Un curioso accidente/Atto III

Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Monsieur Filiberto e Marianna.

Marianna. Signor padrone, scusate s’io torno ad importunarvi.

Filiberto. Verrai a dirmi qualche nuova bestialità?

Marianna. Io spererei che non aveste più a dirmi sciocca.

Filiberto. Basta che non ritorni a dire delle sciocchezze.

Marianna. Io altro non dirò, se non che sono al caso di maritarmi, e mi raccomando alla grazia vostra.

Filiberto. Hai risoluto di farlo prima della padrona?

Marianna. No, signore. S’ella lo fa oggi, io lo farò domani.

Filiberto. E non vuoi ch’io ti dica sciocca?

Marianna. Ancora me lo volete tener nascosto?

Filiberto. Che cosa?

Marianna. Il maritaggio della mia padrona.

Filiberto. Sciocchissima. [p. 166 modifica]

Marianna. Orsù, per farvi vedere che non sono sciocca, m’accuserò d’una mancanza commessa per curiosità. Sono stata dietro la portiera a udir parlare monsieur de la Cotterie colla mia padrona, ed ho sentito che si è stabilito di far le nozze segretissime, e che voi avete sborsato cinquecento ghinee a conto di dote.

Filiberto. A conto di dote? (rìdendo)

Marianna. Io credo a conto di dote. Le ghinee le ho vedute con questi occhi.

Filiberto. Sì, sciocca, e poi sciocca, e tre volte sciocca.

Marianna. (Mi fa un veleno, che lo ammazzerei colle mie proprie mani).

Filippetto. (Il tenente per altro si è condotto assai male. Non doveva parlare di ciò con mia figlia, e molto meno col pericolo d’esser sentito).

Marianna. Se volete celarmi il fatto, temendo che da me si sappia, fate torto alla mia onestà.

Filiberto. Bell’onestà! andar di soppiatto ad ascoltar gli altrui fatti! e poi intender male, e poi dire delle sciocchezze!

Marianna. È vero, non doveva ascoltare; ma circa all’intendere, io so che ho inteso la verità.

Filiberto. Tu vuoi trarmi di bocca, o di mano, qualche cosa che ti dispiaccia.

Marianna. Oh cospettonaccio! dove è andata poco fa la padrona?

Filiberto. Dove è andata?

Marianna. Non è andata con monsieur de la Cotterie?

Filiberto. Dove?

Marianna. Intesi dire, che andavano da madama Geltruda.

Filiberto. Da mia sorella?

Marianna. Per l’appunto.

Filiberto. Ci sarà andata Giannina, non il tenente.

Marianna. Io so che sono sortiti insieme.

Filiberto. Il tenente l’avrà accompagnata. Mia sorella sta poco lungi dal luogo dove egli doveva andare. Mia figlia avrà [p. 167 modifica] piacer di essere più vicina, per saper le nuove. So tutto, va tutto bene, e tu sei una sciocca.

Marianna. (Sento proprio che la bile mi affoga).

Filiberto. Guarda chi c’è in sala. Ho sentito gente.

Marianna. (Oh, la sarebbe bella che il vecchio rimanesse gabbato! Ma mi pare ancora impossibile). (parte)

SCENA II.

Monsieur Filiberto e poi Guascogna.

Filiberto. Prego il cielo che la cosa abbia buon fine: non avrà mancato però dalla imprudenza del tenente il cercar di precipitarsi. La gioventù è soggetta a simili debolezze. Io, per grazia del cielo, sono stato accorto da giovane, e lo sono molto meglio in vecchiezza.

Guascogna. Servitore di monsieur Filiberto.

Filiberto. Buon giorno, amico. Che c’è di nuovo?

Guascogna. Il mio padrone gli fa i suoi umilissimi complimenti.

Filiberto. Dov’è il tenente? Che fa? Che dice? Come passano gl’interessi suoi?

Guascogna. Credo che da questo viglietto potrete essere interamente informato.

Filiberto. Sentiamo. (apre il viglietto)

Guascogna. (Se non mi dice d’andarmene, ho volontà di restare).

Filiberto. Vi è dentro una carta, il cui carattere mi par di mia figlia. Sentiamo prima, che cosa dice l’amico.

Guascogna. (Marianna ascolta dalla portiera. Ella non è men curiosa di me.)

Filiberto. Monsieur. I vostri consigli m’hanno animato ad un passo, che io non avrei avuto coraggio d’intraprendere con tutte le sollecitazioni dell’amor mio. Sì, certo, egli non avea coraggio. Ho condotto la figlia in luogo onesto e sicuro, vale a dire in casa della di lei zia paterna. Dice di averla condotta! Avrà incontrata per via madamigella Costanza, e si sarà accompagnato con essa. Ho fatto bene io a sollecitarla [p. 168 modifica] che andasse. Tutta opera mia. Le lacrime della fanciulla hanno intenerito la buona vecchia, ed ella ha condisceso alle nostre nozze. Buono, buono, non poteva andar meglio. Si è mandato a chiamare un notaro, ed alla presenza di due testimoni abbiamo celebrati gli sponsali. Benissimo, si è portato bene. Non posso per altro esprimervi la mia confusione, e non avendo io coraggio d’impetrar più oltre la grazia Vostra, suppliranno i caratteri di vostra figlia, a cui perdonerete forse più facilmente, e vi bacio le mani. Che cosa mai vuol da me, che non ha coraggio di chiedermi, e si vale di mia figliuola per ottenerlo? Leggiamo l’inclusa. Convien dire, ch’egli sia andato subito da mia sorella per comunicare il fatto a Giannina. Che dice la mia figliuola? Carissimo Genitore. Scrive assai bene, ha un bel carattere mercantile. Gran brava fanciulla! Il cielo me la benedica. Permettetemi che col mezzo di questa carta mi getti a’ vostri piedi, e vi domandi perdono. Oh cieli! che cosa ha fatto? Assicurata da voi medesimo del consiglio che deste a monsieur de la Cotterie, e del denaro somministratogli per l’effetto, mi sono abbandonata alla mia passione, ed io ho sposato il tenente. Ah indegna! Ah mentitore! Traditori, ribaldi, mi hanno assassinato.

Guascogna. Che c’è, signore?

SCENA III.

Marianna e detti.

Marianna. Che cosa è stato, signor padrone?

Filiberto. Aiutatemi, sostenetemi. Non mi abbandonate per carità.

Marianna. Che cosa può far per voi una sciocca?

Filiberto. Hai ragione. Beffami, vilipendimi, bastonami ancora. Io lo merito, e ti do licenza di farlo.

Marianna. No, anzi vi compatisco.

Filiberto. Non merito di essere compatito. [p. 169 modifica]

Guascogna. Signore, non vi abbandonate alla disperazione. Finalmente il mio padrone è persona onesta, è persona nobile.

Filiberto. Ha rovinato mia figlia, ha precipitate le mie speranze.

Marianna. Voi avete il modo di dargli stato.

Filiberto. E avrei da gettare il mio in cotal modo?

Guascogna. Perdonatemi, signore, con quelle stesse ragioni, con cui volevate convincere monsieur Riccardo, procurate di persuader voi medesimo.

Filiberto. Ah maladetto! tu mi rimproven con malizia, (a Guascogna)

Marianna. Parla bene Guascogna, e voi non l’avete da rimproverare. (a Filiberto, con caldo)

Filiberto. Sì, insultami, disgraziata.

Marianna. Vi compatisco, perchè la bile vi accieca.

Guascogna. Rimproverate a voi stesso il frutto di un cattivo consiglio.

Filiberto. Perchè ingannarmi? Perchè farmi credere che gli amori dell’uffiziale tendessero a madamigella Costanza?

Guascogna. Perchè amore è ingegnoso, e insegna agli amanti celar le fiamme, e procurare la propria felicità.

Filiberto. E se Riccardo aderiva alle nozze della figliuola, qual figura doveva io fare in un tal maneggio?

Guascogna. Il padrone vi ha mai pregato di farlo?

Filiberto. No, ma ha acconsentito ch’io lo facessi.

Guascogna. Dite piuttosto, che voi non l’avete capito.

Filiberto. In somma mi hanno tradito, mi hanno ingannato. Mia figlia è una perfida. Il tenente è uno scellerato.

Guascogna. Parlate meglio, signore, di un uffiziale.

Marianna. Badate bene, che i militari sono avvezzi a tenere la spada in mano.

Filiberto. Oh la sarebbe bella, che per giunta mi avesse ancor da ammazzare!

Guascogna. Il mio padrone non ha sì barbari sentimenti. Verrà a domandarvi perdono.

Filiberto. Non lo voglio vedere.

Guascogna. Verrà per lui vostra figlia. [p. 170 modifica]

Filiberto. Non me la state più a nominare.

Marianna. Il vostro sangue, signore.

Filiberto. Ingrata! Era l’amor mio, la mia unica consolazione.

Guascogna. Al fatto non vi è rimedio.

Filiberto. Lo so, insolente, lo so pur troppo.

Guascogna. Non vi riscaldate con me.

Marianna. Compatitelo. La passione l’opprime. Povero il mio padrone. Sperava di maritare a piacer suo la figliuola, ed averla sempre vicina, e veder nascere i nipotini, e consolarsi nell’abbracciarli e nell’allevarli egli stesso.

Filiberto. Mie perdute speranze! Mie perdute consolazioni!

Guascogna. Credete voi, signore, che un genero, buon francese e buon militare, non vaglia a provvedervi di nipotini?

Marianna. Non passa un anno, che vi vedete bamboleggiare d’intorno il più bel ragazzino del mondo.

Filiberto. L’odio del padre mi farebbe odiare anche il figlio.

Marianna. Eh il sangue, signore, fa dimenticare ogni oltraggio.

Guascogna. Avete un’unica figliuola al mondo, e avrete cuore di abbandonarla, per non vederla mai più?

Filiberto. Ho tale angustia di animo, che mi sento morire.

Marianna. Guascogna. (si copre la faccia colle mani)

Guascogna. Che dite?

Marianna. Mi avete capito? (gli fa cenno che vada)

Guascogna. Ho inteso.

Marianna. Ora è il tempo.

Guascogna. Si può provare.

Filiberto. Che cosa dite?

Marianna. Dico a Guascogna che se ne vada, che non v’inquieti d’avvantaggio, e che non si abusi della vostra bontà.

Filiberto. Sì, lasciatemi solo.

Guascogna. Vi riverisco, signore. Se più non vi rivedessi, scusatemi se in casa vostra avessi commesso qualche mal termine. Il mio padrone, per quel ch’io vedo, sarà forzato a partire, e condurrà seco in Francia la sposa. Non mi dite nulla da dire alla vostra povera figlia? [p. 171 modifica]

Filiberto. Credete voi ch’egli voglia partire sì presto? (a Guascogna)

Guascogna. Mi disse, che se non aveva da voi qualche buona risposta, andassi pure ad ordinare i cavalli.

Marianna. Gran dolor per un padre il dire: non vedrò mai più la mia figlia!

Filiberto. Vedete, se il vostro padrone è un barbaro, è un ingrato? Poteva io fare per lui più di quello che ho fatto? Ed egli può usarmi maggiore barbarità? Strapparmi dal cuore la figlia, senza che io la possa nemmen vedere?

Guascogna. Io credo ch’ei ve la condurrebbe dinanzi assai volentieri, se non temesse gli sdegni vostri.

Filiberto. Perfido! Ho da lodarlo per sì bell’azione? Ho da ringraziarlo del suo tradimento? Sfugge i rimproveri di un padre offeso. Gli scotta il sentirsi dir traditore?

Guascogna. Ho capito. Con permissione. (in atto di partire)

Filiberto. Non gli diceste mai, che ardissero di venir da me. Io non li voglio, io non li desidero.

Guascogna. Ho capito benissimo. (La natura non può mentire). (parte)

SCENA IV.

Monsieur Filiberto e Marianna.

Marianna. (La cosa è vicina ad accomodarsi).

Filiberto. (Mio danno. Mi sta bene. Mio danno).

Marianna. Signore, per divertirvi un poco, posso or parlarvi degli affari miei?

Filiberto. Non mancherebbe altro per inquietarmi, che tu mi parlassi del tuo matrimonio. Odio questo nome fatale, nè vo’ sentirne a discorrere fin ch’io vivo.

Marianna. Voi vorreste, a quel ch’io sento, che finisse il mondo.

Filiberto. Per me è finito.

Marianna. Povero padrone! A chi anderanno le vostre facoltà, le vostre ricchezze?

Filiberto. Il diavolo se le pigli. [p. 172 modifica]

Marianna. Voi morirete ricco, e la vostra figliuola viverà miserabile.

Filiberto. Povera disgraziata!

Marianna. E vorrete campar con quest’odio, e morire con questo rimorso?

Filiberto. Ma taci, demonio, taci. Non tormentarmi di più.

SCENA V.

Madamigella Costanza e detti.

Costanza. Monsieur Filiberto, vi prendete giuoco di me?

Filiberto. (Ci mancava ora costei).

Costanza. Son due ore che l’aspetto, e non si vede a comparire nessuno.

Filiberto. (Io non so che rispondere).

Costanza. Non mi eccitaste voi a ritornar dalla zia, dicendomi che colà sarebbesi introdotto il signor tenente?

Marianna. Vi dirò io, signora, come andò la faccenda. Il signor tenente doveva andar dalla zia, e dalla zia è andato: doveva intendersi con madamigella, e con madamigella si è inteso. Ma il povero galantuomo ha sbagliato la casa. In luogo di portarsi dalla zia Ortensia, si è trovato dalla zia Geltruda, e invece di sposare madamigella Costanza, ha sposato madamigella Giannina.

Costanza. Come! sarebbe mai possibile, che io fossi beffata a tal segno? Parlate voi, monsieur Filiberto; sinceratemi su questo fatto, e non mi crediate sì vile per tollerare un’ingiuria.

Filiberto. Oh cospetto di Bacco, se la tollero io, l’avete da tollerare anche voi.

Costanza. E che cosa dovete voi tollerare?

Filiberto. Per cagion vostra, ho contribuito alla rovina di mia figliuola.

Costanza. Per causa mia?

Filiberto. Sì, per voi si è alzata una macchina, che si è poi diroccata sulle mie spalle. [p. 173 modifica]

Marianna. Fortuna, che ha buona schiena il padrone.

Costanza. Io di tutto ciò non capisco niente.

Filiberto. Vi dirò io netta e chiara com’è la cosa. Sappiate dunque...

SCENA VI.

Monsieur Riccardo e detti.

Riccardo. Che fate voi qui? (a Costanza)

Filiberto. (Ecco il resto).

Costanza. Signore, voi non mi avete vietato mai di frequentar questa casa.

Riccardo. Principio ora a vietarvelo. So perchè ci venite. So gli amori vostri col forestiere, e so che qui si tendono insidie al vostro decoro ed alla mia autorità.

Filiberto. Voi non sapete nulla, e se sapeste quel che so io, non parlereste così. (a Riccardo, con sdegno)

Riccardo. Fondo il discorso mio su quel che mi avete detto, e non è poco, e bastami per obbligare mia figlia a non venire più in questa casa.

Marianna. Avete voi paura che ve la maritino a dispetto vostro?

Riccardo. Posso temere ancor questo.

Marianna. Sentite. Se non isposa il padrone, qui non c’è altri.

Riccardo. Dov’è il francese? Dov’è l’uffiziale?

Marianna. Signore, permettete ch’io glielo dica? (a Filiberto)

Filiberto. Ah! pur troppo si ha da sapere.

Marianna. Sappiate dunque, che il signor uffiziale ha bravamente sposato la mia padrona.

Riccardo. Eh! (con ammirazione)

Filiberto. Oh! (con dispetto)

Costanza. Ecco l’ingiuria di cui temeva. Ah! signor padre, vendicate l’insulto che mi vien fatto. Si sono valsi di me per mascherare gli affetti loro; mi hanno lusingata per dileggiarmi, e l’affronto che è fatto a me, viene ad offendere la nostra casa. [p. 174 modifica]

Riccardo. Sì, vendicherò l’offesa che mi vien fatta. Voi sarete chiusa fra quattro mura, e monsieur Filiberto mi pagherà l’insulto col rossore di se medesimo.

Filiberto. (Mi sta bene. Merito peggio).

Costanza. (Meschina di me! A quale stato mi ha condotto la passione, la debolezza e l’inobbedienza!)

Filiberto. Caro amico, scusatemi de’ miei trasporti. Conosco l’ingiustizia ch’io vi faceva, e giustamente il cielo mi punisce delle mie cattive intenzioni. Ah! monsieur Riccardo, ho perduta la mia figliuola, ed io medesimo ho procurato la mia disgrazia.

Riccardo. Perduta? se è maritata, non è interamente perduta.

Filiberto. Dubito di non vederla mai più. Chi sa che ora quel cane non me la trasporti lontano? Io medesimo gli ho dato cinquecento ghinee per portarmi via il cuore. La mia figlia, la mia unica figlia, l’amor mio, l’unica mia passione. Ah! potessi abbracciarla una volta almeno. Vo’ saper se è partita, vo’ procurar di vederla. S’ella è sparita, mi voglio uccidere colle mie mani. (andando via s’incontra colla figliuola)

SCENA VII.

Madamigella Giannina e detti.

Giannina. Ah caro padre!

Filiberto. Ah ingratissima figlia!

Giannina. Perdonatemi, per carità. (s’inginocchia)

Filiberto. Non meriti ch’io ti perdoni.

Giannina. È giustissimo il vostro sdegno.

Filiberto. (Mi sento morire).

Riccardo. (Il caso è compassionevole per tutti e due).

Costanza. (Sarei vendicata, se il padre non le perdonasse).

Filiberto. Alzati.

Giannina. Non mi alzerò senza il vostro perdono.

Filiberto. E avresti1 il cuore di darmi un sì gran dolore? [p. 175 modifica]

Giannina. Ah signore, il vostro consiglio...

Filiberto. Taci, non mi tormentar di vantagtio. Non mi parlare mai più della mia ignoranza, della mia debolezza. Alzati, a questa condizion ti perdono.

Giannina. Oh amorosissimo genitore! (s’alza)

Costanza. (Le costa poco il suo pentimento).

Giannina. Deh, signore, sieno le grazie vostre compite...

Filiberto. Non mi parlare di tuo marito.

Giannina. O accettatelo nel cuor vostro, o sarò costretta ad abbandonarvi.

Filiberto. Perfida! così parli a tuo padre?

Giannina. La fede coniugale mi obbliga a quest’eccesso.

Filiberto. (Oh dura legge di un padre! Ma mi sta bene, merito peggio).

Riccardo. Amico, la cosa è fatta, non vi è rimedio. Vi consiglio ad accomodarvi, prima che si sparga per la città il curioso accidente che vi è accaduto.

Filiberto. Mi raccomando a voi, mi raccomando a madamigella che non si sappia, per l’onor mio, per il mio concetto. Avverti tu non parlare. (a Marianna) Figlia mia, non lo dire a nessuno. (a Giannina)

Giannina. No, per amor del cielo, che non si sappia. Presto, accomodiamo tutte le cose, prima che escano da queste mura. Presto, caro sposo, venite innanzi, gettatevi a’ piedi del mio caro padre, domandategli perdono, baciategli la mano. Ei vi perdona, vi accetta per genero e per figliuolo. Presto, e zitto, che nessuno lo sappia, (fa eseguire con violenza tutte le cose che ha dette.)

Filiberto. (Sono stordito, non so che mi faccia).

Costanza. (Non ho coraggio di resistere alla vista di quell’ingrato!) (parte)

Cotterie. Signore, mi avete voi perdonato? (a Filiberto)

Filiberto. Pare a voi di meritare ch’io vi perdoni?

Giannina. Per amor del cielo, non parliamo più oltre. Badate a non far saper a nessuno quel che è accaduto. Preme a mio [p. 176 modifica] padre di salvar il decoro della famiglia, e soprattutto vi avverto, non rammemoraste mai per vostra giustificazione, che egli vi ha consigliato a un tal passo, e che vi ha dato cinquecento ghinee per l’esecuzione.

Filiberto. Vi ho comandato di non parlarne. (a Giannina, con sdegno)

Giannina. Non ho fatto che partecipare allo sposo il vostro comando.

Riccardo. E bene, monsieur Filiberto, siete pacificato?

Filiberto. Che volete ch’io faccia? Sono costretto dalla necessità, dall’amore, dalla dabbenaggine mia a pacificarmi. Non so che dire. Siete sposi, siete in casa, stateci, che il cielo vi benedica.

Giannina. Oh consolazione perfetta!

Cotterie. Signore, spero che non avrete a pentirvi di avermi compatito e beneficato.

Marianna. Zitto, presto, che nessuno lo sappia.

Filiberto. Che hai ora?

Marianna. Vi è un’altra picciola cosa presto e zitto da terminare. Guascogna ha da esser mio marito. Con licenza di lor signori.

Guascogna. Con licenza del mio padrone. (si danno la mano)

Marianna. Zitto e presto, che nessuno lo sappia.

Giannina. Di questo tuo matrimonio non vi è niente che dire. Del mio potrebbesi mormorare, confessando da me medesima aver trascorso i limiti del dovere, mancando del dovuto rispetto al padre, ed esponendo al pericolo il decoro mio ed il buon nome della famiglia. Il mondo, che ora mi vede contenta, e non punita, guardisi dal ritrarne cattivo esempio. Dica piuttosto, che il cielo ha voluto mortificare il padre, e non esenta dai rimorsi e dai timori la figlia. Umanissimi spettatori, sia il frutto di questa nostra rappresentazione la cautela nelle famiglie, e sia effetto della vostra bontà il vostro umanissimo aggradimento.

Fine della Commedia.

  1. Così il testo; ma probabilmente è da leggere avesti.