Un dramma nell'Oceano Pacifico/5. Gli antropofaghi dell'Oceano Pacifico
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Capitolo Quinto.
Gli antropofagi dell’Oceano Pacifico.
Contrariamente alle previsioni di tutti, l’uragano che pareva tornasse a minacciare la Nuova Georgia non scoppiò, anzi durante la notte le masse nuvolose si ruppero e riapparvero le stelle; però si capiva che era un momento di tregua e nulla più, poichè il vento soffiava sempre dal sud, ossia dalla parte donde si formano e partono i tifoni, e il mare conservava quella tinta plumbea che indicava come altrove un grande temporale lo sconvolgesse.
Il giorno dopo, all’alba, la Nuova Georgia, che durante la notte aveva percorso una settantina di miglia, si trovava di fronte all’arcipelago delle Nuove Ebridi.
Questo gruppo è uno dei più importanti di quella regione, quantunque in quel tempo fosse ben poco conosciuto, come del resto è anche oggidì assai imperfettamente, e si estende sopra una superficie di centoventi leghe. Quiros, che le scoprì il primo nel 1606, diede all’arcipelago il nome di Australia dello Spirito Santo; Bougainville, che le visitò nel 1768, le chiamò Nuove Cicladi, e Cook, che aveva la smania di cangiare nome a tutte le isole, quello di Nuove Ebridi.
Le principali sono Fauna, che è la più nota, fertilissima, di aspetto piacevole, con un vulcano e sorgenti di acqua calda: misura sette leghe di lunghezza e tre di larghezza; Koro-Mango, di grandezza quasi eguale, e che gode fama perchè dai suoi boschi si estrae la preziosissima polvere di sandalo dal profumo delicato; Mallicolo, che ha una lunghezza di diciotto leghe e sette di larghezza; Sandwich, notabile per la bellezza dei suoi siti; Santo Spirito, che è l’isola maggiore e che si dice sia una delle più belle e delle più fertili del mondo. Molte altre, ma più piccole, circondano il gruppo principale e si estendono verso il sud-est fino a sessantacinque leghe dall’estremità meridionale della Nuova Caledonia.
Gli abitanti, eccettuati quelli di Fauna, non godono una fama migliore degli altri polinesiani, poichè le navi che ebbero contatto con loro furono spesso costrette a far uso delle armi da fuoco, per non cadere sotto i denti di quei mangiatori di carne umana.
Sono per lo più di statura bassa, gracili, di pelle assai abbronzata e per la maggior parte brutti. Quelli di Mallicolo specialmente sono di lineamenti così ributtanti, che le scimmie appariscono belle in loro confronto.
La Nuova Georgia, che filava con notevole velocità, si tenne prudentemente lontana da quelle coste inospitali; però non isfuggì agli occhi degli isolani, i quali si mostrarono in buon numero sulle spiagge, agitando minacciosamente le loro lancie ed i loro archi. Delle frecce furono pure lanciate, ma caddero a mezza via ed il capitano Hill, che non voleva perdere tempo nè impegnarsi in qualche brutta avventura, non si degnò di rispondere.
Però verso il mezzogiorno, a circa trenta miglia dall’isola Barwell, la Nuova Georgia fece l’incontro di un doppio canotto, solidamente legato e fornito di un ponte, montato da una dozzina di selvaggi di statura piccola, la tinta oscura, la testa lunga ed il naso schiacciato, nudi quasi del tutto, ma armati di lancie, le cui punte parevano formate da schegge di ossa e molto probabilmente da frammenti di ossa umane.
Vedendo la nave veleggiare al largo, il grande canotto manovrato da una diecina di pagaie si diede a inseguirla con la speranza di abbordarla e di ottenere, forse con la violenza, qualche cosa. Il capitano Hill però fece dirigere la nave al nord e fece sparare un piccolo cannone che teneva nascosto sotto il castello di prua. La detonazione e anche l’impossibilità di vincere il veliero che camminava colla velocità di otto nodi all’ora, persuasero quei brutali selvaggi a proseguire la loro rotta.
— Dimmi, babbo, sono molti gli abitanti di queste isole? — chiese miss Anna al capitano.
— Quando Bougainville le visitò, cioè nel 1799, stimò il loro numero a 200,000, e Cook confermò tale cifra; ma ora sono scemati più della metà.
— E perchè tale enorme diminuzione?
— Perchè gli isolani sono quasi sempre in guerra fra di loro ed i vinti vengono senz’altro mangiati, siano feriti o completamente sani.
— Assistono anche le donne a quei mostruosi banchetti?
— No, poichè le donne non possono prendere i pasti in compagnia degli uomini; ma si fanno cuocere da parte un pezzo dei prigionieri.
— Nemmeno le mogli mangiano coi mariti?
— No, poichè pei mariti esse rappresentano semplicemente delle bestie da soma. La loro condizione è così misera e così opprimente, che spesso uccidono le figlie per sottrarle ad una vita tanto degradante.
— Che orribili selvaggi! E a quale razza appartengono?
— A quella melanesica; ma notasi però in loro l’influenza della razza polinesica.
— Dimmi, tutti i popoli che abitano le isole del Grande Oceano sono antropofagi?
— Quasi tutti.
— Per necessità forse? Mi hanno detto che le isole del Pacifico sono assai scarse di animali e di alberi fruttiferi.
— Sì, ma non tutte. Alcune abbondano di cani, di maiali, di uccelli, di alberi che danno frutta saporite, e per di più il mare che le circonda è ricco di pesci. Malgrado ciò, gli abitanti sono antropofagi e mettono nello spiedo e in salsa i loro nemici.
Un tempo non si credeva all’antropofagia, ma dopo i viaggi di Van Diemen, di Tasman, di La Perouse, di Bougainville, di Cook, di Quiros, di Mendana, ec. bisognò ammetterla.
Alcune tribù sacrificavano i nemici per spirito religioso, ma li mangiavano, altri per insufficenza di alimenti, altri ancora per leccornía e taluni per ereditare il coraggio o le virtù del morto, come per esempio gli Australiani che mangiano a preferenza il cuore del nemico per acquistare maggior energia, i Maori della Nuova Zelanda l’occhio sinistro prima di tutto, perchè secondo le loro credenze figura l’anima del mangiato, e le tribù americane dell’Amazzoni che bruciano il cadavere bevendo poi la polvere per appropriarsi i pregi di lui.»
— Ma come, l’antropofagia non è ristretta agli isolani del Grande Oceano?
— No, Anna, — disse il capitano. — Più o meno tutti i popoli hanno praticato il cannibalismo. I galli, che sono gli odierni francesi, mangiavano gli uomini, e ne fanno fede le caverne ossifere scoperte nelle vicinanze di Parigi, a Ville-Neuve-Saint-George ed a Saint-Maure; nel Portogallo in una sola caverna furono raccolti 9500 denti umani e gran numero di ossa portanti le tracce della combustione e degli istrumenti taglienti.
Mangiavano uomini gli abitanti dell’Asia Minore; i giapponesi ed i messicani per spirito religioso; anzi aggiungerò che questi, discendenti del grande impero di Montezuma, rimproveravano agli spagnoli il sapore amaro delle loro carni!...
— È incredibile!... — esclamò miss Anna con orrore.
— Un tempo poteva dire così, ma oggi la scienza ha messo tutto in chiaro. Del resto l’antropofagia è ancora molto estesa; si mangiano uomini fra i Battias, di Sumatra, dove il cannibalismo ha spiccatamente il carattere di punizione, fra gli Indiani dell’America del Nord per vendetta, fra i Cafri, i Caraibi di Masoris, nel Congo, nel Timbuctu, nel Dahomey e nell’Ogowai per pura leccornía. Aggiungerò per ultimo che a Taiti, isola oggi civilizzata, or non è molto, in un periodo di carestia si mangiarono tante persone, che fu chiamato quel tempo «la stagione da mangiare gli uomini» e che in Francia nel 1090 e in Egitto nel 1200, pure in tempo di carestia, si andava a caccia delle persone per venderne la carne!...
— È orribile!
— Ma storico, Anna. Del resto anche oggidì di quando in quando giunge la notizia di scene di cannibalismo avvenute fra naufraghi. Le cronache marinaresche sono piene di sì orribili pasti, fortunatamente consigliati non dalla golosità, ma dalla fame.
— I selvaggi dicono che è eccellente la carne umana? — chiese il tenente, che da qualche minuto assisteva alla conversazione.
— Tutti sono d’accordo nel lodare il gusto squisito e la delicatezza della carne umana; però dicono che quella della razza bianca è amara e troppo salata.
— Speriamo allora che ci risparmino, se abbiamo la disgrazia di cadere nelle loro mani.
— Troveranno qualche mezzo per farci diventare eccellenti, signor Collin, — disse il capitano ridendo. — Io so che gli isolani delle Figii hanno un modo speciale per ingrassare i loro prigionieri e renderli più succulenti.
— Compiango i compagni di Bill se hanno avuto la sfortuna di cadere, in questo frattempo, nelle loro mani. Purchè non sia invece una mezza fortuna.
— Perchè, tenente? — chiese il capitano sorpreso.
— M’intendo io, signor Hill.
— Spiegatevi, — disse miss Anna.
— Non ora.
In quel momento dietro di loro si udì una specie di grugnito. Il naufrago stava a tre soli passi di distanza, e forse aveva inteso le parole del tenente.
Fortunatamente per lui, nessuno lo vide fissare sul tenente due occhi che mandavano cupe fiamme e stringere i pugni con tale forza, da farsi entrare le unghie nelle carni.
Si allontanò silenziosamente senza essere stato scorto e andò a sedersi a prua, ma i suoi occhi correvano sempre, però con diversa espressione, da miss Anna al signor Collin.
Cosa mai meditava in quel momento quell’enimmatico personaggio, sul cui viso si leggeva ad un tempo una strana tenerezza e si vedevan lampi d’un odio profondo? Gli avvenimenti dovevano fra breve dirlo.
Nel pomeriggio il vento crebbe di violenza, e il barometro si abbassò bruscamente, mentre le onde provenienti dal sud, si facevano più frequenti e sempre più alte. Si vedevano accavallarsi sull’orizzonte mostrando le loro creste coperte di candida spuma, e venivano a rompersi con violenza contro la Nuova Georgia, la quale rollava e beccheggiava vivamente.
Le tigri, quasi presentissero la vicinanza di una tempesta, si mostravamo assai inquiete, e già nella stiva si udivano incessantemente rintronare le loro rauche urla, facendo impallidire i marinai che non si erano ancora abituati a quegli sgradevoli concerti.
Il capitano per non lasciarsi cogliere alla sprovvista da quell’uragano che da due giorni andava raccogliendo le proprie forze, per scatenarsi chi sa mai con quale furore, fece imbrogliare le alte vele di pappafico e contro-pappafico e fece ammainare i coltellacci e gli scopamari che aveva fatti spiegare al mattino per guadagnare velocità. Non ancora soddisfatto, fece rinforzare i paterazzi e legare solidamente le imbarcazioni, la cui perdita poteva diventare funesta, e le gabbie delle tigri onde nel rollío o nel beccheggio non si rovesciassero spezzando le sbarre.
— Temi qualche tifone? — gli chiese Anna, che di rado lasciava la coperta della nave.
— Sì, e non ti nascondo che questo uragano mi dà molto da pensare, trovandoci noi in un mare cosparso di isole e di isolotti, e per di più d’una profondità che mette i brividi.
— Ha dei baratri immensi l’Oceano Pacifico?
— Spaventevoli, Anna; una nave che andasse a picco non lascerebbe spuntare di certo la sommità dei suoi alberetti.
— In quale punto è più profondo?
— Secondo gli ultimi scandagli, la maggiore profondità si troverebbe a mezzogiorno del Kamsciatka, penisola della costa asiatica. Là lo scandaglio avrebbe toccato fondo a 8515 metri.
— Otto chilometri e mezzo di profondità!
— Pare però che vi siano dei baratri profondi quattordici e perfino sedici chilometri.
— Ma tutti gli oceani hanno tali abissi?
— La profondità media del Grande Oceano toccherebbe i 4380 metri; ma si sa che fra le isole Figii, Tonga e Samoa esiste un abisso di 8102 metri secondo taluni e di 8280 secondo altri navigatori; quella dell’Atlantico toccherebbe i 4022 verso il nord e i 3927 verso il sud; quella dell’Oceano Indiano i 3627 e degli altri due oceani i 3803. Forse in avvenire queste profondità diverranno maggiori, poichè si difetta ancora di scandagli precisi.
— Ma la vita a simili profondità deve essere nulla.
— E perchè mia cara?
— Per la grande pressione che deve esercitare una massa così immensa d’acqua.
— Un tempo si credeva a questo, anzi aggiungerò che si riteneva che l’acqua si comprimesse talmente pel suo peso, da raggiungere una densità paragonabile a quella del ferro o del piombo. Si riteneva che una palla di ferro gettata in un mare profondo non giungesse fino a toccare gli abissi, ma si arrestasse fra gli strati acquosi, poichè non si era pensato che l’acqua è appena compressibile e che anche sotto le più potenti pressioni la sua densità è minima. Io so che recenti esperimenti hanno dimostrato che la pressione è così leggera da non essere d’impedimento nemmeno ai pesci che hanno l’abitudine di vivere alla superficie dei mari. Ed infatti, se questa forza fosse così enorme come si credeva, come vivrebbero i crostacei che abitano il fondo degli abissi marini? Bisognerebbe che fossero più solidi del ferro, mentre non lo sono affatto.
— La dimostrazione è chiara, padre mio. Ma... to’, piove.
— Il tempo si mette male. Ritirati, Anna, chè fra breve avremo un uragano dei più furiosi, e il ponte sarà spazzato dai colpi di vento. —
Infatti il tempaccio si avanzava rapidamente, invadendo la vôlta celeste e sconvolgendo il grande Oceano Pacifico, che stava per smentire ancora il suo tranquillo nome datogli da Magellano.
L’equipaggio era tutto salito in coperta pronto a sostenere la lotta, e si vedeva interrogare con ansietà le nubi e le onde. Quei lupi di mare presentivano una fiera tempesta. Solo il naufrago, che stava sempre seduto a prua su di un ammasso di cordami, pareva tranquillo e sogghignava ad ogni muggito delle onde, fissando con due occhi di fuoco il tenente Collin quasi che meditasse un sinistro progetto.