Sermoni giovanili inediti/Sermone XXV
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SERMONE VENTESIMOQUINTO.
L’OSSERVAZIONE.
Sotto le spoglie di mentito agnello
Spesso la brama dell’ingordo lupo
Gelarsi tenta, invan; chè l’affamata
Gola troppo ne fa pianger le genti.
5Deh! almen si strappi e lacero e confuso
Si calpesti col fango il vello infido,
O lo sperdano i venti. Allor le ascose
Voglie saranno della magra belva
Più del credulo volgo all’occhio aperte;
10Nè il volgo porti per l’inganno antico
L’ossa spolpate e stupida la mente.
O che presumo? d’imbiancar le penne
Forse del negro corvo e farne dolce
Lo stridente gracchiare? o di colori
15Chiamar giudice il cieco, e in agil danza
Sciogliere intorno vacillante il piede?
Nulla io presumo; ma de’ vizi umani
Veraci e molti, e delle false o poche
Virtudi io meco a ragionare imprendo.
20L’error compiango, chè di pianto è degno,
Se il fosco a diradar velo non sorga
Luce benigna; le codarde e vili
Opre disprezzo e le sublimi onoro.
Perchè non basto a fulminar col verso
25La insidïosa e cupa arte proterva,
Che gli umili, pietosi e santi affetti,
Dal basso vaneggiar nostro lontani,
Infinge sì, che più secura appaghi
Le bramose, crudeli e sozze canne?
30Vedi qual torma livida si aggiri
Copertamente per oscure vie
Nodi tessendo avviluppati e torti;
E fuor sbucando con forbita scorza
Lascia, lambendo, luridi vestigi,
35Come lumaca che la corsa riga
Segna d’immonda bava. Oh! se la tocchi,
E da paura la disciolga il loco
Destro ed acconcio e la stagione amica,
Quale ti schizza velenosa rabbia
40Quella torma superba, avara e falsa
Sulla indifesa man, mentre la sciocca
Ciurma s’arretra o tace o il capo inchina.
Di colpe tante e di nequizie il mondo
S’attrista e duole, che il pensier rifugge
45Dal memorarne la cagion riposta,
Le palesi sembianze e i fatti acerbi.
Ma due sorgenti di perenne vena,
Religione e Civiltà, dischiuse
Sono a temprare, ad ammorzare il vampo
50Che di lutto, di stragi e di rovine
Empie la terra, ed una folta nube
Con vortici di fumo al ciel levando,
Del Sol la vista a’ riguardanti invola.
L’una correndo pel diritto rivo
55Così nova d’amor dolcezza piove
Nel recondito petto, e tal gl’ispira
Fede nel bene e nel trionfo speme,
Che le braccia a fraterni amplessi sforza:
E dell’ignoto sagrificio infonde
60Certo ristoro, e di fortezza l’arma
Incontro ai colpi della sorte avversa,
Che senza punta cadono qual dardo
Lieve strisciante sull’opposto scudo.
L’altra, che da lei move e a lei s’attempra.
65Con fecond’acque a ristorar si avvia
I campi adusti, ed all’infermo fianco
Nutre tra le fresch’erbe un verde letto,
E di fertili piante ombre cortesi.
Indi con nova e più robusta lena
70L’uomo ripiglia e il suo cammin raddoppia:
E dagli impacci, che dan guerra al piede,
Lo sgombra sì, ch’ora dai bronchi il purga,
Ora gli scogli dirupanti appiana,
Ora il micidïal stagno converte
75In ridente e fruttifero giardino.
Ma la purezza delle chiare fonti
Ove di belle e nove forme adorna,
Che più cara la fanno e più gentile,
Del ver la faccia limpida si specchia
80Un turpe gregge intorbidar si piace;
Sicchè dalle corrotte onde commosse,
Più che la schietta immagine, si renda
D’immagini sparute e false un vario
Confuso balenar, indi un confuso
85Aspro cozzar fra le smarrite genti.
Tu delle genti misere, che vanno
Dietro correndo alle dipinte larve.
Non ti sdegnar; ma dissipa i bugiardi
Sogni, che parlan come cosa viva
90Alla delusa e sciolta fantasia.
Lo sdegno serba (se piegar rifiuta
La cervice durissima e proterva)
A chi l’esempio, navigando in questo
Mar della vita, segue di colui,
95Che del tranquillo lago il seno turba,
Perchè più folti incorrano gl’incauti
Pesci nei lacci della tesa rete,
Che poscia grave per la industre fraude
Ne tragge, e nove fraudi meditando
100Superbo va dell’agognata preda.
Dal fermento dell’invida semenza
Che all’ombra cresce ad oscurar del giorno
Con maligni vapori il puro raggio,
Quale si colga avvelenato frutto
105Lo vede il mondo, e se nol vede è cieco.
Nasce a quell’ombra e maggior forza acquista
A cento teste effigïato un mostro,
Che Ipocrisia si noma, e dell’impuro
Fiato contaminar osa le arcane
110Volte che sacre a Dio s’ergon sublimi.
Deh! più col lusinghier batter dell’ali
Della solinga vergine non turbi
Le pudiche speranze; e più non s’oda
Di vedove spogliate o di traditi
115Orfani il pianto. Libera e secura,
Come l’anima détta al vero amica,
La parola nell’anima discenda
Interprete del ver fida e ministra.
Nelle profonde viscere la terra
120Un cupo e tenebroso antro racchiude,
Ove d’intorno ad infernal fucina
Ansando, bestemmiando, infurïando
S’affaticano spettri auguicriniti
Ad aguzzar di doppia tempra strali.
125Dell’uno arman la destra a chi nel sangue
Del fratello lo bagna, e scellerato
I moribondi gemiti ne affretta,
E degli sguardi l’ultima scintilla,
Che spenta ancora con sinistro lampo
130Minacciosa e terribile lo insegue.
L’altro porgono a lui, che i vïolenti
Modi non sa colla ferrigna voglia
Accordar finchè tremi il polso imbelle;
E il languido pensier, più che il delitto,
135Il castigo ed il biasimo paventi.
A te (disser gli spettri) a cui non basta
Il core il braccio a perigliosa impresa,
Ecco un dardo sottil, che puoi con ferma
Mano alle spalle altrui scoccar securo.
140Se alla vita perdoni, in parte offendi
Della vita più cara, ed al trafitto,
Che la faccia rivolge e non sa donde
Partisse il colpo, un caldo bacio imprimi:
Sicchè stringer di cari abbracciamenti
145Non l’offensore, ma l’amico intenda.
Tal dall’averno la calunnia uscita
Nel fiele intinge le sue frecce e tira.
A lei portan la gravida faretra
La magra invidia, la viltà superba,
150L’ozio procace, e il tradimento osceno.
Nell’abisso ripiombi ond’ella usciva
La fiera, che dagli occhi fuoco schizza,
E dalla bocca fumo e fiamme spande.
E se pur resti, svergognata e sola
155Resti sè stessa macerando; il tergo
Ognun le volga e alle fallaci note
L’orecchio neghi, e se le porti il vento.
Pochi al misfar, molti al non far proclivi
Sono, ed a questi il pungolo non manchi,
160Che il pigro ingegno e l’infiacchito braccio
Svegli e riscuota. Alle parole scarse
Non ritrosa nè parca opra risponda.
Taluno, ahi! troppo, sè felice estima
Onesto, saggio e d’onoranza degno,
165Quando nei sonni placidi e beati
Protragga i giorni, le moleste cure
Lungi cacciando. Intisichir che vale
Sui rancidi volumi? A che la fronte
Anzi tempo solcar di senil ruga,
170Al riposo comun l’ore sacrando
Al suo proprio negate? Eh! via; chè tanto
Non si richiede al cinguettare arguto
Delle garrule veglie, ove ciascuno
Versa tesor di facile dottrina,
175Che ai frontispizi e alle gazzette attinse.
Purchè agli altri non nuoca, egli contento
Vive pensando come si ritragga
Spesso dal beneficio amaro prezzo;
E come peggio incolga, ove s’incurvi
180Il dorso a sostener l’incarco grave
De’ pubblici negozi. Allor dell’alta
E dell’infima plebe mi romor vario
Intronando ne assorda, e l’importuna
Calca dà ingombro al piede, urta alle spalle,
185Finchè non faccia stramazzare a terra.
Ma per l’ingrata ed orgogliosa razza,
Che d’ogni gentil fior povera e nuda,
La più amena farebbe adorna valle,
Si muteranno in orrido deserto
190Campi festosi e collinette apriche
Popolate d’armenti e di vigneti?
Se dalle parti singole converso
L’occhio si stenda a misurar di quanti
Aiuti salutevoli dispensi
195Il consorzio civil larga mercede,
Come potremo entro all’angusto petto
Premere il volo al natural desio,
Che fuor ne spinge a ricambiare il dono
De’ servigi die il Sol vede e rischiara
200Dalla prim’alba all’ultimo tramonto?
Immemore degli altri, in sè costretto
Ognun si chiuda e serri; e qual di tutti
Sarà la vita solitaria ed egra
Nell’orror della notte, a cui non splenda
205Amico raggio di benigna stella?
Mentre l’un veglia e suda, all’altro dato
Fia di calar la morbida cortina;
E poi che levi sbadigliando il capo,
Muovere il passo neghittoso e lento,
210E senza seminar coglier le spiche?
A quel la doglia e la fatica, a questo
L’ozio e il tripudio. Oh di fraterna novi
Giustizia e caritade ordini e modi!
Uomini son di sentimento privi
215Cui nullo di pietà senso commove:
Aridi tronchi, che il rigor del verno
O il tepido spirar di primavera
Non comprime nè desta. Il duro ceppo
L’onor non piange delle verdi foglie
220Per la nebbia autunnal pallide e manche;
Ma non s’allegra dei crescenti rami,
Che zeffiro soave agiti e impregni.
Al turbine de’ venti il dorso oppone
La squallida, petrosa, immota roccia;
225Mentre l’arbusto tenero s’inchina,
E l’antico frondoso arbor si schianta.
Sfidi l’arido tronco e il duro ceppo
E la roccia incrollabile del tempo
La indomita possanza, io non gl’invidio:
230Ma voi compiango, che in umana veste
Sì dell’inerte fibra e della selce
Ne ritraete, che la rozza scorza
Solo vi manca e la scabrosa scheggia.
Non felici nè miseri: ma vivi
235Pur mai non siete voi, finchè in voi tace
Il raggio dell’eterëa scintilla,
Che all’intelletto guida in alto l’ali,
Ed in foco d’amor l’anima accende.