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204 sermone ventesimoquinto.

     Che spenta ancora con sinistro lampo
     130Minacciosa e terribile lo insegue.
     L’altro porgono a lui, che i vïolenti
     Modi non sa colla ferrigna voglia
     Accordar finchè tremi il polso imbelle;
     E il languido pensier, più che il delitto,
     135Il castigo ed il biasimo paventi.
     A te (disser gli spettri) a cui non basta
     Il core il braccio a perigliosa impresa,
     Ecco un dardo sottil, che puoi con ferma
     Mano alle spalle altrui scoccar securo.
     140Se alla vita perdoni, in parte offendi
     Della vita più cara, ed al trafitto,
     Che la faccia rivolge e non sa donde
     Partisse il colpo, un caldo bacio imprimi:
     Sicchè stringer di cari abbracciamenti
     145Non l’offensore, ma l’amico intenda.
Tal dall’averno la calunnia uscita
     Nel fiele intinge le sue frecce e tira.
     A lei portan la gravida faretra
     La magra invidia, la viltà superba,
     150L’ozio procace, e il tradimento osceno.
     Nell’abisso ripiombi ond’ella usciva
     La fiera, che dagli occhi fuoco schizza,
     E dalla bocca fumo e fiamme spande.
     E se pur resti, svergognata e sola
     155Resti sè stessa macerando; il tergo
     Ognun le volga e alle fallaci note
     L’orecchio neghi, e se le porti il vento.
Pochi al misfar, molti al non far proclivi
     Sono, ed a questi il pungolo non manchi,
     160Che il pigro ingegno e l’infiacchito braccio
     Svegli e riscuota. Alle parole scarse
     Non ritrosa nè parca opra risponda.