Storia della letteratura italiana (Tiraboschi)/I-3/III/VIII

Capo VIII: Biblioteche

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[p. 366 modifica] aveva il Regno, che teneva prima nel foro. Questo esercizio di declamare privatamente, finché fu congiunto allo studio delle più gravi scienze, in cui solevano istruirsi que’, che aspiravano alla fama di grande Oratore, e finché fu avvivato dalla speranza di brillare nel foro, e di salire per mezzo dell’Eloquenza alle più luminose cariche della Repubblica, giovò non poco a formare perfetti Oratori. Ma fin dal tempo di Augusto cominciarono a cambiar le cose, e in istato assai peggiore vennero nell’età posteriori, come già si è mostrato parlando dell’Eloquenza, e come dovrem poscia vedere innoltrandoci nella Storia Letteraria de’ secoli susseguenti.

Capo VIII –

Biblioteche

I. Questo ancora fu il tempo, in cui Roma vide per la prima volta un oggetto, di cui pel corso di più secoli non aveva ancora avuta idea, e che giovò esso pure non poco a fomentare e ad accrescer gli studj, dico le private prima, e poscia le pubbliche Biblioteche. Crederei di gittare la fatica e il tempo, se mi trattenessi qui a confutare l’opinione del Morofio1

e del Falstero2

, i quali negli Atti pubblici, che conservavansi in Roma, trovano la prima Biblioteca, che ivi si raccogliesse; e quella del Middendorpio3 , che una Biblioteca vede ne’ libri delle Sibille, che conservavansi in Roma. Queste Biblioteche si posson aggiugnere a quelle, che prima del diluvio ancora trovò il Madero, e a quella singolarmente di Adamo, di cui Paolo Cristiano Hilschero formò un esatto Catalogo4 . Convien confessarlo, Tardi pensarono i Romani a coltivare gli studj, e quindi tardi a raccogliere Biblioteche. Non già, che niun libro non fosse in Roma, che ciò troppo chiaramente dalle cose già dette si mostra falso; ma se pochi libri bastassero a formare una Biblioteca, non vi sarebbe quasi a [p. 367 modifica]rtigiano, che non avesse la sua. Questo nome si usa a dinotare una collezione di libri, che somministri ajuto a’ diversi studj, in cui uno voglia occuparsi; e questa non sappiamo, che per lo spazio di circa sei e forse sette secoli si vedesse in Roma.

II. Paolo Emilio, secondo S. Isidoro5 , fu il primo, che avesse Biblioteca in Roma, formata de’ libri di Perseo Re di Macedonia da lui vinto e condotto a Roma l’anno 585. E veramente narra Plutarco6 , che egli a’ suoi figliuoli, che inclinati erano allo studio, permise di scegliere tra’ libri del vinto Re, que’ che loro piacesse. Ma se tale fosse la copia di questi libri, che si potesse giustamente appellare Biblioteca, noi nol sappiamo; e la maniera, con cui ne parla Plutarco, sembra anzi indicare una piccola scelta che una copiosa raccolta di libri. E forse questi furono que’ libri medesimi, che parlando dell’amicizia del giovine Africano con Polibio abbiam veduto, che da Scipione si davano in prestito al dotto Greco; perciocché, come ad ognuno è noto, Scipione era figlio di Paolo Emilio, ma per adozione passato nella famiglia, da cui prendeva il nome. La gloria dunque di avere il primo avuta Biblioteca in Roma devesi più probabilmente a Lucio Cornelio Silla, il quale l’anno 667 avendo occupata Atene, trall’immenso bottino, che ne raccolse, seco portò ancora la Biblioteca di Apellicone Tejo. Ecco il racconto, che ne abbiamo in Plutarco7 . Riservò a sé stesso (Silla) la Biblioteca di Apellicone Tejo, in cui erano quasi tutti gli scritti di Aristotele e di Teofrasto, de’ quali non avevasi ancora comunemente contezza. Questa trasportata a Roma dicesi, che per la maggior parte fosse dal Gramatico Tirannione ordinata. Degli scritti di Aristotile, e di ciò, che Tirannione fece riguardo ad essi, già si è parlato altrove. Luciano ancora accenna la gran copia di libri, che Silla portò seco da Atene, dicendo ad un cotale8

Se tutti i libri ancora tu avessi, che Silla

portò da Atene in Italia, sarestù per avventura più dotto? Qual uso facesse Silla di questi libri, noi nol sappiamo; ma certo né poté egli usarne molto avvolto sempre in continue guerre or esterne ora domes [p. 368 modifica]tiche, né egli pensò a renderla giovevole agli altri col farla pubblica.

III. Non molto dopo vidersi in Roma imitar l’esempio di Silla, e gareggiare in certo modo tra loro nel formare una copiosissima Biblioteca due uomini di condizione l’un dall’altro troppo lontani, uno schiavo, e uno de’ più splendidi Cavalieri Romani, cioè il mentovato Tirannione, e il famoso Lucullo. Tirannione era nativo di Amisa nel Ponto, e, se vogliam credere a Suida9 , chiamavasi prima Teofrasto; ma perché ne’ primi anni frequentando la scuola di un certo Istieo, egli d’indole vivace e ardita malmenava assai i fanciulli suoi condiscepoli, ne ebbe da lui il nome di Tirannione. Checchesia di ciò, nella guerra di Lucullo contro di Mitridate fu egli fatto prigione, e condotto schiavo a Roma fu venduto a Murena, da cui riebbe la libertà10. Era egli uomo assai erudito, ed ebbe fra gli altri a suo scolaro Quinto nipote di M. Tullio Cicerone, il quale con molta 214 lode ne parla scrivendo a suo fratello11 . Quintus tuus puer optimus eruditur egregie: hoc nunc magis animadverto, quod Tyrannio docet apud nos. Di lui più altre volte ancora egli parla, e sempre con sentimenti di somma stima12; e vedremo fra poco, che di lui singolarmente valevasi per la sua Biblioteca. Or questi mise egli pure insieme una Biblioteca di ben trentamila volumi13, e non di soli tre mila, come contro l’autorità di Suida hanno alcuni moderni senza alcun fondamento asserito. Dal che possiamo raccogliere, che ben lucrosa seppe Tirannione rendersi la sua dottrina, poiché tante ricchezze adunò, quante a formare sì copiosa Biblioteca si richiedevano. Egli è però ad avvertire, che il Tirannione raccoglitore di essa, secondo alcuni, è diverso da quello, che spesso vien rammentato da Cicerone14. Le lor ragioni non mi sembrano convincenti; ma non è del mio argomento l’entrarne all’esame.

IV. Più celebre nondimeno fu in Roma la Biblioteca di Lucullo, uno de’ più grandi uomini, che a questo tempo vi vissero. La sola introduzione di Tullio al secondo, o, come altri [p. 369 modifica]il chiamano, quarto libro delle Quistioni Accademiche ci fa abbastanza conoscere, chi egli fosse. Uomo di grande ingegno, di memoria, come Cicerone la chiama, in certo modo divina, di continuo studio, e in tutte le belle arti maravigliosamente erudito, dopo avere impiegati molti anni nel coltivamento delle scienze e nel civile governo della Repubblica, fatto improvvisamente supremo General delle truppe nella pericolosa guerra contro di Mitridate divenne subito uno de’ più valorosi Capitani che fosser mai. Il viaggio da Roma in Asia fu l’unico tempo, ch’egli ebbe a istruirsi nella scienza di guerra, e nondimeno in sì poco tempo parte leggendo, parte trattenendosi co’ più versati in tal arte, divenne in essa sì esperto, che Mitridate stesso ebbe a dire, che non avea mai letto d’alcun altro, che gli si potesse uguagliare. Dopo essere stato per molti anni l’arbitro, per così dire, della Repubblica, ritiratosi a vita privata un nuovo spettacolo offerse agli occhi de’ Romani, mostrando loro, fin dove possa giugnere la magnificenza e il lusso d’un uom privato. Ampj e spaziosi portici, amenissime ville, altre sul mar medesimo fabbricate, altre sul pendio de’ colli, bagni, teatri, pitture, statue, pompa in somma e delizie e grandezze reali, si videro la prima volta per opera di Lucullo in Roma, la quale cominciò allora a vergognarsi dell’antica lodevole semplicità. Ma ciò che fa al nostro argomento, si è la raccolta grande di libri, ch’ei fece, e l’uso, che agli uomini eruditi ne concedette. Moltissimi, come narra Plutarco15, e scritti con somma eleganza egli ne unì, e volle, che la sua Biblioteca non meno che le scuole e i portici, che vi eran d’intorno, aperte fossero a’ dotti, e a’ Greci Filosofi singolarmente, de’ quali allora era gran numero in Roma. Ivi dunque raccoglievansi essi, e spesso i giorni interi vi passavano disputando. Lucullo stesso v’interveniva sovente, e di qualunque cosa fosse lor d’uopo, prontamente li compiaceva; né abbastanza si può spiegare, qual premura e qual amore egli avesse singolarmente pe’ Filosofi Greci. Onoravali, e favorivali in ogni maniera; seco li tratteneva a mensa; e voleva, che la propria casa fosse loro comune. Tutto ciò Plutarco. La Biblioteca di Lucullo viene ancor rammentata da Cicerone16; il qual dicendo [p. 370 modifica]di avervi un giorno trovato Catone circondato da molti libri di Filosofi Stoici, ne trae occasione di dire, che conveniva al giovinetto Lucullo far concepire più amore per que’ libri da suo padre raccolti, che per tutti gli altri ornamenti di quella Villa, in cui stava la detta Biblioteca. Quindi è, che Lucullo si può a ragione considerare come il primo Protettore delle Lettere e de’ Letterati, che fosse in Roma; poiché, comunque Scipione ed altri avessero alcuni Poeti e alcuni Filosofi onorato del lor favore, era nondimeno questo onore ristretto a pochi, e niuno avea ancor fatto ciò, che fece Lucullo, cioè di essere Protettore universal delle scienze, e di fomentarle con regia magnificenza.

V. Tito Pomponio Attico, l’intimo amico di Cicerone, avea egli pure una scelta e copiosa Biblioteca. Uomo amante di un dolce e onorato riposo, nemico del tumulto de’ pubblici affari, e tenutosi perciò sempre lontano dal governo della Repubblica, altro piacere ei non aveva, che quello di trattenersi co’ dotti, di attendere agli studj, e di coltivare ed ajutare ovunque potesse i suoi amici. Questo è il carattere, che di Attico ci ha lasciato Cornelio Nipote nella elegante vita, che egli ne ha scritta. Ma come giustamente osservano i due Traduttori Francesi delle lettere di Cicerone ad Attico, l’Abate di S. Real e M. Mongault, sembra ch’ei coltivasse gli amici più per suo che per loro interesse, e che fosse amico di tutti solo per non aver nimico alcuno, dal qual gli fosse turbata la pace, di cui voleva godere. Quindi egli era amico di Cicerone insieme e di Clodio, e di tutti i capi 215 de’ diversi partiti, in cui era allora divisa Roma. Cicerone molte volte gli dà gran lodi; ma spesso ancora si duole di non avere in lui trovato quel sincero ed efficace amico, che avrebbe voluto. Abbiamo un’Apologia di Attico inserita nel quarto Tomo della Raccolta di Pieces de Litterature stampata in Parigi l’anno 1741. Ma difficil cosa sembra a difenderlo, quando l’accusa è fondata su troppo autorevoli documenti. Non voglio qui lasciare di far menzione della Vita di Attico scritta dal celebre Abate di S. Pierre, il quale avendo ad essa premessa la Vita di Socrate, di questi due uomini, che sembrano veramente troppo l’un dall’altro diversi, forma nondimeno un esatto e ingegnoso confronto. Ma non è il carattere e la vita di Attico, che noi dobbiamo esaminare; ma sì ciò, che appartiene a’ suoi st [p. 371 modifica]udj e alla sua Biblioteca. Le sentenze tutte de’ migliori Filosofi avea egli diligentemente studiato, e valevasene più a regolamento della sua vita che ad ostentazion di sapere. Le antichità Romane furono il principal suo studio, e parlando degli Storici già abbiam vedute le belle Opere, che in tal maniera avea egli scritte. Dilettossi ancora di Poesia, e celebri erano singolarmente alcuni elogj in pochi versi da lui tessuti a’ più illustri uomini della Repubblica. Né solo egli era uom colto, e in tutte le belle arti versato; ma colti voleva ancora che fossero i suoi schiavi, e tutti que’, che componevano la sua famiglia. Quindi, come dice Cornelio Nipote, che tutte queste notizie ci ha tramandate, niuno eravi tra’ suoi famigliari, che non sapesse e leggere e scrivere con eleganza. Un uomo di tal carattere dovea necessariamente essere amante di libri d’ogni maniera. In fatti una bella Raccolta avevane Attico; e Cicerone se n’era invaghito per modo, che temendo per avventura, che Attico volesse privarsene, più volte il pregò a non farlo, ma a tenerli, poiché sperava un giorno di farli suoi. Libros tuos, così egli scrive17 , conserva, & noli desperare eos me meos facere posse; quod si assequor, supero Crassum divitiis, atque omnium vicos & prata contemno; e di nuovo18

Bibliothecam tuam cave cuiquam despondeas, quamvis acrem amatorem

inveneris; nam omnes meas vindemiolas eo reservo, ut illud subsidium senectuti parem. E avendogli Attico data parola, che a lui l’avrebbe serbata, non ancor di ciò pago di nuovo gli scrive19

Libros vero tuos cave cuiquam tradas: nobis eos, quemadmodum scribis, conserva:

summum me eorum studium tenet, sicut odium jam ceterarum rerum.

VI. Queste espressioni di Cicerone sulla Biblioteca di Attico come ci fan conoscere, che scelta e pregevole doveva ella essere, così ancora ci danno una giusta idea della premura, che di raccoglier libri avea Cicerone. E in vero questo grand’uomo parla sì spesso nelle sue lettere della sua Biblioteca, che per poco non si crederebbe, ch’egli altro pensier non avesse fuorché de’ libri. Quando ei ne ragiona, non vi ha picciolissima cosa, a cui egli non pensi. Perbelle feceris, scrive egli tornato dal [p. 372 modifica]l’esilio ad Attico20 , si ad nos veneris: offendes designatione Tyrannionis mirificam in librorum meorum Bibliotheca, quorum reliquiæ multo meliores sunt quam putaras. Etiam vellem mihi mittas de tuis librariolis duos aliquos, quibus Tyrannio utitur, glutinatoribus, ad cetera administris; iisque imperes, ut sumant membranulam, ex qua indices fiant, quos vos Græci, ut opinor, syllabos appellatis. Quindi in altre lettere21 gli dà ragguaglio de’ vaghi ornamenti, che Tirannione e Dionigi e Menofilo aggiunti aveano alla sua Biblioteca, e spiegando il suo giubbilo per l’ordine, in cui Tirannione avea disposti i libri, Postea vero quam, dice, Tyrannio mihi libros disposuit, mens addita videtur meis ædibus. Non è perciò a stupire, che la Biblioteca fosse a Cicerone l’oggetto delle sue delicie, e che appena libero dagli affari corresse, per così dire, a nascondervisi entro. Itaque, scrive egli allo stesso Attico22 , libris me delecto, quorum habeo Antii festivam copiam; e a Curio23

Cum salutationi nos dedimus amicorum... abdo me in Bibliothecam.

Una delle sventure, a cui più fosse sensibile, si fu allor quando un de’ suoi schiavi detto Dionigi rubatigli molti libri se ne fuggì. La maniera, con cui egli ne scrive a Sulpicio, fa ben vedere, quanto ei ne fosse afflitto24

Dionysus servus meus, qui mea bibliothecam multorum nummorum tractavit,

cum multos libros surripuisset, nec se impune laturum putaret, aufugit. Is est in provincia tua... Hunc si tu mihi restituendum curaris, non possum dicere, quam mihi gratum futurum sit. Res ipsa parva; sed animi mei dolor magnus est... Ego si hominem per te recuperaro, summo me a te beneficio affectum arbitrabor.

VII. Né di libri solamente, ma di antichità ancora, che servissero a ornamento della sua Biblioteca e de’ suoi portici, era avidissimo Cicerone. Undici lettere scritte quasi di seguito una 216 dopo l’altra ad Attico noi abbiamo25, nelle quali lo va di continuo importunando per certe statue antiche, che da lui gli si dovean mandare; dice, che si compiace solo al pensarvi, che le aspetta con impazienza, che non tardi punto, ma affretti a spedir [p. 373 modifica]le: aggiugne, che Lentulo ha promesso di concedergli a questo effetto l’uso delle sue navi; se queste mancano, le mandi per qualunque altra via; qualunque cosa egli trovi degna della sua Biblioteca, la compri tosto, e si fidi del suo scrigno; alcune di queste statue vuole ei collocare nella sua Villa Tusculana; poscia vuol adornare quella ancor di Gaeta; gli dà poi avviso, che alcune di esse sono già state poste fuor di nave a Gaeta; poi, che sono state condotte alla sua Villa di Formia, ma che non le ha ancora vedute. Egli parla in somma da uomo, per così dir, trasportato, e che altro pensiero non ha che quello di provvedere la sua Biblioteca e il suo Gabinetto di somiglianti antichi ornamenti. Una Dissertazione dell’erudito Abate Filippo Venuti sul Gabinetto di Cicerone è stata inserita nelle Memorie della Società Colombaria26, e poscia compendiata nella raccolta intitolata: Varietés Litteraires27 .

VIII. Quinto Cicerone ancora fratello di M. Tullio avea una scelta Biblioteca singolarmente di libri Greci. Noi ne troviamo menzione in due lettere a lui scritte dal suo fratello Marco28, e qui pure egli mostra il fervido suo impegno in raccogliere libri, e quanto a lui rincrescesse, che avvenisse allora ne’ Codici scritti a mano ciò, che ora accade spesso negli stampati, cioè, che vi s’incontrassero frequenti errori. De Bibliotheca tua Græca supplenda, libris commutandis, Latinis comparandis, valde velim ista confici, præsertim cum ad meum quoque usum spectent. Sed ego mihi ipsi, ista per quem agam, non habeo; neque enim venalia sunt, quæ quidem placeant, & confici nisi per hominem & peritum & diligentem non possunt; Chrysippo tamen imperabo, & cum Tyrannione loquar. E poscia dolendosi alquanto della lentezza di Tirannione, spiega insieme la difficoltà di trovar Codici ben corretti: De libris Tyrannio est cessator. Chrysippo dicam, sed res operosa est, & hominis perdiligentis. Sentio ipse, qui in summo studio nihil assequor. De Latinis vero, quo me vertam nescio, ita mendose & scribuntur & veneunt, sed tamen quoad fieri poterit non negligam. Da’ quali passi si vede, che [p. 374 modifica]Quinto ancora era uomo amante di Letteratura e di libri; anzi una lettera abbiamo di suo fratello, in cui secolui si rallegra, che quattro Tragedie in soli sedici giorni avesse composte29. Il che però non saprei, se grande stima debba in noi risvegliare del suo ingegno. Certo egli fu troppo lungi dall’uguagliare, o dall’accostarsi ancora alla fama di suo fratello.

IX. Cicerone rammenta ancora la Biblioteca di un certo Fausto, ch’era in Pozzuoli, poiché di là scrivendo ad Attico, Ego hic, gli dice30 , pascor Bibliotheca Fausti. Ed è verisimile, che avendo alcuni cominciato a far raccolta di libri, in un tempo singolarmente, in cui le scienze erano con ardor coltivate, molti altri ne seguisser l’esempio, e in questa parte ancora, come suole accadere, si gareggiasse nel lusso e nella magnificenza. Alcuni nel numero de’ privati, che raccolsero Biblioteche, pongono ancora il famoso Varrone, e tra gli altri il Falstero31. Ella è cosa probabile, che così fosse; ma le testimonianze, ch’egli ne adduce, nol provano in modo alcuno. Reca egli il passo di Plinio il vecchio, ove dice32

M. Varronis in Bibliotheca, quæ prima in orbe ab Asinio Pollione

ex manubiis publicata Romæ est, unius viventis posita imago est. Ma basta sapere un pochissimo di Latino per intendere, che Plinio parla qui della Biblioteca di Pollione, di cui parlerem noi pure tra poco, e che dice, che al solo Varrone tra gli uomini illustri, che allor vivevano, fu in essa innalzata una statua. I due testimonj di Gellio33, ch’egli pur cita, in cui racconta, che nella proscrizion da lui fatta la sua Biblioteca fu rubata e dispersa, possono ancora intendersi, come confessa il Falstero medesimo, de’ libri da Varrone composti, che formar potevano quasi un’intera Biblioteca. Quindi, benché si possa probabilmente pensare, che non mancasse al dotto Varrone questo ornamento34, che [p. 375 modifica]era allora comune a tutti gli amanti della Letteratura, non vi ha però argomento ad affermarlo sicuramente.

X. Ma tutte queste Biblioteche eran private; né i Cittadini potevano usarne, se non quanto l’amicizia e la cortesia de’ posseditori il permetteva. Giulio Cesare fu il primo, il quale tralle molte cose, che a gran vantaggio di Roma disegnava di fare, avea ancora in pensiero di aprire pubbliche copiosissime Biblioteche di libri Greci e Latini: Bibliothecas Græcas & Latinas, dice Svetonio annoverando le cose, ch’ei meditava35 , quas maximas posset, publicare. E perché questo grand’uomo ben conosceva, quanta erudizione alla scelta e all’ordinamento de’ libri si richiedesse, 217 avea egli a quest’uopo trascelto l’uomo per avventura il più dotto, che allor fosse in Roma, cioè il famoso Varrone: Data, soggiugne Svetonio, M. Varroni cura comparandarum ac digerendarum. Ma questo ancora con tutti gli altri grandi disegni di Cesare fu dalla funesta sua morte troncato.

XI. Ciò che non fu eseguito da Cesare, prima di ogn’altro fu condotto ad effetto da Asinio

Pollione. Di lui abbiam già parlato assai lungamente, ove si è trattato del dicadimento della Romana eloquenza, e addotte abbiam le ragioni, che ci han mosso a pensare, ch’egli ne fosse uno de’ principali autori. Egli è però vero, che, se se ne tragga lo smoderato impegno d’abbassar l’altrui fama, Pollione fu uno de’ più colti uomini, che a questo tempo vivessero. Egli per testimonio di Suida36, oltre l’avere scritti diciassette libri di Storia Romana, che citati vengono ancor da Svetonio37, fu anche il primo, che la Storia Greca scrivesse in Latino linguaggio. Fu egli ancora, come accennano Svetonio38 e Orazio39, Orator eloquente. Scrisse Tragedie Greche e Latine40, e una singolarmente pare, che preso avesse a comporne sulla Guerra Civile, da cui il dissuase Orazio41 , benché sia ad altri sembrato, che di Storia e non di Tragedia egli parli a quel luogo. Era egli ancora amico e protettor de’ Poeti, come da Virgilio raccogliesi42, il quale, seco [p. 376 modifica]ndo alcuni interpreti, all’occasione di un figlio a lui nato scrisse la quarta delle sue Egloghe. Alla gloria Letteraria congiunse la militare, e celebre si rendette nella guerra della Dalmazia, da cui tornando ebbe l’onor del trionfo43. Ma ciò, che forse gli acquistò maggior gloria, fu l’uso, che delle spoglie in guerra raccolte egli fece; poiché impiegolle alla fabbrica di un magnifico Atrio presso il tempio della Libertà, a cui una copiosa Biblioteca aggiunse di libri Greci e Latini. Ch’egli fosse il primo ad aprire in Roma una pubblica Biblioteca, chiaramente lo afferma Plinio44

Pollionis hoc Romæ

inventum, qui primus Bibliothecam dicando, ingenia hominum rem publicam fecit. E lo stesso avea egli già detto prima45 colle parole da noi sopra allegate: In Bibliotheca, quæ prima in orbe ab Asinio Pollione ex manubiis publicata Romæ est. Nel qual luogo però sembra strano, che Plinio non abbia avute presenti al pensiero le Biblioteche de’ Re di Egitto e di Pergamo tanto più antiche, e delle quali fa menzione egli stesso dopo il passo da noi in primo luogo allegato. Il P. Harduino ne esce in breve col dire46, che private eran esse e non pubbliche. Ma a chi mai potrà egli persuaderlo? Tutti gli Storici antichi, che di queste Biblioteche ragionano, e di quella d’Alessandria singolarmente, dicono che il desiderio di veder coltivati gli studj mosse que’ Principi a formarle, e il severo Seneca vi aggiugne ancora il desiderio di comparire possenti e magnifici47. Ma qualunque si fosse di questi due motivi, che tal pensiero suggerisse a que’ Sovrani, non avrebbon essi ottenuto l’intento loro, se private e non pubbliche fossero state queste Biblioteche. Ma non giova il trattenersi a provar lungamente una cosa, che è per sé stessa troppo chiara e palese. Potrebbe dirsi, che ove si legge nel testo di Plinio in Orbe dovesse leggersi in Urbe; ma se così avesse egli scritto, non avrebbe soggiunto poco dopo la voce Romæ, che significa lo stesso. Convien dunque confessare, che Plinio a questo luogo ha errato, seppur non vogliasi dire, che ciò, di che egli attribuisce il vanto ad Asinio Pollione, non sia già di aver egli prima di ogni altro aperta pubblica Biblioteca; [p. 377 modifica]ma di averla prima di ogni altro formata delle spoglie raccolte in guerra; la quale spiegazione se possa avere alcun probabile fondamento, io lascerò che ognuno il giudichi per sé stesso.

XII. La protezione, di cui Augusto onorò sempre le belle arti, il condusse ad imitare l’esempio di un Cittadino privato. A un magnifico tempio, che sul Colle Palatino ei fe innalzare ad Apolline, aggiunse una Biblioteca di libri Greci e Latini. Addidit porticus, così Svetonio48 , cum Bibliotheca Latina Græcaque, la quale dal tempio, a cui era vicina, fu detta la Biblioteca d’Apolline. . Quindi in una Iscrizione riferita dal Pitisco49 e dal Muratori50 si legge: Antiochus Ti. Cæsaris a Bibliotheca Latina Apollinis. Di questa Biblioteca fa pur menzione Orazio: Scripta Palatinus quæcumque recepit Apollo51. Ed altrove scrivendo ad Augusto:

Si munus Apolline dignum
Vis complere libris52

. Né di questo contento un’altra Biblioteca eresse nel portico detto di Ottavia. Questo, come narra Plutarco53, da Ottavia sorella d’Augusto era stato innalzato in onore e in memoria del suo caro Marcello rapitogli dalla morte in età immatura. Dione dice al contrario54, che da Augusto medesimo fu fabbricato, e da lui chiamato col nome di Ottavia. Ma la discordanza di questi due autori 218 facilmente si spiega colle parole di Svetonio55

Quædam etiam opera sub nomine alieno, nepotum

scilicet & uxoris sororisque, fecit, ut... porticus Liviæ & Octaviæ. Qui ancora dunque aveva egli eretta una Biblioteca, anzi più d’una, secondo il parlar di Dione, forse perché qui ancora vi avevano libri Greci e Latini: Porticus & Bibliothecas a sororis nomine Octavianas dictas extrux [p. 378 modifica]

XIII. Della Biblioteca da Pollione eretta nell’Atrio della Libertà, e di quella di Augusto nell’Atrio di Apolline fa menzione anche Ovidio, allor quando con leggiadrissima fantasia introduce a favellare il suo libro56, che da lui mandato a Roma entra timoroso in Città, e va intorno cercando, chi per pietà lo raccolga, e così parla a coloro, che in lui s’incontrano:

Dicite Lectores, si non grave, qua sit eundum,
Quasque petam sedes hospes in Urbe liber.

Quindi finge, che uno mosso da compassione prenda a condurlo per le diverse vie di Roma, e fralle altre al tempio di Apolline e alla prossima Biblioteca sul colle Palatino. Esso vi entra, ed esaminando que’ libri vi cerca i suoi fratelli, cioè gli altri libri da Ovidio composti, trattine quelli, che il comune lor Padre non vorrebbe aver mai pubblicati. Ma mentre ne cerca, il troppo severo Bibliotecario gli viene innanzi, e gli comanda di uscirne tosto:

Inde timore pari gradibus sublimia celsis
 Ducor ad intonsi candida templa Dei;
Signa peregrinis ubi sunt alterna columnis,
 Belides, & stricto barbarus ense pater;
Quæque viri docto veteres fecere novique
 Pectore, lecturis inspicienda patent.
Quærebam fratres, exceptis scilicet illis,
 Quos suus optaret non genuisse pater.
Quærentem frustra custos e sedibus illis
 Præpositus sancto jussit abire loco.

Il libro infelice così bruscamente cacciato si volge all’altra Biblioteca, la prima pubblica, dice, che fosse aperta in Roma nell’Atrio della Libertà; ma questo luogo, aggiugne, alla Libertà consecrato non era luogo per me; né la Dea permise pure, ch’io mi ci accostassi. In tal maniera, egli dice, i figliuoli portan la pena della colpa del padre loro. E finalmente conchiude pregando, che, poiché le

pubbliche Biblioteche per lui son chiuse, gli sia lecito almeno ricoverarsi nelle private: [p. 379 modifica]

Altera Templa peto vicino juncta Theatro:
 Hæc quoque erant pedibus non adeunda meis.
Nec me, quæ doctis patuerunt prima libellis,
 Atria, Libertas tangere passa sua est.
In genus Auctoris miseri fortuna redundat;
 Et patimur nati, quam tulit ipse, fugam.
...
Interea quoniam statio mihi publica clausa est,
 Privato liceat delituisse loco.

XIV. Queste private e pubbliche Biblioteche, che con lodevole emulazione formavansi da molti in Roma, diedero per avventura occasione al celebre Architetto Vitruvio di farne menzione ne’ suoi libri d’Architettura, e di prescrivere, in qual modo e con quali avvertenze esse debbano fabbricarsi. Spero, che farò cosa non ingrata a chi legge col recar qui le parole di questo Autore, senza però impegnarmi a sostenere la verità della sua opinione: Bibliothecæ, dice egli57 , in Orientem spectare debent: usus enim matutinum postulat lumen. Item in Bibliothecis (cioè quando volgono all’oriente) libri non putrescent; namque in his, quæ ad meridiem & occidentem spectant, tineis & humore vitiantur, quod venti humidi advenientes procreant eas & alunt, infundentesque humidos spiritus pallore volumina corrumpunt. Anzi Vitruvio parla in maniera, che sembra, che quasi comune fosse allora a’ Grandi il formare ne’ lor palagi o accanto ad essi una copiosa Biblioteca, perciocché egli così aggiugne non molto dopo58

Nobilibus, qui honores Magistratusque

gerendo præstare debent officia Civibus, facienda sunt vestibula regalia, alta atria, & peristylia 219 amplissima, silvæ ambulationesque laxiores ad decorem majestatis perfectæ. Præterea Bibliothecas, pinacothecas, basilicas non dissimili modo quam publicorum operum magnificentia comparatas, quod in domibus eorum sæpius & publica consilia & privata judicia arbitrio conficiuntur.

XV. A raccogliere, ad ordinare, e a custodire le pubbliche Biblioteche scelse Augusto de’ più dotti uomini, che fossero allora in Roma. Tre ne veggiam nominati presso Svetonio Il pri [p. 380 modifica]nio. Il primo è Pompeo Macro, a cui secondo il detto Autore59 una breve lettera scrisse Augusto vietandogli il render pubblici alcuni libri da Giulio Cesare in età giovanile composti: In epistola, quam brevem admodum ac simplicem ad Pompejum Macrum, cui ordinandas bibliothecas delegaverat (Augustus), misit. Il secondo è Cajo Giulio Igino Liberto d’Augusto, uomo nelle antichità versatissimo, di cui pur dice Svetonio, che fu Prefetto della Palatina Biblioteca60. E per ultimo Cajo Melisso Gramatico carissimo a Mecenate e ad Augusto, che gli diede la libertà, e gli commise la cura di ordinare le Biblioteche del Portico di Ottavia: Quo (Augusto) delegante curam ordinandarum bibliothecarum in Octaviæ porticu suscepit61. Di un altro ancora noi veggiamo fatta menzione in una Iscrizione riportata dal Muratori62. Questi è L. Vibius Aug. Servus Pamphilus Scriba Lib. & a Bibliotheca latina Apollinis; nella quale Iscrizione, che quelle parole Augusti Servus appartengano veramente ad Ottaviano Augusto, chiaro è dalle altre parole della stessa Iscrizione, che è sepolcrale, e fatta dal mentovato Vibio alla sua Moglie Vibiæ Successæ Liviæ Aug. Servæ. Nell’Iscrizione di un’altra Liberta di Livia moglie d’Augusto, detta Bira Canaciana, si nomina T. Claudius Alcibiades Mag. a Bibliotheca Latina Apollinis, item Scriba ab Epistulis Latinis63. Così pure in due altre Iscrizioni dal medesimo riferite veggiam nominati C. Julius C. L. Phronimus a Bibliotheca Græca64, e Axius a Bibli. Græca65, benché a qual tempo essi appartenessero, non si possa precisamente determinare.

XVI. Da questi passi e da queste Iscrizioni, che qui abbiamo recato, raccogliesi chiaramente, che i soprastanti alle Biblioteche in Roma erano comunemente stranieri e schiavi o liberti. Perciocché, trattone Varrone, che certo era di ragguardevole nascita, e Pompeo Macro, di cui non sappiamo la condizione, tutti gli altri son chiamati Servi o Liberti. Quindi quella gloriosa asserzion del Morofio66

Bibliothecariorum amplissima olim dignitas fuit, benché io debba desiderare, che sia

vera, debbo confessar [p. 381 modifica]nondimeno, che per riguardo a’ Romani non si può ammettere generalmente. Uomini dotti sì certo eran quelli, che alla custodia delle Biblioteche si destinavano; ma erano per lo più Gramatici, i quali, come già si è veduto, erano comunemente Liberti o schiavi. E pare in fatti, che i Romani si dilettassero bensì degli studj, quanto apparteneva a coltivar quelle scienze, che più loro erano in grado; ma che tuttociò, in che alla erudizion congiugnevasi la fatica d’istruire, di insegnare a’ fanciulli, di ordinar Biblioteche, o altre cose somiglianti, fosse da essi stimata cosa men degna della gravità di un Cittadino Romano. Questa osservazione fu fatta ancora dall’erudito Pignoria: Apud Imperatores erant non pauci (servi), quibus hoc munus incumberet, com hæc ordinandarum & publicandarum Bibliothecarum cura non omnino videretur imperii majestatem decere67


Capo IX – Greci eruditi in Roma

I. Questo, che abbiam finora descritto, era il lieto e fiorentissimo stato, in cui trovavasi la Romana Letteratura a’ tempi di Cesare e di Augusto; ed io non so, se troverassi altro secolo, che un sì gran numero d’uomini, quali in una, quali in altra, e molti in molte scienza eccellenti, possa vantare, e tutti in una sola Città insieme raccolti. L’onore, in cui erano in Roma le scienze e gli uomini dotti, non solo fece sempre più ardente l’impegno di coltivare gli studj; ma vi trasse ancora molti de’ più eruditi tra’ Greci; che volentieri accorrono gli uomini, ove possono fondatamente sperare e stima e premio del lor sapere. Già si è rammentato ciò, che a favor de’ Filosofi e de’ Letterati d’ogni maniera fecero Lucullo, Cesare, Cicerone, Augusto, Mecenate, ed altri. Il gran Pompeo parimente in ogni occasione dava a vedere, in quanto pregio egli avesse gli uomini dotti; e ben mostrollo singolarmente, quando venuto a Rodi di niun’altra cosa fu più sollecito, che di andare a trovare