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170 ATTO TERZO

Filiberto. Non me la state più a nominare.

Marianna. Il vostro sangue, signore.

Filiberto. Ingrata! Era l’amor mio, la mia unica consolazione.

Guascogna. Al fatto non vi è rimedio.

Filiberto. Lo so, insolente, lo so pur troppo.

Guascogna. Non vi riscaldate con me.

Marianna. Compatitelo. La passione l’opprime. Povero il mio padrone. Sperava di maritare a piacer suo la figliuola, ed averla sempre vicina, e veder nascere i nipotini, e consolarsi nell’abbracciarli e nell’allevarli egli stesso.

Filiberto. Mie perdute speranze! Mie perdute consolazioni!

Guascogna. Credete voi, signore, che un genero, buon francese e buon militare, non vaglia a provvedervi di nipotini?

Marianna. Non passa un anno, che vi vedete bamboleggiare d’intorno il più bel ragazzino del mondo.

Filiberto. L’odio del padre mi farebbe odiare anche il figlio.

Marianna. Eh il sangue, signore, fa dimenticare ogni oltraggio.

Guascogna. Avete un’unica figliuola al mondo, e avrete cuore di abbandonarla, per non vederla mai più?

Filiberto. Ho tale angustia di animo, che mi sento morire.

Marianna. Guascogna. (si copre la faccia colle mani)

Guascogna. Che dite?

Marianna. Mi avete capito? (gli fa cenno che vada)

Guascogna. Ho inteso.

Marianna. Ora è il tempo.

Guascogna. Si può provare.

Filiberto. Che cosa dite?

Marianna. Dico a Guascogna che se ne vada, che non v’inquieti d’avvantaggio, e che non si abusi della vostra bontà.

Filiberto. Sì, lasciatemi solo.

Guascogna. Vi riverisco, signore. Se più non vi rivedessi, scusatemi se in casa vostra avessi commesso qualche mal termine. Il mio padrone, per quel ch’io vedo, sarà forzato a partire, e condurrà seco in Francia la sposa. Non mi dite nulla da dire alla vostra povera figlia?