Sermoni giovanili inediti/Sermone I
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SERMONE PRIMO.
INTRODUZIONE.
Se non degni guardar, ma passi e taci,
In che m’offendi? Dell’oscuro nome
Nulla ti cale, e del non chiesto dono,
Che cade come goccia d’acqua cade
5In traboccante e torbida fiumana,
E travolta dileguasi con essa.
O punto forse da pietà gentile
Le mie cure compiangi indarno spese
Nel rivestir di numeri sonanti
10Ardui concetti, ardimentosi e gravi,
Degni di miglior vena e d’altro stile.
Al benigno lettor venia si chiede
Fin dalla prima pagina del libro,
Che il benigno lettor forse non legge.
15Ma nol condanni, o sè medesmo a torto
Più ch’altri offende. Chi varcar le soglie
Di mia magion ricusa, ospite mio
Non chiamerò; nè chi dentro vi stampi,
Da ignota parte penetrando, l’orma
20Tacito, lento, avvolto in bianco lino,
Ad aperti occhi con pupille immote
Infermo sognator, che tutte affisa
Ad una ad una le segrete stanze:
Par che vegli e che guardi, e nulla vede;
25Ma benchè dorma, e a caso il passo muti,
Un tremito mi fa correr per l’ossa.
Altri, vegliando, di un dipinto vetro
Le luci s’arma, e colorate in giallo,
Come colui che d’itterizia langue,
30Mira sprezzando le diverse cose,
Che rifrangon del Sol raggi diversi.
Qui del lettor la favola ragiona;
Ma di chi scrive e allo sbadiglio invita
Le note istorie ricordare è vano.
35Nè l’uffizio di giudice severo
S’addice a me, che volontario ai colpi
Di sentenza fatal chino la fronte.
Quali discolpe con blandizie false
Andrò cercando a guisa di mendico,
40Ch’umile in vista il non merlato pane
Chiede, ed afferra con superbo piglio?
O se il dineghi, guata biecamente
Come a carpita ed agognata preda,
E al tuo rifiuto bestemmiando impreca?
45S’altri turi le orecchie e poi percota
Nulla giova il gridar: batti ed ascolta.
Al chiaro Sol le dispiegate carte
Mute saran, se il sonito di tuba
Non desti a riguardar? Il lucid’oro
50Della celeste vampa ai raggi tratto
Novo acquista fulgor: luce non dánno,
Ma pèrdono di luce ogni vestigio
Le vane lucciolette, appena albeggi.
A chi non vede, ogni tuo lampo è scarso;
55E l’infido bagliore il guardo appanna,
Turba o irrita alle veggenti schiere.
Ma quale a poetar voglia ti punse? —
Breve rispondo. Di poeta il vanto
Chi al raggio nacque di benigna stella
60S’abbia; o la turba garrula ne usurpi,
Affaticando l’eco lamentosa
Con vuote ciance venerando il nome.
Fosse elezïon, fosse ventura,
La cara memoria di quei giorni
65Quando la giovinetta anima apprende
A palpitar per l’itala canzone,
Od altro fosse io non dirò. Con verso
Languido e sciolto vo significando
Ciò che più nella mente entro mi suona
70Allor che il vezzo od il cortese invito
A far m’appella di lontan tenore
Debole e fioco agli alternati canti.
Di pedestre sermone il metro tenni;
Deh! l’ombre mi perdonino de’ padri,
75Che fur duci e maestri; e al metro imposi,
Od alla intenzïon, nome conforme.
Nè di verbo garrir piacquemi, ignaro
Benchè non fossi (e l’ignoranza fòra
Di scusa indegna) omai, che più dell’opre
80E delle cose il titolo si pregia.
Togli i nomi ed i ciondoli, che resta?
Ma della scorza e delle incise note,
Che al popolo non fan dolce richiamo,
Se non gravi il tacer, tacciasi. Quale
85Ne fia il midollo e l’intima sostanza?
E quale il frutto, che allegar non faccia
Il dente pel savor agro, e diverso
Pur nell’agrezza sua? Leggi, se tanto
Di speranza o timor recano i fati,
90Leggi e risolvi. Ne t’ascondo il mio
Recondito pensier, che gli altri avanza,
Fra le discordi imagini seguendo
L’imagine d’un ben che mi sorride,
E a un mesto sospirar anco mi sforza.
95Di alteri vanti e di rampogne amare
E di frementi grida odi un confuso
Rumoreggiar, che da contrarie parti
T’introna sì che non discerni il vero. —
Dunque dal bene al meglio il mondo corre,
100Anzi vola e precipita? — T’inganni.
Dal male al peggio va precipitando,
Altri ripiglia; che non basta il piede
Al correr, nè al volar bastano l’ali.
Oh! chi recide di cotanta lite
105L’avviluppato nodo, che reciso,
Novellamente aggruppasi con mille
Intrecci novi, varïati e strani?
Di sofistiche scole il mondo è pieno;
E chi nol sa? Ma timida e schernita
110La verità nel mezzo siede, e parla
Cose d’eterna ricordanza degne.
Dato a me fosse di ritrarne in parte,
Dietro la scorta di fidato lume,
I candidi responsi. È dell’Eterno
115Legge, che il corpo all’intelletto serva;
Che allo spirto immortal serva la morta
Volubile materia; e che di polpe
Insieme e d’ossa e d’anima temprati,
A doppio di bisogni ordine certo
120Soggetti siamo. Sulla cima stassi
Il nobile desio, che spande l’ali
Oltre la polve che si preme e calca.
Ma di scherzoso zeffiro, che spiri
E lamba e fugga, non si pasce il nostro
125Senso vitale; e l’affamato ventre
Troppo contende il bene, e il mal consiglia.
Al duplice problema indi rivolgo
Questi che t’offro, di pungente sale
Ad ora ad ora aspersi, umili carmi.
130Un gregge innumerabile nel fondo
Tutto s’ingolfa di letal palude,
Misero, e cieco e di speranza privo.
Il fremito già n’odi, e già paventi
Che fuor sbucando con foga improvvisa
135Empia il mondo di stragi e di ruine.
Infelice presagio! Argini e dighe
Non conterran la piena furïosa.
Se minacci, se incalzi, e si rovesci
Nei sottoposti campi, e i solchi lieti
140Copra d’un monte d’infeconda arena.
Altero fiume ognor più ricco d’acque
Per ampio letto volgasi alla foce,
Le sue sponde baciando. Alla crescente
Onda di altero fiume il popol folto
145Simile è in parte. Invan pace chiedendo
Andrà con fioca voce e paventosa,
Finchè giustizia e libertà non regni
In tutte cose; e noi, credula razza,
Alle querele pronti e all’opre tardi,
150Non ci scotiam dal sonno, e non siam vivi.