Sotto l'Austria nel Friuli/Mariuccia/V. La cugina
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V.
La cugina.
Il giorno seguente, prima che fosse ben chiaro, la poveretta era già sulla strada, e aspettava che s’aprisse la casa che le avevano indicata. Il cielo nitido prometteva una gran bella giornata: i monti spiccavano nell'azzurro purissimo leggermente dorato nella parte orientale; e già un fresco venticello foriero dell’aurora agitava il verde lieto dei campi di frumento, che dalla parte di ponente parevano l’ondeggiare d’una vasta marina.
Il cannone tonava ancora; ma questa volta i colpi partivano dalla fortezza e parevano i nitriti d’un immenso cavallo in guerra che laggiù nel folto della campagna schizzando fiamme dalle narici e percotendo con le zampe il terreno, sfidasse l’ira del nemico. Quando il sole fu sorto, apparve la fortezza, e allora la donna poteva distinguere sui baluardi il lampeggiare dei fucili delle sentinelle e il culmine della cupola del duomo scintillante, sopra alla quale, nell’aria serena, inondati di luce, sventolavano i tre colori della bandiera italiana.
— Povera Palma! — esclamò la donna commossa. — Ma almeno tu se’ viva ancora! — E s’inginocchiò a ringraziare il Signore. —
Sia che la solenne maestà dell’ora le infondesse un religioso raccoglimento, sia che ve la spingesse un ignoto impulso del cuore, pianse e pregò lungamente. Ella amava Palma come si amano le memorie dei giorni più lieti. Là era stata insieme col promesso sposo a scegliersi l’anello nuziale; là aveva comprato il suo primo fazzoletto di tulle e i vestiti da festa. Su quella bella piazza circolare, all’ombra delle odorose acace che formano un viale all’intorno, era stata tante volte a vendere le uova e i pulcini delle sue galline, gli anatrotti, i paperottoli e gli erbaggi dell’orticello. Anzi, quando stava nella sua casuccia a Jalmicco, e non sapeva come raggranellare qualche soldo per i bisogni della crescente famigliuola, faceva dei mazzolini di timo, di maggiorana, di salvia e di altre erbucce fragranti e andava a venderli a Palma. Ella dunque sentiva gratitudine per quei noti e cari luoghi, e pregava il Signore che salvasse quella città dal ferro e dal fuoco, che avevano sterminato il suo povero villaggio.
Intanto da una casa vicina usciva una bella ragazza, la quale coll’arconcello sulle spalle andava per acqua. Quando si trovarono vicine si guardarono un istante incerte; ma quasi subito la ragazza posate in terra le secchie:
— Oliva! — gridò — siete veramente Oliva?
— Mariuccia, mia buona Mariuccia, che piacere provo nel rivederti dopo tanto tempo, e di rivederti così bella e sana! — E le due donne si abbracciarono col più vivo affetto.
— Ma voi siete così patita, Oliva, che quasi stentavo a ravvisarvi! — disse la ragazza.
— Eh! dopo tante disgrazie, cara mia, è miracolo l’esser vivi — diceva la poveretta. E mentre l’accompagnava verso il pozzo, le andava narrando i tanti flagelli che l’avevano colpita e la vita raminga e desolata che da più mesi conduceva. Al ritorno la Mariuccia la fece entrare co’ bambini nella casa dov’era a servire, e dopo ch’ebbe parlato co’ padroni, si mise insieme con lei a preparare un po’ di foglia pei bachi. Quando furono sole:
— L’è andata meglio di quel che credevo — disse la Mariuccia. — Avevo paura che non vi accogliessero volentieri, perchè qui non siete mica veduti troppo bene voialtri Italiani!... Vi trattano, che so io, da gente turbolenta, da ribelli....
— Lo so, Mariuccia!... Credi tu che se la necessità di stendere la mano, per non vedermi morire di fame queste povere creature, non mi avesse da lungo tempo fatta dura la pelle, ch’io sarei stata capace mai d’affrontare i sarcasmi coi quali, appena passato il confine, si fanno tutti un dovere di punire la nostra sventura? Oh Dio! ma che cosa abbiamo fatto mai? Che cosa ha fatto, dico io, il nostro povero villaggio? In che mai possono avervi offesi questi meschini fanciulletti che ancora non sanno nemmeno parlare?
— Dicono, che vi siete dichiarati Italiani....
— Diamine! E voialtri, che cosa siete voialtri?
— Qui siamo imperialisti.
— Imperialisti? Oh sì! perchè su una via comune, che attraversa campi nostri e vostri c’è un vecchio termine di pietra che i ragazzi de’ due paesi avranno rovesciato almeno almeno un migliaio di volte! Ma dimmi, ti prego, come parlate, come vestite voialtri? Chi si prega e come si prega nelle vostre chiese? Io trovo che siamo tutti Cristiani e fratelli Italiani, perchè voi intendete me, io intendo voialtri, e preghiamo tutti insieme lo stesso Dio e la stessa Madonna nella medesima lingua. Invece quei cani di soldati, vedi, che sono venuti a incendiare le nostre case, bestemmiavano in una lingua che a noi poveretti pareva un urlare di bestie e avevano certi visi tutti differenti dai nostri. E bisogna credere che essi abbiano un altro Dio, un’altra religione, altrimenti non avrebbero osato commettere quegli orrori nella nostra chiesa!
— Eh, voi avrete ragione, — rispose la Mariuccia — ma vi so dire che qui la pensano ben altrimenti. Bisognerebbe che sentiste le belle prediche che fa su questo argomento il nostro bravo pievano!
— Oh, io non so di lettere, — conchiuse Oliva un po’ corrucciata — ma credo che tutto il latino dei più dotti non potrebbe persuadermi che sia ben fatto maltrattare quelli che soffrono! —
La Mariuccia allora cambiò discorso, e chiese notizie d’un loro vecchio zio, che quando vivevano insieme era sempre malaticcio.
— È morto — rispose mestamente Oliva. — Anche la povera zia Giustina è morta.
— Forse laggiù durante l’incendio?
— No, dopo: lui a Claujano, e la zia all’ospedale.... È un’orribile storia! Tu sai — ella continuò dopo un momento di pausa — che quando la nostra famiglia si divise, lui e la zia Giustina, sebbene non fossero maritati, fecero casa insieme. Coi loro risparmi avevano comprato a Jalmicco una casuccia di tre stanzette. La zia tesseva, e così se la campavano abbastanza bene. Ultimamente il pover’uomo era quasi sempre malato, e quando vennero gli Austriaci egli si trovava a letto e non poteva fuggire. La zia non volle abbandonarlo, e s’inginocchiò sulla porta della camera, sperando di commuovere a misericordia quei soldati. Oh sì, misericordia! Entrarono, lo tolsero nudo dal letto, lo gettarono da una finestra nel cortile e appiccarono il fuoco alla casa. Ella, raccolte le lenzuola, le coperte e quel che più potè di teli e di cenci, ravvolse alla meglio quel misero corpo tutto insanguinato e pesto e si sforzò di trascinarlo fuori dalle fiamme, in riva al torrentello che attraversa il villaggio. Alcuni fuggenti, impietositi dalle grida del disgraziato, lo trasportarono con loro a Claujano, dove morì narrando orrori da far rizzare i capelli. Ella rimase lì in paese alcuni giorni come impazzita a guardare l’incendio, e quando tornarono i nostri a cercar nelle rovine, la trovarono che non conosceva più nessuno. Teneva presso di sè alcuni pezzi mezzo bruciati del suo telaio e un gran mucchio di filati abbruciacchiati, e a quelli stava appoggiata. I soldati, forse per dileggio, le avevano messo a’ piedi una scodella di vino con entro della salsiccia tagliata a mo’ di zuppa. Non poterono farle pronunziare una sola parola. Guardava stralunata con un certo sorriso così strano, che cavava proprio le lacrime. Pareva che i suoi occhi, dinanzi ai quali era passata tutta quella orrenda scena di distruzione, non potessero più ravvisare anima viva. Volevano menarla via, ma non fu possibile; strillava, si strappava i capelli, si mordeva le dita. Il nostro buon parroco, che in tutta quella tremenda disgrazia non ci ha mai abbandonati, avvisato del caso, venne a vedere la disgraziata. Parve un istante riconoscerlo, perchè gli prese il lembo della veste e glielo baciò; ma nemmeno a lui riuscì di farla muovere e dovette andarsene com’era venuto. Egli si adoperò poi per trovarle un posto nell’ospedale di Udine. Quando vennero a prenderla capì dove volevano condurla e si mise a piangere e s’inginocchiò; ed essendole tornato l’uso della parola, pregava, scongiurava per il sangue di Cristo che non volessero portarla all’ospedale. Ve la portarono per forza, e tre giorni dopo era morta!
— Povero zio Coletto! povera zia Giustina!... Che fine lacrimevole!... Ah, per pietà, Oliva, non parliamo più di queste tristi vicende!— disse tutta rattristata la ragazza. E Oliva:
— Ti fa male, eh? Pensa a chi lo vide coi propri occhi; a chi ne fu parte! E non ti ho parlato che di due soli sventurati! Sai tu quante storie di lagrime e di sangue potrei ancora narrarti?... Ma chi potrebbe numerar poi i tanti periti miseramente proprio dopo essere scampati dal fuoco? E quelli che periranno a cagione degli stenti e della miseria? Lascia che venga l’inverno!... —
Entrò nella stanza la figlia della padrona di casa, e con bel garbo condusse le donne e i fanciulli in cucina a far colazione. Mentre le due cugine mangiavano, la Mariuccia attaccò discorso del fidanzato e Oliva mostrò la più schietta contentezza per la fortuna che toccava alla ragazza. Finita la colazione, salirono nella cameretta di Mariuccia, che mostrò alla cugina quel po’ di corredo che si era preparato, e intanto cercava fra quelle robe se vi fosse qualche cencio pe’ bambini e uno straccio di camicia per lei. Mentre tutt’e due osservavano quei capi di abiti e di biancheria, Oliva scòrse la coltre accuratamente piegata in quattro in fondo all’armadio, e afferrandola con le mani tremanti, la spiegò tutta, esclamando meravigliata:
— Ma questa è la mia coltre!
— Vostra? — domandò Mariuccia non meno stupita.
— Eh, mio Dio! non vuoi che la riconosca, se l’ho cucita con le mie mani? Aspetta, aspetta.... Cotesta — aggiunse — è la coperta del mio letto matrimoniale.... Ma come va questa faccenda?... E questo, se non isbaglio, è il traliccio della mia materassa. Non ho mica le traveggole, sai: questa è tutta roba mia....
— Come diamine volete che sia vostra, se io l’ho comprata?... — Ma l’altra, fuori di sè per la contentezza, non l’ascoltava. Tutta rossa in viso, piangeva, rideva, baciava or l’una or l’altra di quelle stoffe.
— Chi mi avrebbe detto — esclamava — che avrei ritrovate qui le mie povere robe che ho tanto pianto e che credevo bruciate?... Ma ora che mi ricordo: me le sono sognate proprio stanotte... E poi dicono che non s’ha da credere ai sogni! Oh Mariuccia che consolazione! Va’ là, tu lo sapevi che queste robe sono mie ed hai voluto farmi una sorpresa!
— Vi ripeto che l’ho comprate.... La coltre mi costa due fiorini....
— Due fiorini?... Ma non capisci che vale almeno almeno quindici? La pura fodera l’ho pagata io in bottega a Palma dieci belle svanziche. —
La ragazza mortificata piangeva.
— Or via, non ti affliggere. Sai che cosa farò? Andrò dai miei fratelli, dalla sorella ch’è fattoressa del conte, da tutti quelli che conosco e racconterò il caso: è possibile che qualche anima buona non m’aiuti e che non arrivi ad accumulare il denaro che hai sborsato?
— Ma io non posso cedervela — disse la fanciulla dolente. — Si tratta della mia fortuna.... Mio Dio! Gli è tanto tempo che m’affatico per prepararmi un po’ di corredo, e adesso che il Signore mi ha aiutata col mandarmi questa bazza, dovrei perderla?... Se anche voi mi restituiste i quattrini che ho spesi, dove potrei ricomprare a così buon mercato?
— Vorresti dunque tenerti quello che è mio? Ti trovo mille testimoni che conoscono questa mia roba. Evidentemente è stata rubata: capisci?
— Oh no rubata....
— Come no? Basta a provarlo il vil prezzo a cui è stata venduta.... O Mariuccia, non voler essere cattiva! Pensa alla mia condizione.... alle mie creature che sono nude! Verrà l’inverno: a me, povera mendica, toccherà a partorire sulla strada, o in qualche fienile, esposta a tutte le intemperie. Potresti tu in buona coscienza tenerti questa roba ch’è sangue mio?
Mariuccia non rispondeva, ma nel pensiero le tornavano tutti i suoi disegni di felicità. Che cosa avrebbe detto il fidanzato, quando l’avesse saputa senza più quelle robe di cui tante volte egli le aveva parlato? E la famiglia di lui? Doveva dunque entrare in casa proprio a mani vuote?
— Non rispondi? — replicò Oliva. — Oh! se ti ostini, pensa che il Signore ti castigherà. Egli non paga il sabato ma paga sempre.
— Ma perchè ha da castigarmi? In fin dei conti io ho comprato in pubblico e tutti l’han veduto. Se questa roba era vostra — aggiunse con la voce tremante e tutta rossa in viso — era roba di ribelli, e il saccheggio e l’incendio.... io l’ho sentito ripetere alla predica le cento volte.... fu una giusta punizione di cui possono approfittare i sudditi che si serbano fedeli al nostro buon Sovrano....
— E tu, Mariuccia, tu, mia cugina, tu che mi volevi tanto bene, ardisci profferire una sì orribile bestemmia? — gridò la donna indignata. — Ebbene, tienti pure codesta roba: vedrai che ti farà buon pro! Io, nuda e raminga, non vorrei per certo sulla coscienza simili acquisti. Mentre tu dormirai sotto quella coltre ch’è mia, io morirò forse di freddo; ma ogni volta che ti toccherà la pelle, tientelo bene a mente, tu sentirai nell’anima acuto il rimorso! — E corse giù per le scale a precipizio, e presi per mano i suoi piccini, uscì da quella casa pregando Iddio che facesse giustizia.