Storia di Torino (vol 2)/Libro I/Capo II
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Capo Secondo
Giro intorno alle mura di Torino, e nel suo territorio, ne’ secoli xiv, xv e xvi.
A capo di esso, verso la città, difendevalo una torre guernita d’uno schioppo, o piccolo cannone, e di varie balestre. Il ponte era di legname parte fermo e parte mobile. La parte ferma era verso il colle. Presso la torre s’alzava e s’abbassava un ponte levatoio; passando poi sotto al vôlto d’essa torre, pervengasi alla sponda torinese.
A sinistra del ponte s’alzava una chiesuola intitolata ai Ss. Marco e Leonardo, sede d’un’antica confraternita.2 Quella chiesa era patronato dei Barrachi, potenti cittadini torinesi, che l’aveano rifabbricata nel 1335. Nel 1351 il principe d’Acaia la distrusse, perchè da quella si poteva offendere il ponte di Po, e die’ a Francesco Barraco 100 fiorini d’oro, perchè edificasse un’altra cappella di S. Leonardo dentro le mura.3 Nondimeno la chiesa del ponte fu riedificata. Assai più tardi, divenuta parrocchia, estendeva la sua giurisdizione sul borgo di Po, a destra ed a sinistra del fiume, e sa otto isole dell’interno della città. Questa chiesa ricostrutta nel 1740, secondo i disegni dell’architetto Bernardo Vittoni, perle pie sollecitudini del rettore Giovanni Tesio, fu distrutta nel 1811, perchè avrebbe impedito la via al nuovo ponte di pietra, frutto della magnificenza Napoleonica. In questa chiesa era sepolto sotto al pulpito l’avvocato Angelo Carena, morto di ventinove anni, nel 1769, volontario nell’ufficio del procurator generale di S. M., membro dell’Accademia delle scienze di Torino, chiamata allora ne’ suoi primordii Società reale. Da’ suoi discorsi storici mss. manifesta apparisce non solo la dovizia delle erudizieni, ma la grandezza della mente, la quale abbracciava le scienze storiche e le economiche nella loro più vasta significazione. Il Vernazza, che molto imparò dal Terraneo, molto dal Carena, ma l’ingegno del quale amava raccogliersi e meditare punti speciali d’erudizione e di critica, senza tentar voli più alti, pose all’amico un’iscrizione.4
Ascendevasi quindi la lunga costa, per cui si sale dal fiume al palazzo detto di Madama, ed allora chiamato castello di porta Fibellona. Quel lungo spazio era splendido di palazzi, era coperto di pascoli, di campi e di piante. La porta orientale della città era allato al castello, verso il meriggio. Ma senza entrarvi per ora, continuiamo in ispirito la nostra breve peregrinazione attorno alle mura torinesi.
Dal ponte di Po piegando a destra, e così verso il nord, incontravasi la chiesa di S. Lorenzo,5 che dipendeva dall’abate di S. Mauro, ma che nel secolo seguente fu unita al capitolo della cattedrale. Poco lontano eravi la casa del recluso; cioè una cella dove un divoto s’era fatto rinchiudere e murare per vivere e morire in volontaria prigione, facendo penitenza de’ proprii e degli altrui peccati. Una finestretta dava passaggio ai cibi che la carità pubblica gli recava. Siffatte straordinarie austerità non erano allora tanto rare, ed interveniva a consacrarle l’autorità della religione.
Seguitando la linea delle mura della città verso il nord, trovavasi la porta del vescovo a capo dei vicolo che mette dalla piazza di S. Giovanni al bastion Verde; i suoi giardini occupavano il tratto compreso tra questa porta e la porta Fibellona; e rispondeano al sito, in cui dentro le mura erano collocate le sue case.
Procedendo sempre in ver ponente, scorgeasi la porta di romana struttura, chiamata Palatina o Doranea, flancheggiata da due torri.
Poco più oltre vedevasi la porta di S. Michele, allo sbocco della via d’Italia; la qual porta si chiamò, come abbiam veduto ufficialmente, porta Vittoria, e popolarmente porta Palazzo, quando fu chiusa, nel 1699, l’antica porta Palazzo. E ben degna era di chiamarsi porta Vittoria, perchè in prospetto di quella fu la celebre battaglia del 1706, nella quale Savoia ruppe il campo francese, uccise il maresciallo di Marsin, ferì il duca d’Orleans; e per quella porta entrarono, dopo sì segnalato trionfo, Vittorio Amedeo ii ed il principe Eugenio.
Nello spazio che abbiam percorso, compreso fra la città e la Dora, non appariva cosa degna d’osservazione; ma sulla opposta sponda di Dora ergevasi la chiesa di S. Secondo, membro della badia di Rivalta, e sulla medesima riva, presso al ponte di pietra, vedevansi la chiesa e lo spedale di Sta Maddalena e di S. Lazzaro, fondato nel 1195 da Berta, vedova d’Oberto Arpini, e da’ suoi figli, e dato ai monaci di Rivalta.
Nel 1226 Pietro de’ Masii, prevosto di Chieri, avendo lasciato nel suo ultimo testamento che la sua vigna di Chierici libri ed i panni si dessero come risolverebbe Giacomo, vescovo di Torino, e vicario dell’Impero, ed il prevosto di S. Benedetto, il vescovo volle se ne facesse dono al detto spedale.6 Questo spedale, ruinato poi dalle guerre, fu unito nel 1548 allo spedale di S. Giovanni.
Nel 1584, monsignor Peruzzi, vescovo di Sarcina e visitatore apostolico, trovò a S. Lazzaro tre uomini e tre donne lebbrose, nove donne tocche da morbo incurabile, e quattro altri letti per uomini presi da uguale infermità.7
Dietro la chiesa di Sant’Andrea, e probabilmente allo sbocco della strada delle Orfane, s’apriva la porta Pusterla. Due sobborghi stendeansi da questa parte sulla sponda destra della Dora. Quello diporta Doranea, ora borgo del Pallone, e quello di porta Pusterla, nel sito ov’ora sono le case dello spedale Cottolengo, e più in là, fin verso il fiume, dove allora vedeasi lo spedale di S. Biagio de’ Crociferi.
Verso l’angolo di Sant’Andrea, o della Consolata, trovavasi la chiesa di S. Giorgio in Valdocco, ceduta nel 1271 insieme con quella di S. Dalmazzo ai frati di Sant’Antonio dal vescovo Gualfredo.
Volgendo ora a mezzodì, e seguitando il corso delle mura a ponente, incontravasi a diritta della strada di Rivoli il borgo di S. Donato e di Colleasca, che protendevasi verso il Martinetto, ed era formato d’una sola strada che chiudevasi con una porta. Eranvi in quel borgo la chiesa di S. Donato, la chiesa e lo spedale di S. Cristoforo dell’ordine degli Umiliati, la chiesa di S. Bernardo di Mentone, soggetta al preposto di Montegiove (Gran S. Bernardo). In quel borgo si tennero alcun tempo le donne mondane.
Nel 1589 il comune supplicava il papa si degnasse d’applicare le rendite della prepositura degli Umiliati al ponte di Po, essendochè la chiesa non si ufficiava, nè v’erano nelle case frati o monache; anzi vi si commetteano molte disonestà.8 Dopo la metà del secolo seguente vi si trasferirono gli Agostiniani, i quali nel 1457 ebbero dalla città aiuto a costruirvi lor celle. E il Pingone ricorda due altre chiese che vedeansi in sul principio del secolo xvi, e forse prima in quel borgo, S. Rolandino, e Santo Sepolcro de’ Crociferi.
Distrutto quel borgo dai Francesi, gli Agostiniani vennero trasferiti in città, nella chiesa di S. Benedetto, e poi in quella di S. Giacomo.
Incontravasi poi la porta Segusina difesa da due torri, con un corpo di fabbrica intermedio, onde portava nome di Castello. Anzi prima del 1200 era fortezza di qualche importanza, e la sola che si vedesse in questa città. Camminando sempre al mezzodì s’incontrava all’angolo sud-ovest della città, dove ora sorge la cittadella, il magnifico monastero di S. Solutore maggiore de’ monaci Benedettini.9 Piegando quindi all’est, e seguendo il corso delle mura meridionali, dovea vedersi qualche vestigio dell’antico anfiteatro romano, non so se tra la porta Nuova, o di S. Martiniano, e la porta Marmorea, ovvero a sinistra di quest’ultima, e così nel sito dove ora s’apre la bellissima piazza di S. Carlo. A qualche distanza dalla città, un po’ a manca della porta Marmorea, sorgea la chiesa di S. Salvatore di campagna, di cui si ha memoria da’ primi anni del secolo xiii.10 Sulle rive del Po eravi qualche casa che avea preso probabilmente fin dai tempi romani il nome di Valentino; seppure non derivava quel nome da una cappella dedicata a S. Valentino.
Verso l’angolo sud-ovest della città, accanto allo stagno delle rane, sorgea la casa e lo spedale dei santi Severo e Margarita, già magion de’ Tempieri, ed a breve distanza dall’angolo della porta Fibellona, incontravasi S. Solutore minore, un tempo chiesa rurale dell’ordine di Vallombrosa, poi divenuta di patronato del feudo di Pollenzo, e così dipendente dalla nobilissima schiatta de’ Romagnani.
Nel 1446, essendo mezzo in rovina, la città di Torino supplicava Felice v, perchè l’assegnasse agli eremitani di S. Agostino, versoi quali aveano i Torinesi allora particolar divozione, pe’ gran frutti che faceva tra loro fra Giovanni Marchisio predicatore di detto ordine.11 Ma la cosa non ebbe effetto. Agli Agostiniani fu dismessa invece, come abbiam veduto, la chiesa di S. Cristoforo nel borgo di S. Donato, prima ufficiata dagli Umiliati: e la chiesa di S. Solutore minore fu ceduta nel 1461, dal vescovo Ludovico di Romagnano, ai frati minori della stretta osservanza (Zoccolanti), e ciò ad istanza del duca Ludovico, del clero e del popolo torinese.12 Ma non vi entrarono, o non vi poterono rimanere,13 perchè quattr’anni dopo si murò loro un convento presso al sito ove sono i molini della città; la chiesa fu dedicata alla Madonna degli Angeli, ed ivi già erano nel 1469. Distrutta poi la medesima dai Francesi nel 1536, furono trasferiti in città nella chiesa di S. Tommaso, di cui pigliarono possesso nel 1542.
Nel 1450, in seguito ad un voto fatto in occasione della pestilenza, la città fece costrurre presso la porta Marmorea, al di qua del sito dove ora sorge l’arsenale, una chiesetta in onore di S. Sebastiano che venne poscia ufficiata dai Carmelitani;14 i quali, rovinato dai Francesi il loro convento, si trasferirono nel 1545 a Sta Maria di piazza, e nel 1729 alla chiesa del Carmine, fabbricata nell’ingrandimento della città a ponente.
La giurisdizione della campagna torinese era divisa tra il capitolo, che avea la cura spirituale delle parti settentrionali, ed il parroco di S. Eusebio che governava la parte meridionale. Oltre queste sei porte della città, un’altra ne trovo ricordata nel 1388, quella cioè del sig. Gillio della Rovere. Ma in quo’ tempi, in cui era gran ventura se passava un anno intero senza guerra, o sospetto di guerra, poichè ogni uomo che potesse pagar quattro soldati arrogavasi l’autorità di farla, le porte non erano tutte aperte. Nel 1379 ve n’erano aperte due sole, la Susina e la Fibellona. Nel 1389 eran chiuse la Doranea, o Palatina, la Pusterla, e la porta di S. Martiniano, o porta Nuova. Ed il principe d’Acaia ordinava si chiudesse la porta di S. Michele perchè non era fortificata.15
Che se ci dilungheremo alquanto da Torino, troveremo presso la strada di Rivoli la torre, la chiesa, e lo spedale di Sta Maria di Pozzo di Strada, de’ monaci di Vallombrosa. Sul monte eccelso, dove ora sorge la basilica di Superga, vedremo carbonaie fumanti, e in mezzo ai boschi una cappelletta già dedicata alla Vergine Santa,16 la qual cappella nel 1461 fu dalla città convertita in chiesa uffìziata poi sempre da un cappellano, da lei deputato. Nella selva di Mischie, verso S. Mauro, s’alzava una torre, ove dimorava, in tempi sospetti, una guardia. Un’altra guardia vedremo al ponte di Stura sul campanile di Sta Maria, un’altra sulla torre di Lucento de’ Beccuti, una sulla torre di Pozzo di Strada, una sulla sponda di Dora alla ficca Pellegrina, in una guardiola di legno eretta sopra un albero (bicocha),17 un’altra ne’ prati di Vanchilia. Quest’era il lato dal quale il nemico poteva più facilmente assalirci; poichè al di la della Stura cominciava Io Stato del marchese di Monferrato. Al passo di Stura aveano i monaci di Vallombrosa uno spedale pe’ poveri, manteneano un ponte sul fiume ed una barca per comodo de’ viaggiatori; i navaroli non pigliavan mercede, salvochè fosse loro data a titolo di carità. Questa era la casa di Sta Maria del ponte di Stura, dipendenza del vicino monastero di S. Giacomo di Stura, insigne badia degli stessi monaci Vallombrosani.18
Della Madonna di Campagna si ha notizia fin dal principio del secolo xiv. Dicesi che i Cappuccini vi si stabilissero fin dal 1538. Io trovo che nel 1557 questi buoni religiosi, tanto utili a sparger tra il popolo i semi delle dottrine evangeliche, ottennero dal consiglio civico la facoltà d’uffiziarla.
Tre anni dopo la città li sovveniva d’elemosine. Nel 1567 dava ai medesimi aiuto per la fabbrica del loro convento, che è il primo della provincia.
In questa chiesa è sepolto il maresciallo di Francia Ferdinando di Marsin, il quale, ferito mortalmente alla battaglia di Torino del 1706, e trasportato in una casa vicina, morì all’indomani, non meno di sua ferita che del fumo d’un magazzino attiguo consumato dalle fiamme. Vittorio Amedeo ii lo onorò di splendidi funerali, e gli fe’ porre questa iscrizione che ritragge ancor molto del non lontano seicento:
D. O. M.
D. FERDINANDO DE MARSIN COMITI
FRANCIAE MARESCALLO
SVPREMI GALLIAE ORDIMS EQVITI TORQVATO
VALENTINARVM GVBERNATORl
QVO IN LOCO
DIE VII SEPTEMBRIS MDCCVI
INTER SVORVM CLADEM ET FVGAM
EXERCITVM ET VITAM AMISIT
AETERNVM IN HOC TEMPLO MONVMENTVM
Se mai vi fu monumento degno di rispetto, quest’era sicuramente, testimonio d’una delle maggiori
nostre glorie. Pure non so qual mano barbara e stolta disfece il sepolcro, trasferì le ossa nella cappella di Sant’Antonio, coprendole con angusta pietra che dice:
DE MARCHIN
1806.
falsando in tal guisa la data, l’ortografia del nome
e il criterio di chi legge, in modo da far credere
che si tratti d’un qualche giacobino, contemporaneo
di Marat e di Robespierre, o al più di
qualche emigrato. Sulle pareti laterali della cappella
è stata poi più modernamente ripetuta l’antica iscrizione
che abbiam riferita, conservando l’errore di data, e la falsa ortografia di Marchin in luogo di Marsin.
Merita gran compassione il tenue intelletto di coloro che si pensano disfar la storia disfacendo i monumenti o alterandoli. E merita gran biasimo la facilità con cui da gente improvvida o ignorante o codarda si manomettono o si mutan di luogo.
Il triplice viale, che guida alla chiesa, fu piantato dai Cappuccini nel 1689.
Verso al 1522 sorgeva presso alle fontane di Sta Barbara, il Lazzaretto degli appestati attiguo alla chiesetta di S. Rocco.
Ma oltre ai borghi di porta Doranea, di porta Pusterla e di S. Donato e Colleasca, de’ quali si ha memoria nel secolo xiv, s’erano, moltiplicando le abitazioni, formati altri due borghi, uno di poche case a mezzodì, tra la città e S. Salvano, l’altro insigne a levante, con portici, protendeasi dalla porta del Castello, ossia dal palazzo di Madama fino al fiume Po. Questi borghi, che faceano come una seconda città, vennero dai Francesi quasi interamente distrutti nel 1536, onde rendere Torino più forte.
Note
- ↑ [p. 36 modifica]Chiamata poi de’ Ss. Bino ed Evasio, rifatta dal conte Gregorio Johnnino Bruco, nel 1759.
- ↑ [p. 36 modifica]Confraria pontis Padi.
- ↑ [p. 36 modifica]Lib. consul., 1352.
- ↑ [p. 36 modifica]
ANGELO PAVLO FRANCISCO CARENA
IGNATII MEDICI F.
DOMO CARAMANIOLA
IVRISCONS. TAVRIN.
IBID. R. SOCIETATIS CONLEGAE
REl LITTERARIE IMMATURE ADEMTO
JOSEPH VERNAZZA ALBEN. POMPEJ.
AMICVS INFELICISSIM. POSVIT
VIXIT ANN. XXIX., M. VII, DIES X
DECESS. XVII KAL. NOVEMB. MDCCLXIX.Dalla raccolta d’iscrizioni patrie, nell’Archivio di corte.
- ↑ [p. 36 modifica]In ingressu Vanquiliae.
- ↑ [p. 36 modifica]Badia di Rivalta, Archivi di corte. 7) Altre volte ho creduto che S.ta Maria Maddalena e S. Lazzaro fossero due diversi spedali; ma leggo in un documento del 30 d’agosto 1238: Hospitali B. Mariae Magdalene sive S. Lazari pontis petre; e trovando di poi parlarsi sempre dello spedale di S.ta Maria Maddalena, o di quello di S. Lazzaro, solamente, non mai dell’uno e dell’altro, argomento che fosse una sola e medesima cosa. (8) Liber consil. (9) Il più antico documento da me veduto, in cui si trovi chiamato col
- ↑ [p. 36 modifica]Altre volte ho creduto che S.ta Maria Maddalena e S. Lazzaro fossero due diversi spedali; ma leggo in un documento del 30 d’agosto 1238: Hospitali B. Mariae Magdalene sive S. Lazari pontis petre; e trovando di poi parlarsi sempre dello spedale di S.ta Maria Maddalena, o di quello di S. Lazzaro, solamente, non mai dell’uno e dell’altro, argomento che fosse una sola e medesima cosa.
- ↑ [p. 36 modifica]Liber consil.
- ↑ [p. 36 modifica]Il più antico documento da me veduto, in cui si trovi chiamato col [p. 37 modifica]nome di S. Solutore Maggiore, è del 1277; onde argomento che verso quei tempi fosse stato edificato l’altro S. Solutore, distinto col nome di Minore.
- ↑ [p. 37 modifica]Pietro Tirurgol, rettore di S.Simone, da alla chiesa di Sant’Agnese beni situati ad crucem S. Salvatoris de campagna (1211, viii kal. martii). Lo stesso sacerdote acquistava, due anni dopo, una pezza di terra in territorio Taurinensi, retro ecclesiam S. Salvatoris de campagna (1213, vi kal. septembris). La chiesa di S. Salvatore era nel secolo xvi priorato dei Benediltini.
- ↑ [p. 37 modifica]Liber consti., Archivi di città.
- ↑ [p. 37 modifica]Archivio arcivescovile.
- ↑ [p. 37 modifica]Il titolo di questa chiesa prima abbandonata, poi distrutta, fu trasferito ad una cappella del duomo.
- ↑ [p. 37 modifica]Apud et extra portam Marmoream. Liber consil., 1529.
- ↑ [p. 37 modifica]Liber consil., Archivio della città.
- ↑ [p. 37 modifica]Saropergia comugnia Taurinensis. Liber consil., annorum 1389, 1461. Nel 1518 era cappellano di Superga fra Antonio Ranotto, dell’ordine di Sant’Antonio. Prima di quei tempi parecchi canonici della cattedrale aveano posseduto quel benefizio, facendone, ben inteso, adempir li pesi da un cappellano. Nel 1520 la chiesa di Superga fu ceduta agli Agostiniani. — Dai libri degli ordinati.
- ↑ [p. 37 modifica]Un po’ al di qua di Lucento.
- ↑ [p. 37 modifica]Nel 1393. Liber consil. Le fini di Torino erano verso il meriggio: Ultra Sangonum ad ripas subtus castrum de Grassis, usque ad vallem de Silis, et a dicta valle usque ad ecclesiam S. Marie, usque ad Droxium, et a Drosio versus Stuponicum. — La croce de Colleriis era il termine divisorio con Rivoli. Questi confini non hanno variato.