Sermoni giovanili inediti/Sermone II
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SERMONE SECONDO.
L’ECONOMIA SOCIALE.
Forse m’accingo a temeraria impresa,
Col fioco verso ricordando in parte
Quale dall’economica sentenza
Vero discenda a far chiaro alle genti
5Come nasca, s’accresca, e si propaghi
Quella fonte gentil, che di ricchezza
Il nome s’ebbe. Da quel nome sorse,
D’invidia obbietto e di rampogne amare
E di cupide voglie e fatti acerbi,
10Tale un error, che all’intelletto offesa
Recò più volte nelle dotte carte,
Ove l’ordine arcano a noi riveli,
Che la divina Provvidenza impose
All’alternar delle fatiche umane;
15Sì che l’opra de’ singoli risponda
Al ben di tutti. Dell’ignaro volgo
Le voci note indarno a sensi novi
Volger presumi allor che delle cose,
Che anco del volgo pungono il desio,
20Onde la lingua al favellare è pronta,
La riposta cagione e il vario intreccio
E gli effetti mirabili discopri
A servigio comune. All’arduo tema
Del tuo volume fuggono le incerte
25Timide schiere; e la maligna turba,
Cui giova più della volubil nebbia
Una immota caligine profonda,
In suo secreto gongolando coglie
Frutti non tocchi, e altrui serba le fronde.
30Già de’ sofisti la mendace scuola,
Fantasticando colla mente inferma,
Su cardini librar novi presume,
E a nove seste ricomporre il mondo;
Onde alla plebe povera e delusa
35Il dinegato farmaco prepari
Che da lunga stagione attende e spera:
E la sentenza tua, quasi nemica
E ad ogni senso di pietà restia,
Accusa e danna con maligno riso;
40Poichè a giustizia e a libertà divoto
Serbarne intendi invïolato il dritto;
E i pazzi sogni e le lusinghe false
Ed i conati miseri sprezzando,
In esse poni la speranza cara,
45Che poi di bella carità si adempia.
Ma di più antica e livida congrega,
Che in basse note mormorando anela
Ai facili guadagni, e in un contende
Agli altri il passo nel serrato campo,
50Udrai di nove e flebili querele
Intronarti gli orecchi. A un lieve soffio,
Che del ramo spiccar l’aride foglie
Appena accenni, pallida e tremante
O accesa in volto di fallace zelo
55Accorre e grida All’arme, all’arme, all’arme,
Per la difesa delle patrie leggi
E per l’augusta maestà degli avi,
A cui guerra s’indice incauta od empia
Dai cervellini torbidi, e digiuni
60Del senno nostro, che di senno antico
E lunga esperïenza si suggella.
O di zucche vuote, o sol del vento piene
Di lambiccati e frivoli sistemi,
A che sull’ali del pensier volate
65Dietro l’infido balenar di un raggio
Di novitade, che a novelle brame
Gl’irrequïeti popoli ridesta?
Ed a più ardite prove apre la via,
Sì che crollando la superba mole
70Degli ordini vetusti infranta cada? —
Oh! sapïenza, che (se al detto credi)
Salvar presume la sdruscita barca
Mentre le aggrava più l’infermo fianco;
Talchè in fondo precipiti dell’acque.
75Chi dalle viete usanze o dalla norma
Mutabile de’ casi, o da segreto
Studio di parte il suo consiglio prende,
Al lume di ragione il guardo chiude.
Spesso il pubblico ben vanta chi cela
80Ben altro in petto, e con accorti giri,
All’ombra delle leggi, a poco a poco
La cieca moltitudine dispoglia.
Altri le turbe, invidïando, incalza
A ristorarsi delle lunghe offese,
85Quasi carpendo le carpite prede.
Dal fondamento tremano commossi
Del consorzio civile i primi e veri
Saldi sostegni; e di cui fia la colpa?
Non già di chi la voce nel deserto
90Per lunga etade al vento disperdeva,
Questi spregiati moniti dettando:
Nasce l’uomo al lavor come l’uccello
Al volo nasce; è stimolo il bisogno,
E degno premio il godimento certo,
95Che la speme rinfranca e il petto allegra.
Diversamente il ciel nel vario clima
Ai varii ingegni i suoi doni comparte,
Perchè libero ognuno all’opre intenda,
A cui l’appella l’indole nativa
100Della mente e del loco, e agli altri porga,
Da nodi indissolubili congiunto,
E servigio maggiore insiem riceva.
Poiché tacque la fame, alle ribelli
Forze non siamo di natura schiavi;
105E il culto ferve dell’eterna idea,
Che a non mentita civiltade è madre.
Se per volare a me tarpi le penne,
il varco chiudi sì che al segno arrivi
Solo chi va col pie lento di piombo;
110a me divieti i facili compensi.
Di mie fatiche dimezzando il frutto
A ristoro di chi nell’ozio dorme;
Oh! dall’eterna idea quanto discorda
A’ danni nostri il pubblico decreto.
115Che di fraudi si fa ministro e duce.
Indi le invidie bieche e il mal celato
Odio e l’opinion falsa e bugiarda
Nel volgo inconsapevole fomenta,
Che in alto guarda e susurrando aspetta
120Che la pioggia conversa in oro cada.
Il volgo sappia, e l’infinita schiera
Che gli oracoli suoi dispensa al volgo,
Che spesso, ahi troppo! l’ignoranza è madre
Di colpe, di vergogne e di sciagure;
125Sappia che all’ozio la viltà consegue,
La miseria, il delitto; e sappia come
Dai padri ai figli e ai memori nepoti,
Quasi ruscello di feconda vena,
Integro passi il prezïoso acquisto,
130Che di protratte veglie e lungo amore,
Di accorto ingegno e vigile risparmio
È frutto certo e ricompensa degna.
Finche giovi di tacite rapine,
Senza tema di ceppi e di mannaia,
135Vivere i giorni neghittosi e lieti
Sotto l’usbergo di una legge insana,
Che anco l’infamia ed il rimorso attuta;
Le tenebre cacciare indarno speri,
Onde s’infosca questa notte tetra,
140Senza che da più lati a te le spalle
Feriscan dardi nel veleno intinti.
Altri minaccia traboccar nell’ira
Forte tonando, simile a colui
Che a pieno gozzo predica il digiuno,
145Contro la rinnegata arte o scïenza,
Che di profana e misera ricchezza
Maestra è fatta. Di parole vane
Cessi il vano garrire; e maledetta,
Non che spregiata, ai posteri trapassi
150La memoria di lui che al mondo insegni
Ciò sol che il senso tocchi, aver per Dio.
O rigido censor, dimmi (se il libro
Oltre la prima pagina leggesti
Che il nome porta di ricchezza in fronte),
155Dimmi in qual parte le tue caste offende
Orecchie? Bada all’intima sostanza
Della scïenza più che al magistero
Incerto e scarso delle menti umane,
Da cui nulla scïenza od arte uscio
160Matura a un tratto, qual del capo a Giove
Armata uscì la vergine Minerva.
Finche il mancipio, vil bestia da soma,
Fremè dannato ai colpi della verga,
E furon l’arti misero retaggio
165Ed abborrito dello schiavo armento;
Od il livido servo e bieco, al piede
Le sue catene lento trascinando,
D’infecondo sudor bagnò la gleba;
O l’ignudo vassallo al suo signore
170Offrì tributo delle notti insonni,
L’acqua battendo a discacciar la rana,
Che dell’alto signore i lunghi sonni
Coll’importuno gracidar turbava;
Forse poteva balenare il raggio
175Che ora ne guida a rintracciar la via,
Ch’entro la cerchia delle industri prove
Iddio segnava ai popoli diversi?
Mutano i tempi, e mutano le forme,
Ma il cieco istinto e la fidanza dura
180Di chi a potenza e a nobiltà di stato,
II suo vicino dispogliando, agogna.
Ai sanguinosi e barbari conquisti
Succedetter le barbare tariffe
Non sempre, il credi, d’uman sangue monde.
185Disciolti i ceppi del servaggio antico,
E le merlate torri al suol cadute,
Una larva famelica d’intorno,
Che monopolio o privilegio è detta,
Copertamente aggirasi, le vene
190Senza pietà succhiando e senza posa.
Contro la guerra dell’error la pugna
Breve non è, se a verità contrasta
Dei costumi, del tempo e di fortuna
Il prepotente imperio. Al tuo volume
195Ricorro e noto, che la sua dottrina
Sempre a giustizia e ad onestà si attempra,
Sia che l’ingorde larve in bando cacci,
O dell’emule gare il varco additi;
Sia che l’inerzia molle o l’importune
200Spese condanni e gli avidi tributi;
O sia che i danni a prevenire insegni,
Onde una turba misera si duole
Senza lume e consiglio e senza guida;
O ricordando alle discordi genti,
205Come necessità prima maestra,
Indi l’uso civile a certo pegno
Di aiuti vicendevoli le sproni,
Mostri che è stolta e scellerata impresa
Fondar sua speme sull’altrui rovina.
210Così ragiona la sentenza nostra,
Che tutta abbraccia la famiglia umana,
E dell’alpe e del mare oltre varcando
Gli opposti segni, ha per confine il mondo.
Sì, l’umana famiglia e il mondo io dissi;
215E del mio dire il vero manifesto
Fan del lavoro il pregio e la possanza,
L’alterno cambio e il variato uffizio
Dell’ingegno, dell’arte e di natura,
Che ad ogni novo tremolar di stella
220A se medesma egual mai non sorride.
Se più che al loco e all’uom, guardi all’obbietto,
Entro a più angusto limite si chiude
L’industre studio, onde il principio vero,
Ed il concerto armonico mi sveli.
225Ma di scïenza il titolo si nega
Indarno all’economico problema,
Che l’occulta ragione ed i palesi
Effetti e il naturale ordine indaga
E scopre e spiega dei commerci umani.
230L’arte, che andò vagando a caso in pria,
Allo specchio di lei si riconsiglia
A poco a poco, e le sue leggi scrive.
Alla scïenza l’arte si marita
Nella pagina stessa, allor che giova
235Che all’astratto pensier l’esempio parli.
L’una si aiuta delle sue sorelle
Al par dell’altra, nè il dominio usurpa
Serbato a quelle con diverso metro.
Fede, giustizia, libertade e pace
240Vi chiede, o regi, nè lo scettro vostro
Osa temprar; chè a più sublime sfera
De’ popoli e de’ regi il patto è scritto.
Dell’ozïoso improvvido costume
Si lagna, e vede che alla colpa dietro
245Corre la pena; ma tacendo prega,
Prega che il sacro foco intorno avvampi
E le menti rischiari e i petti accenda.
Vola la nave al desïato lido,
Nove merci recando a genti nove:
250A te giova saper come l’offerta
Adeguisi al bisogno; e ad altri come
L’ago si volga al vedovato polo,
Ed al nocchier fra l’onde il corso additi.
L’acqua gorgoglia entro al bollente rame
255Nel vapore mutandosi, che a forza
Compresso, a poco a poco entra con furia
Pel sottil foro nel capace tubo,
Su e giù spingendo l’agile rotella,
Che in alto e in basso per l’un capo spinge
260E tira l’asta in bilico sospesa.
Che scende e sale dall’opposto capo
Alla sua volta premendo e levando
Il penzolante braccio, a cui si affida
La manovella che alle rote imprime
265Infaticabil moto; e in un con essa
La poderosa macchina si move,
Che cento e cento indomiti cavalli
Con incessante foga adegua e vince.
L’altera meraviglia il guardo abbaglia,
270sinistri presagi al volgo adduce.
Tu dissipa l’error, tu la speranza
Nell’alma infondi, e a benedir conforta
Agli ardimenti dell’umano ingegno.
Alla nova possanza, ai novi doni.