Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo IV
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[Anno 1848]
Il trono di luglio 1830 che aveva assicurato alla Francia, mediante l’abilità di chi occupavalo, una pace ed una prosperità grandissima per diciotto anni consecutivi, incominciò a vacillare fino dal giorno che, per un funesto accidente, venne rapito ai viventi quel duca d’Orleans che pareva destinato dalla Provvidenza ad occuparlo gloriosamente un giorno.
Luigi Filippo invecchiava; la sua energia veniva meno, e la prospettiva delle tempeste che alla sua morte si sarebbero suscitate, non che la crisi di una reggenza pericolosa, avean rianimato le speranze degli uni, rattiepidito quelle degli altri, aperto l’adito alle passioni animatrici di futuri rivolgimenti.
Se la opposizione avea perduto nelle elezioni del 1846 parecchi de’ suoi più illustri campioni, altri dei più rinomati erano rimasti impavidi sul campo di battaglia.
Pur tuttavia le Camere in complesso rappresentavano degnamente le forze intellettuali della Francia, e la giurisprudenza, l’armata, la proprietà, l’industria, la politica, la scienza e le grandi celebrità sociali avevano pagato il loro tributo inviandosi ciascuna i suoi più degni rappresentanti.
Non mancavano con tutto ciò elementi moltiplici di discordia in Francia, e massime fra i capi del socialismo, molti dei quali vedemmo salire al potere nell’anno 1848 a rivoluzione compiuta. Un saggio delle loro macchinazioni potrà aversi leggendo l’opera dello Chenu intitolata Les conspirateurs et les sociétés secrètes — Paris 1850 — 1 vol. in-12. Basterà a noi di riportarne un brano, il quale potrà dare una idea delle dottrine sovvertitrici che in Francia avevan messo radice. Eccolo:
«Il socialismo apparve sotto ben tristi auspici: si presentò da principio come un ramo del comunismo: in oggi minaccia d’invadere la società tutta intiera, e non dissimula più le sue speranze. Io lo dico altamente, guai alla Francia, guai alla civiltà dell’Europa, se giammai questo partito trionfa per la debolezza o piuttosto per la imperizia dei nostri governanti. Allora non più arti, non più industria; vedrebbero rinnovarsi più sanguinose le proscrizioni del 1793. Comitati di salute pubblica, divisione dei beni, ghigliottina in permanenza, il regno del terrore, e le passeggiate notturne per ispaventare la borghesia. Tutto ciò si vedrebbe.
» E non credasi già ch’io renda fosco il quadro. È un riassunto fedele di ciò che si è detto per diciotto anni nelle società segrete; e se febbraio non ha portato tutti questi disordini, si devè agli uomini moderati del partito repubblicano che presero la direzione della cosa pubblica, ed han saputo contenere coloro che un giorno avevan cospirato con essi.1»
Quanto alla Camera dei deputati possiamo stabilire dietro l’opinione di un uomo il più competente in queste materie, lo stesso presidente della Camera dei deputati dell’anno 1848, M. Sauzet, uomo per virtù e per ingegno rispettabilissimo, che la sessione del 1846 preparò molto è fece poco:2 che quella del 1847 si occupò principalmente nello alleggerire i mali terribili della carestia che pesò sulla Francia; ed un sì nobile scopo non farà dire al certo che perdesse il suo tempo. I dibattimenti sui matrimoni spagnuoli ne attrassero pure una parte.
Pur nonostante veniva accusata di nulla aver fatto, e gli attacchi più violenti furon contro di essa diretti. Eravi fra i capi di accusa quello di non essersi voluta separare da un gabinetto potente per la eminenza dei personaggi che vi figuravano, e per le rimembranze dei loro servigi. Forse peccò di soverchia prudenza, poiché mentre deplorava gli abusi, amava meglio correggere che distruggere, in un paese sopratutto sconvolto già da tante rivoluzioni, per assicurare la stabilità del potere.
Si volle isolarla dal paese e rendere il paese disgustato dell’assemblea. Se le ricusò il diritto di parlare in nome della Francia, si chiamaron menzogne le elezioni, falsati i voti, e s’incominciò a parlare di riforma elettorale. S’invocò una estensione al diritto degli elettori, e per mostrare che tale fosse il voto della Francia, si ricorse e si organò l’agitazione dei banchetti, dei quali daremo più sotto un cenno.
L’opposizione non voleva già una rivoluzione, sibbene una vittoria parlamentaria soltanto, conquistata a forza di dimostrazioni legali, di quella che chiamavasi l’opinione pubblica. Fu dunque piuttosto a titolo di riparazione morale, e come un progresso politico e razionale, che la riforma elettorale veniva invocata.
Si cercò intanto di screditare tutti i poteri pubblici. Da tutte le parti piovevano accuse, rivelazioni, scoperte, lagnanze e torti da riparare. La calunnia ancora alzando baldanzosa la fronte si aggiunse a qualche trista scoperta.
Lo spirito di agiotaggio venne imputato ai grandi personaggi ch’erano al potere, e le parole di corruzione e di prevaricazione venivan lanciate contro gli uomini più importanti in quel tempo. Non basta. Il potere, il potere stessa farsi voleva solidalmente responsabile di tutto ciò che d’irregolare accadeva o dicevasi che accadesse in Francia.
La pubblica stampa parea quasi tutta collegata a fine di spargere la disistima e il disprezzo su tutte le autorità avvelenando e demoralizzando così tutto il paese. E poteva dopo di ciò andare immune la società da una catastrofe? La Francia è il cuore dell’Europa, e le sue pulsazioni in allora vibravan più forti e più frequenti dell’usato. Enumereremo più sotto le altre cause concomitanti che allo sviluppo di questa catastrofe contribuirono.
Non restava altra speranza di salvezza che l’armata, sulla cui inalterata disciplina e sulla cui fedeltà alla causa dell’ordine pubblico poteva contarsi.
Ma poteva farsi d’altra parte assegnamento sulla efficacia della sua azione riparatrice, in presenza di una guardia cittadina, molti elementi della quale essendo decisamente ostili al governo ed alF ordine delle cose allora esistente, avrebber provocato un conflitto sanguinoso, ed esposto la Francia alle lacrimevoli conseguenze della guerra civile?
Non vogliamo già che per noi si tolga alla civica di Francia il vanto di aver fatto mastra di coraggio, patriottismo, abnegazione e valore, come bene lo palesò nelle famose giornate dì giugno, di cui avremo a parlare. Allora però combattè pro aris et focis contro la minacciante irruzione del socialismo, là dove in febbraio avrebbe dovuto pugnare per sostenere il trono: ma questo trono era talmente tarlato, corroso e bersagliato dalla diuturnità degli attacchi, che ciò’ non poteva assolutamente aspettarsi da lei. La guardia nazionale, tenendosela col popolo, non avrebbe al certo permesso alle soldatesche assoldate di far fuoco su di esso. La forza quindi della truppa di linea sarebbe stata nulla, ed il governo non avrebbe potuto disporne se non a prezzo di accendere la mai sempre detestabile guerra civile, peggiore di tutti i flagelli che il cielo possa riversare sulla misera umanità.3
La maggior parte degli uomini più illustri era, è vero, per l’ordine, ma a che pro se non era unita per sostenerlo ? La Francia era destinata a dimostrarci col fatto quanto sia vero quel detto che ove non è unione non è forza; ed una minoranza ardita ma compatta dovea mostrare al mondo per volere della Provvidenza distributrice delle umane sorti, che in genere se la minoranza non trova unita la immensa maggiorità ed organata sul piede di resistenze, ella prevale sempre (sia pure per sorpresa e per breve tempo), e le riesce di afferrare il potere.
Ma indipendentemente da tutte le cause sovraccennate, una ve ne ha, la maggiore forse di tutte, e quella che dette l’impulso per rovesciare il trono di Luigi Filippo; questa causa fu f odio implacabile che tutte le fazioni giurarongli quando, ripudiando l’origine di re delle barricate, e l’epiteto di re cittadino, volle sedere onorato e gradito nel banchetto delle sovranità europee, soffocando e postergando così le idee della rivoluzione vincitrice e distruggitrice di un trono, a quelle di ricostruzione e stabilità del trono sostituitogli nel 1830.
Da quel momento pertanto s’incominciò a minare il trono di Luigi Filippo: da quel momento fu decretata nei conciliaboli segreti la sua caduta; e i molti tentativi fatti successivamente per ispegnerlo lo provarono ad evidenza. Lo scoppio della mina accadde il 24 febbraio 1848, ma la polvere si stava fabbricando fin dall’anno 1831.
Le simpatie per l’Italia che nella tribuna francese ispirarono l’eloquenza di tanti illustri oratori, come i Foy, i Lamarque, i Mauguin, i Benjamin Constant, i Sebastiani, i Lafayette, i Lafìtte, i Bignon, lasciaron mai sempre nelle menti di una gran parte della nazione francese delle traccie profonde, come del pari la inutilità dei loro eloquenti discorsi aveva generato lo sviluppo di rancori incancellabili.
Scaltra però la rivoluzione italiana, volea cogliere in fallo una seconda volta la politica di Luigi Filippo sulle cose d’Italia. Spiava essa pertanto tutte le occasioni per ispingere il governo a spiegarsi sul movimento italiano e sopra Pio IX, che bugiardamente rappresentavasi siccome il capo del medesimo. Ma non si avevano che ambigue risposte e ministeriali reticenze, le quali venivan severamente biasimate ed appuntate dalla opposizione francese onde mantenersi in istato di popolarità.
Disgraziatamente per Luigi Filippo, pretermise egli di parlare delle cose d’Italia nel discorso di apertura delle assemblee legislative, tenuto il 28 dicembre 1847 per la sessione dell’anno 1848.
Bastò questo perchè la opposizione capitanata dal conte d’Alton-Shée e dagli scrittori e filosofi Cousin, Vittorio Ugo, conte di Montalembert e da altri,4 portasse la sua attenzione su questo punto del discorso reale, e ne formasse soggetto di discussione. Anzi derogando alle regole parlamentari, inscrisse nel discorso di risposta a quello della corona una menzione speciale in senso di simpatia per le cose d’Italia, in guisa tale da equivalere ad un man rovescio che davasi al potere.
Intanto i banchetti riformisti che fin dal 1° agosto 1847 si erano incominciati a dare in tutte le città della Francia nei quali pronunziavansi i più virulenti discorsi, attirarono l’attenzione universale fino dal loro incominciamento, e divennero gradatamente causa di sinistre apprensioni pel governo. Già se ne faceva menzione nel discorso della corona, e nella risposta delle Camere. Già alcune misure di sorveglianza e di repressione adottavansi affinchè non trasmodassero in pericolose provocazioni. Aggiungasi che si veniva pubblicando in quel tempo la storia dei Girondini di Lamartine. Ogni pubblicazione di questa celebre opera, cagionava un avvilimento maggiore nel già avvilito re cittadino.
Intanto l’impulso era dato; i discorsi pronunziati nei banchetti e le narrazioni degli effetti prodotti erano d’incitamento a metterne su degli altri, che moltiplicandosi incessantemente, accrescevano lo scandalo ed il timore. Si venne finalmente al banchetto mostro che doveva darsi in Parigi il 22 febbraio. Il governo ne fu informato, e prese tutte le disposizioni per impedirlo, e senza ripeterne le particolarità, fu quello che determinò la rivoluzione del 24 febbraio.
L’agitazione riformista però da vari mesi travagliava la Francia, ed i banchetti non eran che il mezzo per diffonderla e mantenerla in vigore.
Nel discorso del re all’apertura del Parlamento già facevasene una menzione indiretta, dicendovisi quanto appresso. «In mezzo all’agitazione fomentata da passioni nemiche o cieche, una convinzione mi anima e mi sostiene, cioè che noi possediamo nella monarchia costituzionale, e nella unione dei grandi poteri dello stato, i mezzi sicuri per superare tutti questi ostacoli, e soddisfere a tutti gl’interessi morali e materiali della nostra cara patria.5
Ed a questo paragrafo del discorso rispondevan le Camere coll’indirizzo riportato nel Monitore del 15 febbraio, come segue:6
«Le agitazioni eccitate da passioni nemiche, o da ciechi affascinamenti cadranno davanti la ragione pubblica rischiarata dalle nostre libere discussioni, colla manifestazione di tutte le opinioni legittime.»
Ed in quanto al paragrafo del discorso della corona sulla politica esterna, ove non fecevasi menzione alcuna di Roma, si rispose nel modo seguente:
«I rapporti del vostro governo colle potenze straniere vi danno fiducia che la pace del mondo è assicurata. Come voi, sire, noi speriamo che i progressi dell’incivilimento e della libertà si compiranno per tutto senza alterare nè l’ordine interno, nè la indipendenza, nè le buone relazione degli stati. Le nostre simpatie e i nostri voti seguono i sovrani ed i popoli cristiani, che marciano di concerto in quella nuova strada con una previdente saggezza di cui l’augusto capo del cristianesimo ha dato loro il toccante e magnanimo esempio.7»
Abbiamo riportato questa risposta per dare a conoscere che la Camera stessa trovavasi se non in istato di conflitto, per lo meno di non perfetto accordo col potere, e che coll’avere inserito il paragrafo summenzionato volle dargli una lezione, quasi che ad arte avesse pretermesso di parlare nel discorso di Pio IX e delle sue riforme. La Camera così facendo, riteneva per certo di gratificare al gusto della nazione, e di far mostra d’indipendenza.
Ma la causa vera e latente della tremenda rivoluzione che il 24 di febbraio del 1848 venne a compiere trae la sua origine da epoche più lontane, ancora e da varie sorgenti, che quali ruscelli riunitisi in un tronco principale, Correvano sullo stesso pendio: e questo pendío era la distruzione della monarchia, e la proclamazione della repubblica.
Premettiamo innanzi tutto che la rivoluzione del 1830, quantunque eccitata in apparenza dalle ordinanze di Carlo X del mese di luglio, era già preparata da lunga mano, ed aveva le tinte repubblicane, e quasi tutti repubblicani furori quelli che con le armi la iniziarono e coraggiosamente la sostennero fino al suo compimento.8 Fra gli elementi ostili non furono estranei i rancori dei napoleonisti. Ci menerebbe tropp’oltre lo addurne le prove e i documenti per constatare che la rivoluzione del 1830 accadde perchè presto o tardi doveva accadere; e perchè per confessione degli stessi rivoluzionari, fin dalla restaurazione si cominciò dal partito vinto a cospirare per divenire un giorno vincitore, e quindi non fu senza fondamento che si qualificò come commedia di 15 anni, tutto ciò ch’erasi fatto dal 1815 al 1830.
Essa rivoluzione però, riuscita a buon fine per ciò che riguardava Carlo X, il quale voleva rovesciarsi e si rovesciò, abortì nel suo scopo finale di voler la repubblica , perchè il dì 8 di agosto, l’eroe (come il chiamavano) della quasi legittimità cingevasi la fronte della corona reale. Re cittadino è vero, surto dalle barricate con istituzioni monarchiche circondate da idee repubblicane, ma re che dovendo regnare e volendo governare, fu a poco a poco costretto di coprire di un velo le non incontaminate origini, i non incruenti trionfi, i sospetti di ambiziosa sete di regno, e ripudiare gradatamente tutto ciò che potesse sentir di repubblica.
Ma questo che alcuni chiamarono un volta faccia, e che noi chiameremo una evoluzione strategico-politica; quest’abiura forzata delle idee apparentemente cittadinesche, non poteva non ingenerare gravi e potenti nimicizie, che prima in pensiero formavansi, per poi in atto risolversi.
Le simpatie per la Polonia, incoraggiata prima (fosse pur anco non dal re ma da chi ne spendeva il nome) e abbandonata poi, e quelle per gl’italiani, eccitati dalle promesse francesi e poscia lasciati in abbandono, non potevano non creare e mantenere nemici numerosissimi alla orleanese dinastia. La freddezza e quindi la inimicizia del gabinetto inglese diretto da lord Palmerston pei matrimoni spagnoli; la stampa inglese che da vario tempo vomitava fuoco e fiamme; il giornalismo francese stesso, quasi tutto ostile al governo, di che fan fede i giornali in quel tempo più in credito, che erano:
1° Il Constitutionnel, |
3° La Presse, |
una opposizione attiva e formidabile nelle Camere; le accuse perfin di Voltairianismo che venivano autorizzate dalla scelta del suo primo ministro Guizot ch’era protestante, e dallo avere accolta in famiglia la moglie di suo figlio la duchessa d’Orleans, protestante ancor essa; il rilasciamento non dubbio nella morale pubblica; l’intronizzamento del Dio oro e degl’interessi materiali a discapito del sentimento morale; la irruzione delle dottrine socialistiche (prese in parte dalla repubblica di Platone) che o per gli scritti, o pei discorsi dei Proudhon, dei Fourier, dei Considerant, dei Cabet, dei Flocon, dei Barbes, dei Blanqui, e dei Luigi Blanc portaron la corruzione nelle classi infime e numerosissime della popolazione francese; non che l’azione incessante e degli ultro-napoleonisti, e delle società segrete, che da tutti questi vari elementi sapean trarre partito; eran queste le varie molle, e molle potentissime che messe in azione, prepararono il crollo del regno di Luigi Filippo.
Il Sauzet, presidente in allora della camera dei deputati , ci racconta in modo lucidissimo una gran parte delle cause cui poteva attribuirsi la rivoluzione del 1848, ed esce in questa sentenza:
«Ah! senza dubbio, il secolo 18° col suo funesto e incessante lavoro di demolizione morale, religiosa e politica ha distrutto le credenze, spezzato i freni, rovesciato il contrapeso delle speranze future, scoraggiato le miserie, avvelenato le invidie e fatto del ben essere sensuale, l’ultima parola di tutte le filosofie 9.»
Prende quindi a difendere il governo di Luigi Filippo e tutte le opere di riparazione e ricostruzione sociale da lui promosse, fra le quali, quello di avere protetto la religione cattolica, di avere fatto innalzare templi al suo culto, rispettato il clero e gli ordini monastici, e incoraggiato le pompe e cerimonie religiose nella Francia.
Tutto ciò è vero e non possiam contendere questi beni promossi dalla mente perspicace di Luigi Filippo; ma che si favorisse da un lato la religione cattolica, e non s’impedisse dall’altro il guasto della filosofia la quale aveva fatto, e veniva facendo tuttora stragi immense, distruggendo qualunque idea religiosa in Francia, è una mancanza imperdonabile ed indelebile dalla quale non va esente il suo governo, e neppure quelli di Luigi XVIII e di Carlo X; imperocchè troviamo in un’opera pubblicata in Francia, ed intitolata la défense de l’ordre social, che sotto la restaurazione furono ristampate tutte le opere filosofiche del secolo XVIII, e che del solo Voltaire dal 1817 al 1824 erano state fatte 13 edizioni, tirandone 31,600 copie in volumi 1,598,000; di Rousseau 13 edizioni, copie 24,800, volumi 492,500; di altre opere filosofiche della stessa tinta ed anche peggiori, esemplari 144,200, volumi 288,900; di romanzi pessimi, esemplari 32,000 in volumi 128,000; di opere sotto il titolo di memorie storiche, esemplari 123,500 in volumi 268,500; cosicché in tutto si ebbero copie 355,800 formanti la massa spaventosa di volumi 2,775,900 anche di piccolo formato per renderne più tenue il costo e più facile la diffusione: e queste opere più o meno tali da demoralizzare o al certo da non migliorare la moralità del popolo francese.
Questi guasti che si facevano, uniti a quelli già esistenti, non potevan non operare e mantenere nelle menti una malattia morale pressoché insanabile. Non ci sembra pertanto che la edificazione di qualche tempio pel culto cattolico, ed altre misure più di forma che di sostanza, adottate per salvare le apparenze, e far mostra di rispetto pel culto esteriore, fossero equipollenti a controbilanciare il male che a piene mani sulla Francia si versava, ed a costituire un antidoto efficace a neutralizzare il veleno, che in tanta abbondanza erasi propinato.
Povera Francia! A che ti valse tanta filosofia che nel 1789 ti fece insorgere, ti fece credere che tu portassi la luce diffonditrice per tutto il mondo, e fossi la nazione da preporsi per modello all’esempio delle altre nazioni?
Tu eri nel 1848 popolata e fiorente per industrie e commerci. Avevi armata e marina poderosissime. Possedevi la libertà di stampa, di culto e di persona. Avevi una costituzione ed una rappresentanza nazionale: istituzioni e codici che formavano l’ammirazione dell’universo: amministrazione modello: uomini sommi in tutti i rami delle scienze: prosperità materiale ognor crescente! E con tutto ciò non avesti in te la forza di prevenire e allontanare la catastrofe che ti sovrastava, e desti P esempio, che seppur non volente, e pochi soltanto volendotela imporre sul collo, dovesti subire la non desiderata repubblica, finchè piacque alla Provvidenza di sottrarti dalla pressura dell’incubo molesto che ti opprimeva.
Tutto tu possedevi, e tutto sembrava garantirti la tua felicità, ma il guasto morale esisteva. Esisteva è vero fin dal secolo passato, non venne corretto dall’impero, venne tollerato e quasi favorito dalla restaurazione; e la Provvidenza volle darti la tremenda lezione che senza la sana morale non si reggono gli stati, e che quindi ammorbata come sei fin dentro le viscere tue, non sono le istituzioni liberali che possono reggerti e salvarti, ma una mano di ferro soltanto che ti raffreni, e ti chiuda l’adito di scapestrare a tua voglia.
Fin qui abbiamo enumerato genericamente le cause un po’ palesi, un po’ nascoste, cui si debbe attribuire il movimento parigino. Ora diremo che secondo l’opinione generale, e per confessione dello stesso Lamartine, gl’istigatori principali della opposizione al Guizot, furono i deputati Duvergier de Hauranne e Odilon Barrot, il primo dei quali fu pure il motore principale dei banchetti patriottici. Il Lamartine dice anche di più perchè attribuisce al Duvergier de Hauranne, all’Odilon Barrot e ai loro amici che fecero la seconda coalizione parlamentaria, di essere stati i veri autori della repubblica10.
«L’opposizione dinastica (soggiunge il Lamartine)11 non avea voluto che un cambiamento di ministero operato sotto la pressione delle masse: il popolo covava di già un cambiamento di governo. Dietro il popolo alcune sette le più radicali sognavano un completo rovescio della società.»
E lo stesso Duvergier de Hauranne che venne in Roma dopo la restaurazione pontificia e che onorava me che scrivo della sua pregevole amicizia, lo vidi io stesso entrare dove io era, coi capelli irti e rabuffati per annunziarmi che in Parigi era stato eletto a deputato il socialista sergente Boichot, ed esclamare povera Francia! al che mi permisi di rispondere, ch’egli tristamente vedeva svolgersi una parte dell’opera sua.
Ritornando colla nostra narrazione ai primi sintomi del movimento riformista, stabiliremo come base esserne stati capi gli anzidetti deputati Duvergier de Hauranne unitamente all’Odilon Barrot, i quali volevano ad ogni costo rovesciare il ministero Guizot. Ma disgraziatamente la lotta ch’era tutta personale e parlamentaria in principio divenne universale e radicale in seguito. Folle presunzione si è quella che chi crea le agitazioni possa essere abile a guidarle e contenerle in limitati confini! Se ne conosce il principio, ma non v’è occhio mortale che sappia antivederne il fine.
E poichè abbiamo parlato genericamente dei banchetti riformisti che dieronsi in Francia, facciamone dal primo all’ultimo la enumerazione.
Ebbe luogo il primo banchetto a Château-Rouge in sui primi di luglio 1847, e vi attirò tutti i radicali di Parigi. «L’oratore il più animato fu il deputato Duvergier de Hauranne, il quale dopo aver biasimato tutti gli atti del governo fino dal 1830, dichiarò di dedicarsi in anima e corpo alla riforma elettorale. Il sig. Odilon Barrot ha ricordato enfaticamente e stigmatizzato tutto ciò che chiama gli atti di corruzione del governo.» Così si espresse il Débats, dandocene la relazione.12
In seguito di ciò formossi nella stessa Parigi una riunione che prese il titolo di Comitato centrale degli elettori della opposizione del dipartimento della Senna, il quale indirizzò a tutti i comitati di provincia una circolare per provocare dei banchetti simili a quello di Château-Rouge.13
La circolare produsse il suo effetto, ed il 10 di agosto se ne dette uno a Mans.14
Altro a Colmar nella stessa epoca. Si fece nel medesimo un brindisi alla salute del re, ma niuno vi rispose.15
Altro a Saint-Quentin ove parlò il deputato Odilon Barrot.16
Altro a Meaux ove parlarono Odilon Barrot e Drouyn de Lhuys.17
Altro banchetto a Orléans.18 Altro a Cosne ove parlò il Duvergier de Hauranne.19
Altro banchetto di carattere comunista si dette in novembre a Autun.20
Altro a Chartres.21
Altro a Saintes.22
Altro a Valenciennes.23
Altro a Lille, il quale fu uno dei più clamorosi.24
Altro a Loudéac, e ad Autun.25
Altro ad Avesnes.26
Altro a Dijon, di carattere montagnardo. Vi si fece l’apologia del 1793.27
Altro banchetto a Montargis nel senso fourierista, ossia secondo i principi del capo scuola Fourier socialista.28
Altro a Compiègne secondo quelli di Odilon Barrot.29
Altro a Lyon.30
Altro a Saint-Germain.31
Altro ad Amiens.32
Altro a Castres.33
Altro a Montpellier.34
Altro a Châteaudun. Altro a Condom. Altro a Rochechouart. Altro ad Arras. |
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Altro a Neubourg sotto la presidenza di Dupont (de l’Eure), il quale fu poi membro del governo provvisorio.36
Altro a Saint-Denis.37
Altro a Châlon-sur-Saône.38
Altro a Màcon.39
Altro a Limoges nel quale non si bevve alla salute del re, bensì si portò un brindisi a Gesù Cristo. Si bevve alla salute del suffragio universale, della organizzazione del lavoro, non che alla soluzione del problema pacifico a favore del proletariato.40
Mentre però l’oggetto dei banchetti avrebbe dovuto esser quello di proporre riforme sul sistema elettorale, si volle dare alla parola riforma il senso il più lato, sicché ciascuno proponeva riforme a sua foggia, e chi voleva riformare la società in senso socialista, e chi ancora in quello prettamente comunistico. Escludendosi poi, siccome facevasi, il nome del re dai brindisi, egli è chiaro che si voleva una riforma nel sistema di governo, che da monarchico si travolgesse in repubblicano. Venner messe fuori nei banchetti le idee le più disparate, e le più stravaganti teorie: fu in somma una libera professione di fede in libere riunioni; e le dottrine dei socialisti sovramenzionati ebber non solo i loro apostoli e panegiristi, ma si predicò contro la famiglia, ed in favore della organizzazione del lavoro, del proletariato, e d’ogni sorta d’indipendenza, noni esclusa quella delle donne, che volevansi affrancare dal giogo tirannico degli uomini; e come medicina salutare, fu proposto perfino lo specifico della ghigliottina, col carnefice in seduta permanente.
In una parola la riforma non si limitava ai collegi elettorali, al censo, ai voti, ed alla estensione dei suffragi, ma si voleva più che sul governo estendere sulla società intera.
In conseguenza di che i banchetti fomentarono una agitazione ed uno scandalo senza pari, ed eccitarono serie apprensioni in tutti i Francesi più previdenti, nè sappiamo comprendere come il re se ne mostrasse rassicurato nel suo discorso, e rassicurate pure le Camere nella loro risposta.
Avvicinandosi però il banchetto mostro destinato per darsi a Parigi nel giorno 22 febbraio, il governo ne fu allarmato oltremodo, e decise di proibirlo. Incominciaron le discussioni sulla competenza o incompetenza del governo in far ciò. Il comitato direttore invitò la guardia nazionale ad assistervi, ma senz’armi: e la guardia nazionale parve simpatizzare con chi voleva il banchetto. Il ministero quasi che fosse egli che col suo rifiuto fomentasse l’agitazione, venne posto in atto di accusa. Intanto l’agitazione accrescevasi, le prime dimostrazioni appalesaronsi fin dal 22, e le prime barricate vennero erette, finché il giorno 24 Parigi fu in piena sommossa, si sciolse il governo, fuggì la corte, ed un governo provvisorio venne eletto.41
Ecco i nomi degl’individui che lo formarono:
Dupont de l’Eure | Presidente del Consiglio | |
Lamartine | Ministro | degli affari stranieri. |
Ledru-Rollin | » | dell' interno. |
Arago | » | della marina. |
Bethmont | » | dell’agricoltura e del commercio. |
Crémieux | » | della giustizia. |
Subervie generale | » | della guerra. |
Carnot | » | della istruzione pubblica. |
Marie | » | dei lavori pubblici. |
Goudchaux | » | delle finanze |
Garnier-Pagès | » | Maire di Parigi. |
Armand Marrast | Segretari.42 | |
Pagnerre | ||
Louis Blanc | ||
Ferdinand Flocon | ||
Albert, ouvrier. |
L’effetto prodotto in Roma da un sì terribile e inaspettato avvenimento fu immenso. Il partito moderato o monarchico costituzionale ne fu costernato. La parte giovane soltanto, sia per inesperienza o per poche letture storiche, non ne fu dispiacente. Quella però degli uomini di profligata fama o di perduta morale se ne compiacque.
Non fu che la domenica 5 di marzo, che per essere giunti i dispacci officiali all’ambasciatore Rossi col vapore approdato a Civitavecchia, se ne venne in cognizione positivamente.
Gli avvenimenti però eran tali che sorpassavano le previsioni degli uni, le speranze degli altri. Nel gennaio del 1848 si era in sulla via delle riforme soltanto, quando il decreto del re di Napoli venne a sorprender tutti, ed a schiudere di un subito l’adito alle costituzioni. E costituzioni si venner difatti qua e là improvvisando: e mentre anche in Roma studiavasi qual forma di statuto potesse convenirle (avuto in vista la duplice sua condizione di governo eccezionale, perchè dipendente da un capo che solo nel mondo riunisce in se il potere spirituale e temporale), ecco piombarle addosso l’annunzio di una repubblica in Francia, in quello stato cioè che se quieto o turbato, tiene quieta o turbata l’Europa.
In quello stesso giorno che un tanto avvenimento si conobbe in Roma, i Francesi che vi dimoravano, e che solevan riunirsi nel loro casino al palazzo Mignanelli, emisero un ringraziamento per le prove di simpatia ricevute dalla gioventù italiana pei nuovi avvenimenti, dichiarandosi rispettosi verso l’ordine pubblico, ed il governo ospitale di Roma. L’indirizzo che pubblicarono chiudevasi colle parole seguenti: «Possa una santa fratellanza stabilirsi fra le due grandi nazioni! Possano ambedue camminare concordi e salde verso lo scopo comune, cioè verso il progresso, la riforma, la libertà fondata sul pubblico ordine, e sul rispetto ai diritti di tutti.43»
Intanto nel palazzo Theodoli ài Corso, ov’era il circolo dei negozianti, davasi un solenne banchetto dai Piemontesi che trovavansi in Roma, banchetto che per verità era stato ordinato da vari giorni, il cui oggetto era quello di festeggiare la costituzione. Il marchese Pareto ministro sardo, apparso sul balcone, pronunziò parole allusive a tale occasione. Apparve pure il marchese Massimo d’Azeglio in compagnia del generale Giovanni Durando, ed agli applausi che indirizzavansi al primo, questi con un significativo volger di testa verso il Durando, accompagnato dal gesto, parve dicesse Ecce homo, per indicare che non era più tempo di parole ma di cannoni, e che alle concioni eccitatrici tempo era di sostituire le armi e lo squillo delle trombe guerriere. Gli evviva fragorosi all’Italia, a Pio IX, a Carlo Alberto, ai Lombardi si fecer sentire dalla strada. Terminato il banchetto, recossi il corteggio festeggiante a salutare i Francesi nel loro casino. Quivi abbracci, espansioni e parole di fratellanza. Le signore ch’erano al concito uscirono alF aria aperta, entrarono in vari cocchi, e colle bandierette tricolori spiegate nelle mani, percorsèro festanti una parte del Corso fra gli applausi dei circostanti. Le signore eran tutte lombarde e piemontesi, e della classe sotto ogni rapporto più ragguardevole. Si era nell’ultima domenica di carnevale, giorno in cui il Corso suole essere più frequentato del solito. Può quindi immaginare ognuno quali ovazioni, e quali applausi riscotessero le donne italiane e le bandierette tricolori che seco recavano.44
Queste cose accadevano il primo giorno in cui si conobbero con certezza gli avvenimenti di Francia. Ma ai dispacci giunti al francese ambasciatore, si facevan le giunte, raccontando, discutendo, ampliando, travolgendo ogni cosa. Dicevano alcuni essere già in marcia un’armata francese sul Reno, e constare nientemeno che di ottanta mila uomini: altrettanti in marcia verso le Alpi: il Belgio in piena rivoluzione: rivoluzione perfino e repubblica in Inghilterra.
I circoli in Roma erano in moto. Fra gli esteri che avevamo molti facevansi ascrivere o per lo meno presentare al circolo romano, che fra le politiche associazioni conservava ancora il primato.
Tempi terribili fur quelli perchè non sapevi che pensare, nè che dover sperare. La novità e la imponenza dei casi non davan nè tempo nè calma alla riflessione, ed in tanta concitazione di animi due soli non ritrovavansi che consentisser fra loro su ciò che dovesse farsi. Parve che al caso, più che al senno degli uomini si commettesser le umane sorti, perchè il veder rovesciato come festuca un trono incrollabile, qual sembrava quello di Francia, avea petrificato sì gli animi, che sul senno umano parve per un momento non potesse farsi assegnamento veruno.
Questi furon gli effetti che vidersi. Gli altri si possono facilmente immaginare. Egli è quindi presumibile che nelle alte regioni del potere una scossa sì tremenda dovesse far sentire un misto fra terrore e sbigottimento. Un passaggio sì rapido e inaspettato dalla monarchia alla repubblica, una sì nuova situazione di cose e di relazioni, e la qualità soprattuto degli uomini che il turbine della rivoluzione spinto aveva al sommo potere in Francia, eran tali fatti da reclamare imperiosamente nuovo sistema, nuove leggi, uomini nuovi. L’impero della necessità parve aver preso in quel momento il sopravvento. Di fatti si vide subito dopo un cambiamento di ministero; vidersi i laici al poterete pochi giorni appresso uno statuto venne promulgato come legge fmdamentale per lo stato pontificio. Ma di ciò meglio tratteremo nel capitolo seguente.
Note
- ↑ Vedi Chenu, Les Conspirateurs, pag. 49 e 50.
- ↑ Vedi Sauzet, La Chambre des députés et la Révolution de février, Paris, 1851, in-8.
- ↑ Vedi Lamartine Histoire de la révolution de 1848. Bruxelles 1849 in-8 pag. 53.
- ↑ Vedi il Galignani del 29 marzo 1848.
- ↑ Vedi il Journal des débats del 28 decembre 1847. — Vedi il Diario di Roma dell’8 gennaio 1848.
- ↑ Vedi Sauzet opera citata pag. 31.
- ↑ Vedi Sauzet opera citata pagina 29.
- ↑ Vedi Histoire de la restauration et dee causes qui ont amené la chute de la branche des Bourbons, Paris, 1831-1833, volumi 10 in 8.
- ↑ Vedi Sauzet, opera citata pagina 108.
- ↑ Vedi Lamartine, opera citata pagina 22.
- ↑ Vedi Lamartine, opera citata pagina 34.
- ↑ Vedi il Journal des Débats del 10 luglio 1847. Vedi anche i numeri dei 12 e 13 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 7 agosto detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 12 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 14 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 24, 29 settembre e 1 ottobre detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 29 settembre detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 12 ottobre detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 21 detto.
- ↑ Vedi Lamartine opera citata pagina 33.
- ↑ Vedi il Journal des Débats del 28 ottobre 1847.
- ↑ Vedi il detto giornale del 29 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 6 novembre detto.
- ↑ Vedi il detto giornale dell’11, 12, 13 e, 14 novembre detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 7 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 13 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale dei 25, 26 e 27 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 25 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 25 novembre 1847.
- ↑ Vedi il detto giornale dei 28 e 29 novembre.
- ↑ Vedi il detto giornale del 3 dicembre.
- ↑ Vedi il detto giornale del 9 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 14 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 14 e 16 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale dell’11 detto.
- ↑ Vedi il detto giornale del 17 detto.
- ↑ Vedi il Journal des Débats del 21 1847.
- ↑ Vedi il detto giornale del 27 detto.
- ↑ Vedi Lamartine opera citata alla pag. 23.
- ↑ Vedi il Journal des Débats dell’8 gennaio 1848.
- ↑ Vedi Sauzet, opera citata, pag. 262 e seg.
- ↑ Vedi Lamartine, opera citata vol. I, dalla pag. 181 alla pag. 184. — Vedi Documenti del vol. IV, n. 41, 42 e 43. — Vedi il Journal des Débats del 25, 26, 27, 28 e 29 febbraio 1848.
- ↑ Vedi la Pallade dell’8 marzo 1848. — Vedi il Contemporaneo, n. 29. — Vedi L’Italico del 6 marzo.
- ↑ Vedi la Pallade, nel foglio aggiunto al 6 marzo 1848. — Vedi L’Italico, del 6 marzo, ove sono narrate le più minute particolarità.