Terza parte del Re Enrico VI/Atto quarto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO QUARTO
SCENA I.
Londra. — Una stanza nel palazzo.
Entrano Glocester, Clarenza, Sommerset, Montague, ed altri.
Gloc. Or che ne dite, fratello Clarenza, di questo nuovo maritaggio con lady Grey? non ha nostro fratello fatto una degna scelta?
Clar. Oimè! voi sapete che ben grande era la distanza di qui alla Francia. Come avrebb’egli potuto contenersi fino al ritorno di Warwick?
Som. Signori, tacetevi; s’avanza il re. (squillo di trombe, entrano il re Eduardo con seguito; lady Grey, in abito da regina, Pembroke, Stafford, Hastings, ed altri)
Gloc. Colla sua degna sposa!
Clar. Io intendo dirgli apertamente quello che penso.
Ed. Fratello Clarenza, quale vi rassembra la nostra scelta? Voi mi parete pensoso e tristo.
Clar. Come dovranno esserlo Luigi di Francia e il conte di Warwick, che saran sì deboli di mente e di cuore da risentirsi del nostro oltraggio.
Ed. Ponete che se ne offendano senza cagione; essi sono Luigi e Warwick; io Eduardo, vostro re e loro, e che far posso il voler mio.
Gloc. E questo sarà fatto, perchè voi siete il nostro sovrano; nondimeno matrimonii sì precipitosi di rado riescono felici
Ed. Fratello Riccardo, ne sareste voi pure sdegnato?
Gloc. Non io; no, Dio non voglia ch’io potessi desiderare separati quelli che Egli ha uniti: e crudo sarebbe il dividere due sposi così bene congiunti.
Ed. Lasciando a parte i vostri scherni e i vostri dispregi, adducete qualche argomento per provarmi che lady Grey non poteva divenire mia sposa, e regina d’Inghilterra. Voi pure, Sommerset e Montague, esponete liberamente il pensier vostro.
Clar. Mia opinione è che il re Luigi diverrà vostro nemico, per averlo voi beffato chiedendogli Bona.
Gloc. E Warwick, aderendo a quello che gli avevate conimmesso, è ora disonorato da questo nuovo matrimonio.
Ed. £ se potrò calmar Luigi e Warwick con qualche espediente?
Mont. Resterebbe nondimeno sicuro che una alleanza colla Francia avrebbe afforzato lo Stato contro tempeste straniere, più che ogni altra fatta nell’interno del regno.
Hast. Ma ignora Montagne che l’Inghilterra è sicura e abbastanza forte in se stessa, purchè non nutra discordie?
Mont. Certo; ma più sicura anche sarebbe, se sostenuta fosse dalla Francia.
Hast. Il miglior partito che trar si possa dalla Francia è il non fidarsi di lei: afforziamoci della protezione di Dio e dei mari, che egli ci ha dati per difesa inespugnabile, e col loro aiuto soltanto provvediamo a noi stessi: in essi e in noi riposa la nostra salute.
Clar. Per queste sole parole lord Hastings ben merita di avere l’ereda di lord Hungerford.
Ed. E che perciò? Fu mio volere, e il mio volere è legge.
Gloc. Nondimeno non parmi che Vostra Grazia abbia adoperato, concedendo la figlia di lord Scales al fratello della vostra diletta sposa: ella sarebbe meglio convenuta a me, o a Clarenza; ma la vostra sposa è tutto per voi, e i vostri fratelli nulla.
Clar. E ancora non avreste dovuto concedere Pereda di lord Boiivil al figlio della vostra nuova consorte, lasciando che i vostri fratelli vadano a cercar fortuna altrove.
Ed. Oimè, povero Clarenza! È per una moglie che ti crucci. Io te ne provvederò.
Clar. Scegliendo per voi stesso avete mostrato il vostro senno; e siccome è stato leggero alquanto, così tollererete ch’io faccla da me: a questo fine m’accomiaterò in breve.
Ed. Lasciatemi o restate, Eduardo sarà re, e non soggetto al volere de’ suoi fratelli.
Lady. Signori, rendetemi giustizia: prima che piacesse a Sua Maestà d’innalzarmi al grado di regina, io non era di nascita oscura, e donne in più umile condizion della mia ebbero eguali fortune. Ma se questo nuovo titolo onora me, e i miei, questi vostri segni di malcontento avvelenano la mia gioia, e mi fanno temere per la mia felicità.
Ed. Amor mio, astienti dal blandire al loro cruccio: qual pericolo, qual male ti può incogliere finchè Eduardo ti è fedele, ed è il sovrano a cui bisogna che essi obbediscano? Sì, obbedir mi dovranno ed amarti, se incorrere non Yogliono nell’odio mio, al quale esponendosi proverebbero in breve tntta la mia vendetta.
Gloc. (a parte) Io ascolto in silenzio, e medito profondamente.
(entra un Messaggiere)
Ed. Ora, Messaggiere, quali lettere, o quali novelle rechi tu di Francia?
Mess. Mio signore, non ho lettere; ma poche parole che, senza un vostro preventivo perdono, non ardirò ripetere.
Ed. Di’, ti perdoniamo; sii breve, ed esponi fedele il messaggio. Che rispose Luigi alle nostre lettere?
Mess. Alla mia partenza queste furono le sue parole: Di’ al traditore Eduardo, tuo falso re, che Luigi di Francia gli manderà una mano di maschere per celebrare i suoi nuovi sponsali.
Ed. È Luigi sì prode? Forse mi crede Enrico. Ma che soggiunse la principessa Bona del mio matrimonio?
Mess. Queste furono le sue parole profferite con mite sdegno: Di che nella speranza in cui sono ch’ei rimanga in breve vedovo, io porterò una ghirlanda di salice.
Ed. Non la biasimo, non poteva dir meno, poichè fu ella l’offesa. E la sposa di Enrico che altro disse? perocchè ho inteso che ella pure era presente.
Mess. Digli, essa gridò, che ho spogliati i miei abiti di lutto, e che sto per rivestire l’armatura dei prodi.
Ed. Forse intende compiere le parti di Amazzone. Le parole era di Warwick a queste ingiurie?
Mess. Più sdegnato di ogni altro contro Vostra Maestà, e fece intendere questi accenti: Digli che ei mi ha oltraggiato, e che fra non molto gli toglierò quella corona.
Ed. Ah! il traditore osò dir tanto? Bene, io saprò armarmi, sendo così avvertito: essi avranno la guerra, e sconteranno la loro presunzione. Ma dimmi, è Warwick amico di Margherita?
Mess. Sì, grazioso sovrano; essi sono così amici che il giovine principe Eduardo sposa la figlia di Warwick.
Clar. Forse la maggiore, perchè Clarenza avrà l’altra. Addio re e fratello, assidetevi bene sul vostro trono, perchè uscendo di qui io vado a chiedere l’altra figlia di Warwick, onde, se mi manca un regno, il mio matrimonio almeno non sia inferiore al vostro che Warwick e me amate, seguitemi.
(esce con Somm.)
Gloc. (a parte) Io resterò: i miei pensieri vanno pia lungi; io non sto per amore di Eduardo, ma della corona.
Ed. Clarenza e Sommerset si uniscono entrambi a Warwick! Non vale; io sono armato contro tutti gli eventi, e la sollecitudine è necessaria in questo caso disperato. Pembroke e Stafford, andate a levar milizie per noi, e fate gli apparecchi per la guerra; i nostri nemici son solerti, e sbarcheranno in breve: io stesso non tarderò a seguirvi. (Pem. e Staff. entrano) Ha prima ch’io vada, Hastings e Montagne, toglietemi un dubbio. Voi due fra tatti gli altri siete affini strettissimi di Warwick, per sangue ed alleanze: ditemi se amate Warwick più di me? Se ciò è, ite entrambi a trovarlo; io vi desidero piuttosto nemici che amici freddi; ma se risoluti diete di essermi fedeli, assicuratemene con qualche giuramento, ond’io possa non avervi mai più in sospetto.
Mont. Così Iddio protegga Montague, come è vero ch’egli è fedele!
Hast. E Hastings, come è sicuro ch’ei caldeggia la causa di Eduardo!
Ed. E voi, fratello Riccardo, resterete con noi?
Gloc. Sì, in onta di quanto potesse opporsi.
Ed. Ora son certo di vincere. Partiamo senza altre dimore, e non ci ristiamo finchè i nostri non abbiano incontrato Warwick col suo esercito straniero. (escono)
SCENA II
Una pianura nella provincia di Warwick.
Entrano Warwick e Oxford coll'esercito francese.
War. Credetemi, milord, tutto fin qui procede bene. Il popolo si accalca intomo a noi. (entrano Clarenza e Sommerset) Ma vedete, giungono anche Sommerset e Clarenza. — Parlate liberamente, signori. Siamo noi tutti amici?
Clar. Non dubitate di ciò, milord.
War. Allora, caro Clarenza, Warwick ti fa liete accoglienze, e a voi pure, Sommerset. Ho a vile ogni diffidenza, allorchò un nobile cuore ha dato la mano in segno d’amistà: se ciò non fosse potrei credere che Clarenza, fratello di Eduardo, non dimostrasse che uno zelo simulato pei nostri disegni: ma sii l’amico di Warwick, Clarenza, e mia figlia diverrà tua sposa. Che rimane ora se non di approfittare dei veli della notte, per sorprendere tuo fratello che sta negligentemente accampato, intantochè i suoi soldati errano per la città, ed egli non ha intorno a sè che una semplice guardia? Le nostre spie dichiarano tal opera facile a compiersi. Come un tempo Ulisse e il robusto Diomede penetrarono andacemente nella tenda di Reso, e seppero rapire i cavalli di Trace, ai quali i destini avevano conlegata la vittoria; così noi, coperti dal nero manto della notte, possiamo avventarci all'impensata sulle soldatesche di Eduardo, batterle, e impadronirci di lui; nè dirò ucciderlo, ma sostenerlo prigione. Quelli di voi che vorranno seguirmi in tale impresa, acclamino il nome di Enrico, come fa il vostro generale. (tutti gridano: Enrico!) Andiamo, partiamo dunque, e procediamo in silenzio. Dio e san Giorgio siano per Warwick e pei suoi amici! (escono)
SCENA III.
Il campo di Eduardo vicino a Warwlck.
Entrano alcune scolte guardanti la tenda del re.
1° Scol. Venite, amici, ognuno prenda il suo posto. Il re si è adagiato sotto questa tenda per dormire.
2° Scol. Come! Non andrà al suo letto?
1° Scol. No: perchè ha fatto solenne sacramento di non più gustare l’usato riposo finchè Warwick od egli non siano estinti.
2° Scol. Dimani sarà il giorno che definirà ciò, se è vero che Warwick ne sia tanto presso.
3° Scol. Ma ditemi, ve ne prego, chi è quel gentiluomo che dorme in questa tenda col re?
1° Scol. Lord Hastings, il suo più diletto amico.
3° Scol. Sì? Ma perchè comanda il re che i suoi precipui duci alberghino nelle città vicine, intanto che egli se ne sta sui freddi campi?
2° Scol. Quanto è più il pericolo, tanto è più l’onore.
3° Scol. Oh! ma io preferisco gli omaggi e la quiete agli onori pericolosi. Se Warwick conoscesse in quale stato egli è, certo è che verrebbe a risvegliarlo.
1° Scol. A meno che le nostre labarde non gli chiudessero il passo.
2° Scol. Sicuramente: imperocchè a che resteremmo qui, se difender non lo volessimo contro i suoi nemici notturni?
(entrano Warwick, Clarenza, Oxford, Sommerset, e l’esercito).
War. Questa è la sua tenda; e mirate dove sta la guardia. Coraggio, signori: valore ora, o non più! Seguitemi solo, ed Eduardo è nostro.
1° Scol. Chi va là?
2° Scol. Fermati, o sei morto.
(Warwick e tutto il resto gridano Warwick! Warwick! e pongono in fuga la guardia che grida all’armi! I sopravvenuti la inseguono: i tamburi battono l’allarme e le trombe squillano. Rientra Warwick cogli altri conducendo il Re in panni da notte seduto sopra una sedia. Glocester e Hastings fuggono)
Somm. Chi sono coloro che fuggono?
War. Riccardo e Hastings; lasciali andare. Quivi è il duca.
Ed. Il duca! Quando ci vedemmo l’ultima volta, Warwick, tu mi chiamavi re.
War. Sì, ma le cose mutarono. Allorchè voi mi disonoraste con quella ambasciata, io vi degradai, e vengo ora per crearvi duca di York. Oimè! come potreste voi governare un regno, se non sapete come si trattino gli ambasciatori, nè come esser si possa contento con una moglie, nè come fraternamente vadano riguardati i fratelli, nò come si intenda al pubblico bene, nè come uom si difenda dai suoi nemici?
Ed. O fratello Clarenza, sei tu pure qui? Or veggo che Eduardo forza è che cada. Nondimeno, Warwick, in onta della sorte, di te, e di tutti i tuoi complici, Eduardo si comporterà sempre da re. Sebbene la mobilità della fortuna offuschi il mio splendore la mia anima è posta al disopra della sua incostanza.
War. Ebbene: sarà colla sua anima che Eduardo continuerà a regnare sull’Inghilterra: (togliendogli la corona) ma Enrico solo porterà questo diadema e sarà il vero re: tu la di lui ombra. — Milord di Sommerset, assumetevi, a mia inchiesta, di tur condurre il duca Eduardo da mio fratello l’arcivescovo di York. Quando avrò combattuto Pembroke e i suoi seguaci, io vi raggiungerò, e dirò qual risposta mandino ad Eduardo Luigi e la principessa Bona. Per ora addio, buon duca di York.
Ed. Quel che il destino vuole, forza è che l’uomo sopporti. Inutile è il resistere al vento e al flutto.
(esce fra le guardie con Sommerset)
Ox. Che ci rimane ora, signori, da fare, se non marciare a Londra coi nostri soldati?
War. Sì, questa è la prima cosa: sciogliere il re Enrico dalla sua carcere, e rimetterlo sul trono reale.(escono)
SCENA IV.
Londra. — Una stanza nel palazzo.
Entrano la regina Elisabetta Grey e Rivere.
Riv. Signora, quale sventura vi ha tanto mutata?
Elis. Oh! fratello Rivers, v’è ignoto ancora ciò ch’è accaduto al re Eduardo?
Riv. Forse la perdita di quella battaglia contro Warwick?
Elis. No, ma la perdita della sua real persona.
Riv. È dunque il mio sovrano ucciso?
Elis. Sì, quasi ucciso, perchè è fatto prigioniero: egli fu tradito dalle sue guardie o sorpreso da’ suoi nemici. Il misero è ora condotto dal vescovo di York per comando del vile Warwick di lui fratello.
Riv. Coteste novelle, debbo confessarlo, son dolorose: ma, graziosa signora, sopportatele con pazienza. Warwick, che ora ha vinto, può a sua volta perdere.
Elis. L’amabile speranza impedisca dunque l’estinzione dei miei dì. Io mi toglierò alla disperazione per amore del figlio di Eduardo che ho nel seno. Ciò mi afforzerà contro le mie passioni e mi farà portare rassegnata la mia croce. Sì, sì, per questo io verserò molte lagrime e conterrò molti angosciosi sospiri, onde da tali lagrime o da tal sospiri danneggiato non dovesse restaro il frutto del re, il vero erede della corona dlnghilterra.
Riv. Ma, signora, dov’è dunque andato Warwick?
Elis. Verso Londra per coronarvi un’altra volta Enrico: presagisci tu il resto. Gli amici del re Eduardo forz’è che cadano. Per prevenire le violenze del tiranno (che a fidarsi non v’è di chi ruppe una volta la data fede), io riparerò in un santuario, sì che si salvi almeno il raccoglitore dei diritti di York, ed ivi resterò in sicuro dalla forza e dalle fraudi. Vieni, fuggiamo, finchè ci è dato di fuggire; se Warwick ne prende, ei ne ucciderà tosto.
(escono)
SCENA V.
Un parco vicino al castello di Middleham nella provincia di York.
Entrano Glocester, Hastings, sir Guglielmo Stanley ed altri.
Gloc. Ora, milord Hastings e sir Guglielmo Stanley, cessate dal meravigliarvi s’io v’ho condotti qui in questa parte più ombrosa del parco. Voi sapete che il nostro re, mio fratello, è prigioniero del vescovo che dimora a breve distanza, dal quale ottiene ogni miglior ufficio e pochissima guardia; talchè spesso seguito da poche persone ei viene cacciando per diporto in questi luoghi. Io l’ho avvertito con mezzo segreto che, se a questa ora ei qui veniva sotto pretesto del solito sollazzo, qui avrebbe trovati amici e cavalli valevoli a riscattarlo dalla prigionia.
(entra il re Eduardo e un cacciatore)
Cacc. Per questa parte, signore; di qui troveremo più selvaggina.
Ed. No, vieni di qui; vedi, dove stanno i cacciatori!... Fratello Glocester, Hastings, signori, stavate voi là celati per rapire il più bel cervo del vescovo?
Gloc. Fratello, non v’è tempo da perdere: il vostro cavallo è ammanito all’angolo del parco.
Ed. Ma dove andremo?
Hast. A Lynn, milord, e là c’imbarcheremo per le Fiandre.
Gloc. Ben pensato, credetelo; tale era anche il mio intento.
Ed. Stanley, io ricompenserò la tua fede.
Gloc. Ma perchè indugiate? Non voglionsi frapporre altre di more.
Ed. Cacciatore, che dici? Vuoi venire con noi?
Cacc. Sarà meglio ciò che il restare per essere appeso.
Gloc. Vieni dunque, andiamo; non gettiam più un minuto.
Ed. Vescovo, addio; riparati contro lo sdegno di Warwick;, e prega perch’io possa ritornare in possesso della corona.(escono)
SCENA VI.
Una stanza nella Torre.
Entrano il re Enrico, Clarenza, Warwick, Sommerset, il giovine Richmond, Oxford, Montague, il Luogotenente della Torre e seguito.
Enr. Luogotenente, ora che Dio e i miei amici han fatto di scendere dal trono Eduardo, e ripostomi in libertà, volgendo ogni mio timore in isperanza, ogni mio dolore in gioia, ditemi qual ricompensa vi debbo per questa mia liberazione?
Luog. I sudditi non possono taglieggiare il loro sovrano: ma se un’umile preghiera può aver luogo, io supplicherei Vostra Maestà di perdonarmi.
Enr. Qual cosa, amico? Forse d’avermi ben trattato? Oh! sii sicuro ch’io ricompenserò la tua bontà, che fece della mia prigionia un tempo di diletto; sì, di quel diletto, che anche gli uccelli in gabbia risentono allorchè, dopo molta tristezza, fra note di domestica armonia sperdono e obbliano la rovina della loro libertà. — Ma, Warwick, dopo Dio, sei tu che mi liberi, e per dò sommamente ringrazio te e Dio: ei fu Fautore, tu lo strumento. Perciò io più non voglio che un umile stato, al sicura dagli sdegni della fortuna, e la pace del mio popolo senza punizione d’alcuno. Warwick, quantunque il mio capo porti tuttavia la corona, io a te rassegno il mio governo, perocchè fortunato tu sei in tutte le tue opere.
War. Vostra Grazia fu sempre celebrata per la sua virtù, ed ora può sembrare saggia del pari e virtuosa, sottraendosi ai crucci della sorte, e non fidando che in una illibata umlltà: nondimeno permettetemi di garrirvi, avendo scelto me a rettore quando Clarenza è presente.
Clar. No, Warwick, tu ne sei più degno; tu, a cui il Cielo nella tua nascita accordò un ramo d’uliva e una corona d’alloro, simboleggiando che fortunato saresti in pace e in guerra. A te io cedo con libero assentimento.
War. Ed io scelgo Clarenza per Protettore.
Enr. Warwick, Clarenza, datemi entrambi la mano, e unite queste mani fra di voi, e con esse i vostri cuori. Alcuna dissensione più non turbi questo regno: io vi fo entrambi protettori di questa terra, perocchè io non vo’ più menare che una vita privata, spendendo in divozioni i miei ultimi dì, onde espiare le mie peccata e lodare il mio Creatore.
War. Che risponde Clarenza ai voleri del suo sovrano?
Clar. Che acconsente, se Warwick pure consente; avvegnachè sulle tue fortune io interamente mi riposo.
War. Ebbene dunque, quantunque a ciò avverso, pure aderirò; noi ci aggiogheremo entrambi, come una duplice ombra, al corpo di Enrico e terremo il suo luogo: intendo nel portare i pesi del governo, mentr’ei ne gode gli onori e gli agi. Ora, Clarenza, è più che necessario che Eduardo sia gridato traditore, e che tutte le sue terre vengano staggite.
Clar. Sì, certo; è che la sua successione sia determinata.
War. Perciò Clarenza non mancherà al suo debito.
Enr. Ma prima d’ogni altro lasciate che vi supplichi (perchè io più non comando) onde la regina Margherita e mio figlio Edoardo siano richiamati tosto dalla Francia: perocchè finchè io qui non li vegga, oppresso da dubbiosi timori, non potrò gustar la gioia d’esser tornato libero.
Clar. Ciò sarà fatto, mio sovrano, con ogni maggiore celerità.
Enr. Milord di Sommerset, chi è questo giovine di cui voi sembrate avere sì tenera cura?
Som. È Enrico, conte di Richemond, mio sovrano.
En. Avvicinati, speranza d’Inghilterra. Se segreti presagi annunziano il vero alla mia mente, questo vago giovine (ponendogli la mano sulla testa) diverrà il salvatore del suo paese. I suoi sguardi son pieni d’una serena maestà: il suo capo fu formato dalla natura per portare una corona, come le sue mani uno scettro; ed egli è fatto per ascendere e far lieto un trono. Affidatevi molto in lui, signori; perchè questo è quegli che vi aiuterà più che io mai nol potessi fare. (entra un messo)
War. Quali nuove, amico?
Mess. Eduardo è fuggito, e dicesi ora in Borgogna.
War. Tristi novelle: ma come potè fuggire?
Mess. Sovvenuto da Riccardo, duca di Glocester, e da lord Hastings, che l’aspettavano in una foresta, dove venne liberato dalle mani dei cacciatori del vescovo; perchè la caccia, lo sapete, era il suo esercizio quotidiano.
War. Mio fratello fu troppo indolente nel suo ufficio. — Ma partiamo di qui, mio sovrano, per provvedere a tutto quello che potesse occorrere.
(escono il re Enr., War., Clar., Luog. e seguito)
Som. Milord, non mi appaga questa fuga di Eduardo; perchè al certo la Borgogna gli accorderà validi aiuti e avremo fra poco molte guerre. Come le profezie di Enrico intorno al giovine Richmond rallegrarono il mio cuore, così questi conflitti mi rattristano e mi fan presagir male per noi e per lui: onde, lord Oxford, a guarentirnelo noi lo manderemo in Brettagna, finchè la tempesta della guerra civile sia dissipata.
Ox. Sì; perchè se Eduardo torna in possesso della corona, è probabile che abbatta Richmond insieme cogli altri.
Som. Certo così avverrebbe; vada ei dunque in Brettagna. Venite, acoidiamo a quest’opera subitamente.(escono)
SCENA VII.
Dinanzi a York.
Entrano il re Eduardo, Glocester, Hastings e l’esercito.
Ed. Ora, signori, la fortuna ci grida che un’altra volta io debbo mutare il mio squallido stato nella splendida corona di Enrico. Noi abbiam varcati e rivarcati i mari e rechiamo con noi il desiderato soccorso della Borgogna. Che dunque ci resta, essendo così giunti dal porto di Ravenspurg innanzi alla città di York, se non di entrarvi siccome nel nostro ducato?
Gloc. Le porte ci resistono. — Fratello, tal giuoco non mi diletta. — Molti dei nostri caduti sulle soglie ci han ben presagito, che pericoloso è il tentativo.
Ed. Tacete; sinistri augurii non ci atterriscano; siansi quali si vogliono i mezzi, dobbiamo entrar qui, perchè qui si congiungeranno a noi i nostri amici.
Hast. Signore, farò loro la chiamata anche una volta.
(entrano sulle mura di York il Prefetto ed altri Magistrati)
Pref. Milordi, eravamo istrutti della vostra venuta e chiudemmo le porte per nostra sicurezza: noi ora siamo sudditi del re Enrico.
Ed. Ma, prefetto, se Enrico è vostro re, Eduardo almeno è duca di York.
Pref. È vero, signore; tale voi siete.
Ed. Ed io rivendico soltanto il mio ducato, e di esso solo mi appago.
Gloc. (a parte) Ma quando la volpe ha posto dentro il muso essa trova modo per far entrar tutto il corpo.
Hast. Perchè, prefetto, rimanete sorpreso? Apritele porte, noi siamo amici del re Enrico.
Pref. Questo mi dite? le porte vi saran dunque aperte. r
Gloc. Un sagace Magistrato, affè! e che si lascia convincere per poco!
Hast. Il buon vecchio vorrebbe che tutto procedesse bene a non ne venisse biasimo a lui: ma una volta entrati, credo che presto lo persuaderemo e porremo alla ragione e lui e i suoi fratelli. (rientra il Prefetto con due Magistrati ai disotto)
Ed. Buon Prefetto, queste porte non debbono restar chiuse fuorchè di notte o in tempo di guerra. Non temete di nulla, e datemi quelle chiavi, (gli prende le chiavi) Eduardo difenderà te e la città e tutti coloro che vorranno seguitarmi. (suono di tamburo; entra Montgomery coll’esercito marciannte.
Gloc. Fratello, questi è sir Giovanni Montgomery, nostro fido amico, se non erro.
Ed. Siate il ben giunto, sir Giovanni! Ma perchè venite in armi?
Mont. Per aiutare il re Eduardo in questi tempi tristi, come ogni leal suddito debbo.
Ed. Grazie, buon Montgomery: ma noi ora dimentichiamo il nostro titolo alla corona, e soltanto pretendiamo il nostro ducato, finchè a Dio piaccia di concederne il resto.
Mont. Dunque addio; io parto. Venni per servire un re, non un duca. — Tamburo, suona, e riponiamoci in via.(la marcia comincia)
Ed. Fermati un istante, sir Giovanni; e discuteremo con quali mezzi sicuri possiamo tornare in possesso della corona.
Mont. Che parlate di discutere? In brevi parole: se voi non volete acclamarvi qui da voi stesso nostro re, io vi lascio alla vostra fortuna; e partito, riterrò coloro che potessero venire per soccorrervi. Perchè dovremmo noi combattere se non avete alcun titolo?
Gloc. A che, fratello, indugiate per vanissimi scrupoli?
Ed. Quando sarem più forti bandiremo i nostri intenti: ora è saviezza tenerli celati.
Hast. Inutili cautele! le armi debbono decidere.
Gloc. E le intrepide menti raggiungono più presto il loro scopo. Fratello, noi vogliamo dichiararvi risorto, e tal voce sarà accorrere a voi molti amici.
Ed. Sia dunque come volete; sostenete i miei diritti, perchè Enrico non è che un usurpatore.
Mont. Ora il mio sovrano ha parlato in modo dicevole; ed ora io diverrò il campione di Eduardo.
Hast. Squillate, trombe; Eduardo sia qui acclamato. — Soldato, appressati e leggi questo bando. (gli dà un foglio; squillo di trombe) Sold. (legge) «Eduardo quarto, per la grazia di Dio re d'Inghilterra, Francia, Irlanda, ecc».
Mont. Chiunque oserà negare questi titoli ad Eduardo, sarà da me sfidato a singolare combattimento.(getta il guanto)
Tutti. Viva Eduardo quarto!
Ed. Grazie, prode Montgomery...; e grazie a voi tutti. Se la fortuna mi fa buon viso, io ricompenserò questa affezione. Per questa notte albergheremo in York; e quando il sole mattutino innalzerà il suo carro coi limiti estremi dell’orizzonte, ce ne andremo incontro a Warwick e ai suoi compagni, che ben preveggo che Enrico non sarà nel campo. — Ah! insensato Clarenza! come mal ti si addice il piaggiare Enrico, dimenticando un tuo fratello! Ma noi con ogni ardire affronteremo te e Warwick. — Venite, animosi soldati: non dubitate della vittoria; e questa ottenuta, fate assegnamento sulla ricompensa. (escono)
SCENA VIII.
Londra. — Una stanza nel palazzo.
Entrano il re Enrico, Warwick, Clarenza, Montague, Exeter e Oxford.
War. Che consigliate, signori? Eduardo dal Belgio, con avventati Alemanni e intrepidi Olandesi, ha varcato sicuramente gli angusti mari e s’avanza verso Londra. Molti del popolo accorrono a lui.
Ox. Raduniamo le nostre schiere e combattiamo di nuovo.
Clar. Un piccol fuoco è in breve estinto; ove tollerato, fiumi non varrebbero a spegnerlo.
War. Nella provincia di Warwick ho molti fidati amici, non sediziosi in pace, ma audaci in guerra. Questi io raccorrò: e tu, Clarenza, percorrerai il Suffolk, il Norfolk e il Kent, esortandovi quei cavalieri a seguitarti. Tu, fratello Montague, nel Buckingham, in Northampton e in Leicester troverai gente inclinata ad obbedire ai tuoi comandi: voi, egregio Oxford, amato tanto da tutti, raccoglierete nell’Oxford i clienti vostri. — Il mio sovrano, cogli affettuosi cittadini..... come quest’isola circondata dall’oceano, la modesta Diana col coro delle sue ninfe..., se ne resterà in Londra fino al nostro ritorno. — Addio, signori; accomiatatevi senza altre parole. — Addio, mio sovrano.
Enr. Addio, mio Ettore, e salda speranza della mia Troia.
Clar. In segno di fedeltà io bacio la mano di Vostra Altezza.
Enr. Leal Clarenza, sii fortunato!
Mon. Statevi lieto, milord; così io da voi mi congedo.
Ox. E così (baciando la mano di Enr.) io suggello la fede mia.
Enr. Buon Oxford, diletto Montagne, e voi tutti, a tutti io do un addio di buon presagio.
War. Addio, signori; ci rivedremo a Coventry.
(esce con Clar., Ox. e Mont. Enr. Qui io vo’ restarmi anche un poco. Cugino di Exeter, che pensa vossignoria? Farmi che le forze di Edoardo non debbano poter resistere alle nostre.
Ex. Il dubbio è ch’ei non ci seduca le schiere.
Enr. Di questo non temo, il mio amore mi ha reso caro. Io non ho mai chiuse le orecchie alle dimande d’alcuno, nè posto indugi alle petizioni de’ miei sudditi. La mia pietà è stata il balsamo sanatore delle loro ferite; la mia compassione ha alleviati i loro mali e asciugate le loro lagrime. Io non fui mai desideroso delle altrui ricchezze; nè imposti ho mai gravi balzelli; nè avido mi son mostrato di vendette, sebbene ne avessi talvolta cagione. Perchè dovrebbero dunque amare Eduardo più di me? No, Exeter, i beneficii svegliano la gratitudine, e quando il leone si mostra mite verso l’agnello, l’agnello non può cessare di seguitarlo. (grida al di dentro di: Lancastro! Lancastro!)
Ex. Udite, udite, milord! quali grida son queste! (entra il re Eduardo, Glocester e soldati) Ed. Impossessatevi di questo svergognato Enrico e conducetelo lungi di qui; una volta ancora noi ci acclamiamo re d’Inghilterra. Voi siete il fonte che alimenta i piccoli ruscelli; ove inaridito, essi si verseranno nel mio mare, che innalzerà quindi assai più alti i suoi flutti. — Conducetelo alla Torre; e non gli date facoltà di parlare (escono alcuni con Enr.). Signori, a Coventry; a combattere Warwick. Il sole estivo risplende, e se facciamo altre dimore, il freddo dell’inverno potrebbe sopravvenire per arrestarci.
Gloc. Andiamo, prima che le sue forze si accrescano, e sorprendiamo il traditore repentinamente. Prodi guerrieri venite a Coventry. (escono)