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270 | storia |
Non è a diro l’entusiasmo che ovunque produsse, e sopratutto in Roma, la lettura della protesta. Leggevasi ad alta voce per le piazze e per le pubbliche vie, e quantunque in tempi regolari sarebbe stata cosa irregolarissima, in quei tempi, dobbiam convenirne ancor noi, non si sarebbe potuta impedire, perchè il governo pontificio era troppo interessato il distruggere perfin l’ombra del sospetto di connivenza tra esso e l’austriaco governo.
Il giorno 12 scriveva il segretario di stato a monsignor Viale Prelà nunzio in Vienna il seguente riservato dispaccio segnato col n.° 72,892 — 6, che abbiamo estratto dal Farini.1
«Adempio innanzi tutto al grato dovere di ringraziare la S. V. illustrissima e reverendissima per le cortesi parole ch’essa m’ha diretto nel suo dispaccio n.° 542, in ordine alla scelta di me fatta dalla sovrana clemenza a segretario di stato. Io sono profondamente penetrato, ella mei creda, della somma gravità del peso che la sola obbedienza poteva determinarmi ad assumere. Voglia il cielo che io valga a sostenerlo per modo da corrispondere alla fiducia, onde mi ha onorato il Santo Padre, ed alla pubblica aspettazione. Ma se a tanta impresa mancheranno le mie forze, giammai vorrà meno il buon volere; e questo, io spero, mi otterrà indulgenza.
» Del resto, quando i pubblici fogli mi hanno qualificato per uomo franco e leale, non hanno certamente fatto un’onta al vero: io ho la coscienza di non aver mai demeritato questa lode. La mia politica pertanto non sarà diversa dal mio carattere, e dentro i limiti di una prudenza strettamente necessaria a chi governa, ma che sarebbe errore il confondere col sistema del dubbio e della inazione, mi adoprerò a dare ai miei atti (nè avrò durar fatica) la corrispondente caratteristica impronta della franchezza e della lealtà, tanto nella interna amministrazione dello stato, quanto nelle estere relazioni. Io reputo questa linea di condotta la più conforme all’indole