide accovacciarsi, battendosi lentamente i fianchi con la coda, e rimanere immobile come se una potenza occulta l’avesse soggiogata.
— Ehi! Amico! — disse il capitano che aveva osservato con la più viva curiosità quella bizzarra scena. — Per caso, sareste voi un domatore di belve? —
Il naufrago a quella domanda si scosse e fece un gesto di dispetto, ma che subito represse. Alzò il capo verso il boccaporto e salutò i due comandanti.
— No, signore, — rispose poi, sforzandosi di sorridere.
— Vi conosce forse quella tigre?
— Nemmeno, quantunque ne abbia incontrate parecchie durante i miei viaggi.
— Eppure si direbbe che la tigre è stata magnetizzata da voi.
— Non lo credo, capitano.
— Vi dico che avete uno sguardo che affascina. Guardate! Anche le altre belve non si muovono più e strisciano in fondo alle gabbie come se avessero paura di voi.
— Voi scherzate, signore, — rispose il marinaio con tono brusco, che nascondeva un mal celato dispetto.
— Vi rivedremo alla prova; ma perchè avete lasciato la vostra cabina?
— Ho udito dei ruggiti e sono sceso qui per vedere da che cosa provenivano.
— Volete salire in coperta? Se vi sentite un po’ meglio, venite a respirare una boccata d’aria fresca.
— Grazie, capitano. —
Il naufrago che pareva si fosse pienamente rimesso, salì abbastanza lesto la scala e comparve sul ponte. Nello scorgere miss Anna si arrestò come stupito fissando su di lei un acuto sguardo che mandava strani bagliori; ma vedendosi osservato dall’equipaggio e dal capitano, scosse il capo come se volesse scacciare un importuno pensiero e si levò il berretto inchinandosi e mormorando una parola che nessuno potè ben comprendere.
— Come vi sentite? — gli chiese il capitano.
— Benissimo, signore, — rispose egli senza però staccare gli occhi dalla giovane miss.
— E le vostre ferite?
— Guariscono a vista d’occhio. Ma... dove siamo noi, signore?
— Navighiamo verso il gruppo delle Nuove Ebridi.
— Ah!... Non siamo adunque molto lontani dalle isole Figii?
— Spero di raggiungerle fra cinque o sei giorni, e di arrivare in tempo per salvarli. Se non li trovassimo, mia figlia ne sarebbe dolentissima.
— Ah! È vostra figlia la signora! — esclamò il naufrago con uno strano accento.
— Sì, miss Anna è mia figlia.
— E naviga sempre con voi?
— Da parecchi anni.
— Bella e coraggiosa fanciulla, — mormorò il marinaio fissando nuovamente la giovane donna. — Miss, vi ringrazio dal più profondo del cuore dell’interesse che prendete pei miei compagni di sventura. Vi serberanno riconoscenza per lungo tempo.
— È dovere d’ogni donna d’interessarsi dei disgraziati, — rispose la giovanetta. — Non avrei mai perdonato all’equipaggio di un vascello che non fosse accorso in aiuto di poveri marinai minacciati dai denti degli antropofagi.
— Grazie, miss; voi siete troppo buona.
— Ditemi, Bill, — chiese improvvisamente il tenente avvicinandosi al naufrago. — Avete mai udito parlare dell’isola di Norfolk? —
Il marinaio a quella brusca interrogazione, che forse era lungi dall’aspettarsi, restò come fulminato; ed un rapido pallore, seguíto subito da un vivo rossore, gli passò sul volto. Si volse di colpo verso il tenente che pareva non avesse dato il menomo peso a quella significantissima domanda, e piantandogli in viso due occhi nei quali guizzava una cupa fiamma, gli chiese:
— Cosa intendete di dire?
— Nulla, vi ho fatto una semplice domanda.
— Ah! Ora comprendo! — esclamò Bill battendosi la fronte. — Voi mi domandate se conosco un’isola dove si custodiscono i forzati inglesi. Ma perchè tale domanda?...
— Ve lo dissi già, per una curiosità qualunque.
— La conosco quell’isola di fama sinistra. Ho approdato una volta su quelle spiagge coll’Alert, un bastimento americano che faceva il traffico fra le isole del Pacifico come il vostro. Brutta isola, signore, e brutti abitanti.
— Me lo immagino.
— Dove siamo ora? — chiese il naufrago che pareva volesse troncare quel discorso che non gli andava troppo a sangue.
— Abbiamo lasciato da un’ora l’isola di Vanikoro e corriamo verso le Nuove Ebridi.
— Grazie, signore. —
S’inchinò dinanzi a miss Anna, salutò il tenente e giunto a prua si sedette sopra un gruppo di funi senza aggiunger sillaba. Quell’uomo però pareva in preda ad una strana inquietudine, dopo la domanda rivoltagli dal signor Collin.
I suoi occhi, che avevano una luce falsa, giravano nelle orbite fissandosi ora sul tenente che passeggiava in coperta ed ora su di Anna che discorreva col padre, e le sue mani si stringevano energicamente come se stritolasse qualche cosa. Il di lui volto ora impallidiva ed ora diventava rosso, e i suoi muscoli avevano delle scosse nervose. Si sarebbe detto che una collera tremenda, frenata a gran pena, ruggiva nel cuore di quel marinaio, raccolto quasi morente sui flutti del Grande Oceano.
Fortunatamente l’attenzione dell’equipaggio venne in quel momento attratta dalla comparsa di un magnifico pesce-veliero o sword-fisk, come l’hanno battezzato gli inglesi. Appartiene alla specie dei pesci-spada, coi quali ha anche qualche somiglianza e s’incontra spesso nell’Oceano Pacifico, dove viene assiduamente cacciato dagli isolani che apprezzano assai le sue carni, che sono delicatissime, specialmente se giovane. Se è ricercato è però anche temuto, perchè è d’un temperamento violento.
Quello che navigava nei pressi della Nuova Georgia, misurava non meno di dieci piedi di lunghezza e portava un corno lungo quasi due metri, rotondo anzichè piatto come quello del pesce-spada e in parte spuntato. Aveva spiegata la sua natatoia dorsale di cui si serve come d’una vela, e si lasciava portare dal vento.
— Sono pericolosi, padre mio, tali pesci? — chiese Anna al capitano, che seguiva con curiosità la corse di quello strano abitatore del mare.
— Tutti gli isolani lo temono, ed è così coraggioso da affrontare anche le balene ed i vascelli.
— Eppure non è grande.
— È vero, ma la sua arma è robusta e ne fa un grande uso. È quasi impossibile incontrarne uno che abbia il corno intero, e vedi che anche quello lì lo ha smussato. Nella sua rabbia, s’è visto sovente precipitarsi contro i bastimenti che egli forse scambia per balene e piantarvi profondamente il corno. Anche la nostra Georgia ebbe un giorno la prua trapassata da quell’arma.
— E il pesce visse?
— Rimase attaccato alla nave e morì dopo aver ricevuto tre colpi di carabina.
— È facile la pesca di quegli animali?
— Molto difficile, Anna. Finchè sono giovani si prendono facilmente colle reti, ma quando sono grandi ed hanno il corno sviluppato, spezzano le maglie per quanto siano solide, e fuggono. Occorrono allora le fiocine od i ramponi, ma difficilmente si lasciano avvicinare. —
Il veliero non seguì che per un breve tratto la nave, perchè d’improvviso ripiegò la sua natatoia e s’immerse scomparendo agli occhi dell’equipaggio, che aveva già fatto portare in coperta un rampone con la speranza di banchettare con le delicate carni del nuotatore.
La Nuova Georgia continuava intanto a filare verso l’ovest avvicinandosi all’arcipelago delle Nuove Ebridi, dietro il quale, ad una distanza di dugento trenta o dugento cinquanta miglia si trova quello di Figii. Il vento si manteneva buono ma non era ancora regolare, anzi pareva accennasse a muovere un nuovo perturbamento, spingendo innanzi a sè neri nuvoloni.
Dopo il tramonto quei vapori che si erano veduti verso il sud, invasero rapidamente la vôlta celeste oscurando gli astri in tal modo, che il mare parve fosse diventato inchiostro. Il vento invece di crescere, cosa davvero strana, cessò completamente, e la Nuova Georgia rimase quasi immobile su quei neri flutti, immersa nella più profonda oscurità.
A un tratto però un fenomeno che è frequente nei climi caldi, accadde rompendo quella fitta tenebría. Il mare, un momento prima così nero, s’illuminò stranamente come se sotto fosse stata accesa una lampada elettrica d’una potenza straordinaria.
L’acqua pareva che fosse diventata una immensa distesa di bronzo fuso, che aveva splendidi riflessi argentei, ma intersecati qua e là da linee che parevano di fuoco e che cangiavano ad ogni istante forma, diventando circolari per poi rompersi ancora. Le onde frangendosi contro i fianchi neri del legno, pareva che mandassero miriadi di scintille, le quali prendevano i colori più brillanti che si possano immaginare.
Torme di pesci gli uni più strani degli altri, allungati e neri, corti o grossi e di svariati colori, correvano, guizzavano in quel mare d’argento, inseguendosi, giocherellando, battendosi e divorandosi, ora scendendo ed ora salendo alla superficie, mentre immobili come ombrelli aperti o come funghi giganti, galleggiavano i polipi dalle carni trasparenti e gelatinose. Miriadi di molluschi fosforescenti andavano alla deriva, lasciandosi portare dal flusso, spiegando ognuno un lampo di luce diversa: ecco le pelagie che ondulano pigramente, simili a paracadute che si lasciano portare dal vento; ecco le melitee dalle cui braccia stranamente incrociate sprizzano lampi d’un rosso cremisi; ecco le acalefe microscopiche che sembrano costellate di diamanti della più bell’acqua, le vellele le cui creste tramandano una luce azzurra d’una infinita dolcezza, e le beroe, le meduse, le osyroe, ec. che uniscono i loro bagliori a quelli che producono certi piccoli molluschi, grandi come un pollice, di forma cilindrica, di consistenza delicatissima e che si trovano colà ammassati a miriadi, invadendo una larga zona di mare.
La Nuova Georgia, immobile su quel mare, spiccava vivamente con la sua nera massa su quella argentea superficie, e pareva che più non navigasse, ma nuotasse sopra un’atmosfera abbagliante, fosforescente.
Miss Anna, il capitano Hill, il tenente Collin e tutti i marinai LA NUOVA GEORGIA. contemplavano con ammirazione quel fenomeno che è frequente, come abbiamo detto, in quelle regioni, ma che è pur sempre tanto bello. Perfino il naufrago si era lentamente alzato e curvato sul bordo del legno; ma invece d’uno sguardo di ammirazione, quello strano uomo aveva lanciato un cupo sguardo su lo scintillante mare, ed aveva fatto un gesto di dispetto gettando nel tempo istesso una sorda imprecazione.
A poco a poco però quel fenomeno si allontanò in direzione dell’est e la nave, che filava lentamente in senso contrario, rimase nuovamente avvolta fra dense tenebre che i fanali di prua non erano sufficienti a rompere.
Il naufrago che era tornato a sedersi a prua, quando vide scintillare il mare in lontananza, si alzò lentamente e cogli occhi parve che cercasse qualcuno. Lo stesso gesto di dispetto che aveva fatto prima lo ripetè, non vedendo sul ponte nè il capitano Hill, nè miss Anna, nè il tenente.
Una profonda ruga gli si disegnò sulla fronte e rimase lì come perplesso. Vedendo però passare un giovane marinaio che aveva allora allora lasciato la camera di prua e che non aveva assistito alla brusca interrogazione del signor Collin a proposito dell’isola di Norfolk, lo fermò dicendo:
— Ehi, camerata, che ora abbiamo?
— Devono essere le dieci, — rispose il marinaio.
— Chi degli ufficiali è di guardia per il primo quarto?
— Asthor, il pilota.
— E il signor Collin?
— Monterà la guardia della mezzanotte.
— È un bravo ufficiale il signor Collin?
— Bravissimo, ve lo assicuro.
— Gode molta fiducia a bordo?
— Quanta ne gode Asthor che naviga da vent’anni col capitano Hill, e forse di più.
— È vero che è il fidanzato di miss Anna?
— Non l’ho mai saputo e non lo credo.
— Dimmi, camerata, si crede realmente che io sia un povero marinaio che ha avuto la disgrazia di naufragare?
— Per Bacco! Non vi abbiamo raccolto in pieno mare, su di una zattera?
— È vero, ma mi pare che il signor Collin mi guardi con certa diffidenza.
— È un uomo sospettoso il tenente, ma non credo che abbia motivi per diffidare di voi. Toglietevi simili ubbie dal capo.
— Hai ragione, camerata. Sono pazzo a credere che a bordo della Nuova Georgia mi si veda di cattivo occhio. Buona notte! —
Il naufrago attraversò lentamente il ponte colla fronte aggrottata e le braccia incrociate strettamente sul petto. Pareva assai pensieroso e preoccupato.
Nel passare dinanzi al grande boccaporto si fermò ad ascoltare le tigri, che mandavano dei profondi brontolii.
— Hanno fame, — mormorò con voce sorda. — Eppure carne ve n’è qui per tutt’e dodici.
Poi retrocesse lentamente verso prua e fissò gli occhi sulle nubi, che correvano disordinatamente pel cielo.
— La tempesta, — mormorò, — sarà fatale per qualcuno. —
Represse un triste sorriso che gli spuntava sulle labbra, e sparve nella camera di prua.