Storia di Torino (vol 2)/Libro VI/Capo I

Libro VI - Capo I

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Libro VI Libro VI - Capo II
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Libro Sesto


Capo Primo


Vie traverse a destra di Dora Grossa.— Palazzi de’ conti di Verrua e di Vallesa, e del marchese della Morra.— Chiesa di San Francesco. — Frati minori. — Come avessero partecipazione negli affari del Comune e nello studio. — Archivio del Comune, consulto di savi, lauree nel loro convento. — Santissimo Sudario conservato in San Francesco.— Chièsa a quattro navate nel secolo xvi. — Varie ricostruzioni.— Facciata di Bernardo Vittone.— Dono del cardinal Ganganelli. — Morte improvvisa del cardinal Ghilini.— Convitto del teologo Guala.— Case del maresciallo di Bellegarde e dei marchesi di Romagnano. — Casa de’ marchesi di Crescentino, culla dell’Accademia Reale delle Scienze. — Casa de’ marchesi Pallavicino.


Incominciamo l’ultima parte di questa lunga e dura fatica, visitando le vie traverse che s’incontrano a [p. 652 modifica]destra di Dora Grossa, di piazza Castello, e della via di Po.

Le quattro prime brevissime, che mettono sui viali della Cittadella, non hanno, ch’io sappia, memoria degna d’essere conservata, avendo già parlato del deposito di S. Paolo. Lo stesso dirò della quinta, che riesce alla Misericordia.

Nella sesta, che chiamasi via di S. Dalmazzo, altro non v’ha di notabile che il palazzo de’ conti di Vallesa. Nella settima (via degli Stampatori) ricorderemo l’antico palazzo de’ conti di Verrua, ora dei conti S. Martino della Motta. Nell’ottava (via del Fieno), di fronte al fianco del palazzo dei conti di Cigliò, è quello che fu de’ marchesi S. Martino della Motta, architettura del barone Valperga.

A maggiori particolarità ci chiama la via di S. Francesco, che prima del 1720 chiamavasi via dello Studio. Abbiamo già parlato della chiesa di San Rocco, la quale prima qui s’incontra a sinistra. Abbiam accennato similmente come la casa che la fronteggia e il vicolo che varcato il portone si inoltra inver ponente fosser la sede della Università di Torino prima del 1720. In principio della seconda isola troviam la chiesa ed il convento dei Francescani.

Vuoisi che da S. Francesco medesimo, o almeno da uno de’ suoi compagni o discepoli, tragga origine la chiesa de’ Frati minori di Torino, di cui s’hanno [p. 653 modifica]memorie sicure della seconda meta del secolo xiii.1 Appo questi frati custodivansi la cassa e l’archivio del comune. Nel loro refettorio s’adunavano spesso i savi del Consiglio. Più tardi fu quello eziandio il luogo in cui s’addottoravano i legisti.2 Infine i Frati minori co’ Domenicani furono per molto tempo i soli che mantenessero in fiore le discipline teologiche, le quali poco dagli altri ordini religiosi, e meno ancora dal clero secolare si coltivavano.

Innanzi alla chiesa de’ Frati minori si radunava ai tempi di mezzo la salmeria del comune quando s’andava in oste. E nel secolo xvii s’occupò varie volte il refettorio de’ frati per deporvi le munizioni da guerra. Tanta scarsità era in Torino di sale di sufficiente capacita.

Nel 1526 i Francescani di Torino ebbero da Carlo il Buono cortese aiuto a riparare il coro, e per mercè di quello si obbligarono di recitare ogni giorno dopo il vespro una Salve secondo l’intenzione del duca, avanti all’altare della Concezione.

Durante la quaresima del 1580 la preziosa reliquia del Santo Sudario fu conservata nella chiesa di San Francesco. Quattr’anni dopo avea luogo la visita di monsignor Angelo Peruzzi, vescovo di Sartina, dalla quale impariamo che la chiesa de’ Francescani avea quattro navi. L’altar maggiore era di patronato de’ Borgesi, una delle quattro famiglie del Baldacchino. Della cappella della Concezione avea [p. 654 modifica]cura una compagnia di laici; indecente era l’altare de’ Ss. Vittore, Modesto e Crescenzio, fondato dalla famiglia della Rovere, che il prelato mandò distrursi anche perchè innanzi a quello pendevano le corde delle campane. V’erano ancora gli altari di San Giovanni Battista; di Sant’Antonio da Padova; di San Giorgio; di Sant’Antonio abate; della Circoncisione; dell’Annunziata, o dei quattro Evangelisti (di patronato dei causidici); di San Martino (dei Vignati di S. Gillio); di Santa Barbara; di San Sebastiano (degli scolari oltramontani dai quali si celebravano le feste di S. Nicolò e di S. Sebastiano); del Santo Sepolcro, di patronato dei Bechi, formato di statue di creta in gran parte mutilate; della Natività del Signore.

Oltre queste dodici cappelle eranvi ancora varii altari addossati ai pilastri della chiesa che monsignor di Sarcina mandò distrursi per essere troppo disadorni, ed erano quelli di S. Bonaventura; di Sant’Anna; di Santa Lucia; della Madonna del Parto; chiamata la Madonna di mezzanotte, e di S. Lorenzo.

Due anni dopo si restauravano gli edifizi rovinosi del convento. Si ripigliava la fabbrica del convento e della chiesa nel 1602, e continuavasi ancora nel 1608, ed argomento che in quest’epoca siensi ridotte a tre le quattro navi antiche, e sostituito l’arco tondo all’acuto.3

Nel 1673 il conte ed abate Francesco S. Martino [p. 655 modifica]d’Agliè rifabbricò di marmi l’altar maggiore, e ne acquistò per tal modo il patronato che prima apparteneva all’estinta famiglia dei Borgesi, ed ebbe eziandio sotto al coro un famigliare sepolcro.

Nel 1761 fu di nuovo restaurata la chiesa, e ingentilita di maestosa facciata corinzia, disegno di Bernardo Vittone.

In una delle restaurazioni testè accennate, nello scavarsi una sepoltura si scoprì una mezza colonna con iscrizione relativa a Giuliano apostata, che fu portata all’Università.

Addì 16 d’agosto del 1777 un furioso colpo di vento abbattè la cima del campanile di questa chiesa; le campane cadendo ruppero il vôlto della cappella di San Pietro.4

Le memorie di questo convento che sarebbero state di grande interesse per la Storia di Torino, sia per l’entratura che ebbero i Frati minori negli affari del comune, sia per quella ancor più grande che ebbero per lunghi anni nell’Università, e come lettori e come soci del collegio teologico; queste memorie andarono tutte disperse nella bufera rivoluzionaria.

Noterò solamente che nell’anno 1765 il cardinale Ganganelli domandò al papa la facoltà d’estrarre un corpo santo dalle catacombe, e di donarlo a’ suoi conventuali di Torino; e che avutala, inviò loro il corpo di Sant’Innocenzo martire, d’anni xvii, [p. 656 modifica]affidandolo ad un frate di questa famiglia che tornava da Roma a Torino. Questa reliquia, memoranda anche per la persona del donatore, fu riposta sotto l’altar maggiore.

Il 21 di marzo 1787 giunse a Torino il cardinale Tommaso Ghilini d’Alessandria, e pigliò stanza nel convento de* Francescani. La sera del 3 d’aprile andò a letto dopo d’aver avvertito il cameriere che lo svegliasse la mattina per tempo, dovendo recarsi in Alessandria a far le funzioni della settimana santa. Verso un’ora dopo la mezzanotte chiamò il cameriere; accorse, e credendosi che pigliasse inganno intorno all’ora, gli disse: Eminenza, la sbaglia. Non sbagliava. Era la morte che chiamava il porporato ad un viaggio che non ha ritorno. Diffatti, dopo molti inutili soccorsi, in presenza di tutta la religiosa comunità spirò alle due ed un quarto. Il suo corpo riposa nel sepolcro della famiglia S. Martino di S. Germano sotto al coro, ed è strano che niuno de’ suoi attinenti abbia pensato di ricordare in una lapide il nome di questo principe della Chiesa, che fu il trentanovesimo cardinale degli Stati del Re (esclusa la Sardegna e Genova).5

Uomini di molta fama vennero sepolti in questa chiesa, ma le pietre che ne facean memoria sono state coll’usata negligenza rimosse in occasione di restaurazioni; ricorderò Cristoforo Nigello, che fu quarantadue anni professore di leggi, e poi [p. 657 modifica]presidente, morto in settembre del 1482; Aleramo Beccuti, il celebre introduttor de’ Gesuiti, morto in ottobre del 1574; Giovanni Tarino, professor di leggi poi senatore, il quale sostenne nella sua giovanile età una pubblica difesa che durò otto giorni e morì nel 1666. Infine nella sagrestia si conserva il busto coll’iscrizione di Bernardino Vivaldo, professore di leggi prima a Mondovì, poi a Torino, morto nel 1570 in età di soli trentasei anni.

Dopo la soppressione rimase il padre Monti con alcuni conventuali ad ufficiar la chiesa; nel 1801 fu permesso alla congregazione degli artisti, già esistente nella casa professa de’ Gesuiti, di tenere provvisoriamente le loro religiose adunanze nel coro di questa chiesa, secondo i concerti da prendersi col rettore. Nel 1808 fu nominato rettore di San Francesco il teologo collegiato Luigi Guala, il quale considerando essere importantissima cosa che il giovane clero, compiuto il tirocinio del seminario, prima di entrare nell’esercizio del sacro suo ministero attenda per qualche tempo all’acquisto della scienza morale pratica, indispensabile per li spinosi uffici della confessione e della predicazione, cominciò ad esercitare nel suo piccolo appartamento alcuni nuovi sacerdoti in conferenze morali. Nel 1817, abbandonato dalla soldatesca il terzo piano del convento, egli lo prese a pigione e v’ordinò un convitto di giovani preti desiderosi d’instruirsi [p. 658 modifica]in queste parti così vitali della loro evangelica missione.

Il regolamento compilato dal teologo Guala fu approvato nel 1819. Nel 1822 il re Carlo Felice destinò la parte invenduta del convento di San Francesco al convitto fondato da questo degno ecclesiastico, e con patenti del 7 di gennaio del 1823 ne dichiarò I’esistenza legale. Un novello regolamento fu allora compilato, ed il re l’approvò commendando meritamente siffatta istituzione come utilissima all’avanzamento de’ giovani sacerdoti sì nella pietà, che nella scienza. — Questo convitto conta sessantadue ecclesiastici provenienti da varie diocesi.

Passiamo ora alla descrizione della chiesa.

Il primo altare a destra entrando, dedicato alla Annunziata, è patronato dei causidici. I marmi che l’adornano furono tolti all’altare della Vergine delle Grazie, che era addossato al secondo pilastro a sinistra, dove ancor se ne vede l’imagine miracolosa. Essa era anticamente in molta fama e divozione. L’8 d’aprile 1645 il giovinetto duca Carlo Emmanuele ii fece solenne entrata in Torino sotto ad un baldacchino di raso bianco, portato da quattro decurioni della città. Questo baldacchino, secondo l’antica osservanza, diventava proprietà del grande scudiere, marchese di S. Germano, che precedeva il duca colla spada sguainata. Il marchese ne fe’ dono alla Vergine delle Grazie, venerata in San Francesco.6 [p. 659 modifica]Nella cappella di cui parliamo i due quadri laterali sono di Gian Antonio Molineri da Savigliano, allievo di Luigi Caracci, e perciò detto il Caraccino, la cui nota valentia mi fa meravigliare che se ne ometta il nome anche nei più recenti e più compiuti dizionarii di belle arti.7

Nella seconda cappella l’imagine del Crocifisso fu scolpita dal Plura, e gli angeli sono opera del Clemente.

La cappella dell’Assunta è patronato della nobile famiglia Nomis o Nomio, originaria di Susa, che aveva sue case nella via detta de’ Guardinfanti, una nella parrocchia di San Gregorio, l’altra in quella di San Simone.8 Nel 1627 rinnovarono i Nomis il sepolcro gentilizio che aveano innanzi a questa cappella.9 L’altare ornavasi d’un quadro antico dipinto su tavola a tre scompartimenti, che ora si conserva ne’ chiostri, ed a cui la congregazione degli artisti che si vale a titolo precario di detta cappella, surrogò un quadro moderno.

La tavola dell’altar di San Biagio fu dipinta da Isabella Maria Dal Pozzo10 nel 1666; opera assai bella, e la sola per cui sia conosciuto il nome di lei.

La cappella della Concezione è ricca di marmi. Alcune scolture sono del Bernero. Antichissima è in questa cappella la consortia che ne piglia il nome. La cappella di Sant’Omobono appartiene all’arte dei [p. 660 modifica]sartori. La tavola sull’altare è di Francesco Meiler, tedesco.

La cupola è architettura di Bernardo Vittone. La cappella di S. Pietro appartiene all’arte de’ mastri serraglieri, la quale ne ha dato un saggio del suo valore nel cancello elegante che la chiude. Il quadro è opera giovanile del cavaliere Beaumont.

La cappella dell’Angelo custode, dì fronte a quella della Concezione, patronato dei Turinetti, è ornata d’un quadro d’Ayres. La compagnia dell’Angelo custode che ne piglia il nome, era anticamente stala eretta nella chiesa di San Michele, e nel 1626 venne aggregata all’arciconfraternita dello stesso titolo a Roma, della quale era allora protettore il cardinale Maurizio di Savoia. Ma nel 1654 era già stala trasferita a San Francesco,11 Questa cappella serve ancora all’uso dei Terziarii di S. Francesco che vi recitano ogni domenica i sette salmi penitenziali.

La cappella di Santa Lucia, ornata di marmi, appartiene ai conti Fontanella di Baldissero, d’origine milanese; come appare da due iscrizioni del principio del secolo xvii.

Graziosa e ricca è la cappella di Sant’Antonio di Padova, architettura del Vittone. Gli angioli furono scolpiti in legno dal Clemente.

La cappella di Sant’Anna è ornata d’un quadro di Federigo Zuccheri. Le due pareti laterali erano dipinte a fresco da Giovanni Andrea Casella. Gli [p. 661 modifica]stuccatori Luganesi che l’hanno testé ristorata ed ingentilita, vi posero due quadri di Borra, la Presentazione al Tempio, e lo Sposalizio di Maria.

L’ultima cappella de’ Ss. Cosimo e Damiano ha un quadro del cavaliere Peruzzini, stato già più volte restaurato. Appartiene la medesima al collegio degli speziali.

Uno studio curioso si potrebbe fare sul modo con cui generalmente si scomparle per le varie chiese la divozione del popolo. Vedrebbesi con poche eccezioni la gente minuta accorrere in maggior numero alle chiese de’ Francescani, dei Domenicani e degli altri ordini mendicanti, siccome quelli che più specialmente alle classi inferiori s’indirizzavano, onde promuovere ne’ fondamenti medesimi della società il miglioramento sociale.

Le chiese de’ Gesuiti, di San Dalmazzo, di San Filippo, di San Carlo, di Santa Teresa, di San Francesco di Paola sono più particolarmente frequentate da persone appartenenti alle classi medie e superiori; il che si vuol ripetere da mólte cause, ed in parte anche dalla topografica situazione e dalla capacità d’esse chiese.

Presso alla chiesa di San Francesco avean casa i Loth, originarii di Fiandra, i quali italianizzarono poscia il loro nome in Lodi, e salirono col tempo ad alti gradi ed a signoria feudale.12 [p. 662 modifica]

Dopo la chiesa ed il convento di San Francesco vedevansi nel secolo xvi dalla medesima parte le case ed i giardini del maresciallo di Francia Ruggero di Bellegarde, da cui furono venduto l’8 d’ottobre 1578 al duca Emmanuele Filiberto. Erano ancora in possesso del duca, e doveano essere assai onorevoli queste case nel 1608, poichè vi fu segnato il trattato di matrimonio dell’infanta donna Margarita col principe di Mantova.

Passarono quindi in podestà de’ marchesi S. Martino d’Agliè e di S. Germano; i quali confinavano al sud colla casa de’ marchesi Tizzoni di Crescentino, dov’ebbe culla la società fondata dai celebri Saluzzo, Cigna e Lagrange, che si mutò poscia in Accademia Reale delle Scienze.

Di fronte al palazzo di Bellegarde s’alzava la casa del marchese di Romagnano, dove ora il signor conte d’Arrache ha raccolto una splendida galleria di quadri antichi e moderni, dei quali sarebbe troppo lungo tessere in questo luogo il catalogo.

Nell’isola che segue, a destra, è il palazzo dei marchesi Pallavicini delle Frabose, che niente compare esteriormente, ma che dentro non manca di belle linee e di proporzioni signorili. I marchesi Pallavicino abitavano ancora al principio del secolo xvii sulla piazza di San Giovanni. Avendo poscia comprato e ricostrutte varie case in quest’isola, qui ebbero ferma stanza.13 [p. 663 modifica]

Non conto i gran ciambellani, i vicerè, i primi presidenti che qui lasciarono onorata memoria del nome Pallavicino. Rammenterò solamente che in una delle sale di questo palazzo tenne per qualche tempo le sue adunanze la Società Agraria, ora Accademia Reale d’Agricoltura, per cortesia del suo presidente il marchese Alberto Pallavicino, vicario di Torino.14


Note

  1. [p. 668 modifica]Conti dei chiavarii di Torino.
  2. [p. 668 modifica]Archivi della città.
  3. [p. 668 modifica]Archivi camerali. Registri del Controllo xlix, 51; lxv, 124; lxix, 290; lxx, xxxvii.
  4. [p. 668 modifica]Iscrizioni patrie, ms. già citato.
  5. [p. 668 modifica]Cerimoniale degli arcivescovi di Torino. Il corpo del cardinale Ghilini è rinchiuso in una cassa di noce coperta di velluto, senza iscrizione. Nella stessa cameretta sepolcrale giace S. E. la marchesa donna Maria Cristina di San Germano, nata Ferrero Fieschi dei principi di Masserano, dama d’onore morta il 17 dicembre del 1766; accanto alla medesima v’ha il marito don Giuseppe Francesco S. Martino di Agliè, marchese di S. Germano, ministro di Stato e cavaliere dell’ordine, morto in gennaio del 1764. Del cardinale Ghilini leggesi un curioso elogio stampato, del padre Della Valle.
  6. [p. 668 modifica]Le pompe torinesi descritte dall’abate Valeriano Castiglione
  7. [p. 668 modifica]Da non confondersi con Gian Domenico Molinari, allievo del Beaumont.
  8. [p. 668 modifica]Nella chiesa di San Gregorio fu sepolto il 14 aprile 1626 il presidente Cesare Nomis.
  9. [p. 668 modifica]

    NOMIANA FAMILIA SEPVLCHRVM EX VETERI FORMA

    RESTITVIT 1637.

    Così nell’iscrizione che si leggeva sopra la lapide che lo copriva.

  10. [p. 668 modifica]A Puteo, dunque Dal Pozzo, o Del Pozzo, non Pozzi come ha il Ticozzi.
  11. [p. 669 modifica]Da carie autentiche presso il piissimo signor teologo Guala.
  12. [p. 669 modifica]Libri de’ morti di San Giorgio e di Santa Maria di Piazza.
  13. [p. 669 modifica]Ebbi queste notizie dalla cortese benevolenza dell’ottimo conte Carlo Balbo Bertone di Sambuy, ministro plenipotenziario di S. M. presso la corte di Vienna, del quale non m’aspettava di dover così presto lamentare l’immaturo ed improvviso fine.
  14. [p. 669 modifica]

    ALBERTO PALLAVICINO, ECC.

    QVOD SOCIETATI ACRARIAE

    PRAESES II

    SPLEINDIDIOREM QVOAD VIVAT AEDIVM PARTEM

    COMITIALIBVS DIEBVS ASSIGNAVERIT

    GRATA SOCIETAS

    B. P.