Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia/Capitolo V
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Capitolo V.
DETERMINAZIONE STRATIGRAFICA DI UN GIACIMENTO SOLFIFERO COLL’ESAME DELLA DIREZIONE DEI CRISTALLI.
Il minerale delle solfare siciliane ora è composto di un calcare più o meno marnoso associato allo zolfo, ora invece presenta una struttura listata ed è formato da una serie periodica di straterelli di zolfo e di calcare, il cui spessore varia da tre millimetri sino a due o tre centimetri. Questa varietà di minerale fu chiamata nella Memoria, rigata o soriata; ma solata dovrebbe chiamarsi a similitudine delle suole, delle quali ha spesso lo spessore, e solata sarà chiamata d’ora innanzi o rigata o listata.
Tutto il minerale ha più o meno la tendenza ad assumere questa struttura. In alcuni strati di una solfara la struttura solata sarà appena visibile, in altri punti ed in altri strati invece sarà chiara e ben definita. Due sono i tipi della solata. Nel tipo P il periodo è rappresentato da uno straticello di calcare compatto e da uno straticello di zolfo. Nel secondo tipo, oltre gli straticelli suddetti si trova uno straticello di calcare cristallino inferiore immediatamente a quello di calcare compatto. Questi cristalli, i quali sono ora scalenoedri, ora romboedri inversi, hanno le loro punte dirette verso il basso verso il muro del minerale, mentre i cristalli di zolfo presentano le loro punte al calcare soprastante. Questa legge nella direzione dei cristalli di zolfo e di calcare, è generale, e si verifica in tutte le solfare, in tutti gli strati di minerale, purchè esso abbia la struttura della solata. Non devesi tuttavia credere che tutti assolutamente cristalli di zolfo che si trovano nella solata abbiano le loro punte dirette verso il tetto del minerale, ed i cristalli di calcare si rivolgano tutti verso il muro. La genesi stessa di questi cristalli indicata nella Memoria, dimostra che vari di questi cristalli possono avere le loro punte in senso inverso a quello ora cennato. Il calcare cristallino venne originato dalla scomposizione lenta o del bicarbonato di calce o del monosolfuro di calcio esistente in soluzione nelle acque racchiuse nei vuoti e nelle geodi del minerale. Se lo straticello di calcare compatto si trovò in qualche punto scoperto dal solito straterello di zolfo, il carbonato di calce originato dalla soluzione sopraccennata si portò in parte sul calcare suddetto. Si incontrano spesso nelle fessure, in cui scorrono le acque ricche di acido solfidrico, cristalli di zolfo che ne tappezzano le pareti principalmente nella loro parte più elevata. I cristalli suddetti provengono dalla scomposizione dell’acido solfidrico che si libera dallo stato di soluzione in cui è tenuto dalle acque, mentre esse scorrono al fondo delle fessure, e riempie i vuoti di queste fessure nelle quali quasi sempre penetra in proporzioni maggiori o minori l’aria atmosferica che determina la scomposizione del gas idrogeno solforato. Questo fatto potè verificarsi anche nei banchi solfiferi dopo la loro formazione, ed è quindi possibile trovare cristalli di zolfo aderenti alle pareti superiori dei vani esistenti nei minerali listati ossia nelle solate.
La legge sopracitata si verifica tuttavia sempre se si osserva la massa principale dei cristalli od il loro maggior numero, ed è specialmente nel calcare cristallizzato che si può constatare la sua esistenza.
Il terreno solfifero è tormentatissimo. Gli strati sono non di rado molto raddrizzati e qualche volta capovolti, nè è sempre facile il determinare in questi casi quale sia il muro e quale il tetto del minerale; e pure la determinazione di questo fatto è il primo elemento, è la prima nozione indispensabile per potere conoscere la configurazione della miniera e la sua importanza, e specialmente per potere determinare la posizione, la natura e l’estensione dei lavori.
Allorquando la serie dei terreni in un gruppo solfifero è quasi completa, cioè quando si incontrano oltre i gessi ed il calcare solfifero anche i trubi ed i tripoli, è facile il determinare quale sia la parte inferiore e quale la parte superiore di uno strato. Se tuttavia mancano i tripoli, ed i trubi sono molto sconvolti, se i movimenti che raddrizzarono e capovolsero gli strati di minerale cominciarono durante l’epoca solfifera, e specialmente se i gessi invece di essere superiori al minerale sono ad esso inferiori, se manca il calcare siliceo e si trova invece un banco di calcare privo di zolfo superiormente al minerale, non si ha più norma alcuna per potere determinare quale sia il muro od il tetto degli strati, nè se questi siano ancora disposti nel loro ordine naturale, oppure siano capovolti. In questi casi, se si può esaminare una località a minerale, la conoscenza della legge che seguono i cristalli di zolfo e specialmente i cristalli di calcare nella direzione delle loro punte è la guida più facile, più sicura per potere risolvere il quesito. Essa serve a determinare non solo se in una solfara il terreno è stato o no capovolto, quali sieno gli strati superiori e quali gli inferiori, quale la loro serie speciale in questa miniera, ma serve a riconoscere facilmente quali sono le singole parti della solfara che furono capovolte e quali in posto.
Se la solata o rigata contenente lo straticello di calcare cristallino, ossia il tipo Q giacchè il tipo P non servirebbe in questa questione, è ben definita, la sua semplice ispezione in un punto serve a risolvere il quesito. Se questo minerale non è bene distinto, bisogna osservare la legge dominante nella direzione dei cristalli, specialmente in quelli di calcare, e non arrestarsi all’esame di un punto o di una località, a meno che in questo punto la solata abbia una struttura chiara e facilmente riconoscibile.
In alcune solfare invece della solata a tre periodi, tipo Q, si trova una solata o rigata nella quale il calcare cristallino è sostituito dal solfato di stronziana. La direzione dominante nelle punte di questi cristalli è anche in questo caso verso il basso o verso il muro del minerale. Questa legge è tuttavia incomparabilmente più difficile a riconoscere nel solfato di stronziana che nel calcare, essendo molti i cristalli che prendono una direzione diversa. Non è spesso che dietro un esame accurato che si può risolvere il quesito.
Nel solfato di stronziana bisogna esaminare non tanto le punte dei cristalli che spesso sono poco visibili, quanto il senso in cui i cristalli convergono. Questi cristalli formano tanti piccoli gruppi: ciascun gruppo è costituito da molti piccoli prismi di solfato di stronziana, che partono da uno stesso punto e divergono ad un dipresso come i cristalli di mesotipo. Un gruppo isolato di questi cristalli di solfato di stronziana rassomiglia ad un cono la cui superficie laterale, sia scanalata secondo le sue generatrici, e le scanalature aumentino proporzionatamente di larghezza a partire dal vertice del cono fino alla base. Una sezione attraverso P asse di questo cono ce lo mostrerebbe come formato da varii cristalli che partono dal suo vertice come tanti raggi di una sfera.
Questi piccoli gruppi di solfato di stronziana sono attaccati od aderenti solo per il loro vertice al calcare od allo zolfo. La loro formazione cominciò dal vertice, ed i cristalli a misura che si allungarono si allargarono altresì. Allorquando uno straticello di solfato di stronziana si può staccare facilmente dall’altro materiale, la parte secondo la quale lo strato è attaccato al calcare od allo zolfo è generalmente rappresentata da tanti piccoli coni scanalati alti 3 ad 8 millimetri, larghi uno a due centimetri, ed è più facilmente riconoscibile questa parte dei cristalli che non la parte opposta dove essi presentano le loro punte. Se i cristalli di carbonato di calce che costituiscono lo straticello c nella solata, presentano quasi tutti le loro punte al muro del minerale (tipo Q), egli è perchè il carbonato di calce, nel separarsi dalla sua soluzione, tende per legge di chimica attrazione a portarsi sul calcare, il quale si trova alla parte superiore del vuoto esistente nella solata, come lo zolfo tende per la stessa legge a portarsi sullo zolfo sottostante.
H solfato di stronziana non ha più nè per il calcare, nè per lo zolfo questa attrazione speciale, ed in conseguenza le prime molecole che si separarono dalla soluzione, e che diventarono quindi l’embrione dei cristalli, il centro attrattivo delle molecole che si precipitarono posteriormente, possono essere aderenti od al calcare od allo zolfo. In regola generale, essi si portano a preferenza sul calcare, e quindi i cristalli di solfato di stronziana in massima parte rivolgono le loro punte verso il basso, restando il vertice dei coni, dal quale essi partono, aderente al calcare superiore. In alcuni casi il solfato di stronziana forma nella solata, non uno, ma due straterelli racchiusi fra due straticelli consecutivi dello zolfo e del calcare compatto soprastante. H solfato di stronziana è sempre cristallizzato, ed i cristalli costituenti questi due straterelli si presentano reciprocamente le loro punte, come le parti che nei filoni sono simmetriche. Il vuoto esistente nella solata si comporta allora come la fessura di un filone, il quale sarebbe stato riempito da solfato di stronziana.
Pare in tal caso cosa impossibile il potere determinare dalla direzione dei cristalli quale è il tetto e quale il muro del minerale. Se tuttavia si esaminano molti di questi straterelli, si trova che lo straticello appeso al calcare compatto, e che tiene il posto dello strato di calcare cristallino, è più continuo e molto più potente che non lo straticello sottostante, il quale spesso è interrotto ed è sempre di importanza molto minore che lo strato superiore.
L’esame dei cristalli di solfato di stronziana e di calcare si deve fare quasi sempre nell’interno delle solfare. Egli è quindi necessario in regola generale che il minerale sia già scoperto, perchè l’esame di questi cristalli possa essere utile sotto il punto di vista industriale. In alcune circostanze tuttavia questo studio si può fare all’esterno. Qualche volta uno strato di minerale è sostituito specialmente all’esterno da un calcare perciuliato o da un calcare solfifero privo di zolfo, che, fatta astrazione da questo elemento, assume la stessa struttura della solata e contiene, sebbene meno importante e meno distinto, lo stesso straticello di calcare cristallino che si trova nel minerale. Non essendo ivi il calcare in presenza dello zolfo, si conservò inalterato, e quindi dall’esame de’ suoi cristalli si può determinare quale sia la parte superiore e quale la parte inferiore del giacimento.
Qualche volta il minerale è associato a solfato di stronziana; questo si trova allora altresì nel briscale, senza avere subita alcuna chimica alterazione, ed è quindi facile anche in questo caso il determinare la direzione dominante de’ suoi cristalli ed il muro ed il tetto del minerale come nel caso precedente.
I cristalli che generalmente possono servire all’esterno di guida nei casi complicati per determinare la struttura di un giacimento, e specialmente il tetto od il muro degli strati, sono i cristalli che costituiscono i banchi potenti di gesso.
II calcare, il gesso, il minerale di zolfo, il tufo, sono rocce la cui successione cronologica può presentare tutte le combinazioni possibili. Dall’ordine di queste rocce, non si possono quindi distinguere i primi depositi dai depositi posteriori. L’esame dei banchi di gesso cristallino è in questi casi un mezzo sicuro per questa distinzione.
I gessi nel terreno solfifero si presentano od allo stato compatto od allo stato cristallino. Nel primo caso essi sono quasi sempre fogliettati ed associati con una piccola proporzione di marna. I gessi fogliettati sono chiamati ballatini dai Siciliani, perchè sono adatti all’estrazione delle balate o delle lastre. Essi nei giacimenti indicano chiaramente la direzione, V inclinazione degli strati e tutte le piccole piegature ed ondulazioni alle quali questi strati furono soggetti. I ballatini si intercalano spesso coi gessi cristallini, rendendo così più isolati e più distinti i loro diversi banchi. Questi sono formati di cristalli i quali prendono la struttura del ferro di lancia, colla differenza che essi sono lunghissimi e stretti.
I due cristalli A (fig. 2ª) rappresentano i prismi primitivi del solfato di calce; la superficie BCDE la base di questo prisma. La punta del ferro di lancia è rivolta al muro e la sua apertura invece al tetto dello strato. Bisogna tuttavia in vari casi esaminare molti cristalli per determinare con sicurezza il senso dominante nella loro formazione. Allorchè i cristalli sono molto grossi e sviluppati, con un semplice sguardo anche a distanza si può spesso riconoscere l’apertura e la punta della lancia e quindi la base primitiva dello strato.
Questa regola ha anche essa le sue eccezioni, le quali sono più apparenti che reali. I cristalli di gesso, come i cristalli di solfato di stronziana, si ramificano e formano dei gruppi. Come nel solfato di stronziana il principio e l'embrione di un gruppetto di cristalli è il vertice di un cono ed i cristalli sono diretti secondo le generatrici; così anche nei gessi la punta della lancia è il principio e l’embrione de’ suoi cristalli. Da questo vertice partono due cristalli accollati in senso" inverso, i quali rappresentano i prismi sovra descritti. A questi cristalli si accollano altri cristalli e si forma così qualche volta un gruppo, che prende la forma di un cespuglio erboso di cui le foglie sono inclinate e dirette in tutti i sensi. In questi casi, se si considerano i cristalli i quali rappresentano le foglie diametralmente opposte di un cespuglio nel punto in cui sono orizzontali, si trova che, mentre uno ha la punta della lancia diretta in un senso, l’altro l’ha diretta in un senso diametralmente opposto. Questo fatto si verifica solo quando i cristalli sono molto sviluppati, ed è una conseguenza naturale della lentezza e della tranquillità con cui si deposero le molecole. Quando i cristalli prendono questa forma, chi gli esamina senza tenere calcolo del modo con cui sono raggruppati, deve necessariamente credere assurda la legge sopracitata, poichè essi presentano tutte le direzioni presentate dai raggi di una semisfera.
Un esempio magnifico di questi cespugli di cristalli di solfato di calce, e che si piegano come foglie in senso orizzontale, si incontra sulla via che da Sommatino conduce alla Solfarella, tra questa miniera e la montagna. In faccia alla Solfarella i gessi sono potenti e presentano tutte le varietà del terreno solfifero. Fra queste varietà è degno di osservazione un banco dello spessore di 70 centimetri circa, composto di grossi cristalli che vi formano una serie non interrotta di gruppi in forma di cespugli, la cui altezza è precisamente quella dello strato.
Accade qualche volta che un banco di gesso è formato di cristalli che presentano chiaramente la forma del ferro di lancia, e che stanno tutti diritti dal muro al tetto, senza che tuttavia lascino apparentemente vedere la legge che seguitano nella loro cristallizzazione. Nel sollevamento e nelle piegature del terreno solfifero gli strati di gesso che si trovarono alla superficie, non potendo raccorciarsi e ridursi ad una minore lunghezza, assunsero una configurazione ondulata e formarono spesso una serie di calotte sferiche, le quali permisero agli strati di conservare la loro lunghezza in tutti i sensi. Ora, se si tronca con un piano una di queste calotte sferiche, i cristalli di gesso, tuttochè conservino la loro struttura lanceolata, presentano in queste lance tutte le direzioni immaginabili come nel caso precedente in cui prendono la configurazione di cespugli.
La figura 3ª rappresenta una sezione naturale nei gessi soprastanti al paesello di Raddusa. Sotto di essa è invece la proiezione delle sezioni orizzontali delle calotte sferiche di questa località.
Esaminando la figura 3ª si vede che i cristalli di gesso presentano le loro punte al muro dello strato e l’apertura del ferro di lancia al tetto dello strato medesimo.
Le lineette a a (fig. 2ª) sono visibili solo perchè i cristalli non si laminarono perfettamente e le lamine si ruppero secondo le facce laterali del prisma.
Nella proiezione orizzontale tutte le punte dei cristalli accoppiati, ossia tutte le punte a ferro di lancia, si rivolgono verso il centro del circolo originato dalla sezione delle calotte sferiche. Se gli strati fossero capovolti, le punte suddette dei cristalli sarebbero invece dirette verso la periferia dei circoli. Si può quindi riconoscere anche dalla posizione orizzontale delle sezioni suddette se lo strato è o no capovolto, abbenchè sia difficile il determinare la sua direzione e la sua inclinazione con una sufficiente approssimazione, a meno che i gessi cristallini non siano intercalati coi ballatini.
In alcuni casi la determinazione del muro o del tetto di uno strato di gesso si può fare dall’esame degli angoli dei cristalli.
L’angolo B (fig. 2ª) che rappresenta la punta del ferro di lancia è il doppio dell’angolo D. Le punte dei cristalli di gesso dalla parte del tetto sono quindi molto più acute che dalla parte del muro, ed uno dei suoi lati è inoltre normale al tetto medesimo. L’osservazione di queste punte è tuttavia molto delicata e difficile, e siccome quasi sempre si possono esaminare i cristalli secondo una sezione o verticale o trasversale dei banchi, conviene sotto ogni riguardo ricorrere all’osservazione di queste sezioni per determinare la base primitiva dello strato.
Come prova irrefragabile della legge che seguitano i cristalli di gesso nella loro struttura e nella loro direzione, basta esaminare i depositi di solfato di calce aderenti alle pareti delle fessure, nelle quali penetrano ed evaporano lentamente acque che lo contengono in soluzione. Questi depositi sono costituiti da cristalli, i quali prendono la forma del ferro di lancia e presentano sempre netta e distinta l’apertura di questo ferro verso l’interno della fessura, mentre la loro punta è sempre aderente alle pareti della fessura medesima, dimodochè i cristalli si guardano mostrandosi reciprocamente non la punta ma l’apertura della lancia.
Chi non ha studiato geologicamente ed intimamente alcuni giacimenti di zolfo della Sicilia, difficilmente si immagina quante difficoltà si incontrino qualche volta nel determinare la configurazione e la struttura del terreno solfifero, nè può credere quanto importante sia nell’industria in alcuni casi l’esame dei cristalli di carbonato di calce, di solfato di stronziana e di gesso. Eppure in alcuni casi senza l’esame di questi cristalli è impossibile il determinare quale sia il muro e quale il tetto del minerale.
Già ho osservato che le rocce che accompagnano da vicino il minerale, i gessi cristallini, i tufi, il calcare, possono presentare nella loro serie, nel loro ordine di successione cronologico, quasi tutte le disposizioni possibili. Dal loro ordine di successione non si può quindi avere una norma per determinare quali siano gli strati deposti prima e quali gli strati deposti posteriormente, e, se mancano i trubi ed i tripoli che costituiscono i termini estremi del miocene superiore ed il terreno è molto sconvolto, non si ha più alcuna guida per risolvere questo quesito. Egli è vero che non tutte le parti di un giacimento sono sempre sconvolte, raddrizzate a segno tale da non potere subito riconoscere facilmente in alcuni punti del gruppo quali siano gli strati più e quali meno antichi, e che, determinato in questi punti l’ordine col quale si succedono i gessi, il calcare privo di zolfo e lo zolfo, si possiede spesso una norma per potere stabilire quale sia la base degli strati nei punti dello stesso giacimento in cui essi sono molto tormentati. Ma gli strati variano non di rado di spessore e spariscono da un punto all’altro di un gruppo, nè mancano i casi in cui il loro ordine di successione al principio del giacimento ed alla fine sono diametralmente opposti, come per esempio a Sommatino. L’esame invece dei cristalli serve a risolvere la questione nelle singole parti di un giacimento, serve a determinare il muro ed il tetto degli strati, e quindi la configurazione e la struttura del terreno nella località stessa in cui si fa l’esame.
Potrei citare varie circostanze in cui l’esame dei cristalli mi giovò notevolmente per determinare l’andamento del minerale. Citerò tuttavia due casi molto interessanti.
La solfara di Fioristella, rinomatissima nell’isola, consta di una serie di solfare indipendenti le une dalle altre. Fra queste le più importanti sono Pilieri e Pecoraro.
La fig. 6ª rappresenta la solfara Pecoraro.
AA’ sono le marne del miocene inferiore. In M ha sede in queste marne una maccaluba, la quale senza essere molto importante è tuttavia in attività incessante.
CC’ è il calcare inferiore allo zolfo. In C esso ha un’inclinazione di 20° a 25° gradi. In D lo strato probabilmente è rotto e poi diventa verticale ed indi capovolto, ed in C’ ha un’inclinazione solamente di 25° a 30° gradi. E è uno strato di tufo nero; esso si è poi incontrato anche in E’.
a, b, c, sono gli strati di minerale.
- a, ha uno spessore di 8m a 10m.
- b, uno spessore di 6m a 8m.
- c, uno spessore di 2m a 3m.
Lo strato superiore c nella sua parte più elevata diventa povero o privo di zolfo e costituisce un calcare detto calcare perciuliato o calcare puleggiaro. Il calcare puleggiaro o bucherellato s’incontra altresì in c’ ma è ivi assolutamente privo di zolfo. Sopra il calcare perdurato nell’interno della solfara si trova l’arenazzolo, e l’arenazzolo si trova altresì in g’ sotto il calcare. La parte centrale q è costituita da tufo palombino e trubi a foraminiferi contenenti ossido di ferro proveniente dall’ossidazione delle piriti, e piriti non ancora ossidate.
La serie con cui queste rocce si succedono secondo la sezione indicata, dimostra ad evidenza che la parte g’ c’ E’ C’ dell’arenazzolo, del calcare perciuliato, del tufo e del calcare superiore, è capovolta. Questa serie delle rocce è tuttavia all’esterno talmente mascherata, che è appena riconoscibile in qualche punto da chi già possiede il concetto della struttura dei giacimento. Le marne A infatti formarono anticamente una frana, la quale non si arrestò finchè i massi ed i pezzi di calcare provenienti dalle rovine dello strato C’, mescolati colle marne, furono in quantità sufficiente per arrestarne il corso. Il calcare C poi è appena visibile in alcuni punti sporgenti; in parte è coperto dal fabbricato della solfara, in parte dai genisi o dai rosticci dei calcaroni e non figura come uno strato ma come un complesso di massi.
Lo strato di tufo E e l’arenazzolo g non sono nemmeno discernibili da chi ne avesse la conoscenza e li cercasse all’esterno con tutta l’attenzione e la cura immaginabile. Il briscale è solo visibile di fianco alla solfara: quello generato dal calcare solfifero perciuliato c si disfece completamente riducendosi in detrito.
L’arenazzolo superiore, i trubi ed il tufo E’ sono mascherati completamente da detriti di terre vegetali e da genisi del minerale già esistente. Lo strato infine di calcare perciuliato ti non è continuo, si mostra solo in massi di 4 a 5 metri o più sporgenti a traverso la terra vegetale, dimodochè chi visita questa località non vi riconosce facilmente l’esistenza di un banco di calcare, se si eccettua un piccolo tratto della regione Nord del giacimento, e può credere che i massi di questa roccia sporgenti a traverso la terra vegetale provengano dalle rovine della cresta del monte. I banchi di questo calcare in C’ non hanno che un’inclinazione di 25°. Questa inclinazione aumenta discendendo a tal segno che, quando gli strati cominciano ad essere coperti dalle marne A’ della maccaluba, essa è già di 50° a 60° gradi circa.
I massi di calcare c’(perciuliato) ed il calcare superiore C’, hanno una struttura affatto diversa, nè si può ammettere che dalle rovine della cresta del colle provengano i blocchi ti sporgenti a traverso le terre vegetali sottostanti. Ciò che rende importante l’esame di questi massi è la presenza di cristallini di calcare in straterelli come nella solata. Essi hanno costantemente le loro punte dirette verso l’alto. Questa costanza nella direzione dei cristalli dimostra che questi massi non provengono da rovine di altri calcari, e che rappresentano l’affioramento di uno strato, non solo raddrizzato, ma rovesciato con un angolo di 155°. Se ora si ammette rovesciato il calcare perciuliato c’, deve essere rovesciato anche il calcare C’; ed infatti dalla prima impressione prodotta dall’aspetto del calcare e dalla maccaluba M, giudicai che vi fosse rovesciamento. Restava tuttavia a determinare se il minerale fosse anch’esso rovesciato. Se il minerale fosse stato rovesciato sarebbe stata cosa conveniente ricercare inferiormente verso il vallone H la parte della solfara non rovesciata. Se invece il minerale non aveva partecipato a questo rovesciamento, conveniva ricercare lo strato solfifero rovesciato tra la cresta del monte ed i banchi in coltivazione.
Per risolvere questa questione dovetti ricorrere all’esame dei cristalli nella solfara. Da questo esame constò che il minerale non è rovesciato e che è stato sollevato solo di 25°. Avendo poscia avuto occasione di avere informazioni sulle rocce incontrate nell’esecuzione dell’acquedotto HS (ora impraticabile), si seppe che esso percorse a principio marne azzurre analoghe a quelle che si trovano presso la maccaluba, e poscia penetrò in un calcare simile al calcare C’, al quale tenne dietro uno strato di tufo e poscia il minerale di zolfo.
Conveniva quindi ricercare sopra la solfara attuale lo strato solfifero rovesciato e, siccome sopra.la solfara in coltivazione non appariva briscale ma solo il calcare perciuliato c’ e le terre vegetabili specialmente in E’, lo zolfo (dato che vi esistesse) doveva rinvenirsi in corrispondenza dello strato di calcare perciuliato, oppure in corrispondenza delle terre arabili E’.
Il calcare perciuliato, come venne accennato, si può considerare come l’affioramento del calcare solfifero in un punto in cui è privo di zolfo, e spesso coll’approfondirsi dello strato diventa ricco e passa al minerale come il briscale. Le terre arabili rappresentate in E’ poi possono provenire da detriti del briscale. Un dubbio serio tuttavia sorgeva contro la presenza dello zolfo in corrispondenza di queste terre arabili dall’esistenza della maccaluba in M.
Gli strati del miocene superiore sono rovesciati non solo in faccia alla maccaluba nella solfara Pecoraro, ma anche nella limitrofa miniera Cali, ed a misura che diventano più distanti dalla maccaluba diminuisce il loro rovesciamento o F angolo della loro rotazione. Essi diventano quindi verticali e poscia riprendono il loro ordine naturale di sovrapposizione.
Questo fatto dimostra che la maccaluba in M fu un centro di sollevamento, fu la sede di grandiosi fenomeni eruttivi. Queste eruzioni delle maccalube sono accompagnate spesso da fango il quale si depone in loro vicinanza. Ora la parte rovesciata del giacimento di Pecoraro, qualora fosse ritornata nella sua posizione primitiva verrebbe a posarsi sul terreno della maccaluba. Nella Memoria i tufi che sono intercalati col minerale sono stati considerati nella massima parte dei casi come il prodotto di eruzioni delle maccalube. Ammessa questa ipotesi doveva arguirsi come cosa probabile che lo strato E rappresentato all’esterno da terre arabili, fosse costituito da tufi o da marne nerastre provenienti da eruzioni come i partimenti. Tale appunto era il timore concepito su questo giacimento. Ciononostante non conveniva risparmiare la spesa di un tentativo per esplorare queste località: in caso che le terre arabili rappresentanti lo strato E fossero provenute dai detriti del briscale, il minerale inferiormente sarebbe stato ricco almeno come quello della solfara sottostante ed avrebbe rappresentato un capitale considerevolissimo.
Abbenchè si temesse d’incontrare tufo in luogo dello zolfo si fece adunque una piccolissima galleria orizzontale P Q per esplorare il terreno: essa camminò a principio nei trubi tutti sconvolti in modo da dimostrare che il giacimento era rovesciato; poi incontrò il tufo palombino, il quale non è che un trubo colorito alquanto da sostanze organiche; indi l’arenazzolo, poscia il calcare perciuliato ed arrivò infine allo strato E’, il quale disgraziatamente si trovò costituito da tufi della natura di quelli che sono eruttati dalle maccalube. Il calcare C’ fu l’ultima roccia incontrata dalla galleria. Se la spesa del tentativo quantunque piccola fu perduta, esso dimostrò tuttavia che il giacimento è veramente capovolto e che il tufo E’ è con probabilità immensa dovuto all’azione eruttiva della maccaluba, e che a fenomeni eruttivi analoghi sono dovuti i partimenti tra i diversi strati di minerale ed i tufi che spesso si trovano alla base del minerale suddetto.
Giova osservare che in quasi tutto il gruppo Grottacalda, Fioristella e Gallizzi, inferiormente al minerale esistono banchi più o meno potenti di gesso. Nel feudo Fioristella questi gessi mancano solo nella solfara Pecoraro e nella parte limitrofa della solfara Calì, nella quale si osserva pure il rovesciamento degli strati.
La disparizione lenta e graduale dei gessi nel giacimento coll’approssimarsi alla maccaluba di Pecoraro, indica che il suolo nel periodo della loro deposizione doveva in questa località essere elevato sopra il livello delle acque, oppure ad una piccola profondità sotto questo livello, e dimostra in conseguenza, che la sede della maccaluba attuale era un centro di eruzioni fangose e solfuree e poscia anche di sollevamento.
Il tufo eruttato dalla maccaluba si depose nei suoi dintorni e formò così il banco compreso tra il calcare perciuliato ed il calcare C’. L’acqua sulfurea invece si sparse nel laghetto vicino e, scomponendosi in presenza dell’atmosfera, lasciò depositare il calcare solfifero. L’ossidazione, sia dello zolfo libero contenuto nel minerale, sia dello zolfo allo stato di acido solfidrico in soluzione nelle acque del lago, ossidazione resa facile dalla sua piccola profondità e dall’esposizione del minerale all’aria atmosferica, specialmente nelle epoche di siccità, diede origine alla formazione dei gessi che si incontrano potenti inferiormente al minerale in tutte le solfare circonvicine. Questi gessi sono quindi in parte posteriori, in parte contemporanei forse del primo strato di minerale che si depose a Pecoraro.
In regola generale il suolo in Sicilia nell’epoca miocenica raggiunse la sua massima altezza durante la formazione del calcare siliceo o del minerale di zolfo; a partire da questo punto esso cominciò a discendere finchè fu di nuovo invaso dalle acque marine. Il suolo a Grottacalda, Fioristella e Gallizzi cominciò a discendere durante la formazione dei gessi. Quando le acque raggiunsero una certa altezza, il minerale depositato non poteva più venire direttamente in contatto cogli agenti atmosferici eccetto in pochi punti; lo zolfo venne preservato dall’ossidazione ed invece del deposito di solfato di calce si ha il deposito del minerale. Il lago venne poscia invaso dalle acque marine e la sabbia trascinata dalle correnti venne a formare l’arenazzolo che si trova in tutto il gruppo superiormente al minerale. Coll’arenazzolo termina la formazione lacustre.
Il sollevamento ed il rovesciamento di una parte del giacimento di Pecoraro, fu prodotto posteriormente alla formazione dell’arenazzolo e dei trubi e quindi nell’epoca stessa in cui cominciarono a manifestarsi in Sicilia i fenomeni vulcanici. (Vedi la Memoria dove tratta della influenza vulcanica nella riduzione dei solfati). Questo fatto dimostra che le maccalube, se nella loro vita ordinaria sono indipendenti dalle cause vulcaniche, sono tuttavia in relazione con queste cause nell’epoca della loro apparizione e durante i loro parossismi. Considerando la maccaluba di Pecoraro come un centro delle eruzioni fangose e solfuree del bacino Grottacalda, Fioristella e Gallizzi, non intendo di attribuire la formazione del minerale in tutto questo gruppo ad emanazioni avvenute in Pecoraro. Altre maccalube o meglio altri fori o crateri di eruzione, si trovarono in questo gruppo probabilmente secondo una linea che passa a Nord Ovest delle creste di Grottacalda, si dirige alla maccaluba di Pecoraro, passa al Nord della solfara Pilieri di Fioristella ed attraversa infine la regione di Gallizzi.
Dal fin qui detto appare che la miniera di Pecoraro è una delle più interessanti per lo studio geologico del terreno solfifero.
Essa dimostra:
1° Che una grande importanza nel determinare la struttura di una solfara tormentata si deve attribuire all’esame dei cristalli e specialmente ai cristalli di calcare, i quali, siano gli strati capovolti, siano nel loro ordine di sovrapposizione, sempre osservano la legge che le loro punte sono nelle solate definite dirette verso il muro primitivo della formazione.
2° Che il minerale può non solo variare rapidamente di ricchezza e di potenza, ma sparire completamente là dove varia l’inclinazione del calcare dell’epoca solfifera.
3° Che le maccalube furono centri parziali di sollevamento dei terreni, e che in conseguenza questi punti dovevano essere soggetti da vicino alla causa che determina le dislocazioni degli strati terrestri, ossia alla causa vulcanica considerata in vasta scala; e che in conseguenza havvi una grande probabilità che i terreni, i quali furono sede delle maccalube, abbiano sentito vivamente l’azione del calore interno della terra che determinò in vasta scala la riduzione del solfato di calce in solfuro di calcio.
4° Che le maccalube furono sede sia delle eruzioni fangose che costituiscono i partimenti tra i diversi strati di minerale ed i banchi di tufo che sono generalmente al minerale sottostanti, sia delle emanazioni solfuree che diedero origine alla formazione del minerale.
La solfara Pilieri (fig. 7ª) serve a dimostrare che anche l’esame dei cristalli di solfato di stronziana può guidare a determinare la configurazione di una miniera.
E è uno strato di briscale. A questo succedono pezzi di calcare che possono figurare uno strato od un complesso di massi, come quelli che si trovarono nell’escavazione di un pozzo. Lo stesso dubbio sorge rispetto al briscale. Esaminando il briscale E, vi si trovano cristalli di solfato di stronziana i quali hanno le loro punte dirette verso l’entrata della galleria. Questo fatto serve ad arguire, che sia il briscale che il calcare sono i rappresentanti di uno strato solfifero e dello strato calcareo sottostante.
Più a valle in corrispondenza di questo briscale si aperse una piccola solfara, nella quale i cristalli di solfato di stronziana presentano la stessa direzione. Lo strato solfifero è diviso in due in questa piccola solfara e presenta tutti i caratteri che presenta lo strato C D nella grande miniera. Anche in questa solfara i cristalli di solfato di stronziana presentano le loro punte verso l’entrata della galleria. Il tetto o la parte superiore di tutti questi strati è quindi dalla parte del vallone: tra C ed E deve quindi essersi verificata una rottura; lo strato C deve essere troncato in D e la sua continuazione si trova da E discendendo. Tra E e D non si trova quindi più minerale. In questo tratto venne incominciato un pozzo bene eseguito con tutti i suoi accessori dall’ingegnere Scotti per l’estrazione del minerale e delle acque: questo pozzo non è ancora terminato. I lavori ulteriori serviranno a dimostrare se le previsioni concepite sulla struttura di questa solfara in seguito all’esame dei cristalli sono esatte.
Se queste previsioni si verificano, si può dire che il pozzo è ben collocato, poichè esso è ad una distanza dallo strato in coltivazione tale, che non può partecipare agli scoscendimenti ed ai movimenti che sono determinati dalle cadute che succedono nella lavorazione per pilastri e gallerie di uno strato potente e molto inclinato, e nello stesso tempo lo spazio da percorrere dallo strato al pozzo è così breve, che piccolissima è la spesa di trasporto e più che compensata dalla sua maggiore sicurezza, per esser al coperto dai movimenti che potrebbero determinarne la rottura. Misurando la distanza tra F e C si può sapere con una certa approssimazione sino a quale profondità debba ancora discendere lo strato D e a quale profondità si debba aprire dal pozzo una galleria di carreggiatura e di scolo delle acque.Lo strato E pare che non oltrepassi il vallone, poichè a valle dell’entrata della galleria si trovano quasi orizzontali i gessi, i quali debbono essere inferiori al minerale. Essendo il briscale in E quasi verticale, è probabile che questo strato ad una breve profondità sia anche esso troncato, come lo è probabilissimamente in D lo strato della solfara principale.
Potrei citare altri esempi,in cui l’esame dei cristalli è fecondo di osservazioni importanti non solo per la scienza ma anche per l’industria. Gli esempi di Pilieri e specialmente di Pecoraro mi paiono tuttavia sufficienti per dimostrare l’utilità e la necessità di queste osservazioni.
L’esame dei cristalli di calcare, di solfato di calce e della legge che essi seguono nella loro direzione, fu una conseguenza dello studio della genesi dello zolfo. Questo studio, il quale pare poco utile per l’industria, è stato causa di molte osservazioni che non si sarebbero fatte altrimenti e che tuttavia sono di importanza immensa per l’industria.
Durata delle solfare. — La quantità di zolfo ancora al presente racchiuso nei giacimenti della Sicilia venne nella Memoria valutata a 500 o 550 milioni di quintali metrici. Avendo poscia per la formazione della Carta geologica osservato accuratamente alcuni gruppi solfiferi che prima aveva solo attraversato, ed avendo studiato in tutti i dettagli l’andamento degli strati ed il loro limite, credo che la cifra di 500 milioni di quintali metrici sia esagerata.
La lunghezza media di questi gruppi non è superiore a tre chilometri e la loro larghezza a 450 o 500 metri. Quanto alla ricchezza del minerale ed allo spessore medio degli strati si possono ammettere le ipotesi stabilite nella Memoria. Le solfare isolate di piccola importanza sparse nella zona solfifera non furono considerate come un gruppo, a meno che esse appariscano solo come una piccola parte di un giacimento che messo in evidenza meriti effettivamente il nome di gruppo. È cosa sommamente difficile il potere determinare il limite dei gruppi solfiferi: il giacimento è sempre diviso in varie piccole solfare corrispondenti alle varie sue parti, staccate completamente le une dalle altre, ed aventi in media un’estensione minore che non è quella delle parti sterili dalle quali esse sono separate. Per definire il limite di un gruppo bisogna definire il limite di tutte queste piccole solfare.
Gli strati di minerale spariscono spesso bruscamente anche nelle parti centrali dei giacimenti, tuttochè continuino le altre rocce dell’epoca solfifera e specialmente i gessi. Questo fatto può dipendere da due cause: 1° Dalle variazioni subite dai laghi nel loro contorno e nella loro profondità, allorchè cominciarono le emanazioni solfuree; 2° Dall’ossidazione completa sia degli elementi solfurei appena furono apparsi nei laghi, sia dal minerale già deposto con formazione di solfato di calce. Ed è appunto alla grande quantità di minerale trasformato in solfato calcico durante questo periodo, che si deve attribuire (come ho procurato di dimostrare trattando dell’origine dei gessi) la formazione di una parte notevole del deposito gessoso dell’epoca solfifera.
La distruzione del minerale continuò poi in larga scala nell’epoca pliocenica e nel periodo successivo, e continua ancora al presente. Alcuni gruppi solfiferi sparirono quasi intieramente in queste epoche, altri furono notabilmente rovinati. Anche il miocene medio ed inferiore, come si può osservare dall’ispezione del terreno, subirono, come formazioni, perdite colossali, principalmente perchè costituiti per i 9/10 almeno da marne che si disgregano facilmente sotto l’azione degli elementi atmosferici, e che per la loro finezza sono facilmente trasportate dalle acque.
In poche regioni probabilmente i terreni furono rovinati in proporzioni maggiori anche dopo l’epoca pliocenica come in Sicilia, sia per la loro natura marnosa e franosa, sia perchè vennero sollevati ad un’altezza considerevole sul livello del mare, rotti e fessurati in modo da dare origine a molte valli, per le quali una parte notevole del loro materiale venne esportato all’oceano. Si può ritenere che i 9/10 del terreno pliocenico, il quale ha in varie località come nei dintorni di Piazza Armerina una potenza non inferiore a 500 o 600 metri, furono rovinati ed esportati.
Per tutte le sovraesposte considerazioni credo che il minerale solfifero non rappresenti un 1/5 della quantità di zolfo trasportata nei laghi dell’epoca miocenica.
Nel giudicare quindi della ricchezza ed estensione dei depositi di zolfo in Sicilia si deve tenere calcolo di tutte queste trasformazioni e rovine subite dal minerale dall’epoca miocenica all’epoca attuale inclusivamente, trasformazioni e rovine che, sia per la natura del minerale, sia per i grandi movimenti a cui soggiacque il suolo, sia per la natura dei terreni sui quali è basata la formazione solfifera, furono forse in media immensamente più grandi per queste che per altre miniere, specialmente se si ha riguardo all’epoca poco remota in cui esse si formarono. Per queste ragioni pare che, invece di ammettere che la metà, ed in alcuni casi i due terzi, della superficie occupata in media da ciascun gruppo solfifero racchiude inferiormente minerale di zolfo, si può con maggiore probabilità di avvicinarsi al vero stato delle cose ammettere che la parte utile occupata da ciascun gruppo è circa la metà della sua estensione. Modificando in questo senso il calcolo relativo alla quantità probabile di zolfo posseduta dalla Sicilia, senza alterare le ipotesi relative alla ricchezza media del minerale, allo spessore medio degli strati ed al numero dei gruppi solfiferi, risulterebbe che la Sicilia possiede ancora 260 milioni di quintali metrici. Data quindi un’escavazione (non una produzione) di 2,400,000 quintali all’anno, corrispondente ad un dipresso all’escavazione annua attuale, la durata di queste solfare sarebbe di un secolo od al più di un secolo ed un quarto se la produzione si conservasse costante. Questa produzione in seguito alla costruzione delle ferrovie, delle strade ordinarie ed ai miglioramenti che si introdurranno nella coltivazione delle solfare, deve tuttavia aumentare; e quindi la durata di queste miniere sarà certamente minore del tempo ora accennato. In questa cifra di 260 milioni di quintali metrici è compreso lo zolfo dei gruppi completamente mascherati.