Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia/Capitolo IV

Bocce del miocene superiore

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Capitolo IV.


ROCCE DEL MIOCENE SUPERIORE.




Calcare perciuliato. — Tutti i calcari solfiferi sono più o meno ripieni di cavità. Il calcare siliceo invece, ed in regola generale i calcari lacustri del miocene superiore che sono privi di zolfo, hanno una struttura più o meno compatta. Devesi tuttavia eccettuare il calcare chiamato dai solfatai calcare perciuliato. Esso è formato da un calcare quasi assolutamente puro avente una struttura cristallina. I cristalli paiono raggruppati in tante concrezioni o globuli del diametro di 2 a 5 ed anche a 10 millimetri. Questa roccia rassomiglia al calcare chiamato tartaro, che si depone nei laghi di Tivoli e specialmente nel lago che dalla natura e dall’abbondanza di questo deposito calcareo ha preso il nome di Lago dei Tartari. Il calcare perciuliato assume non di rado la struttura della varietà di minerale (soriata o solata), nella quale si trova lo straticello di calcare cristallino, colla sola differenza che è privo di zolfo. Questo calcare deve essere considerato come una parte dello strato solfifero, che restò privo di zolfo per le ragioni che procurerò di indicare trattando della genesi del minerale.

Arenazzolo. — Superiormente agli strati di minerale, si incontrano ora i gessi, ora tufi o marne bituminose, ora invece uno stratarello di arena o di arenaria quarzosa molto micacea, i cui grani sono poco o nulla insieme cementati, la quale venne chiamata dai solfatai arenazzolo. Se essa non è frammischiata alla marna, somministra una sabbia eccellente per le costruzioni ed è facilmente permeabile alle acque.

Nell’escavazione di un pozzo a Grottacalda, l’arenazzolo con uno spessore di due metri venne incontrato alla profondità di 120 metri circa sotto la superficie del suolo, e la quantità di acqua da esso somministrata non potè essere esaurita con una macchina a vapore della forza di 12 cavalli.

L’incontro dell’arenazzolo è dai solfatai considerato come un segno di buon augurio nell’esplorazione delle solfare. Esso è tuttavia un segno, in molti casi, fallace. L’arenazzolo segna il limite tra la formazione lacustre del miocene superiore e la formazione marina soprastante, e venne prodotto dalle correnti che si determinarono nei laghi dell’epoca solfifera quando essi furono invasi dalle acque marine. Esso ha quindi spesso una estensione maggiore del minerale di zolfo e dei gessi superiori. La sua potenza arriva difficilmente ad un metro. Nel gruppo Gallizzi, Fioristella e Grottacalda esso [p. 27 modifica] costituisce in alcuni punti, specialmente in quest’ultima regione, strati aventi uno spessore di due a tre metri.

L’arenazzolo non si incontrò finora in nessuna solfara tra il minerale di zolfo ed i gessi ad esso superiori. Così appunto deve essere se questi gessi sono di origine lacustre e se la formazione dell’arenazzolo è dovuta all’invasione delle acque marine nei laghi solfurei. Segnando l’arenazzolo la base della formazione marina, gli strati ad esso superiori sono costituiti qualche volta da marne, e più generalmente da calcare marnoso a foraminiferi, il quale verso la base è associato spesso a tufo palombino.

Essendo l’arenazzolo in regola generale uno straticello di piccolissima importanza, non venne notato nelle sezioni rappresentate nella Memoria. Nelle sezioni che accompagneranno la Carta speciale del gruppo Gallizzi, Fioristella e^ Grottacalda sarà rappresentato per la grande importanza o potenza che assume in questa regione. In questa circostanza sarà modificata anche in parte la sezione della solfara Grottacalda indicata nella Fig. 14 della Memoria.

Trubi o Calcare marnoso a foraminiferi. — Lo studio e l’esame dei trubi nei gruppi solfiferi serve spesso alla determinazione della loro struttura. Essi sono quasi sempre in concordanza perfetta di stratificazione coi gessi e col calcare dell’epoca solfifera, e, mentre la stratificazione del calcare è difficile a riconoscere, quella dei trubi (pochi casi eccettuati) è facilmente determinabile.

Questo calcare è disposto in strati di spessore variabile da 5 centimetri ad un metro: in regola generale lo spessore de’ suoi strati è di 10 a 20 centimetri. La roccia si distacca secondo i piani di stratificazione e secondo due altre serie di piani paralleli normali al piano di stratificazione, formanti tra loro un angolo di 70° ad 80° variabile secondo l’inclinazione degli strati, in modo che i trubi, se questi piani fossero perfetti, assumerebbero la struttura di prismi a base romboidale aggiustati gli uni accanto agli altri. La base di questi prismi corrisponderebbe al piano di stratificazione, e la diagonale maggiore della base rappresenterebbe la linea di massima pendenza di questo piano. Allorché il deposito di questo calcare è stato un po’ tormentato, ed i piani di stratificazione sono poco visibili, si confondono con questi i piani a loro normali. Per potere riconoscere in tal caso i piani di stratificazione, conviene osservare che non tutti gli strati di trubi hanno lo stesso spessore, lo stesso colore e sopratutto la stessa durezza. Esaminando adunque le linee che presentano uno stesso spessore ed una stessa durezza, riconoscibili facilmente dalla vivacità e salienza degli spigoli e dalla facilità maggiore o minore a ridursi in detriti, si possono distinguere i piani di stratificazione dai piani che sono ad essi normali. La direzione degli strati è facilmente determinabile quando uno strato duro e resistente è in contatto con uno strato tenero e facilmente riducibile in detrito.

I trubi verso la loro base sono non di rado sostituiti da un calcare marnoso ed azzurro chiamato ora tufo palonibino, ora tufo semplicemente. H tufo palombino è generalmente più marnoso dei trubi, ed in conseguenza meno compatto e meno resistente: esso si distingue specialmente per,il suo colore grigio-oscuro, azzurrastro dovuto alla presenza di sostanze organiche. Lasciato all’aria, diventa meno [p. 28 modifica]nero e prendo un colore simile a quello dei colombi (palombe) salvatici. Per questa ragione appunto si chiama tufo palombino. Non di rado esso è impregnato degli stessi foraminiferi che si trovano nei trubi: qualche volta invece, e specialmente in contatto del minerale, esso è privo delle spoglie di questi animali. Il suo colore proviene in massima parte dalle marne azzurre dell’epoca anteriore, le quali vennero in parte corrose e trasportate dalle correnti che si stabilirono nei bacini solfurei, allorchè questi furono invasi dalle acque marine, ed è appunto per questa ragione che il tufo palombino si trova specialmente in prossimità dell’arenazzolo, oppure associato all’arenazzolo stesso.

Nel tufo palombino, ed in genere in tutto il deposito superiore al minerale di zolfo ed ai gessi fino ai trubi a foraminiferi inclusivamente, incontrasi arnioni o grani di marcassite. Essa proviene dall’ossido di ferro sparso nelle marne del miocene inferiore, dalla cui rovina parziale furono generati i depositi marnosi superiori al calcare solfifero. Il ferro, trovandosi in presenza di acque solfuree, venne trasformato in pirite la quale nei trubi assume la forma di piccoli grani o di ramificazioni, ma più soventi di cilindri di 3 ad 8 millimetri di diametro, aventi una lunghezza variabile da 4 a 10 centimetri. L’asse del cilindro è qualche volta vuoto, ed il cilindro è formato di tanti piccoli e lunghi cristallini di pirite, i quali partono tutti dal suo asse, e, prendendo una direzione quasi ad esso normale, si dirigono alla superficie esterna. La pirite di ferro nei trubi in massima parte è stata ossidata, e quindi anche i cilindri suddetti sono non di rado formati da perossido di ferro.

Questo deposito, essendo costituito da materiali dell’eocene superiore, spesso inalterati, ne assume perfettamente il carattere geognostico e paleontologico, e può quindi indurre facilmente in errore i geologi ed i paleontologi sulla sua natura. Il terreno solfifero è un deposito lacustre e lacustri sono qualche volta questi tufi. Il miocene inferiore è invece un deposito marino e marini sono i fossili che esso racchiude. Chi esaminasse i fossili trovati nel deposito sopraccennato dovrebbe caratterizzarlo come marino e come appartenente al miocene inferiore, mentre esso è non di rado lacustre ed appartiene al miocene superiore.

La Sicilia fu nell’epoca terziaria soggetta a movimenti lenti di oscillazione del suolo. I laghi dell’epoca solfurea, alla fine di quest’epoca, in virtù dell’oscillazione del suolo, furono lentamente invasi dalle acque marine, nelle quali si formò il deposito dei trubi e dei tufi impregnati delle orbuline, globigerine, ec. Il passaggio dal deposito lacustre al deposito marino non è così determinato che coll’apparire del secondo il primo cessi assolutamente.

La regione occupata dai gruppi solfiferi, oltre all’essere soggetta al movimento generale di oscillazione del suolo, fu in molti punti soggetta ad un movimento speciale di sollevamento che rese tormentatissima questa formazione. Egli è quindi probabile che nel primo periodo in cui le acque del mare cominciarono a penetrare nei laghi solfurei, sia per il movimento del suolo, sia per il trasporto delle materie, la comunicazione coll’oceano sia stata qualche volta interrotta, ed abbia avuto luogo in qualche località una sovrapposizione alternativa di depositi lacustri e di depositi marini. Nel [p. 29 modifica]livello geologico corrispondente alla prima epoca, in cui la formazione marina cominciò a succedere alla formazione lacustre, si può quindi trovare uno strato contenente fossili o foraminiferi marini intercalati con strati dell’epoca solfifera, senza che tuttavia sia lecito caratterizzare come marine le rocce di quest’epoca.

Le marne intercalate coi trubi provengono dai terreni del miocene inferiore. In alcuni casi il deposito marnoso è il risultato di una frana verificatasi nei colli soprastanti ai laghi solfurei, quando essi vennero in contatto colle acque del mare, in altri casi invece è il risultato di correnti acquee. Il deposito è stato prodotto da una frana, quando è associato ad ammassi di calcare concrezionato o cavernoso dell’eocene superiore o di arenarie ferruginose aventi i loro spigoli ed i loro angoli vivi come i massi che sono trasportati dalle frane attuali. Se il deposito è prodotto invece da correnti acquee, esso è soventi volte formato da ciottoli più o mono arrotondati, costituiti da marna rovinata ma non disaggregata, e cementati da marna di natura identica, che disaggregata passò in sospensione nelle acque e, quando queste divennero quasi stagnanti, si depose dove si deposero i ciottoli marnosi.

La formazione di un deposito marnoso rassomigliante ad una poddinga, di cui, sia i ciottoli che il cemento, sono costituiti dalle stesse marne azzurre, si verifica ancora attualmente nei valloni e nei fiumi che percorrono questa regione della Sicilia. Le acque dei fiumi ed anche le acque dei valloni, allorché ingrossano, corrodono le loro sponde, la marna si separa in tanti pezzi, i quali, se non sono troppo voluminosi, sono dalla corrente arrotolati sul loro letto ed arrotondati. Se il cammino percorso da questi pezzi non è troppo lungo, essi non hanno tempo di disfarsi completamente, e, sia per la marna in sospensione che si può tra loro depositare posteriormente, sia per la marna che in via di disaggregazione forma il loro inviluppo, e che si distacca lentamente dopo.il deposito dei ciottoli riempiendo i vuoti tra essi esistenti, questi vengono cementati, ed il deposito assume precisamente la struttura di una poddinga, della quale, sia i ciottoli che il cemento, sono formati dalla stessa marna.

Di queste poddinghe più o meno caratteristiche se ne incontrano in vari gruppi solfiferi superiormente ai gessi ed al calcare, come, per esempio, sopra la Solfara Grande di Sommatino, e specialmente all’Juncio sopra le solfare Giordano Tumminelli (Fig. 7, Tav. 2).

Ho detto poc’anzi che i trubi sono suddivisi naturalmente in tanti prismi a base romboidale più o meno irregolari, determinati dalla serie dei piani di stratificazione e dalle due serie di piani ai primi normali. Le faccio di questi prismi, e specialmente le faccie verticali determinate non dai piani di stratificazione ma dai piani a questi normali, sono nella maggior parte dei casi rivestite da un velo sottilissimo di perossido di ferro. Questi piani di rottura dei trubi fanno sì che le acque piovane contenenti aria ed acido carbonico in soluzione vi possono penetrare, ossidare le piriti che vi si trovano racchiuse, sciogliere l’ossido di ferro allo stato di bicarbonato e depositarlo poscia lungo il loro corso, che naturalmente doveva verificarsi specialmente nei piani normali ai piani di stratificazione della roccia.

La marcassite trovasi in maggiore abbondanza nel tufo palombino ed in genere nei tufi che sono alla base della formazione dei trubi o che sono intercalati col minerale. [p. 30 modifica]

Anche nel minerale di zolfo si trova, e dappertutto, pirite di ferro. La sua esistenza nel minerale è dimostrata chiaramente dal pitirru o solfato acido di ferro e di allumina, che si incontra in quasi tutte le gallerie da lungo tempo scavate e nei genisi o rosticci dei calcaroni; i quali, allorquando sono stati esposti per qualche tempo all’azione dell’atmosfera, diventano spesso coloriti più o meno intensamente in rosso dall’ossido di ferro. Quanto più il minerale è marnoso, tanto più in regola generale il colorito rosso dei rosticci diventa più carico, il che indica che i minerali marnosi contengono una proporzione maggiore di ferro.

Qualche volta le acque piovane, che filtrano a traverso i rosticci e sortono poscia lentamente ed in piccolissima quantità al loro piede, contengono in soluzione ferro probabilmente allo stato o di solfato o di carbonato, il quale si precipita passando allo stato di perossido. Il calcare solfifero è sempre più o meno marnoso: la marna proviene dai terreni dell’epoca antecedente e specialmente dal miocene inferiore (eocene superiore), nel quale trovasi sparsa una quantità notevole di ossido di ferro. Quanto maggiore è la quantità di marna associata al minerale, tanto maggiore è in conseguenza nella massima parte dei casi la quantità di ferro allo stesso minerale associata. Il ferro trovandosi nei laghi solfurei in presenza o del solfuro di calcio o dell’acido solfidrico, dovette passare necessariamente allo stato di pirite, ed in questo stato deve oggidì essere sparso nel minerale, ancorchè sia difficile vederlo direttamente e naturalmente.

I trubi possono con vantaggio essere impiegati nella fabbricazione delle calci idrauliche, le quali si comportano come cementi. La loro cottura perchè sia regolare deve essere fatta nei forni continui, e ciò avuto riguardo specialmente, sia alla varia e piccola grandezza dei pezzi di trubo somministrati dalle cave, sia al combustibile più conveniente in Sicilia, specialmente sulle miniere, che è il minuto del carbon fossile. Non entrerò qui a descrivere le dimensioni dei forni, la durata della cottura, la quantità di combustibile da impiegarsi, poichè ciò altererebbe la natura di questo scritto. I trubi compatti meno ricchi in foraminiferi paiono i migliori per la fabbricazione delle calcicementi.

L’impiego dei trubi per le calci idrauliche e per i cementi è cosa importantissima nelle miniere di zolfo, nelle quali le acque tutte sono più o meno impregnate di acido solfidrico. Nella massima parte dei pozzi e delle gallerie principali costrutte in questi ultimi anni nelle solfare di Sicilia, si adoperò come cemento il miscuglio della pozzolana di Napoli colla calce proveniente dai calcari dell’epoca solfifera. Le pozzolane sono ricche di perossido di ferro e quella di Napoli, secondo Vicat, ne contiene il 16 per 100, quella di Roma il 12 per 100: ora, sotto la azione dell’acido solfidrico, il sesquiossido di ferro si riduce allo stato di protossido, quindi a quello di solfuro.

Le pozzolane, e in conseguenza i cementi con esse fabbricati, restano quindi chimicamente alterati e viene in conseguenza distrutta la loro forza di coesione. Questo deterioramento dei cementi è tanto maggiore quanto più è grande la quantità di sesquiossido di ferro contenuto nelle pozzolane. I cementi invece e le calci idrauliche risultanti dal trubo o dal calcare marnoso a foraminiferi, sono privi quasi intieramente di ferro e possono resistere più facilmente all’azione dell’acido solfidrico. I trubi si [p. 31 modifica] trovano in tutti o quasi tutti i gruppi solfiferi: egli è quindi necessario ed utilissimo per l’industria che sia universalmente conosciuta la proprietà idraulica delle calci con essi fabbricate, ed il vantaggio che queste calci hanno nelle costruzioni soggette alla azione dell’acido solfidrico su quelle ottenute mediante l’impiego delle pozzolane.

Qualche volta questi trubi compatti sono associati ad una quantità più o meno notevole di solfato di calce che ne altera sostanzialmente la qualità, ed è per questa ragione che nella Memoria ho detto che essi non dovrebbero venire impiegati nelle costruzioni importanti.

Avendo fatto poscia nuovi saggi su varie qualità di trubi, debbo rettificare quello che ho detto nella Memoria a questo riguardo. In regola generale, se la roccia è bene scelta, non contiene gesso in quantità notevole per alterare le calci che sono quasi sempre molto idrauliche e passano ai cementi.


Genesi del Briscale. — Il briscale è solfato di calce originato dall’ossidazione dello zolfo in presenza della sua matrice calcarea e degli agenti atmosferici. Esso conserva quindi ancora la struttura del minerale, la sua potenza; e colla sua purezza e durezza, in genere co’ suoi caratteri, serve a determinare la potenza, la struttura e la ricchezza del minerale.

Tutte le nozioni e le descrizioni che riguardano il briscale e le sue fasi, sono quindi interessanti per l’esplorazione delle solfare. Egli è difficile descrivere minutamente tutti i caratteri del briscale, ed indicare in ciascun caso quali sieno le conseguenze che è lecito dedurre sulla natura del minerale. Quanto ho detto nella Memoria su questo proposito mi pare sufficiente per potere guidare (chi è abituato a vedere briscale e minerale) a giudicare dalla prima roccia la natura della seconda.

Difficile è tuttavia in alcuni casi il giudicio, quando il minerale è associato a solfato di calce a struttura saccaroide, essendo difficile il determinare quanto solfato di calce provenga dall’alterazione del minerale e quanto abbia potuto essere associato al calcare. A questo si aggiunga che non di rado nei gruppi solfiferi si incontrano fra i gessi strati di ballatino che si disgrega facilmente e che si confonde facilmente col briscale.

Nella Memoria ho detto che il briscale ha una struttura compatta. Ciò è vero, se si guarda ad occhio nudo la roccia e senza fissarsi sopra un punto speciale; se invece si esamina il briscale con una lente ed anche qualche volta ad occhio nudo, si vede che esso è formato da tanti piccoli cristallini di solfato di calce. Quando questo solfato tuttavia è chiaramente e visibilmente cristallino è probabile che non derivi dall’alterazione del minerale. Importante è la tendenza del solfato di calce a raggrupparsi in cristalli, ancorchè non si separi da una soluzione, e sia originato dall’alterazione chimica e lenta di una roccia avente una struttura cristallina affatto diversa. Questo fatto dimostra che le costruzioni fatte in gesso col tempo perdono facilmente la loro resistenza. Il solfato di calce che ne costituisce il cemento, raggruppandosi lentamente in cristalli, perde della sua forza di coesione e le costruzioni minacciano quindi rovina.

Il minerale di zolfo, trasformandosi in briscale, aumenta di peso nella proporzione di 1:1,303. Se il minerale di zolfo fosse compatto, il volume della roccia dovrebbe [p. 32 modifica]aumentare nel rapporto di 1:1,36; siccome tuttavia il minerale di zolfo è poroso, se si suppone che il suo peso specifico sia solo di 1,9, nel passare allo stato di briscale esso aumenta di volume nel rapporto di 1:1,12. In questo aumento di volume la roccia si contorce, sposta le rocce incassanti, si spacca anche secondo varie direzioni, e rovina spesso facilmente. Il briscale infatti è sempre fessurato, contorto, irregolare, in parte spostato, in parte rovinato a segno tale che nella maggior parte dei casi non presenta quasi più l’apparenza di uno strato o la presenta solo in pochi punti.

Anche le rocce incassanti il briscale, principalmente quelle che sono superiori, sentirono in modo straordinario l’azione di questo rigonfiamento dello strato solfifero nella sua chimica trasformazione: esse vennero rotte, e le parti staccate in vari casi rovinarono in basso. Sia le rovine che le fessure, resqro il minerale di zolfo più accessibile all’azione ossidante dell’atmosfera e furono così causa di una serie. di formazioni di briscale e di successive rovine. Queste rovine poi divennero colossali allorquando lo strato di minerale e gli strati incassanti ebbero una inclinazione prossima alla verticale, sia per le rotture già determinate in questo sollevamento, sia per l’accesso più facile dell’aria e dell’acqua allo strato solfifero, e la sua più facile trasformazione in briscale; sia infine perchè appena le rocce furono spostate e le rotture determinate, la loro rovina fu quasi subito inevitabile. Chi volesse vedere un esempio colossale di queste rovine, esamini gli affioramenti della Solfara Grande di Sommatino. Egli è vero che il fuoco ed altre cause hanno contribuito a questa distruzione, ma la causa principale è la rottura e lo spostamento determinato dal rigonfiamento di uno strato di minerale molto inclinato e molto potente.

Allorquando il terreno solfifero spunta ad una certa altezza sopra il fondo delle valli e sono scoperte le marne inferiori, in queste si determinano spesso delle frane che trascinano seco le rocce superiori dell’epoca solfifera, alle quali viene meno il sostegno, e determinano nuove rotture nella parte ancora intatta, rendendo più facile la penetrazione delle acque e dell’aria. Il risultato di questa serie di ossidazioni, di rotture, di frane, di rovine che sono a vicenda causa ed effetto le une delle altre, è stata la distruzione di una parte notevolissima del minerale di zolfo.

Il terreno solfifero della Sicilia oltre all’avere partecipato al movimento generale del suolo, fu soggetto principalmente alla fine dell’epoca solfurea a sollevamenti e rotture locali, che raddrizzarono e capovolsero in alcuni punti gli strati di minerale e determinarono la separazione di un gruppo in tante solfare assolutamente indipendenti le une dalle altre. Nei punti di rottura il minerale di zolfo restò esposto all’azione dell’atmosfera e si trasformò in briscale, il quale restò poscia coperto dalle rocce dell’epoca pliocenica.

Un esempio luminoso di questi fatti si ha nella solfara Pilieri in Fioristella (Fig. 7ª). Lo strato di minerale in A è capovolto, più in basso è verticale, ma da questo punto la sua inclinazione diminuisce progressivamente. Una galleria PF quasi al livello del vallone attraversa prima le marne plioceniche, le quali passano ai trubi nell’interno, ed in E incontra uno strato di briscale quasi verticale, al quale succede un calcare rotto e frantumato. Il briscale E rappresenta uno strato di minerale rotto e staccato dal [p. 33 modifica] corpo principale delle solfare CD. Ritornando gli strati nella loro posizione primitiva, il punto E verrebbe ad unirsi col punto più basso D del minerale. Questo briscale, essendo difeso dalle marne plioceniche, deve essere stato prodotto prima che le marne plioceniche si deponessero in questa regione. Esso venne quindi originato durante l’epoca solfifera ed il minerale dovette essere in conseguenza esporto in quest’epoca all’azione dell’atmosfera. Fu la rottura tra E e C che portò in presenza dell’atmosfera la parte E: questa rottura, questo spostamento dovette quindi avere luogo o durante l’epoca solfifera o prima dell’epoca pliocenica.

Dall’esame dei trubi in M si può anzi arguire che la rottura, le piegature, il sollevamento ed il capovolgimento del minerale si verificò prima della loro formazione, poiché essi si trovano sovrapposti al minerale ed in discordanza di stratificazione. Questa è la sola località in cui abbia trovato i trubi in discordanza col terreno inferiore.

Dalla struttura della miniera Pecoraro, poco lontana dalla solfara Pilieri, appare che alla fine dell’epoca solfifera questa regione fu soggetta a movimenti considerevolissimi del suolo, e che il centro di questo sollevamento è ora rappresentato da una maccaluba.

Basta di avere per ora accennato come anche durante l’epoca solfifera abbiano avuto luogo rotture, sollevamenti del suolo, e formazioni di briscale che restò poscia coperto e difeso dalle marne plioceniche. Questa località dimostra che, allorquando il pliocene copre il terreno solfifero, e questo è molto tormentato, è quasi impossibile determinarne la struttura dai caratteri esterni, tante sono le fasi che può subire e gli scherzi che può presentare. Essa dimostra inoltre che una parte del minerale venne ossidata durante Y epoca solfifera, e che a questa ossidazione si deve attribuire almeno in parte la formazione dei gessi che si trovano nei giacimenti solfiferi.

Origine dei gessi del miocene superiore. — Il tempo necessario per la trasformazione del minerale di zolfo in briscale non è straordinario. Incontransi sulle solfare Gallizzi e Fioristella mucchi di n,60 di altezza ed l m,50 di diametro alla base, ivi depositati da 20 anni circa e trasformati completamente in briscale da alcuni anni. Il minerale di zolfo, se è abbandonato nelle cataste per un periodo di due o tre anni (le cataste hanno circa l’altezza di un metro) ha una resa notevolmente minore di quella del minerale subito estirpato. In due o tre anni Y ossidazione dello zolfo in presenza del calcare e degli agenti atmosferici prende quindi una notevole importanza. Dopo dieci anni esso è trasformato per la massima parte in briscale. Questo fatto dimostra che durante l’epoca solfifera una parte notevole del minerale ha dovuto passare allo stato di briscale o di solfato di calce, principalmente nei punti in cui per il movimento di oscillazione del suolo esso venne a sortire fuori dalle acque. Esso dimostra inoltre che la durata dell’epoca solfifera non fu straordinaria, poiché altrimenti invece dello zolfo si avrebbe solo solfato di calce. Questo solfato passò in soluzione nelle acque dei laghi, ed allorché queste divennero sature, diede origine alla formazione dei gessi.

Partendo dalla struttura del minerale listato, che ho chiamato soriata, e che meglio solata si chiamerebbe, ho nella Memoria osservato che alcune solfare si sarebbero for[p. 34 modifica]mate in un periodo di 500 a mille anni, e che in altre la durata del tempo impiegato per la loro formazione non sarebbe stato minore di 4000 anni. Tenuto calcolo della facilità e della rapidità colla quale il minerale di zolfo esposto all’atmosfera si trasforma in solfato di calce, pare che nel periodo di 1000 a 4000 anni esso avrebbe dovuto passare quasi interamente allo stato di briscale. Egli è cosa certa che il minerale, il quale per il movimento del suolo, avvenuto durante l’epoca solfifera, venne ad essere esposto facilmente all’azione dell’ossigeno atmosferico, dovette in un lungo periodo di tempo ossidarsi completamente. Nei laghi, sotto il livello delle acque, il minerale venne notevolmente preservato da questa ossidazione per tre ragioni, cioè:

  1. Per lo sviluppo del gaz acido carbonico dalle loro acque, allorché queste contenevano in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico, e per la combinazione dell’ossigeno coll’ idrogeno dell’acido solfidrico, ovvero col calcio del monosolfuro esistente in soluzione nei laghi.
  2. Per la presenza nelle acque di sostanze organiche e specialmente degli olii e del gaz delle maremme, il cui sviluppo dovette essere un ostacolo all’ossidazione del minerale.
  3. Per il deposito dei tufi che ora costituiscono i partimenti tra i diversi strati, o che si trovano superiormente al minerale nelle solfare. Questi tufi, essendo impenetrabili alle acque, impedirono l’accesso dell’aria allo zolfo sottostante e lo preservarono in conseguenza dell’ossidazione.

Una gran parte del minerale di zolfo deve tuttavia nell’epoca solfifera essersi ossidata e trasformata di nuovo in solfato di calce. Nella Memoria, ove trattasi della origine dei gessi, trovasi scritto:

«Che la presenza dei banchi di gesso inferiormente al minerale proviene probabilmente da un cambiamento di forma dei laghi solfurei o dal cambiamento di posizione» delle sorgenti»

ed ho considerato i banchi di gesso inferiori al minerale a Messana ed alla Barachella presso Sommatino, come contemporanei dei gessi superiori di Grottille e di Montagna, ed i gessi delle solfare Grottacalda, Fioristella e Gallizzi, pure inferiori al minerale, come un deposito avente comune Y epoca e l’origine coi gessi superiori al minerale nel gruppo di Castrogiovanni. È probabile che tra i gessi di Montagna e Grottille presso Sommatino ed i gessi delle solfare Messana e Barachella siavi il nesso sopraindicato; non mi pare tuttavia che questo nesso esista tra i gessi inferiori del gruppo Fioristella ed i gessi superiori del gruppo Castrogiovanni. I gessi inferiori al minerale nelle solfare Gallizzi, Fioristella e Grottacalda, provengono probabilmente dall’ossidazione completa degli elementi solfuro di calcio, acido solfìdrico o minerale di zolfo nel primo periodo della sua formazione. A Grottacalda si trova zolfo inferiormente ai gessi suddetti. Questo zolfo, abbenchè sia molto magro ed in piccola quantità, dimostra tuttavia che le sorgenti solfuree apparvero e vissero in questa località prima della formazione dei gessi, e che questi gessi provengono ’in conseguenza con probabilità in parte dall’ossidazione completa del minerale, in parte forse da solfato di calce sciolto nelle acque delle sorgenti. Questa ipotesi è resa probabile dalla configurazione che vi presenta il terreno solfifero. Il minerale di zolfo vi forma 12 solfare circa indipendenti le une dalle altre [p. 35 modifica] e, nel passaggio da una solfara all’altra, si osserva spesso non solo una diversità notevole di minerale, ma una sua lenta disparizione. Anche i gessi partecipano a queste disparizioni ed a queste variazioni. Il lago in cui si formò questo deposito, doveva quindi essere poco profondo e formato anzi da una serie di piccoli laghetti in parte divisi, in parte appena uniti gli uni agli altri. A questo si aggiunga, che il terreno vi è tormentatis8Ìmo e che i movimenti cominciarono ancora durante l’epoca solfifera, variando la forma dei laghi e la loro profondità. Queste variazioni rendono probabilissima l’ipotesi che i banchi di gesso inferiori al minerale in queste solfare provengano o dall’ossidazione completa degli elementi solfurei, che penetrarono nei laghi nella prima parte dell’epoca solfifera, oppure dall’ossidazione del minerale già deposto.

L’esistenza di banchi potenti di gesso inferiori al minerale, o con esso intercalati, è un fatto frequentissimo nelle solfare a tal segno che si può spesso dubitare, se essi debbano venire considerati come superiori in massima parte allo zolfo, oppure a questo inferiori. Egli è cosa certa che i gessi sono stati prodotti in parte dal solfato di calce contenuto in soluzione nelle acque delle sorgenti solfuree, in parte dall’ossidazione degli elementi solfurei; che questa ossidazione ebbe luogo in parte durante la formazione del minerale, in parte dopo che il minerale era già deposto, e che essi sono quindi in parte contemporanei del minerale, in parte posteriori e debbono perciò venire considerati piuttosto, in regola generale, come superiori che come inferiori al calcare solfifero.

Esplorazione delle solfare. — Pochissime sono le località nelle quali il briscale comparisca alla superficie e non si sia ancora rinvenuto il minerale. Si incontrano tuttavia località nelle quali (come venne detto nella Memoria) il briscale è nascosto sotto il velo di terre arabili. Questo caso si verifica ogni qualvolta il minerale è tale da dare origine ad un briscale facilmente riducibile in detrito, specialmente quando esso è incassato fra rocce più resistenti all’azione delle pioggie, come sono i gessi ed i calcari. A piccola profondità le terre arabili passano allora al briscale. Pochi metri più in giù questo è sostituito a sua volta da briscale insolforato, al quale succede infine il minerale di zolfo. Tutte queste variazioni si verificano generalmente coli’ approfondirsi dello strato per 10 a 15 metri.

Il minerale di zolfo, il quale è esteriormente rappresentato da terre arabili, è sempre un minerale molto friabile e facile ad essere scavato. Tali sono, per esempio, i minerali molto ricchi ed i minerali detti perciuliati, i quali sono costituiti da un calcare puro raggruppato in piccoli globuli di 4 a 10 centimetri di diametro, formati di tanti piccoli gruppi di cristalli di calcare associati a cristalli di zolfo sparsi nelle cavità di questa roccia. Il briscale generato dal calcare cristallino è sempre poco compatto, e si riduce facilmente in detrito, e, quando proviene da calcare perciuliato, è friabilissimo e si separa in tanti grani corrispondenti ai vari gruppi di cristalli di carbonato di calce o di zolfo. Questi globuli si riducono, appena sono toccati, in tanti piccoli granelli bianchi, e la massa assume una struttura sabbiosa grossolana. I vuoti esistenti nel minerale perciuliato, nel suo passaggio allo stato di briscale sparirono per il maggiore volume assunto dalla massa nella sua chimica trasformazione. [p. 36 modifica]Anche i minerali tufacei, nei quali la marna ed il tufo sono molto abbondanti, all’esterno sono rappresentati da terre arabili. In tal caso però il minerale è poverissimo, e può venire considerato come il tufo che costituisce i partimenti tra i diversi strati di minerale, o come il tufo che si trova spesso alla base dei banchi solfiferi e che contiene solamente arnioni sparsi di zolfo saponaceo.

Più generalmente le terre arabili rappresentano appunto strati di marna o di tufo. Siccome tuttavia è sempre piccola la spesa necessaria per determinare da quale materiale esse provengano, sono rari i casi in cui non convenga fare un tentativo in queste terre per scoprire la roccia non alterata. Allorché il materiale che diede origine alle terre arabili contiene solfato di stronziana, havvi probabilità immensa che questo materiale sia solfifero, poiché il solfato di stronziana è sempre associato col minerale. Questo solfato nella formazione del briscale rimase inalterato, e nella disaggregazione sia del briscale che del tufo, i suoi cristalli rimasero uniti od al più suddivisi in poche parti sempre abbastanza grosse per potere essere visibili alla superficie delle terre arabili. La ricerca di questi cristalli è sempre cosa utilissima ogni qualvolta si dubita che le terre arabili suddette possano provenire da disaggregazione di un materiale solfifero, e, quando essi si incontrano, si deve fare un tentativo, tuttoché questo nella massima parte dei casi non metta in evidenza che un minerale tufaceo e povero.

I capi maestri delle solfare hanno non di rado delle regole pratiche che meritano di essere prese in considerazione nei lavori di ricerca. Tale è, per esempio, quella che mi venne detta dal capo maestro Costa che «gli zólfi si gettano sempre dalla parte di» mezzogiorno e mai dalla parte di mezzanotte.» Ciò viene a dire che gli strati solfiferi discendendo, inclinano sempre verso il Sud e mai verso il Nord. Questa regola è vera nella massima parte dei casi, se per inclinazione verso mezzogiorno si ammette che la linea di massima pendenza degli strati, linea che dinota appunto l’inclinazione suddetta, possa prendere tutte le direzioni immaginabili che si possono tracciare nei due quadranti Sud-Est e Sud-Ovest. Sonvi nondimeno delle eccezioni alla citata regola, la quale non è che una conseguenza naturalissima delle leggi che seguirono nel loro sollevamento il terreno solfifero ed il terreno pliocenico. La direzione dominante di questi terreni è ad un dipresso Est-Ovest con inclinazione verso il Sud. Il terreno solfifero tuttavia, essendo tormentatissimo e qualche volta capovolto, può presentare quasi tutte le direzioni ed inclinazioni immaginabili, abbenchè segua nella massima parte dei casi la legge ora citata.

II calcare perciuliato deve esser considerato come un indizio dell’esistenza del minerale, non però in egual grado del briscale. Questa roccia, essendo minerale chimicamente alterato, è un segno infallibile della sua esistenza, mentre il calcare perciuliato è un segno qualche volta prossimo, qualche volta remoto della presenza dello zolfo e qualche volta un segno fallace. Allorché esso rappresenta realmente la continuazione del banco solfifero, questo si incontra coli’ approfondirsi dello strato, ed in questo passaggio del calcare al minerale esso conserva la stessa struttura di quello che è privo di zolfo e si chiama anche esso minerale perciuliato. Lo zolfo poi trovasi sparso nella roccia in piccoli grani cristallini. Se il calcare presenta la struttura della solata, anche il minerale che vi corri[p. 37 modifica] sponde ha la struttura della solata, e gli straticelli si presentano con uno spessore identico e ne conservano perfettamente i caratteri. Se una parte di un giacimento è capovolta, in questa il minerale è spesso rappresentato da puro calcare perciuliato, mentre nell'altra il calcare corrispondente è ricco in zolfo. I giacimenti solfiferi sono generalmente rotti e spostati in modo da costituire piccole solfare indipendenti le une dalle altre. Succede ora qualche volta che in una parte, specialmente nella parte alta, si incontri calcare perciuliato, mentre nella parte limitrofa e da questa separata il calcare è ricco in zolfo.

Quando il calcare è bucherellato senza struttura solata, il minerale corrispondente (se esiste) generalmente è potente, e la sua ricchezza non è inferiore al 24 per cento.

I minerali perciuliati si formarono allorché le sorgenti solfuree furono o continue oppure intermittenti a brevi periodi. Se le sorgenti non restarono mai aride ed inattive, grande dovette essere in regola generale la quantità di materia solfurea da esse portata alla luce, e potenti devQno essere in conseguenza i depositi nei quali incontrasi minerale perciuliato, o minerale che per struttura a questo si avvicina; ed infatti nelle solfare nelle quali trovasi minerale perciuliato, esso ha sempre una grande potenza. Le solfare Caico di Montedoro, la miniera Pecoraro a Fioristella, la solfara di Fiume di Riesi presso Sommatino ec, racchiudono minerali che sono tutti più o meno perciuliati. Essi sono facili all’estirpazione, e lo zolfo che se nemicava è classificato come seconda avvantaggiata.

Se il calcare perciuliato presenta la struttura della solata, e lo spessore degli straticelli non è inferiore a cinque o sei millimetri, il minerale corrispondente (ammettendo che esista) ha la stessa ricchezza e gli stessi caratteri ad un dipresso del minerale sovradescritto, poiché si deve osservare che il minerale perciuliato sempre assume in alcuni punti di una solfara la struttura della solata, di modo che la prima varietà di minerale passa in alcuni tratti alla seconda, come la seconda passa alla prima.

Se invece il calcare corrispondente ad un minerale di zolfo è costituito da straticelli molto sottili, aventi per esempio 3 o 4 millimetri di spessore, è difficile che lo strato di minerale sia molto potente. Ogni straticello infatti segna una emanazione od un periodo di attività della sorgente solfurea. Dato quindi un numero definito e limitato di questi periodi, egli è cosa chiara che lo spessore totale del minerale dipende dallo spessore degli straticelli che si deposero in ciascuno dei periodi sopraccennati. Se lo spessore degli straticelli, sia del calcare perciuliato, sia del briscale listato, è grande, havvi probabilità che il giacimento sia potente e ricco. Se piccolo è lo spessore di questi straticelli, piccola deve essere stata relativamente la quantità degli elementi costitutivi del minerale trasportata nei laghi di quest’epoca in ogni emanazione, ed è impossibile che il calcare e lo zolfo abbiano assunto una struttura cristallina molto sviluppata. Il minerale corrispondente a questo calcare, se non è associato a marne, può avere una ricchezza del 20 al 24 per 100, e nel calcarone, sotto l’azione del calore e della pressione, si riduce facilmente in piccoli frantumi e dà una piccola resa non superiore in regola generale al 10 o 12 per 100, specialmente se grandi sono i calcaroni in cui si tratta il minerale, e non si ha una cura considerevole nella sua cernita e nella sua disposizione.