Sermoni giovanili inediti/Sermone XXVI

Sermone XXVI. Il Compianto

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SERMONE VENTESIMOSESTO.


IL COMPIANTO.




Come le foglie inaridite a mille
     Cader vediamo allor che scarsi e lenti
     Dalla nebbia autunnale impallidito
     Manda suoi raggi il Sol, così le umane
     5Vite a mille pur cadono; chè quanto
     Al mondo nacque a certa morte è dato.
Immemore di questo o paurosa
     Erra la turba che superba o vile
     In vane ambizïose invide cure
     10Miseramente i dì consuma, e tiene
     Più della bella fama il viver caro.
     Chi da viltade o da superbia offeso
     Non abbia il core e l’intelletto, in basso
     Loco l’amore, la speranza e l’opra
     15Cieco non pon, ma gli atti e le parole

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     Del volgo innumerevole sprezzando
     Alla santa del ver luce il desio
     Alza e all’eterna idea, da cui s’informa
     Giustizia e Carità, che l’età nostra,
     20Dal turbine di error mille travolta,
     Odia, rinnega, in bando caccia. Indarno
     Fuor di se stesso l’uom cerca la pace
     Che il mondo toglie, ed a lui porge amica
     La pura coscïenza, onde sostiene
     25La sorda guerra di fortuna rea
     Intemerato e forte. E in Dio fidando,
     Per esso vive, e sa che a lui ritorno
     Farà, se i doni suoi volga e consacri
     A gloria sua. Ma di Dio la gloria
     30Non canta, no, con profanati accenti
     Chi fredda ha l’alma o da contrarie voglie
     Turbata e vinta, e chi langue nel turpe
     Ozio, alla terra inutil pondo e grave,
     O da pazze discordie inebriato
     35Infiammi l’ire de’ fratelli, e il pianto
     Empio e codardo ne derida. Ah! questa,
     Questa non è la legge a noi discesa
     Da Lui, ch’è Padre e Signor nostro, e fece
     Ad immagine sua la sua fattura.
40Il sudor della fronte a noi procacci,
     Ed agli altri spezziamo il pane vero,
     Il vero pane della vita nostra
     Che lo spirto immortale avido cerca,
     Se da malizia od ignoranza il varco
     45Al diritto cammin chiuso non trovi.
     Vive lo spirto in noi dai lacci avvolto
     Delle membra caduche ancelle a lui
     Sovra l’esterne cose a regnar nato
     Con incessanti sforzi e coll’alterno

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     50Di conforti ricambio, onde ciascuno
     L’un l’altro aiuti a sopportar la croce
     Ai nostri omeri imposta; affinchè degni
     Il soffrire magnanimo, la fede
     Salda nel bene e l’operoso amore
     55Ne renda dell’eterna aurea corona
     Che Dio riserva ai popoli redenti.
Chi nel senso mortal vegeta e cresce
     Quasi animata pianta, e in sè la pura
     Arder non sente angelica favilla,
     60Che la mente ed il cor agita e inspira,
     Se il fango lasci, ch’egli chiama vita,
     Crede e teme morire, e mai non visse.
     Ma chi le fuggitive ore segnate
     Al terreno suo corso, umile e pio,
     65Senza ipocrite larve a Dio sacrava,
     O l’ingegno o la mano affaticando
     In provvide severe o industri cure,
     Ed agli altri porgendosi benigno
     D’opra e consiglio; con sereno volto
     70China alla morte il capo, e scioglie il volo,
     Da superne speranze avvalorato,
     Dove comincia la seconda vita.
     E vivendo nel cielo, in terra lascia
     Una mesta e soave rimembranza,
     75Che a morte fura il desïato nome
     Sculto nei freddi marmi e più nei petti
     D’amore accesi e di pietà; chè tarda,
     Ma certa spesso dell’ingrato mondo
     È la pietà che le virtudi onora
     80Di quanti, agli altri più che a sè devoti,
     Trassero i giorni faticosi ed egri,
     Nell’adempiuto ben solo conforto
     Quaggiù trovando, pria che nell’angusta

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     Cerchia le trepidanti ossa sepolte
     85Una votiva lagrima consoli.
Tale è l’umana razza, che gli estinti
     Piange e il calice amaro appresta ai vivi
     Per compiangerli poi. Così permette
     Il benigno Signor nel suo secreto
     90Perchè nostro intelletto in alto l’ali
     Sollevi, e l’alma pel dolor temprata
     Nella pugna del mal vinca secura.
     Non per questo vorrai meno lodato
     Di esequie ricordevoli il costume
     95E l’onor de’ sepolcri; chè dal sacro
     De’ tumuli silenzio esce una voce
     Che parla ai vivi, e a meditar gli sforza
     La vanitate dell’umana polve,
     E a ripensare il verbo di Colui
     100Che mai non falla. Oh! qual dolce mestizia
     E puro affetto all’uom, che crede e spera
     Ed ama, in cor risveglia de’ sepolcri
     La vista, e come orribile si rende
     A quello che d’amor privo e di fede
     105E di speranza, a Dio vôlte le spalle,
     Ha di sè fatto, bestemmiando, un Dio!
Che se dintorno alla funerea bara
     Ascolti mormorar la pia preghiera,
     S’arretra e fugge, e sull’impuro labbro,
     110Avvezzo a maledire, arresta il suono
     Dei sacrileghi detti, onde alla terra
     E al cielo insulta. A lui plauda e compiaccia
     Il servo gregge, che gli fa corona,
     Adulando alle colpe fortunate,
     115Finchè dal peso la bilancia vinta
     Dell’eterna giustizia ne tracolli.
     Fortunate talor sono le colpe

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     Ma felici non mai; chè del rimorso
     Inesorabilmente le castiga
     120L’acutissimo dardo, e, più tremenda
     Della morte, l’infamia. A questo vero,
     O gente sciocca dispettosa e dura,
     Guarda, e t’accolga Iddio nel suo perdono
     Come a te stessa andrai pace gridando,
     125E pace al mondo che sospira pace.
Oh! quante volte ripensando ai tristi
     Umani casi da vergogne mille
     Contaminati e mille, io degni estímo
     D’invidia i morti e di compianto i vivi.
     130Doloroso compianto! e pur non temo
     Che l’antico avversario al ben prevalga
     Eternamente nella lotta acerba.
     Nè fia che la diletta unica speme
     Mi lasci, e prego che le stanche menti
     135Conforti di vigor novo. Ma dove
     Di pensiero in pensiero errando il mio
     Melanconico verso mi trasporta?
     Pace agli estinti e ai vivi io dico, e parmi
     Che in buia solitudine la fioca
     140Voce non si dilegui. Abbiti pace,
     O tu che nella fredda urna riposi;
     E pace abbiate voi, quanti riscalda
     L’alma luce del Sole ad altro nati
     Che a lacerarvi e a maledirvi insieme.
     145Deh! non falli l’augurio, e le fraterne
     Ire domate nei fraterni petti,
     Benediciamo a Lui, che fra le spine
     Di pudico rossor pinge la rosa,
     E per aspro sentiero il giusto e il forte
     150Del sempiterno Amore al bacio invita.