Un dramma nell'Oceano Pacifico/26. L'assalto della caverna
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Capitolo Ventesimosesto.
L'assalto della caverna
Quello dell’affumicatura era l’unico modo per costringere i forzati alla resa. Trincerati dietro alcune salde rocce che sfidavano la mitraglia e le palle delle carabine, potevano tener fronte ad un intero esercito.
È vero che si poteva assediarli fino all’esaurimento dei viveri o fino alla mancanza delle munizioni; ma ciò richiedeva forse un tempo troppo lungo, e l’entusiasmo dei selvaggi poteva raffreddarsi, non essendo abituati alle lunghe resistenze, decidendo le loro battaglie in pochi quarti d’ora.
Asthor prese con sè Grinnell e dieci isolani, si gettarono in mezzo alle macchie strisciando come serpenti, e raggiunsero il gigantesco tronco che i forzati avevano atterrato per fabbricarsi l’imbarcazione e che giaceva a soli quindici passi dalla caverna. Dietro a quel riparo, non potevano temere le palle dei difensori della caverna.
— Presto, diamo fuoco ai cespugli — disse Asthor. — Il vento soffia dalla costa e spingerà il fumo nella caverna. Bella idea che ha avuto il capitano! —
Accese l’esca, sparse fra le piante e gli sterpi vicini della polvere da sparo e vi diede fuoco. Quasi subito una fiamma si alzò allargandosi rapidamente e investendo le frondi e i rami delle macchie, i quali si contorcevano scoppiettando.
I forzati che si erano accorti della manovra degli assedianti e che comprendevano il grave pericolo che stavano per correre, vedendo quelle fiamme che sprigionavano nuvoloni di fumo, si misero a urlare come dannati e drizzarono i loro fucili verso i vicini cespugli, credendo che gli incendiari fossero allo scoperto; ma le loro palle non riuscivano a toccare nè i due marinai nè gl’isolani, che si tenevano accuratamente riparati dietro il gigantesco tronco.
Furiosi per questo scacco e pel fumo che il vento spingeva verso la caverna, balzarono fuori per sloggiare i nemici che erano così vicini, ma il capitano e Collin non li perdevano di vista, e lanciarono un nembo di mitraglia.
Due forzati caddero fulminati; gli altri fuggirono precipitosamente nella caverna, trascinandosi dietro un compagno ferito.
— Ecco altri due che se ne sono iti, — disse Asthor. — Peccato che quel figuro di Mac Bjorn non sia del numero! Mi pare, però, che non abbia più voglia di canzonarci.
— Fra poco non ci canzonerà più — disse Grinnell che cercava di assestare una palla a qualche altro di quei furfanti. — Se il fuoco non si spegne, riempirà la caverna di fumo in modo da non lasciarli più respirare.
— Avanti! — si udivano gridare in quel momento il capitano e Collin.
A quel comando i selvaggi si gettarono carponi e si misero a strisciare attraverso ai cespugli tentando di avvicinarsi alla caverna. Asthor, Grinnell ed i loro dieci compagni fecero altrettanto, tenendosi dietro alle vampe che procedevano sempre divorando le piante che incontravano sul loro passaggio.
I forzati tiravano sempre, incoraggiandosi con grida feroci; però la loro resistenza non era tenace come prima e per di più parevano pochissimi, imperocchè non tuonavano che tre sole carabine.
Erano tutti morti gli altri o il fumo gli aveva ridotti in tale stato da non essere più in grado di sostenere la lotta?
— Che gatta ci covi? — si chiedeva Asthor, cercando di vedere ciò che succedeva nella caverna. — Uhm! Non so cosa dire e temo una brutta sorpresa. —
I selvaggi coperti dal fumo e dalle fiamme giunsero a soli venti passi dalla caverna. Abbandonata ogni cautela balzarono in piedi e lanciarono le loro zagaglie e le loro frecce, mentre i bianchi facevano una scarica generale delle loro armi.
Gli assediati risposero con una salva d’imprecazioni, poi attraverso il fumo si vide apparire un uomo che si reggeva a stento in piedi; ma fatti pochi passi all’aperto, stramazzò a terra.
— È Dikens! — esclamo il pilota, che lo aveva riconosciuto. — Un altro che va a trovare messer Belzebù.
— Un’altra scarica, — comandò Collin, — e poi tutti avanti!
Cinque colpi di carabina echeggiarono, mentre i selvaggi lanciavano attraverso all’apertura le loro scuri di pietra; ma i forzati non risposero.
Asthor che era giunto a pochi passi dalla caverna, si rizzò in piedi tenendo in mano la carabina e guardò al di là delle fiamme, ma non vide in piedi nessun uomo.
— Tuoni e lampi! — esclamò. — Come va questa faccenda?
— Li vedi? — gridò il capitano.
— Aspettate... vedo attraverso il fumo un uomo che si dibatte; ma gli altri?... Ah! Ne vedo altri due che mi pare abbiano finita la loro brutta esistenza.
— Avanti! — gridò Collin.
I selvaggi colle lance dispersero i tizzoni, abbatterono i cespugli che ancora bruciavano, e giunsero dinanzi alla caverna contemporaneamente ad Asthor ed a Grinnell.
— Non vedo che dei morti e un moribondo — gridò egli, saltando dentro.
Il capitano e Collin lo raggiunsero, ma dovettero retrocedere per cagione del fumo. Appena però si fu diradato, s’inoltrarono cautamente attraverso la nera apertura che pareva si addentrasse profondamente nei fianchi del colle.
Quattro uomini giacevano dietro le rocce che avevano con tanta ostinazione difese. Erano Brown con la fronte spaccata da una palla, Mac Doil col petto coperto di sangue, Kingston e O’Donnel che erano stati uccisi dalle lance dei selvaggi. Il quinto, Welker, rantolava appoggiato alla parete.
— E gli altri? — chiese Collin, girando intorno un rapido sguardo.
— Dikens è caduto fuori — disse Asthor.
— Ma Bill e Mac Bjorn? — chiese il capitano.
— Eh! Per mille vascelli, non si vedono! — esclamò il pilota, mostrando i pugni.
— Eppure non devono essere fuggiti — disse Collin.
— Welker — disse il capitano avvicinandosi al forzato.
Il miserabile udendo pronunziare il suo nome aprì gli occhi, e vedendosi dinanzi Hill borbottò, forzandosi a sorridere:
— Appiccherete un morto, capitano.
— Dove sono Bill e Mac Bjorn? —
Negli occhi del moribondo brillò uno sguardo d’odio.
— Vili!... — esclamò. — Ci han...no... abban...donati...tra...diti!...
— Ma come?...
— Là!... Là!... — mormorò egli additando il fondo della caverna. — Fug...giti!...
— Una parola ancora — disse il capitano. — Chi siete voi?
Un pallido sorriso sfiorò le labbra di Welker.
— Son... mor...to — disse. — Non... im...porta... sia...mo forz...ati di Nor...—
Non finì; un tremito generale lo prese, alzò le braccia portandosi le mani raggrinzate alla gola e si accasciò su se stesso rimanendo immobile. Era morto!...
— Affrettiamoci, — disse Collin, — o quei miserabili ci fuggiranno. —
Si slanciarono verso il fondo della caverna e scoprirono uno stretto corridoio oscuro. Senza badare al pericolo a cui si esponevano, si cacciarono dentro tenendo le armi in pugno, e dopo aver percorso cinquecento metri si trovarono dinanzi ad un’apertura che pareva scavata di recente a colpi di piccone o di scure.
L’attraversarono e uscirono all’aperto. Si trovarono sul versante opposto dell’altura, il quale si univa colla base di una collina che addossavasi al vulcano.
— Fuggiti! — gridò Collin, strappandosi i capelli.
— Ah! Miserabili! — esclamò il capitano.
— E si sono portati via anche i vostri danari, signor Hill — disse Asthor che aveva frugato in tutti gli angoli della caverna.
— Ma li raggiungeremo, anche se si dovesse frugare tutte le foreste dell’isola, — disse Collin.
— E dove si saranno diretti? — chiese il capitano. — Non possono avere molto vantaggio su di noi, tanto più che Bill è ferito e zoppica.
In quell’istante Paowang, che da qualche minuto osservava attentamente il terreno, si avvicinò a Collin e gli disse:
— Ho scoperto le loro tracce, capo.
— Dove si dirigono?
— Salgono la collina.
— Saresti capace di seguirli?
— Sì; e senza smarrirli.
— Allora partiamo. Che dieci guerrieri sì uniscano a noi.
Collin chiamò dieci isolani e si mise in marcia dietro a Paowang, seguìto da Hill, Asthor e dai tre marinai.
Continuando le tracce lasciate dai due fuggiaschi che si vedevano impresse sulle erbe che qua e là apparivano calpestate, o fra i cespugli che si vedevano qua e là strappati, salirono la collina, l’attraversarono e scesero l’altro versante.
Giunti al basso, Paowang si fermò indeciso.
— Hai perduto le tracce? — gli chiese Collin.
— No, ma tornano indietro.
— È impossibile!
— Eppure non m’inganno.
— Ma noi non li abbiamo incontrati.
Il selvaggio non rispose. Guardava attentamente le boscaglie e pareva che un pensiero profondo lo tormentasse.
— Aspettatemi qui, capo — disse poi.
Si gettò a terra e si mise a studiare attentamente le erbe, guardando con viva attenzione i rami dei cespugli che si vedevano spezzati di recente, poi si mise a camminare carponi descrivendo un semicerchio che terminava verso la collina. Poco dopo però si vide tornare indietro e dirigersi verso la base del vulcano.
— Ha salito la montagna tremante — disse.
— Hanno salito, vuoi dire.
Paowang scosse il capo.
— No, — disse poi, — poichè la traccia è una sola.
— Che si siano divisi? — disse il capitano.
— Ma le tracce dell’altro?
— Avete ragione, Collin.
— Indovino — disse Asthor.
— Cosa intendi di dire? — domandò Hill.
— Voglio dire che Mac Bjorn si è preso Bill fra le braccia per non affaticarlo. Voi già sapete che quell’infame è ferito in una gamba, poichè l’abbiamo veduto zoppicare.
— Hai ragione, Asthor. Deve essere così; ma tanto meglio per noi, poichè faremo più presto a raggiungerli.
— Ha le gambe lunghe quel Mac Bjorn, — disse Asthor, — e temo che ci farà sudare assai. È magro come uno scheletro, ma, perdinci, è tutto nervi ed è capace di farci correre un bel tratto col suo compagno sulle spalle.
— Avanti — disse Collin.
Paowang si era già messo in cammino dietro la traccia, inoltrandosi traverso ai boschi che si arrampicavano sui fianchi della montagna tremante. Hill, Collin e tutti gli altri lo raggiunsero.
Il cammino diventava sempre più difficile, a mano a mano che salivano. Un numero immenso di liane s’attortigliavano agli alberi o si allungavano sul terreno come serpenti, intrecciandosi in mille guise, descrivendo curve e serpentine d’ogni dimensione e impedendo il passo al piccolo drappello. Ora invece si stendevano fitte macchie formate d’una specie di nocciuoli coi rami assai uniti, oppure immense zone di certe canne che somigliavano ai bambù tulda e che erano strette le une alle altre, da non permettere il passo se prima non venivano abbattute.
I marinai e gli indigeni lavoravano di sciabola e di scure con una specie di furore, ma in certi momenti si trovavano imbarazzati a farsi largo fra quegli ammassi di vegetali, che pareva volessero soffocarli. Paowang aveva smarrito la traccia da parecchio tempo, ma continuava a salire la grande montagna. Il suo istinto lo guidava ed era certo, certissimo, di aver dinanzi i due fuggiaschi.
Di tratto in tratto si arrestava, e dopo d’aver raccomandato il più profondo silenzio, ascoltava attentamente sperando di raccogliere qualche rumore che indicasse la presenza dei due nemici; ma i continui boati della montagna soffocavano ogni cosa.
Alle tre pomeridiane il drappello, trafelato per la lunga marcia, era giunto presso la cresta di una collina che si addossava al vulcano, quando Paowang che camminava sempre in testa a tutti, sfidando la nera cenere che il vulcano eruttava, si fermò dinanzi ad uno stagno le cui acque fumavano, mandando uno sgradevole odore di zolfo.
Si curvò ed esaminò la polvere nera che copriva le rive di quella sorgente d’acqua calda.
— Ecco le loro tracce! — esclamò. — Sono quelle di due uomini e seguono la cresta della collina.
— Che abbiano intenzione di deviare? — chiese Collin.
— Sì... ma... silenzio!
L’isolano si era bruscamente rialzato e i suoi occhi si erano fissati sui fianchi di una vicina montagna, assai più alta del vulcano e che pareva si dovesse prolungare in direzione della costa. Salì su di una roccia tenendosi nascosto dietro ai rami di un niaulis, e riparandosi gli occhi colle mani, per difenderli dai raggi del sole, continuò a guardare.
— Ho udito rompersi alcuni rami, — disse poi, — e vedo i cespugli agitarsi lassù.
— Ancora?...
— Sì, eccoli!...
Collin, il capitano e i marinai guardarono nella direzione indicata, e videro apparire, a circa sei o settecento metri sul versante della montagna che stava loro di fronte, una testa.
Scomparve subito, ma quel momento era bastato.
— Mac Bjorn! — esclamarono tutti.
Asthor e Fulton puntarono rapidamente le carabine e fecero fuoco. Si videro i cespugli agitarsi rapidamente, poi più nulla.
Avevano le palle colpito nel segno, o i due forzati si erano nascosti o allontanati strisciando?
— Accorriamo — disse il capitano. — Ormai non ci sfuggono più!... —