Sotto l'Austria nel Friuli/Mariuccia/VI. La Signorina

VI. La Signorina

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VI.

La Signorina.


In una stanza riccamente addobbata di un bel palazzo situato sul Traunik a Gorizia, tra i cuscini di una magnifica dormeuse giaceva languidamente cogli occhi semichiusi una persona di nostra conoscenza: la signorina Cati. Le doppie cortine di seta abbassate lasciavano penetrare appena tanta luce da far discernere gli oggetti. Era avvolta in una candida veste di mussolina e due grosse trecce di capelli neri le cadevano sul collo; le braccia abbandonate, le mani e la faccia erano tanto bianche, che se non fosse stato il lieve palpito del seno a palesarla viva, l’avresti presa per la bella donna descritta da messer Francesco nel Trionfo della Morte.

Accanto a lei, in piedi, una giovane fantesca agitava un piccolo ventaglio, ma con tanto riguardo, che non si udiva il minimo rumore; soltanto il tic-tac d’un orologio a pendolo, che in forma di tempietto con due colonne di alabastro, stava sopra un tavolino accostato alla parete, misurava lentamente il tempo. I mobili, le tappezzerie, i quadri, i candelabri, i mille ricchi oggetti che adornavano quella sala erano stati tutti fabbricati a Vienna. Il barone era così attaccato alla Capitale, che voleva venisse di là ogni cosa, perfino le persone di servizio; o facilmente uno se ne accorgeva guardando il busto esile, la forma delle spallo e la tinta biancastra della cameriera che assisteva la signorina. Uno solo di quegl’infiniti oggetti [p. 29 modifica]non era di Vienna. Dinanzi alla finestra, tra i ricchi pendoni delle tende, pendeva in forma di lampada un piccolo vaso di ghisa con entro una pianticella rampicante. Non prezioso nè per metallo, nè per ricchezza di adornamenti, era bensì elegantissimo e nella sua sveltezza e nella sua semplicità ricordava quelle graziose lucerne funerarie, che anche nel Friuli escono talvolta dal seno della terra a farci fede del buon gusto artistico dei nostri antichi. In evidente contrasto con tutti quei mobili sovraccarichi di minuzioso lavoro, finitissimi se vuoi in ogni loro parte, ma pesanti nell’insieme, pareva che esso solo avesse con la signorina ammalata qualche analogia. Infatti anch’ella, pallida in viso, con le trecce disciolte, senza ornamenti, negligentemente avvolta in quella semplice mussolina che delineava con la sua finezza in contorni delle belle membra, anch’ella era bella più che per altro per la purezza delle forme o per quel non so che di armonico e di gentile che traspariva da tutta la sua persona. E un’altra somiglianza pareva che esistesse tra la giovinetta e quella pianticella destinata a vivere lì nella sua camera. Circondate da un’atmosfera artificiale, in mezzo ad oggetti stranieri, erano entrambe come prigioniere. La pianticella nel pallido suo verde stendeva gli esili germogli verso il raggio di luce, che a traverso le persiane e le tende veniva debolmente a visitarla, e pareva si struggesse nel desiderio del suo clima originario, del sole, dell’aria aperta del suo lontano paese. La fanciulla, nella profumata penombra di quel magnifico salotto, pareva anch’ella languire come uccellino in gabbia dorata. Forse sentiva fervido il desiderio d’una più libera vita; forse dinanzi alle chiuse pupille le passavano memorie di altri tempi e di altri luoghi, e [p. 30 modifica]volti di persone amate, e gioie e sogni d’infanzia; forse mentre ella giaceva lì in silenzio con la bella persona in mesto abbandono, la sua anima vagava per i noti luoghi della sua patria, e rivedeva le cime delle sue belle montagne, e respirava l’aria purissima del suo cielo nativo, e nell’orecchio le sonavano come canti le voci del dialetto che primo imparò dalla madre.

Nata su quell’ultimo lembo della terra italiana, laddove due grandi nazioni si toccano e aspettano il giorno di stringersi con affetto fraterno la mano, ell’aveva nella fisonomia l’impronta d’entrambe. Quei due tipi gentilmente confusi la facevano più bella, come i torrenti e le montagne delle due diverse regioni ravvivano ivi e fan più dilettoso il paese. Invano l’avevano da bambina strappata di là per farla educare a Vienna! La capitale con tutti i suoi prestigi, la maestà della Corte che aveva veduto molto da vicino, la vita elegante dell’alta società a cui il barone nel suo orgoglio la destinava, non avevano mai potuto farle uscire dal cuore l’affetto alla sua terra natale. Cresceva malinconica e anemica come pianta tropicale, che a forza di stufe si vuol fare allignare in un clima agghiacciato. Quante volte tra il lusso e il movimento della gran Capitale, ella mesta e raccolta sospirava la patria lontana! Era questo il sogno delle sue notti, il desiderio incessante di tutti i suoi giorni! Ella era legata a quei luoghi anima e corpo, e divisa da essi deperiva. Continue visioni del suo paese, a guisa di grandi quadri, le passavano dinanzi agli occhi dell’anima innamorata e l’avvincevano sempre più tenacemente all’Italia. Un giorno alcune sue compagne la condussero sulla sponda del Danubio a veder la partenza d’un piroscafo. Essa [p. 31 modifica]guardava quell’immenso volume di acque livide che si volgono maestose verso l’oriente; ma d’un tratto le parve d’essere invece a Cividale a contemplare dal ponte gigantesco l’azzurra corrente del Natisone che passa inabissata sotto i due archi ineguali, e vedeva il passo su cui l’ardito architetto non dubitò di basare la superba sua mole; e le sponde screpolate coperte di lunga erba e di cespugli; e le case antichissime che paiono doversi staccare da un momento all’altro e precipitare, e le guglie degli svelti campanili che ricordano con la loro architettura l’epoca longobarda. Le pareva di udire i canti delle lavandaie che inginocchiate sul greto del fiume sbattevano in cadenza i loro panni. Ma di nuovo la scena si cangiava, come avviene nei sogni, ed era sull’Isonzo e vedeva le verdi sue acque correre spumeggiando tra le rive ridenti sparse di pittoreschi villaggi, di villaggi noti, che riconosceva con un palpito sempre crescente; finchè l’infinita ineffabile nostalgia della patria la fece dare in un dirotto pianto.

Un’altra volta, nel tempo delle vacanze estive, passeggiava di sera insieme con lo zio sull’alto dei bastioni. Da una parte stava la rumorosa città con le sue ampie vie illuminate sontuosamente a gaz, affollate di popolo festante, percorse da eleganti equipaggi; dall’altra il silenzio delle fosse deserte e qualche raro lume perduto nel verde degli spalti; più lungi linee di fanali degl’immensi sobborghi, alcuni dei quali si specchiavano nell’onda quieta del fiume. Una nebbia leggiera a guisa di velo trasparente avvolgeva tutta la vasta capitale e lasciava trapelare sovr’essa i freddi raggi della pallida luna. Ella fissò quel disco vaporoso e da un istante all’altro le parve di vederlo brillare dello schietto lume argenteo che illumina le nostre [p. 32 modifica]notti. Ma non era Vienna ch’ei rischiarava; sì bene un’altra città che le si andava spiegando dinanzi all’innamorata fantasia, una città di provincia ch’ella aveva più volte visitato da fanciulletta: era Udine! Era Udine con la sua bella Piazza Contarena, e a quel vivace chiaro di luna, fanciulla vedeva gli svelti colonnami del corpo di guardia, in grazioso contrasto con la fontana e col gotico palazzo del Comune, e sovr’essi, in iscorcio, il castello che si perdeva nell’ampio stellato immensurabile allo sguardo. Oh! ella aveva coll’anima ardente d’amor patrio varcate le Alpi. La pianura del Friuli le stava dinanzi, e ricordò i gentili venticelli che in quella stagione e in quella dolce ora vengono dal mare ad accarezzarla, la freschezza e la pace diffuse nella limpida atmosfera, gli effluvi della terra inumidita dalla rugiada, i canti armoniosi degli usignoli; e un impeto di affetto la riempì di cordoglio. Quella sera si coricò tanto melanconica, che la credettero malata. Ed era di fatto: quel vivo, costante desiderio, ch’ella nutriva in segreto, convertito in passione, agiva potentemente sul suo fisico; e il barone credendo che ne fosse cagione la vita troppo occupata nello studio, la levò di collegio.

La gioia di ritornare in patria produsse salutari effetti: le sue guance ripresero ben presto il loro bel colorito, gli occhi la loro vivida luce, e ridivenne vispa e festosa; tanto che chiunque la vedeva non poteva non ammirarne la delicata simpatica bellezza che in quei giorni aveva raggiunto il suo massimo splendore. Chi può descrivere la contentezza che le irradiava il volto quando finalmente partì con lo zio! La rapidità della locomotiva non bastava al suo ardente desiderio, e guardava con ansia al sole che le pareva s’indugiasse nel suo cammino. La notte, [p. 33 modifica]mentre la maggior parte dei viaggiatori dormiva, ella, aperto il finestrino, contemplava le scintille che uscivano dalla locomotiva, le quali, respinte indietro dal vento, formavano una striscia luminosa, ed era da lei benedetta più della nube che guidò gli Ebrei alla Terra promessa. Quando apparve l’alba, le si spiegò dinanzi la bella vallata di Gratz, che illuminata dal sole nascente si specchiava nelle acque del fiume. A Lubiana udì i primi accenti del suo caro dialetto; e sull’alto del Prevalt le parve di sentire l’aura che veniva dal suo paese.... Oh la patria! la patria!... E il cuore le batteva rapido, le tremavano le ginocchia, e commossa d’infinito affetto lacrimò.

Ma giunta a Gorizia nel palazzo dello zio, dove tutto ricordava la Capitale e dove convenivano i primi signori del paese, i quali si tenevano ad onore di conservare di quella i costumi e la lingua, le parve d’essere tornata di nuovo straniera. Aggiungi, che in quei giorni era scoppiata la rivoluzione in Italia, e Gorizia era piena di militari austriaci che spesso venivano al palazzo del barone, e naturalmente la conversazione si aggirava sempre intorno a truci progetti di guerra e a tristi notizie di sangue, che a lei, malaticcia e delicata, facevano penosa impressione. Non già ch’ella scusasse i ribelli! Semplice giovanetta, nuova nel mondo e avvezza a rispettare l’autorità di chi credeva più istruito di lei, non le passava neanche per la mente di contrastare con le altrui opinioni, tanto più che sarebbe stato un opporsi allo zio, che tanto l’amava, e al quale la legavano la più viva gratitudine e il più tenero affetto. Ma il suo cuore sensibile le faceva sempre provar simpatia per quelli che pativano. [p. 34 modifica]

Quando cominciarono le ostilità, ella vide con spavento tutte quelle orde di soldati avviarsi alla distruzione del suo paese; e i cannoni e le bombe e i mortai e gli altri innumerevoli strumenti che seco trascinavano la facevano raccapricciare. Inorridì al primo rimbombo delle artiglierie, alla vista dei villaggi incendiati. Tutta la notte stette alla finestra a guardare il fuoco, che come se uscisse da tante bocche d’inferno, divampava sempre, sempre più distruggendo il suo amato paese. Oh! s’ella avesse potuto salvarlo!... Piangeva e pregava desolata. Il dì seguente, più morta che viva, la condussero in carrozza incontro alle schiere che tornavano vittoriose.

Gorizia era tutta in delirio. Le vie, le piazze piene di gente, echeggiavano dei più lieti evviva. Affacciate alle finestre, parate a festa, donne eleganti inghirlandate di fiori, sventolavano i fazzoletti. La musica annunziò che gli Austriaci erano giunti alle porte della città. Ella, bianca come una statua e col sangue agghiacciato, guardava quei soldati ancora ubriachi della fatta carneficina e che pure venivano accolti con tanti applausi. Essi passavano, passavano, e in mezzo a loro conducevano una ventina di prigionieri, alcuni mutilati, sanguinosi, e che facevano marciare a colpi di calcio di fucile e a piattonate.... Oh, lo sghignazzare del popolaccio! Oh le beffe e i sarcasmi che piovevano su quegli infelici! Gettavano loro addosso ogni sorta d’immondizie; e vi fu una signora che dall’alto della sua carrozza sputò in faccia a uno di essi.

La signorina, a quell’atto orribilmente inumano, si coperse il volto, e si sentì morire di vergogna. Ella non potè mai più togliersi dalla mente l’immagine di quel giovane italiano, che aveva veduto così in[p. 35 modifica]degnamente e vilmente ingiuriato. Anche molto tempo dopo ne sognava il volto pallido, i grandi occhi neri dallo sguardo fiero ma buono, e i bellissimi denti ch’egli aveva scoperti un poco in quell’ironico sorriso onde parve promettere il dì della vendetta.

Indarno alcune di quelle signore vennero un giorno ad invitarla perchè facesse parte d’una comitiva di Goriziani che volevano accompagnare in segno d’onore le truppe marcianti sopra Udine. Quali che fossero le colpe di quella città, ella l’amava, e fremeva alla sola idea che fosse minacciata. Così più tardi, quando quasi ogni sera una sfilata di carrozze conduceva al Monticello di Medea l’aristocrazia di Gorizia a godere lo spettacolo di Palma bombardata, ella sdegnò di prendervi parte. Quella curiosità le pareva esecrabile. Nei giorni poi in cui venivano festeggiate le vittorie austriache, ella si chiudeva nella sua camera e non si lasciava vedere da alcuno.

Quella malinconia, quel languore dopo la visita di N*** s’erano accresciuti fuor di misura. Passava le intere giornate a letto o abbandonata sulla sua dormeuse cogli occhi chiusi in silenzio. Il barone era in pena continua, e temeva che qualche occulta malattia distruggesse sordamente quella per lui carissima vita. Invano aveva consultato i più reputati medici del paese: la ritrosia di lei, congiunta alle loro disparate opinioni, accrescevano l’imbarazzo. Ora avvenne che proprio in quei giorni capitò a Gorizia un celebre professore del Giuseppino di Vienna, chiamatovi a curare il principe di W***, tornato dall’Italia gravemente ferito, e il barone desiderò di fargli vedere la nipote. A quell’annunzio un impercettibile senso di disgusto trapelò dalla smorta fisonomia della malata; nondimeno accondiscese a farsi visitare, e [p. 36 modifica]composta nella sua apparente impassibilità lasciò che il dottore la esaminasse accuratamente e discorresse lungamente nel suo dotto tedesco con lo zio, senza mai aprir bocca. Egli suggeriva un altro tenore di vita, cioè una vita di moto e di svago, e soprattutto dei viaggi o qualche stabilimento di bagni. Ma dove condurla in quel momento di terribile agitazione politica? In Italia ardeva la guerra e le vie presentavano poca sicurezza; era dunque luogo poco adatto, specie per lei che tanto abborriva ogni sorta di trambusti. Al barone si presentò subito al pensiero l’idea della Capitale e degli eleganti bagni di Baden, ai quali avrebbero potuto recarsi ogni giorno col mezzo del vapore, per le quali corse ella aveva in altri tempi mostrato tanto gradimento. Ma la giovinetta si turbò profondamente, e giungendo le mani supplicava: — Oh! a Vienna no!... Fucilano a Vienna!... — Ed atterrita da feroci immagini di sangue, divenne bianca smorta e tale un fremito le si diffuse per tutta la persona, che ben compresero essere necessario scegliere altro luogo. Quando, partito il dottore, ella fu sola con lo zio, che appoggiato alla spalliera della dormeuse la stava contemplando con accorata tenerezza, ella gli prese la mano e coprendola di baci, esclamò:

— Oh mio buon padre, per pietà, salvatemi voi!

— Ma che posso io fare per te? Parla, angiolo mio! — le rispondeva il barone. E chinandosi sovr’essa aspettava coll’anima sospesa che gli chiedesse magari il suo sangue.

— Andiamo via di qua! — diss’ella — andiamo a vivere nella nostra romita villetta sulle sponde del Natisone. La pace dei campi e l’aria balsamica che vien giù con le acque limpide del torrente mi guariranno! [p. 37 modifica]

— Se lo desideri, noi partiremo anche domani; solamente, bada — soggiunse dopo un momento di pausa — che io non potrò assentarmi per molti giorni da Gorizia, adesso che passano tanti militari.

— Io non vi chiedo un tale sacrifizio — rispose la fanciulla. — Voi partirete a comodo vostro con tutte le persone di servizio: a me basta l’assistenza della vostra buona fattoressa, che mi voleva tanto bene quand’ero piccola. Io voglio mettermi a una vita semplice e affatto campagnuola. Farò con lei delle lunghe passeggiate; se me lo permetterete, uscirò anche qualche volta coi cavalli, e son quasi certa che quando verrete a trovarmi mi troverete risanata. —

Il barone, contento di quest’ultima parola che esprimeva la speranza più cara al suo cuore, le promise di contentarla, ed uscì a dare gli ordini perchè il domani tutto fosse pronto per la partenza.