Storia dei fatti de' Langobardi/Governo ed indole de' Longobardi

Governo ed indole de' Longobardi

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Paolo Diacono - Storia dei fatti de’ Langobardi (789)
Traduzione dal latino di Quirico Viviani (1826-1828)
Governo ed indole de' Longobardi
Legislazione de' Longobardi Tavole
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GOVERNO

ED

INDOLE DEI LONGOBARDI

OSSERVAZIONI

TRATTE DALLA STORIA

DELLA DECADENZA DELL’IMPERO ROMANO

DEL GIBBON

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Volendo paragonare la proporzione tra il popolo vittorioso ed il vinto, dal cangiamento della lingua si possono trarre i più probabili indizj. Secondo questa norma apparisce che i Lombardi dell’Italia e i Visigoti della Spagna erano men numerosi che i Franchi ed i Borgognoni; ed i conquistatori della Gallia a loro volta, debbano cedere alla moltitudine dei Sassoni ed Angli che quasi sradicarono l’idioma dei Brettani. La favella italiana moderna si è formata appoco appoco, mediante il mescolamento delle nazioni; la goffaggine dei barbari nel delicato maneggio delle declinazioni e delle conjugazioni, li ridusse ad usare gli articoli ed i verbi ausiliari; e molte nuove idee furono espresse con voci Teutoniche. Non pertanto il fondo principale de’ termini tecnici e familiari si scorge derivato dal latino; e se avessimo sufficiente contezza degli [p. 154 modifica]obsoleti, rustici e municipali dialetti dell’antica Italia potressimo rintracciare l’origine di molti vocaboli che forse erano rigettati dalla classica purità di Roma. Un numeroso esercito non costituisce che una picciola nazione, e le forze dei Lombardi furon tosto diminuite dal ritirarsi che fecero i ventimila Sassoni, i quali, spregiando una dipendente condizione, se ne tornarono, dopo molte audaci e pericolose avventure, alla nativa lor terra. Formidabile era l’estensione del campo di Alboino; ma l’ampiezza d’un campo facilmente si conterrebbe nella circonferenza di una città, ed i marziali abitanti di esso si troverebbero radamente sparsi sopra la superficie di un vasto paese. Alboino nel calare giù dalle Alpi, conferì al suo nipote, primo duca del Friuli, il comando di quella provincia e del popolo, ma il prudente Gisulfo avrebbe scansato il pericoloso ufficio se non gli fosse stato concesso, di scegliere, tra i nobili Lombardi, un numero di famiglie sufficiente a formare una perpetua colonia di soldati e di sudditi. Nel progresso della conquista non fu possibile compartire la stessa facoltà ai duchi di Brescia o di Bergamo, di Pavia o di Torino, di Spoleto o di Benevento; ma ciascuno di questi, e [p. 155 modifica]ciascuno dei loro colleghi, si stabili nel distretto assegnatogli con una mano di seguaci che si raccoglievano sotto il suo stendardo in tempo di guerra, e comparivano dinanzi al suo tribunale in tempo di pace. Libera ed onorata era la dipendenza loro: restituendo i doni ed i benefici che avevano accettato, essi potevano passare, insieme colle famiglie loro, nella giurisdizione di un altro duca; ma l’assenza loro dal regno veniva punita di morte come delitto di diserzione militare. La posterità dei primi conquistatori gettò profonde radici nel suolo, cui per ogni motivo d’interesse e d’onore erano vincolati a difendere. Un Lombardo nasceva soldato del suo re e del suo duca; e le assemblee civili della nazione spiegavano le bandiere, e prendevano il nome d’un esercito regolare. Le paghe e le ricompense di quest’esercito si ritraevano dalle provincie conquistate, e le triste impronte della ingiustizia e della rapina ne disonorarono la distribuzione, la quale non venne effettuata sin dopo la morte di Alboino. Molti fra i più ricchi italiani furono spenti o banditi: diviso andò il rimanente fra gli stranieri, e sotto il nome di ospitalità s’impose un tributo, che obbligava i nativi a pagare ai Lombardi una terza [p. 156 modifica]parte dei frutti della terra. In meno di settant’anni questo sistema artifiziale fu abolito, e si soggettarono i fondi stabili ad una dipendenza più semplice e solida. O il proprietario Romano era cacciato via dal più forte ed insolente suo ospite; ovvero l’annuo pagamento del terzo del prodotto si permutava, con più equo accordo, in una proporzionata cessione di terreni. Sotto il dominio di questi stranieri padroni, le faccende dell’agricoltura nella coltivazione del grano, delle viti, e degli ulivi erano esercitate con degenerata perizia ed industria dalla mano degli schiavi e dei natii. Ma le occupazioni d’una vita pastorale erano più confacenti all’indolenza de’ barbari. Nelle ricche praterie della Venezia essi ristorarono ed immogliarono la razza de’ cavalli, pe’ quali quella provincia era stata illustre una volta, e gl’Italiani mirarono con istupore una razza di buoi e di bufali. La spopolazione della Lombardia, e l’ampiazione delle foreste, somministrarono un vasto campo ai piaceri della caccia. Quell’arte maravigliosa che ammaestra gli uccelli dell’aria a riconoscere la voce e ad eseguire i comandi del loro signore era rimasta incognita al raffinato ingegno de’ Greci, e de’ Romani. La [p. 157 modifica]Scandinavia e la Scizia producono i più animosi e più trattabili falconi: ammansati essi vennero ed educati da questi erranti abitatori, sempre usi a stare a cavallo e nel campo. Questo favorito passatempo dei nostri antenati, fu introdotto dai barbari delle provincie Romane; e le leggi d’Italia reputavano la spada, ed il falcone come di egual dignità ed importanza nelle mani di un nobile Lombardo.

Così rapido fu l’influsso del clima e dell’esempio, che i Lombardi della quarta generazione rimiravano con curiosità e timore i ritratti dei selvaggi loro antenati. Raso era di dietro il loro capo, ma le ispide ciocche ricadevano sugli occhi e sulla bocca, ed una lunga barba rappresentava il nome ed il carattere della nazione. Consisteva il loro vestire in larghi abiti di tela, giusta la foggia degli Anglo-Sassoni, ornati al loro modo di larghe striscie di svariati colori. Portavano le gambe ed i piedi avvolti in lunghi calzari ed in sandali aperti, ed eziandio nella serenità della pace la fedele spada continuamente pendeva al loro fianco. Eppure questo strano apparato e l’orrido aspetto sovente ricoprivano una buona, gentile e generosa indole; e come cessata era la furia del [p. 158 modifica]terrore, i prigionieri ed i sudditi rimanevano alle volte sorpresi dell’umanità del vincitore. I vizj dei Lombardi erano l’effetto delle passioni, dell’ignoranza e dell’ebbrietà; più lodevoli erano le virtù loro, come quelle che non venivano infettate dall’ipocrisia de’ sociali costumi, nè imposte dai rigorosi freni delle leggi e della educazione.

I Lombardi possedevano la libertà di eleggere il loro sovrano, ed avevano il buon senso di non usare ad ogni volta di questo pericoloso privilegio. Le pubbliche loro entrate derivavano dai prodotti della terra e dagli emolumenti della giustizia. Allor quando gl’indipendenti duchi consentirono che Autari salisse sul trono del suo genitore, essi dotarono l’ufficio regale colla metà netta dei respettivi loro dominj. I più orgogliosi nobili aspiravano all’onore di servire presso la persona del loro principe. Egli rimunerava la fedeltà de’ suoi vassalli col precario donativo di pensioni e di benefizj, ed espiava i mali della guerra con ricche fondazioni di monasteri e di chiese. Giudice in tempo di pace, generale in tempo di guerra, egli mai non usurpava i poteri di legislatore solo ed assoluto. Il re d’Italia convocava le assemblee nazionali nel palazzo, o [p. 159 modifica]più probabilmente nei campi di Pavia: il suo gran consiglio era composto degl’individui più eminenti pei natali e per le dignità loro; ma la validità, non meno che l’esecuzione de’ suoi decreti, dipendeva dall’approvazione del popolo fedele, del fortunato esercito dei Lombardi. Circa ottant’anni dopo la conquista dell’Italia, le costumanze loro, conservate dalla tradizione, furono trascritte in latino teutonico, e ratificate dal consentimento del principe e del popolo, s’introdussero alcuni nuovi regolamenti, più conformi all’attuale loro condizione; l’esempio di Autari fu imitato dai più saggi suoi successori, e le leggi dei Lombardi si son riputate le meno imperfette de’ codici barbari. Fatti dal loro coraggio sicuri di possedere la loro libertà, que’ rozzi, ed impazienti legislatori erano incapaci di contrappesare i poteri della costituzione, o di discutere le delicate teorie del governo politico. Degni di morte venivano giudicati i delitti che minacciavano la vita del Sovrano o la salvezza dello stato, ma l’attenzione delle leggi era specialmente volta a difendere le persone e le proprietà dei sudditi. Secondo la strana giurisprudenza di que’ tempi, il delitto di sangue poteva redimersi con una [p. 160 modifica]multa; non pertanto l’alto prezzo di novecento monete d’oro dimostra il giusto sentimento che avevano del valore della vita di un semplice cittadino. Le ingiurie meno atroci, come una ferita, una rottura, un colpo, una parola di vilipendio, venivano misurate con diligenza scrupolosa e quasi ridicola; e la prudenza del legislatore incoraggiava l’ignobil pratica di barattare l’onore e la vendetta con una comparazione in denaro. L’ignoranza dei Lombardi, sia nello stato di pagani, che di cristiani, porse un implicito credito alla perversità e ai danni della stregoneria; ma i giudici del secolo decimo settimo avrebbero potuto essere ammaestrati e confusi dalla sapienza di Rotari; il quale decide l’assurda superstizione, e protegge le fortunate vittime della popolare e giudiziale crudeltà. Lo stesso spirito d’un legislatore, superiore al suo secolo ed al suo paese, può rinvenirsi in Liutprando, il quale condanna, nell’atto che lo tollera, l’empio ed inveterato abuso dei duelli, osservando per la sua propria esperienza, che la causa più giusta viene sovente oppressa da una fortunata violenza. Qualunque merito scoprir si possa nelle leggi dei Lombardi sono esse il genito frutto della ragione de’ barbari, che mai non [p. 161 modifica]ammisero i vescovi d’Italia a sedere nei loro consigli legislativi. La successione de’ loro re si contraddistinse per abilità e valore; la turbata serie dei loro annali è adorna di grati intervalli di pace, di ordine, di domestica felicità, e gl’Italiani godettero un più mite, e più equo governo che non verun altro dei regni fondati nelle rovine dell’impero Occidentale.