Terza parte del Re Enrico VI/Atto quinto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO QUINTO
SCENA I
Coventry.
Entrano sulle mura Worwick, il Prefetto di Coventry due Messaggieri ed altri.
War. Dov’è il Messaggìere spedito dal prode Oxford? A qual distanza è il tuo signore, amico?
1° Mess. Egli è a Duasmore e viene a questa volta.
War. E quant’è lontano il nostro fratello Montague? Dov'è il Messo che ci spediva?
2° Mess. Egli è a Daintry con esercito poderoso. (entra sir Giovanni Somerville)
War. Ebbene Somerville, che dice il mio amato figlio? E a quale distanza si può credere Clarenza?
Som. Io lo lasciai a Sontham colle sue schiere, e fra due ore l’aspetto qui. (si ode un tamburo)
War. Clarenza è vicino, odo il suo tamburo.
Som. Non è il suo, milord: Southam è da quest’altra parte; il tamburo che Vostro Onore intende procede da Warwick.
War. Chi sarà dunque? Qualche inaspettato amico.
Som. Essi ne son presso, e in breve lo saprete.
(tuono di tamburo; entrano il re Eduardo, Glocester e l’esercito marciante)
Ed. Va, trombetto, alle mura, e chiama a parlamento.
Gloc. Mira come il feroce Warwick campeggia su quegli spaldi.
War. Oh inaspettata vista! È quello il licenzioso Eduardo. Dormirono le nostre scolte o furono sedotte, perchè mai non avessimo novelle di lui?
Ed. Ora, Warwick, aprirai tu queste porte, e parlando umilmente piegherai a noi il ginocchio? Chiama Eduardo... re, chiedigli perdono, ed egli obblierà tutti i tuoi oltraggi.
War. No, piuttosto ritira tu di qui le tue forze, riconosci chi ti innalzò e chi ti gettò a terra: chiama Warwick... protettore, mostrati pentito, e continuerai nel tuo grado di duca di York. Gloc. Io credevo che almeno volesse dir di... re; o fe’ forse una beffa senza averne intenzione?
War. Un ducato, signore, non è un bel dono?
Gloc. Sì, veramente! per un povero conte: io ti servirò se mi farai un tal dono.
War. Fui io cho diedi il regno a tuo fratello.
Ed. Dunque è mio, quand’anche dono di Warwick.
War. Tu non sei un Atlante per un tal peso. Conoscendoti inetto, Warwick ti ritoglie il dono e riconosce Enrico per suo legittimo sovrano.
Ed. Ma il sovrano di Warwick è prigioniero di Eduardo: a dimmi, Warwick, esiste corpo senza capo?
Gloc. Oimè! il povero Warwick non ebbe previdenza, intanto che egli mulinava contro di noi, il re gli fu rapito di mano. Voi lasciaste il misero Enrico nel palazzo del vescovo, e v’è dieci a porre contr’uno che lo rivedrete alla Torre.
Ed. Così sempre avviene; ma voi siete anche Warwick.
Gloc. Su dunque, Warwick, prendi il tuo tempo, inginocchiati, inginocchiati. No? ah! batti ora che il ferro è caldo.
War. Vorrei piuttosto troncarmi questa mano con un colpo e gettartela con l’altra sanguinosa in volto, che portarla per difesa tua.
Ed. Veleggia finchè puoi, ed hai il vento e il flutto amici: questa destra t’avrà in breve divelto quel tuo orgoglioso capo, e col tuo sangue ancor fumante scriverà nella polvere questa sentenza: l’instabile Warwick fu così reso saldo! (entra Oxford con tamburi e bandiere ecc.) War. Oh diletti colori! Mira, Oxford che si avanza!
Ox. Oxford, Oxford, per Lancastro! (entra col suo esercito nella città) Gloc. Le porte sono aperte, entriamo noi pure.
Ed. Altri nemici potrebbero venirci addosso. Stiamo qui in buon ordinamento; che certo essi esciranno per dame la battaglia. Se questo non avviene, la città è di poca difesa, e in un istante coglieremo dentro di essa i traditori.
War. Oh sii il benginnto, Oxford! mestieri avevamo del tuo soccorso. {{Ids|((entra Montague con tamburi ecc.) Mont. Montague, Montague, per Lancastro! (entra col suo esercito nella città) Gloc. Tu e il tuo fratello sconterete questo tradimento col più prezioso sangue dei vostri cuori.
Ed. Quanto più arduo il cimento, tanto più grande la vittoria; la mia mente presagisce bene. (entra Sommerset con tamburi ecc.)
Som. Sommeset, Sommerset, per Lancastro! (entra col suo esercito nella città)
Gloc. Due del tuo nome, duchi entrambi di Sommerset, diedero la vita alla casa di York: tu sarai il terzo, se questa spada non vacilla. (entra Clarenza con bandiere ecc.) Gloc. Ed ecco Giorgio di Clarenza che a noi viene con forze bastanti a combattere suo fratello. In lui un onesto zelo pel lunato prevale alle voci di natura, che gli comanderebbero di amare un parente. — Vieni, Clarenza, vieni; al grido di Warwick mostrati presto.
Clar. Padre Warwick, comprendi ciò che questo significa? (staccando una rosa rossa dal suo elmo) Mira, io getto su di te la mia infamia: io non rovinerò la casa di mio padre, che col suo sangue ne cementò le fondamenta per innalzare su di essa i Lancastro. Oh! pensi tu, Warwick, che Clarenza voglia esser sì crudo, sì spietato, sì disumano, da volger questi strumenti di guerra contro il fratel suo e il suo legittimo re? Forse mi opporrai il mio giuramento; ma l’attenere tal giuramento sarebbe maggior empietà di quella che commise Jefte immolando la figlia sua. Io son così pentito del mio fiotto passato, che, per riavere la grazia di mio fratello, mi grido qui tuo mortai nemico; con intenzione, dovunque ti trovi e spero trovarti se di costì esci), di combatterti fino a morte per avermi tu fatto traviar di tanto. Superbo Warwick, in questa guisa io ti sfido e rivolgo verso il mio fratello le rosse mie gote. — Perdonami, Eduardo, ammenderò il mio fatto; Riccardo, non guatarmi bieco pel trascorso commesso; per l’avvenire non sarò più incostante.
Ed. Sii il ben accolto e dieci volte più amato, che se non mai meritato avessi l’odio nostro.
Gloc. Salve, buon Clarenza; questo tuo atto è veramente fraterno.
War. Oh infame traditore, sciagurato e spergiuro!
Ed. Che! Warwick, vuoi tu abbandonare la città e combattere? ne atterrerem noi le mura dinanzi agli occhi tuoi?
War. Oimè! io non son abile qui alle difese, e me ne andrò tosto a Barnet per darti battaglia, Eduardo, se osi accettarla.
Ed. Sì, Warwick, Eduardo l'osa e vi s’avvia. — Signori, al campo: San Giorgio e la vittoria!(marcia. Escono)
SCENA II
Campo di battaglia vicino a Barnet.
Allarme ed escursioni. Entra il re Eduardo conducente Warwick ferito.
(esce)
(entrano Oxford e Sommerset)
Som. Ah, Warwick, Warwick! fossi tu come noi siamo, e potremmo ancora redimerci; La regina ha condotto un potente rinforzo di Francia, ora ne avemmo la nuova: ah! potessi tu fuggire!
War. Se anche il potessi noi vorrei. — Oh! Montague, se tu sei costà, dolce fratello, prendi la mia mano e colle tue labbra assorbì la mia anima un istante! Tu non mi ami; perchè se mi amassi, fratello, le tue lagrime tergerebbero questo sangue in me rappreso, che mi intirizzisce la bocca e non mi lascia parlare. Vieni presto, Montague, o io muoio.
Som. Ah! Warwick, Montague è estinto, e col suo ultimo anelito chiamò Warwick, e disse: raccomandatemi al mio valente fratello. E più avrebbe detto e più parlò, ma confuse e indistinte escirono le sue voci. Alfine emettendo un gemito supremo io l’intesi gridare: addio, Warwick!
War. Pace alla sua anima!.. Fuggite, signori, salvatevi! Warwick vi dà il suo estremo saluto e vi rivedrà in cielo. (muore)
Ox. Andiamo, corriamo ad incontrar la regina! (escono portando il corpo di Warwick)
SCENA III.
Altra parte del campo.
Squillo di trombe. Entra il re Eduardo in trionfo con Clarenza, Glocester e il suo esercito.
Ed. La nostra fortuna ha alfine ripreso il suo lucido corso e incoronati ci veggiamo cogli allori della vittoria. Ma in mezzo a questo splendido giorno io scorgo una nera e minacciosa nube che par voglia ecclissare il glorioso sole prima che ei sia tramontato in tutta la sua pompa. Io intendo parlare, signori, dell'esercito che la regina ha condotto di Francia, e che si avanza, a quanto narrano, per combatterò.
Clar. Un breve soffio disperderà tal nube, e la ricaccierà là d’onde venne. I tuoi raggi asciugheranno tali vapori, che ogni nube non è foriera di tempesta.
Gloc. La regina ha trentamila uomini, senza Sommerset e Oxford, che sono accorsi a lei. Se le concediamo tempo, state certi che il suo esercito eguaglierà il nostro.
Ed. Fummo avvertiti da alcuni benevoli amici che essa intende muovere da Tewksbury. Avendo vinto a Barnet andremo là tosto, e ad ogni contea per cui passeremo le nostre forre si accresceranno. Suonate, tamburi, coraggio e innanzi! (escono)
SCENA IV.
Pianure vicino a Tewksbury.
Marcia. Entrano la regina Margherita, il principe Eduardo, Sommerset, Oxford e soldati.
Mar. Signori, i savi non piangono mai inoperosi le perdite loro, ma alacri cercano di ripararle. Sebbene l’albero e le funi sian rotte, sebbene l’ancora sia perduta e metà dei nostri naviganti siano inghiottiti dall’onde, pur vive il nostro piloto, e vile sarebbe ch’ei lasciasse il timone, e come in pauroso fanciullo con trepide lagrime accrescesse le acque del mare. Intanto che ei piangesse, romperebbe sopra gli scogli il vascello, che con solerzia e coraggio sarebbe stato salvato..... Oh qual onta! Oh qual fallo sarebbe questo! Dite che Warwick era la nostra àncora; che perciò? Dite che Montague era il nostro grand’albero; ebbene? I nostri uccisi amici le funi; questo che vale? Non è Oxford un’altra ancora? Non è Sommerset un altro buon albero? Non sono i nostri amici di Francia altre funi ed altri remi? E sebbene inesperti, perchè il mìo figlio ed io assumerci non potremo il carico di piloti? Voi non ci vedrete seduti al timone per piangere, ma per seguire il nostro corso anche in onta dei venti, schivando le roccie e gli scogli che ci minacciano di naufragio. Tanto vale lo sgridare le onde quanto il parlar loro con dolcezza; e che è Eduardo fuorchè un mare spietato? Che cosa Clarenza, se non uno scoglio nascosto? Che Riccardo, tranne una funesta roccia? Tutti costoro son nemici della nostra povera barca. Dite che voì potete navigare, oimè! non fosse che per pochi istanti. Camminate sulla sabbia; non vi lasciate sopraffar dalla corrente. Aggrappatevi agli scogli o il flutto vi trasporterà: se qui restate, perirete di fame, che è un’orrenda morte. Questo io vi dico, signori, per farvi intendere che, se qualcuno di voi pensasse a fuggire, ei potrebbe tanto sperare grazia dai suoi fratelli, quanto dall’onde spietate, dalle sabbie e dai macigni. Coraggio adunque, chè debolezza fanciullesca sarebbe il lamentare o il temere quel rischio che non può essere evitato.
Princ. Parmi che una donna piena di sì bollenti spiriti dovesse infondere ardire anche nell’uomo più codardo, e fargli affrontar nudo le armi d’ogni avversario più prode. Io non dico questo per dubbio d’alcuno, perchè son certo che se fra noi fosse stato un timoroso ei sarebbe diggià partito per tema di non infettare qualcun altro e farlo simile a sè. Se un tale vi fosse, che Iddio nol voglia! vada egli, prima che mestieri abbiamo del suo aiuto.
Ox. Quando le donne e gli adolescenti han tanto coraggio, i soldati dovrebbero esser trepidi? sarebbe un obbrobrio eterno! Oh valoroso giovine, il tuo grand’avolo risplende in te: possa tu vivere lungo tempo per conservarci la sua imagine e rinnovare le sue glorie!
Som. Chi non vuol combattere per tale speranza ritorni a casa, e, come il gufo di giorno, s’egli esce sia schernito e divenga oggetto di ludibrio.
Mar. Grande, gentile Sommerset; grande, amabile Oxford.
Princ. Abbiatevi anche i miei ringraziamenti; non potrei darri altro per ora. (entra un Masaggiero)
Mess. Apparecchiatevi, signore, Eduardo è vicino. La battaglia è imminente.
Ox. L’imaginavo; era della sua politica l’affirettarsi tanto, per trovarci sprovvisti.
Som. Ma ei s’è ingannato: e noi siamo pronti a riceverlo.
Mar. Il cuor mi balza veggendo la vostra alacrità.
Ox. Schierìamoci qui in battaglia, e non ci muoviamo.(marcia; entrano in distanza il re Eduardo, Clarenza, Glocester e l'esercito)
Ed. Prodi compagni, là sta il bosco spinoso che, coll’aiuto del Cielo e il vostro valore, debb’essere sradicato prima di notte. Non è mestieri ch’io aggiunga esca al vostro fuoco, perchè ben so che voi anelate d’incendiarlo. Date il segnale della battaglia ed avanziamoci, signori.
(escono da diverse parti)
SCENA V
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Un'altra parte delle stesse pianure.
Allarme ed escursioni; poscia ritirata. Entrano quindi il re Edoardo, Clarenza, Glocester e l'esercito; colla regina Margherita, Oxrord e Sommerset prigionieri.
Ed. Ecco i capi di tutto il tumulto. Conducete Oxford al castello di Hammes: a Sommerset troncate la rea testa. Via di qui; non vo’ udirli parlare.
Ox. Per parte mia non t’infastidirò con parole.
Som. Nè io, ma mi sottoporrò rassegnato alla mia sorta.(esce con Ox. fra le guardie)
Mar. Così ci dividiamo tristamente in questo tempestoso mondo, per rivederci con gioia in una placida Gerusalemme.
Ed. È fatto il bando che chi trova Edoardo avrà un’alta ricompensa e la vita, qual che siasi il delitto di cui può esser reo?
Gloc. Sì; ed ecco appunto Eduardo che si avanza. (entra il princ. Eduardo fra i solfati)}}
Ed. Conducetene innanzi questo, animoso, e udiamolo parlare. Che! può così giovine spina incominciar diggià a pungere? Eduardo, quale diletto puoi tu trovare nel portar l’armi, nel sollevarmi i sudditi, e in tutti gli altri commovimenti che mi hai suscitati?
Princ. Parla da suddito, superbo, ambizioso York! Imagina che la mia bocca sia ora quella di mio padre: cedimi il tuo seggio e prostrati a’ miei piedi: non farti bello delle parole che io solo posso profferire, traditore.
Mar. Oh se tuo padre avesse avuto tanta fermezza!
Gloc. Oh se inteso aveste sempre alle opere femminili, senza mescolarvi nelle bisogne degli uomini.
Princ. Esopo1, ne dica le sue fiabe nelle notti d’inverno; i suoi motti qui non han luogo.
Gloc. Pel Cielo! garzone, ti costerà un supplizio questa parola.
Mar. Sì, tu fosti generato per supplizio degli uomini.
Gloc. Per amor di Dio! conducete lungi questa marrana.
Princ. No, piuttosto questo mostro, questo informe gobbo.
Ed. Taci, perverso garzone, o io t’ammalierò la lingua.
Clar. Insolente fanciullo, troppa è la tua villania.
Princ. Io conosco quello che debbo a me stesso, e vi appello tutti reprobi. Lascivo Eduardo,... spergiuro Giorgio,... nefando Riccardo,... io vi dico a tutti che valgo più assai di voi, traditori; e che tu usurpi i diritti di mio padre e i miei.
Ed. Con questo mi redimo da uno degli usurpati. (lo trafigge)
Gloc. Gemi tu? abbi questo colpo per por fine alle tue agonie.(lo trafigge)
(lo trafigge)
Mar. Oh uccidete me ancora!
Gloc. Sarà fatto.(s’avanza per ucciderla)
Ed. Fermati, Riccardo, fermati; troppo abbiamo operato diggià.
Gloc. A che vivrebb’ella? per empiere il mondo di querele?
Ed. Ella sviene; assistetela perchè si riabbia.
Gloc. {{Ids|(a parte) Clarenza, fate le mie scuse col re mio fratello; io volo a Londra per grave bisogna; anzichè là giungiate udrete qualche novella.
Clar. Che? Che?
Gloc. Alla Torre! Alla Torre! (esce)
Mar. Oh Eduardo, dolce Eduardo! (rinvenendo) parla a tua madre, fanciullo! Non puoi tu parlare?..... Oh traditori! inumani!..... Coloro che pugnalarono Cesare non sparser sangue, nè la loro opera sarebbe degna di biasimo, se comparata venisse A questa. Quegli era un uomo, quest’è un fanciullo; e l’ira non si sfoga sopra i fanciulli. Qual nome peggiore di carnefici v’è con cui io possa chiamarvi? No, no; il mio cuore scoppierà se di ciò più parlo; ma perchè scoppi appunto vo’ continuare. Omicidi scellerati, sanguinosi, barbari, qual tenera pianta sradicaste anzi tratto? Voi non avete figli, cannibali; se avuti ne aveste, il pensiero di loro vi avrebbe trattenuti. Ma se per avventura avrete un figlio, possa egli esservi tolto, inumani, come a me toglieste questo!
Ed. Sia fine al suo dire; conducetela lungi di qui.
Mar. No, non mai lungi di qui; qui, qui uccidetemi. Qui snuda la tua spada, e ti perdonerò la mia morte. Che! nol vuoi tu? Dunque Clarenza mi uccida.
Clar. Pel Cielo! io non vo’ farti tanto bene.
Mar. Buon Clarenza, fallo; dolce Clarenza, te ne supplico.
Clar. Non mi udisti giurare che fatto non l’avrei?
Mar. Si, ma tu sei avvezzo a violare i giuramenti; se altra volta fu in te ciò delitto, ora sarebbe pietà. Oh! tu pure noi vuoi? Dov’è quel demone sanguinario, quell’empio Riccardo? Riccardo, dove sei? Tu non sei qui? L’omicidio è l’opera tua più pietosa, e ai chiedenti sangue tu non volgi mai il dorso.
Ed. Via, dico; vi comando di condurla lungi.
Mar. Avvenga a voi e ai vostri quello che è avvenuto a questo principe. (esce condotta a forza)
Ed. Dov’è ito Riccardo?
Clar. A Londra di volo; e per fare, io credo, un sanguinoso banchetto alla Torre.
Ed. Impetuoso egli è quando un’idea gli balena. Riponiamoci in via, spandiamo grazie e danari: torniamo a Londra per vedervi la nostra gentil regina, che allietata da queste notizie, ci darà in breve, io spero, un erede. (escono)
SCENA VI.
Londra. — Una stanza nella Torre.
Si vede il re Enrico seduto con un libro in mano, e il Luogotenente che gli sta di dietro; entra Glocester.
Gloc. Buon giorno, milord! Intento assai alla lettura?
Enr. Sì, mio buon lord: milord, avrei dovuto dir piuttosto: è peccato l’adulare, e l’adulazione era il chiamarvi buono. Buon Glocester e buon serpente significherebbero il medesimo; ed entrambi sarebbero fuor di proposito: non diciamo perciò buon lord.
Gloc. Amico, lasciateci soli; dobbiamo parlare. (il luog. esce)
Enr. Così fugge il pastore negligente dinanzi al lupo: così il povero agnello dà prima la sua lana e poscia offire la gola al coltello del beccaio. — Quale scena di sangue sta ora per compier Roscio?
Gloc. Il sospetto crucia sempre le menti dei re; il ladro teme in ogni cespo un soldato.
Enr. L’uccello che s’invischiò le penne sopra un ramo, d’ogni ramo paventa; ed io sfortunato padre di un dolce figlio, ho ora dinanzi a’ miei occhi l’oggetto fatale, da cui quel misero rimase preso e ucciso.
Gloc. Stolto e pazzo fu quel padre di Creta che insegnar volle il volo al figlio suo! L’imbelle, sebben coll’ali, andò annegato.
enr. Io sono quel Dedalo; il mio povero figlio era Icaro; tuo padre fu il Minosse, che ne interruppe il corso; tuo fratello Eduardo, il sole che gli sciolse le penne; e tu stesso sei il mare, le cui avide onde ingoiarono il suo corpo. Ah uccidimi colle armi, non colle parole! Il mio petto può sopportar meglio la punta del tuo pugnale, che le mie orecchie sostener non possano quella tragica istoria. — A che qui venisti? certo a togliermi la vita.
Gloc. In conto m’hai di un carnefice?
Enr. Persecutore sei certo; e se l’uccidere gl’innocenti è opera del carnefice, sei un carnefice.
Gloc. Uccisi tuo figlio per la sua presunzione.
Enr. Se ucciso tu fossi stato la prima volta che la tua si manifestò, vissuto non avresti tanto per uccidermi il figlio. Ma odi la mia profezia. Migliaia d’uomini che nulla sospettano ancora di quel ch’io preveggo; sospiri di vecchi, lagrime di vvedove e di orfani, deploranti i figliuoli, le spose, i parenti afflitti di morti precoci, malediranno l’ora in cui tu nascesti. Il gufo ululava con funesto grido in quell’istante in cui tu fosti concepito; il corvo notturno gracchiò fra le tenebre, presagendo questi tempi di sventura; i cani latrarono, le cornacchie s’accovacciarono sui tetti, le gazzere striderono con suoni discordi, e un’orrenda tempesta sradicò le piante nell’infausto momento nel quale eri generato. Tua madre provò dolori al disopra di quelli della natura, allorchè pose al mondo un essere che deluso le materne speranze, un volume informe e spaventoso, che esser non doveva il frutto di pianta sì bella. Tu nascesti colla bocca armata di denti, in segno che venivi per divorare gli uomini; e se il resto che mi fu detto è vero, uscisti dai fianchi della tua genitrice colle...
Gloc. Basta; muori, profeta, mezzo a’ tuoi vaniloquii, (lo trafigge) a questo ancora io era destinato.
Enr. Sì, e a molti altri omicidii dopo il mio. Oh! Dio obli! I miei peccati e ti perdoni! (muore)
Gloc. Il sangue ambizioso di Lancastro cade alfine sulla terra; avrei creduto che volesse sempre innalzarsi. La mia spada versa lagrime di sangue sulla morte di questo povero re! Oh possano tali lagrime vermiglie esser sparse sempre da coloro che desiderano la rovina della nostra casa! Se una scintilla di vita pur anche gli rimanesse, scenda, scenda in inferno; e dica ch’io là l’inviai; (trafiggendolo di nuovo) io che mai non sentii nè amore, nè tema, nè pietà. — Vero è quello che Enrico mi disse; e spesso l’udii ripetere da mia madre. Io venni al mondo colle gambe all’innanzi: or non avevo ragione di affrettarmi a rovinare coloro che usurparono i nostri diritti? La mammana stupì e le altre donne gridarono: Oh Gesù, benediteci, egli è nato coi denti! Ed era vero; e ciò significava ch’io avrei dovuto mordere e farla da cane! Dappoichè dunque il Cielo ha formato così il mio corpo, l’inferno modelli sopra di esso la mia anima, onde non ne dissuoni. Io non ho fratelli, che ad alcun fratello non rassomiglio: e questa parola amore, che i vecchi chiamano divina, vada a risiedere negli uomini che hanno sembianze affini, non in me che sono unico nella mia conformazione. — Clarenza, sii cauto: tu mi togli la luce, ma io scieglierò un giorno tenebroso, che ti sarà fatale: perocchè spargerò profezie sì terribili, che Eduardo tremerà per la sua vita, e per dissipare i suoi timori ti vorrà morto. Il re Enrico e il principe suo figlio sono iti. Clarenza, il tuo istante è vicino, e poscia quello d’altri, finchè con un bel cumulo di malvagità lo diverrò il primo degli uomini. — Getterò il tuo cadavere in un’altra stanza: la tua morte, Enrico, è per me un giorno di trionfo! (esce)
SCENA VII.
La stessa. — Una stanza del palazzo.
Si vede il re Eduardo seduto sul suo trono; la regina Elisabetta col suo lattante, Clarenza, Glocester, Hastings, ed altri.
Ed. Una volta ancora eccoci assisi sul real trono d’Inghilterra, ricompro col sangue dei nostri nemici. Quanti prodi noi abbiam fatti cadere, come le spiche d’autunno, in mezzo al loro orgoglio! Tre duchi di Sommerset, egregi pel loro valore; due Clifford, padre e figlio, e due Northumberland, di cui non vissero mai uomini più tremendi; e con essi quei cinghiali indomiti Warwick e Montague, che incatenato aveano il regio leone, e fatta tremar la foresta coi loro alti ruggiti. Così abbiamo allontanato dal nostro seggio ogni sospetto, e posti ci siamo sopra solida base. — Avvicinati, Elisabetta, e lascia ch’io baci il mio fanciullo: piccolo Eduardo, è per te che i tuoi zii ed io abbiam passato sotto il peso delle armi le fredde notti d’inverno; per te che abbiam marciato fra gli avvampanti ardori dell’estate, onde tu possa possedere in pace la corona che ti era stata rapita, e raccogliere il frutto delle nostre opere.
Gloc. (a parte) Io inaridirò la sua messe allorchè meno il penserete; perocchè a me non si bada ancora nel mondo. Queste spalle di struttura sì forte son destinate a portare, ed esse porteranno un gran peso, o ne saran schiacciate. — Indicami tu la via (toccandosi la fronte) e questa eseguirà (accennando la mano).
Ed. Clarenza e Glocester, amate la mia dolce regina, e date entrambi un bacio al vostro real nipote.
Clar. Suggello l’obbedienza ch’io debbo a Vostra Maestà sulle labbra di questo vago fanciullo.
Ed. Grazie, nobile Clarenza: degno fratello, grazie.
Gloc. In segno dell’amore ch’io porto alla pianta, da cui tu nascesti, do questo bacio al suo frutto. (a parte) In verità il mio bacio è simile a quello di Giuda, che tradì il suo Signore e glidò salute, mentre la sua anima ne meditava la rovina.
Ed. Ora posseggo la felicità a cui il mio cuore agognava, avendo la pace nel regno, e l’amore de’ miei fratelli.
Clar. Che pensa di fare, Vostra Grazia, di Margherita? Renato, di lei padre, ha posto in mano del re di Francia le Sicilie e Gerusalemme, ed entrambi han mandato a chiedervi il suo riscatto.
Ed. Ch’ella parta, e sia ricondotta in Francia. Ed ora che ci resta, fuorchè spendere il tempo in trionfi e dar feste e spettaeoli, quali si addicono ad una illustre corte? Suonate, tamburi e trombe! Addio, mesti pensieri; qui comincia, io credo, la nostra durerole felicità.(escono)
fine della terza parte dell’enrico vi.
Note
- ↑ Il principe chiama Esopo Riccardo, per la sua deformità.