Sentenza Tribunale di Milano - Caso Mills/3.2
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Il 7 novembre 2004 Mills si presentava spontaneamente ai Pubblici ministeri della Procura della Repubblica di Milano. Informato che si procedeva nei suoi confronti anche per i reati di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, depositava una memoria, datata 6 novembre 2004, dichiarando “di essere disponibile a fornire alcune delucidazioni in modo informale sul contenuto della memoria ma non a rendere interrogatorio formale”: acquisito il documento, “non potendosi procedere all’acquisizione di dichiarazioni informali” il verbale veniva chiuso1.
Allegate alla memoria erano le copie dei documenti bancari relativi, a dire di Mills, alle movimentazioni descritte; delle parcelle emesse a carico di Fininvest a partire dal 1996 (per circa 45.000 sterline complessivamente); dell’estratto parziale del suo conto corrente presso CIM.
Nella memoria si legge che Mills riteneva necessario rendere “delle doverose precisazioni” in ordine alle questioni trattate nel corso dell’interrogatorio, ed in particolar in relazione al Torrey Global Offshore Fund, alla “verità” delle sue precedenti testimonianze, ai suoi “rapporti professionali, finanziari e in via di amicizia con il personale della Fininvest”, più in generale alle accuse di concorso in frode fiscale e riciclaggio.
A rettifica di quanto in precedenza dichiarato, affermava di aver ricevuto 650.908 dollari non da Carlo Bernasconi ma da Diego Attanasio, suo cliente ed amico. La somma, parte del maggior importo di 2.050.000 dollari, proveniva dalla Banca Mees Pierson (Bahamas). Il danaro, fino al 21 ottobre 1997 depositato sul suo conto personale, veniva in quella data inviato “a dei legali/società di trust in Gibilterra”, e poi “gli stessi soldi” arrivavano sui conti di Struie, che non riceveva altre rimesse in denaro sino al marzo del 1998, quando su un conto appositamente aperto in lire italiane venivano depositate somme di pertinenza di Flavio Briatore, altro cliente dell'imputato.
La richiesta di informazioni da parte del fisco inglese rendeva necessario a Mills fornire adeguate spiegazioni in ordine alla fonte dei propri redditi: gli era infatti apparso “subito evidente” che l’indagine “sarebbe arrivata prima o poi all’origine dei proventi Torrey, che con bonifici diretti sui miei conti correnti inglesi avevo, in gran parte, utilizzato per i costi di vita”. Riteneva quindi opportuno rappresentare alle Autorità fiscali la natura di regalia della somma in contestazione, al fine di evitare la sua sottoposizione a tassazione quale onorario per prestazioni professionali. Per questo motivo aveva contattato Bob Drennan e gli aveva consegnato la lettera del 2 febbraio, in cui aveva inserito “molti dettagli circostanziati con lo scopo preciso di chiedere un parere”.
“Per una ragione, all'epoca, di mio scrupolo che oggi faccio in parte fatica pure io a comprendere, avevo ritenuto opportuno occultare il nome del soggetto che effettivamente mi aveva corrisposto la regalia ed al suo posto avevo individuato un altro mio amico, Carlo Bernasconi che ritenevo altrettanto credibile come fonte del regalo. E’ inutile aggiungere che non mi sarebbe venuto mai in mente che Drennan potesse decidere di trasmettere, su mia insaputa, la lettera. Probabilmente Drennan si è ritenuto obbligato in tal senso, immagino perché era stato precedentemente soggetto di un ordine di produzione di documenti da parte dello SFO”.
L'imputato dichiarava di esser stato “a lungo combattuto sull’opportunità di rettificare” la lettera, sia al fisco inglese sia ai P.M. italiani; li informava che, successivamente all'interrogatorio del 18 luglio 2004, aveva avuto un nuovo incontro con gli ispettori del fisco, e non era riuscito a persuaderli del fatto che, “a prescindere dall'identità del presunto donatore”, “i proventi Torrey potessero considerarsi come una donazione”. Aveva accettato quindi di pagare le relative imposte.
Era “così venuta meno ogni ragione” di “sostenere una tesi non credibile” e poteva “rappresentare la pura semplice verità riguardo all'origine delle somme”.
Negava quindi di aver percepito regalie od altre somme di denaro che non fossero compensi professionali da parte del gruppo Fininvest e/o di Berlusconi.
Riaffermava di aver sempre detto la verità nelle sue testimonianze, “salvo gli inevitabili vuoti di memoria”. Aveva deposto lungamente nel dicembre 1996 e nel 1997 davanti al dottor Greco: “quei verbali erano veritieri sotto ogni aspetto e non sono mai stati contestati; lo stesso vale per le testimonianze rese in Tribunale a Milano”. Era per lui stata una brutta esperienza, e la sua “onesta testimonianza” aveva fatto sì che i suoi “anziani amici” lo considerassero un “traditore” [tra virgolette nel testo], benché non avesse compiuto alcun illecito né sapesse che i suoi clienti lo avessero compiuto.
Ammetteva solo di non aver attribuito correttamente la proprietà di Universal One e Century One, dichiarando che erano di Arner, ma questo non perché glielo avesse detto del Bue quando aveva prelevato i documenti delle società da Edsaco. Così anche quanto ai trusts fatti nel “1991 per Volcameh e l’altra società”: non si ricordava di averli creati. La creazione di un trust era una attività di routine e non aveva memoria di quelli sui quali era stato interrogato, che aveva creato ma di cui non si era più occupato, per tredici anni. “Sono conscio del fatto che un vuoto di memoria può apparire come un tentato inganno, ma non era così.”.
Dichiarava che con l’espressione “tricky corners”, usata nella lettera a Drennan, non intendeva riferirsi “a bugie o reticenze, ma al fatto che non ho mai dovuto rispondere in modo dettagliato ad alcune delle questioni postemi. Mi riferisco, in primo luogo, al preciso contenuto della mia conversazione con il Dottor Berlusconi in occasione del mio incontro con lui ad Arcore nell'estate del 1995; in secondo luogo, al contesto storico/ambientale in cui mi sono reso disponibile a prendere responsabilità per la società Horizon. L’una e l’altra questione, correlate, sono state oggetto di un interrogatorio più che sommario davanti a Greco ed in Tribunale”.
Egli, nel novembre 1996, si era recato dal P.M. Greco temendo di non esser considerato un professionista “che aveva reso soltanto delle prestazioni professionali” ed aveva reso dichiarazioni spontanee, senza avvertire i suoi clienti di Fininvest, che avevano “soddisfatto” il P.M.
I difensori degli imputati, nel corso dei processi in cui egli aveva deposto, avevano contestato che potesse assumere la veste di testimone anziché di imputato, manifestando “una forte animosità” nei suoi confronti. Vanoni e Messina “fecero persino fatica a salutarmi”.
Dopo il 1996 aveva avuto contatti, non frequenti, con il solo Alfonso Cefaliello (che non era imputato), responsabile del reparto offshore di Fininvest, in relazione alle attività di quelle società. Con Candia Camaggi aveva avuto sporadici contatti, di natura solo amichevole.
Aveva visto Vanoni solo per mezz’ora una volta a Londra nel 1999.
Mills dichiarava di aver “già avuto modo di fornire le dovute spiegazioni al fisco inglese” rispetto all’importo di 144.000 sterline, risultante dal suo conto presso CIM e pervenuto dal conto clienti di Withers, accantonato “su mia iniziativa, al fine preciso di far fronte agli inevitabili costi che le diverse procedure giudiziarie in corso avrebbero inevitabilmente comportato”.
Aggiungeva di non aver alcuna pendenza in corso con il fisco inglese in relazione a somme ricevute da Fininvest, con cui aveva avuto solo rapporti di natura professionale, da cui “non era mai stato addomesticato o <comperato>”.
Ribadita l’insussistenza delle accuse di frode fiscale e riciclaggio, specificava di aver costituito attraverso CMM “un complesso sistema di trust e società”, fra cui Principal Network, Century One e Universal One, che però non aveva mai gestito, e rispetto alle quali non aveva mai avuto poteri decisionali, pur avendo firmato alcuni contratti di compravendita di diritti, senza pensare che potessero essere anomali né conoscere il loro uso effettivo.
Non aveva neppure concorso alla indicazione di costi fittizi nei bilanci di Mediaset, rispetto ai quali non aveva alcun ruolo; non aveva più prestato attività per Fininvest dopo il 1996; non aveva mai percepito di partecipare alla commissione di attività illecite; non aveva mai avuto a che fare con la gestione dei conti da cui erano state sottratte ingenti somme (fatto alla base dell’accusa di riciclaggio), avendo solo firmato un atto formale di procura a favore di Del Bue, che su quei conti agiva uti dominus. Il giorno 8 novembre 2004 Mills inviava allo SCO di Bristol una nota2 in cui confermava di riconoscere la sottoposizione a tassazione “del denaro del Torrey Global Offshore Fund” e dichiarava che “la persona coinvolta”, vale a dire l’autore di quella che egli aveva considerato una donazione, “non era Carlo Bernasconi, ma un altro cliente, il cui nome ero allora ansioso di tenere celato: Diego Attanasio, che era anche il principale contatto della Struie Holdings”.
Proseguiva augurandosi che di non aver così sminuito l'accuratezza e la completezza della propria relazione depositata il 2 settembre.
Nei giorni successivi Sue Mullins inviava allo SCO la documentazione relativa ai conti bancari che era stata richiesta.
In data 14 dicembre 2004 tra l'ispettore delle tasse e Mullins intercorreva una conversazione telefonica di cui veniva redatto apposito verbale. L’ispettore informava il consulente fiscale che “i recenti sviluppi avevano sollevato dei problemi”, sia perché erano emersi conti correnti non dichiarati, sia perché Mills aveva reso nota la provenienza del danaro da Diego Attanasio invece che da Bernasconi. Correva pertanto l’obbligo per la commercialista di verificare “le spiegazioni non documentate” di Mills.
L’ufficio aveva sperato in una “solerte collaborazione” per giungere ad un accordo in tempi rapidi, aveva perciò “organizzato velocemente la riunione per il 22 luglio 2004”, ma “aveva passato la maggior parte del suo tempo ad ascoltare una storia raccontata dal sig. Mills che si era rivelata essenzialmente falsa”. Mullins, diceva l’ispettore, “aveva fatto del suo meglio per velocizzare l'analisi” di una relazione che poi si era rivelata incompleta, inesatta, non documentata. Perciò ora doveva “pensarci molto bene prima di decidere quale fosse la via migliore da seguire”.
Mullins rispondeva che “anche a lei era stata raccontata la stessa storia”, e che da quanto sapeva da Mills tutte le circostanze da questi riferite erano esatte, salvo “l’identità del donatore”. D’altronde “a volte il suo cliente faceva cose strane e lei non sempre riusciva a comprendere il perché. Comunque in questa occasione il motivo era chiaro: voleva proteggere la vera identità del donatore”.
Proprio in relazione alla persona di Attanasio, l’ispettore comunicava alla Mills, che ne rimaneva “scioccata”, trattarsi di persona condannata “per corruzione e frode”, come “appreso da Internet”.
La conversazione proseguiva sul tema dei conti correnti di Mills, che Mullins dichiarava essere così tanti che “era difficile fornire una lista completa”.
Poiché ovviamente “Mills era obbligato come ogni altro contribuente ad essere in possesso di una documentazione fiscale di supporto” e “avrebbe dovuto essere consapevole di questo obbligo imposto dalla legge considerato il fatto che era un avvocato che operava in ambito fiscale. Era stata una sua scelta quella di non conservare questa documentazione”, l’ufficio chiedeva un mandato per contattare direttamente le due banche principali di Mills, Hambros e Guinness Mahon.
Mills, immediatamente contattato al telefono, consentiva al rilascio di tale mandato.
La conversazione terminava con l’informazione fornita da Mullins che Mills era estraneo ai reati per i quali Attanasio era stato condannato, come lo stesso suo cliente voleva chiarire.
Il 28 gennaio 2005 lo SCO dava atto degli accordi raggiunti fino a quel momento e formulava nuove richieste di chiarimenti, necessari a seguito dell’effettuato esame dei conti correnti di Mills: ad esempio erano emersi dei pagamenti da ed a Marina Mahler negli anni 1999/2001; non era chiara la natura dei flussi finanziari intercorsi con lo studio Marrache Mills, in assenza di documenti di supporto; mancava la documentazione giustificativa delle spese legali sostenute da Mills nei processi italiani: di questi ed altri rilievi si è già parlato nei capitoli precedenti.
Qui interessa il fatto che, in relazione al quello che Mills aveva dichiarato essere un regalo di Attanasio, l'ispettore osservava: “io non capisco il perché [Attanasio] avrebbe fatto una cosa simile se stava aspettando che il sig. Mills ripagasse un prestito. Comunque, dato che il sig. Mills. dichiara di aver avuto delle negoziazioni riguardo a questo prestito, ci deve per forza essere della documentazione scritta”, che veniva pertanto richiesta.
La consulente veniva anche rassicurata circa la stretta osservanza del dovere di riservatezza da parte di Inland Revenue.
In data 8 marzo 2005 Mullins rispondeva negando qualsiasi “negligente omissione” ed affermando che “la profondità del dettaglio” richiesto impediva la “chiusura in tempi brevi del caso”. Venivano comunque allegati un certo numero di “elementi di supporto” alle affermazioni di Mills, in particolare (per quanto qui interessa) in relazione alla posizione di Marina Mahler.
Nel corso di una ulteriore riunione tenutasi in data 3 maggio 2005 con gli ispettori di Inland Revenue, Mills, a seguito della rilevata assenza di documenti fondamentali, fra cui anche i bilanci dello studio Marrache Mills, riferiva delle difficoltà di reperirli per essere domiciliata in Francia la contabile dello studio. A fronte delle numerose contestazioni degli ispettori, e del fatto che le spiegazioni fornite in relazione in particolare al “regalo” ricevuto “si erano dimostrate poco affidabili”, Mills affermava di essere “molto dispiaciuto di aver depistato gli ispettori nel corso della riunione dello scorso luglio. Era stato spinto da un desiderio ingenuo di proteggere l'identità di un cliente, ma si rendeva conto ora, che questo desiderio gli aveva fatto commettere un <catastrofico errore di valutazione>. Aggiungeva che “era stato difficile per lui dare una spiegazione completa dei fatti al Fisco e fornire la documentazione necessaria a causa della delicatezza delle relazioni coinvolte nel caso”.
Passavano all’esame delle singole movimentazioni di danaro non documentalmente giustificate, gli ispettori facevano notare che erano state chiarite le questioni “abbastanza insignificanti”, mentre erano altre le “faccende più importanti”. E così, in relazione all'analisi del conto presso la CIM Banque, Mills dichiarava che “si trattava di un'area problematica perché non esisteva documentazione … per i conti in dollari americani e in euro … Alcune delle entrate derivate dagli accrediti venivano spiegate come provenienti da prestiti elargiti da Diego Attanasio, ma non vi era nessun accordo scritto relativamente al prestito o altri documenti di supporto”. Mills forniva alcune spiegazioni verbali3, facendo riferimento ad un prestito concesso dalla Struie Holdings e, ancor una volta, al versamento di Diego Attanasio di 2.050.000 dollari dal conto di Mees Pearson Bahamas nel 1997, parlando anche di un prestito ricevuto da Attanasio che egli stava gradualmente restituendo e che avrebbe voluto finir di ripagare tramite il conto corrente di una società iraniana4.
Alle ovvie contestazioni – non si comprendeva perché Attanasio, condannato per corruzione, avrebbe dovuto fare nel 2000 un regalo a Mills – questi rispondeva che Attanasio aveva così agito per la loro “stretta amicizia personale”, “lasciando da parte il prestito” e aggiungeva che “non vi era nessun collegamento tra DA e Berlusconi”.
Seguivano ulteriori contatti tra le parti, che giungevano infine – in una riunione iniziata con “una breve panoramica del caso” da parte dell’ispettore di Inland Revenue5 – all’accordo del 24 maggio 2005, comportante il riconoscimento di debito verso il fisco inglese di Mills ed il conseguente versamento transattivo di 451.180,36 sterline, comprensivo delle tasse dovute e non pagate in relazione alla “donazione”, come si è già scritto nel capitolo dedicato al dividendo Horizon.
Tutto ciò posto, si deve dare atto che sono agli atti del presente procedimento altri due scritti provenienti da David Mills.
L’imputato, comparso solo il 27 settembre 2007 nell’aula della rogatoria inglese, ad ascoltare le questioni preliminari al proprio esame poste dalla teste Virginia Rylatt, all’udienza del 22 febbraio 2008, in cui era previsto il suo esame, non si presentava, come si è già scritto, inviando una nota in cui collegava la sua assenza al “clamore dell’inchiesta legata naturalmente alla notorietà dell’altro soggetto in essa coinvolto” e si dichiarava disponibile ad esser ascoltato in via rogatoriale “eventualmente anche nelle forme della videoconferenza”.
Si rimanda al capitolo “Svolgimento del processo” per una più compiuta descrizione della vicenda e delle ordinanze che ne sono scaturite.
Di qualche maggior rilievo il secondo scritto proveniente dall’imputato.
All'udienza del 20 gennaio 2009, quindi a distanza di quasi due anni dalla prima udienza dibattimentale, egli faceva pervenire attraverso il proprio difensore una memoria (scritta in un lessico italiano simile ma peggiore – nei suoi numerosi errori – a quello della memoria di ritrattazione). Mills dichiarava che la lettura della requisitoria del Pubblico ministero – dalla quale per la prima volta aveva capito come erano state “create le accuse” a suo carico – lo aveva indotto ad alcuni “appunti”.
Dopo aver ammesso di aver “causato molti fastidi” a persone che non lo meritavano, aver negato di esser mai stato corrotto da alcuno, aver riaffermato la propria “integrità personale”, porgeva le proprie “profondissime scuse”, “nel modo più sincero e assoluto”, alle “vittime” dei suoi errori, quali “sono stati sia il dott. Attanasio che il dott. Berlusconi”, per i gravi disagi conseguenti alla vicenda.
Dichiarava poi di voler affrontare solo le “questioni di carattere soggettivo”.
Ribadiva che l'intera vicenda oggetto del presente procedimento aveva avuto origine dalla propria lettera del 2 [Mills erroneamente scriveva “4”] febbraio 2004 a Bob Drennan.
Raccontava che, dopo aver ricevuto la lettera di Inland Revenue il 23 gennaio 2004, aveva incontrato Ali Sarikhani, noto nel procedimento per la sua posizione dirigenziale in Edsaco e Cantrade, qui definito come il socio anziano dello studio di fiscalisti Jeffrey Williams Barber, facente capo a Edsaco, che lo aveva assistito nella vicenda fiscale del 1996 relativa alla percezione dei proventi della società Horizon. Sarikhani gli aveva dato la notizia “scioccante” che il fisco con grande probabilità lo avrebbe accusato di evasione o frode fiscale, il che “avrebbe comportato un disastro assoluto” per lui e la sua famiglia. Considerava pertanto essenziale trovare il modo di spiegare le ragioni per cui i 600.000 dollari fossero stati un regalo e di conseguenza egli si fosse comportato onestamente.
Per questo motivo aveva presentato “una specie di scenario”, in cui non aveva attribuito la somma a Diego Attanasio, poichè “coinvolto in un processo delicato, a quell'epoca era ancora in corso”, evitando così “di turbarlo ulteriormente e di rischiare di vederlo contrariato con me per un fatto da me causato”, considerate anche le pendenze economiche fra loro. Pensava comunque che l'identità del donatore, agli occhi del fisco, costituisse un elemento secondario.
Fu così che aveva deciso, il 31 gennaio 2004, di attribuire la somma all’amico Carlo Bernasconi, morto nel 2001 e che egli non aveva più visto dal novembre 1995. Trascorreva i giorni del 2 e 3 febbraio [di nuovo sbagliava le date, posto che la lettera era stata consegnata il 2] a stilare una bozza di lettera da inviare a Mullins e Drennan, perché voleva convincere costoro, prima ancora del Fisco. Non avrebbe mai pensato, scriveva, “che Drennan potesse tradirmi nel modo che si è verificato”, con la conseguenza che “unicamente nella storia inglese, due anni dopo una mia corrispondenza privata intercorsa con il fisco è apparsa nel <Sunday Times>”.
Dato per pacifico che il Torrey Global Fund era stato acquistato nel 1999 con i soldi di Struie, società della quale “si è visto nel corso del processo quali denari avesse ricevuto e da chi”, spiegava che “i riferimenti alle ragioni che potevano aver indotto Carlo Bernasconi nella fictio a farmi un regalo erano arricchiti per rendere più verosimile la storia”.
Si era poi subito accordato con il fisco – per non essere in possesso della richiesta documentazione – in ordine alla tassabilità della somma ricevuta, aveva raccolto “tutte le informazioni bancarie necessarie”, aveva reso nota la vera identità del donante, “con un rendiconto del tutto completo e veritiero”, aveva infine sottoscritto la relazione finale, pagando “un basso livello di multe”.
Contestava poi le parole usate dal P.M. nella sua requisitoria, “guilty fear” [sentirsi colpevole], per descrivere il suo comportamento, dettato secondo l’accusa dall’“impulso a confessare” proprio di chi è colpevole: “Non è il mio caso. Se fosse vero che avessi preso denaro per rendere una testimonianza falsa, mi sembra più che ovvio che non sarei mai entrato in una zona – anche ad uno scopo fizzioso [sic: deve intendersi forse fittizio] – così pericolosa.”
Ribadiva di non aver reso mai falsa testimonianza e di non aver mai preso soldi, di aver deciso di “scrivere questa costosissima lettera” per il “terrore di essere processato in Inghilterra”.
Asseriva non esservi alcun legame di Bernasconi, Berlusconi o chiunque dei suoi soci con l’investimento in Torrey Global; negava di aver mai confessato di esser stato corrotto; negava di esser aver reso testimonianze false o reticenti; collegava i “tricky corners” menzionati alla limitatezza delle domande che gli erano state poste negli esami dibattimentali.
“Ho sempre parlato di un pagamento di consolazione fattomi dopo – molto dopo – l’evento”. E poi, passando all’improvviso da un italiano sgrammaticato ad un fraseggiare perfetto e quasi poetico: “… questa è la magica teoria di <guilty fear>: cioè una alchimia intellettuale che converte la scoria – descrizione di un regalo fatto dopo l’evento senza condizioni – nell’oro lucente di una confessione”. Aggiungeva di non aver fatto il nome di Attanasio (se non “timidamente”) nel corso dell'interrogatorio del luglio 2004 perché aveva “il morale a terra” e non voleva modificare la versione dei fatti fornita al fisco inglese.
Così come non aveva mai ammesso di essere stato corrotto, non aveva poi creato “un falso alibi”: semplicemente dopo il 22 luglio 2004 aveva cercato di raccogliere gli elementi che potevano consentirgli di redigere un rendiconto il più preciso e completo possibile per Inland Revenue: per questo aveva preso contatto con “banche, fiduciari, i fratelli Marrache, le persone nelle Bahama o Edsaco”, chiedendo sempre correttezza e trasparenza. Aveva dunque ricostruito tutte le transazioni intercorse con Struie, “in linea con la ricostruzione effettuata da KPMG [società cui appartiene la consulente del P.M. Gabriella Chersicla].
Negava di aver avuto contatti con “persone della Fininvest” in relazione alle testimonianze del 1997/1998: loro non volevano a che fare con lui, che si era presentato spontaneamente al P.M. ed era considerato un “traditore”, senza pensare che davanti allo SFO non avrebbe comunque potuto invocare quel segreto professionale che non aveva invocato in Italia. Negava di esser stato trattato come un “teste addomesticato” dagli avvocati della difesa, che volevano anzi impedire la sua deposizione in qualità di teste, senza l’assistenza di un difensore.
Negava, ancora, non solo la falsità, ma anche qualsiasi forma di reticenza: “ho fatto le risposte oneste alle domande postemi. Non era il mio obbligo di fare più che dare risposte veritiere alle domande fattemi, semmai la mia preoccupazione era quella di non essere aggredito dai legali di Fininvest e rischiare di essere indagato per corresponsabilità”
E terminava affidandosi “con serenità” al giudizio di questo Tribunale, che in tutta serenità, infatti, lo giudica.
Per concludere la descrizione della c.d. ritrattazione, bisogna ricordare che Sue Mullins anche in questa fase della vicenda aveva avuto un ruolo centrale.
Nel corso del suo esame6 non rendeva peraltro dichiarazioni di rilevo, confermando in sostanza tutto quanto emergeva dagli atti, in particolare da quelli che le venivano esibiti7.
E quindi, in estrema sintesi, dichiarava quanto segue.
Ricevuta la comunicazione del 20.1.04 di Inland Revenue, aveva valutato con Mills la sussistenza delle condizioni per cui fosse possibile sostenere la tesi della donazione, non tassabile, in relazione alle somme percepite e non dichiarate al fisco dal proprio assistito. Da questi aveva avuto, quanto a Carlo Bernasconi, dopo l’incontro con Barker, le stesse informazioni che erano poi state fornite al fisco; Mills non aveva mai collegato il regalo ricevuto alle testimonianze rese in Italia.
Quanto alla documentazione di supporto, non fornita al fisco quando ancora il donante era individuato in Bernasconi, Mullins dichiarava: “sicuramente l’avrò vista e avevo visto anche gli estratti bancari del conto in dollari della SG Hambros che mostravano chiaramente che c’erano delle entrate, dei crediti dal fondo Torrey Global nel novembre del 2000”. Aveva visto anche “un estratto bancario di un conto di una società che si chiamava Sri Limited, credo nell’ottobre/novembre ’99 ci fu un investimento che arrivò da questo conto all’interno del fondo Torrey Global di 600 mila dollari”.
In relazione all’interrogatorio reso da Mills ai P.M. milanesi, la teste ricordava che il proprio cliente aveva dichiarato che “era stato interrogato dai magistrati italiani per dieci ore e mezza”, che era stato “praticamente costretto” a dare delle informazioni su fatti che non gli erano stati chiesti nel corso delle sue precedenti deposizioni testimoniali e che “queste informazioni avrebbero avuto delle ripercussioni serie per il signor Berlusconi”. Alla fine dell’interrogatorio aveva dovuto dire che la donazione proveniva da Berlusconi, ma “lo aveva ammesso diciamo sotto una certa costrizione”.
Mills, quando le aveva successivamente fatto il nome di Attanasio, prima non divulgato “per motivi di riservatezza”, le aveva mostrato dei documenti della banca CIM e gli estratti conto di Struie dal 1997 al 2000: ma non sapeva se le sue informazioni fossero complete, non sapeva nulla dei fondi presso Marrache & Co., né dei trusts costituiti per Attanasio e delle relative transazioni finanziarie.
Quanto al percorso del danaro investito in Torrey Global Fund, aveva visto “un estratto conto a nome di Struie Limited dove c’erano 600 mila dollari con un investimento fatto a ottobre/novembre del ’99” e l’estratto conto di Hambros, “relativamente ai profitti distinti in due tranche, ottobre-novembre 2000”. Nulla sapeva di eventuali connessioni di Marcucci con Turriff, o del ruolo di Briatore in Struie.
Non aveva peraltro mai individuato, nell’esame delle entrate e uscite dei conti correnti di Mills, somme di denaro riconducibili a società del gruppo Berlusconi o connessioni con Carlo Bernasconi,.
In conclusione, il consenso all’accordo fiscale era stato prestato proprio perché era risultato chiaro che il fisco non avrebbero “accettato senza delle prove” il fatto che il denaro proveniente dal Torrey Global Offshore Fund fosse un regalo. Ma, riferendosi agli ispettori, Mullins aggiungeva con qualche contraddizione logica che “in realtà l’identità di questa persona che aveva dato i soldi non era il vero problema per loro”, tanto che non le era stato chiesto di allegare documentazione.
Si deve rilevare che la teste dichiarava di aver conosciuto solo dalla stampa la lettera del 2 febbraio 2004 (“Dear Bob”), e di non sapere cosa intendesse Mills quando parlava delle relazioni fra Bernasconi e Berlusconi e degli “ovvi malintesi” [“obvious misinterpretation”] che potevano sorgere, frase che il cliente le aveva chiesto di inserire nella lettera mandata al fisco il 4 maggio 2004 (esaminata nel capitolo precedente), senza null’altro spiegarle.
Per una migliore comprensione di tutta la vicenda nel suo susseguirsi temporale va qui, infine, dato conto di alcuni elementi di fatto che nell’ipotesi accusatoria sono sussumibili nella categoria della “precostituzione di prove”.
Con una ovvia premessa: di per sé, in assenza di altri elementi di giudizio, la ricerca di documentazione bancaria e contabile a sostegno delle dichiarazioni contenute nella memoria del 7 novembre 2004 ed a quelle di analogo contenuto poi rese a Inland Revenue non costituisce un comportamento da ascriversi nella categoria suddetta: se per “precostituzione” si intende, come deve intendersi nel caso concreto, l’artificiosa creazione di documenti o circostanze idonee a supportare una affermazione non vera.
E così non deve neppure essere dato particolare rilievo al fatto che nella memoria del computer di Mills, fra i più volte menzionati “unallocated clusters” (recuperati e resi leggibili dalla Polizia Metrolitana di Londra con la procedura “Encase”), siano state trovate più versioni della memoria di ritrattazione, o delle relazioni da mandare a Inland Revenue, essendo del tutto logico che scritti di tal genere vengano più volte, corretti, limati, modificati, per il peso che ogni parola potrebbe assumere.
Di tutt’altro spessore e importanza la dichiarazione di Marina Mahler – di cui si dirà più diffusamente nel prosieguo, esaminando le consulenze – relativa ad un prestito alla medesima che Mills a Inland Revenue il 28 gennaio 2005 riferiva essergli stato restituito.
Il 18 agosto 2004 (dopo la “confessione”, prima della “ritrattazione”) Mahler sottoscriveva una lettera in tal senso, benché il fatto non fosse vero, in quanto Mills le aveva detto che ciò sarebbe servito a tutelare sua figlia, in caso lei fosse deceduta senza aver saldato il proprio debito. Debito non ancora saldato al momento in cui la teste rendeva la propria deposizione, il 18 maggio 2007.
Analoga valutazione deve esser compiuta in ordine alla corrispondenza informatica reperibile fra gli “unallocated clusters”, nel faldone 1 allegato al fascicolo del dibattimento.
Dall’esame del teste Quaderer – di cui pure si dirà meglio esaminando le consulenze – risulta che Mills gli aveva chiesto, con mail del 10 febbraio 2005, documentazione inerente un prestito di circa 300.000 sterline, asseritamente a lui fatto da Struie, in realtà mai richiesto né concesso. È stata recuperata anche una successiva mail del 21 febbraio 2005, in cui la medesima richiesta veniva rivolta al ex direttore di Struie, Mayer: “ … i magistrati italiani che indagano sul sig. Berlusconi (di cui sono stato l’avvocato) pensano che lui mi abbia elargito una grossa somma di denaro … Gli stessi magistrati hanno determinato l’apertura di una indagine sulle mie questioni fiscali in Gran Bretagna. Ho bisogno di dimostrare che un paio di pagamenti sono partiti da Struie (il che è facile da dimostrare visto che compaiono sugli estratti conto). Mi potrebbe aiutare anche se lei potesse confermare che (come mi ha detto Heimo) Struie è in corso di liquidazione e non ha rivendicazioni nei miei confronti”.
Il 28 febbraio 2005 Mills scriveva nuovamente a Mayer, comunicandogli “di essere riuscito a ridurre ciò che mi serviva da lei alla conferma dei due pagamenti effettuati dal conto di Struie a mio favore. Le sarei molto grato se potesse chiamarmi o farmi avere il suo numero di telefono così da poter risolvere la cosa velocemente”.
Il successivo silenzio informatico degli interpellati (eventuali incontri o comunicazioni telefoniche certo non si possono escludere), dovuto a quanto riferito da Quaderer, e cioè al fatto che veniva richiesta attestazione di operazioni inesistenti, induceva Mills a scrivere quasi due mesi dopo (il 18 aprile 2005) a Sue Mullins: “… Non riuscirò ad ottenere niente da quelli del Liechtenstein – gli italiani gli stanno addosso – quindi dovremo trovare un modo per dargli la dichiarazione che riguarda Struie. Il mio avvocato si incontra con Diego questa settimana, ma temo che mi manderà al diavolo, visto che i pubblici ministeri italiani gli stanno rendendo la vita molto difficile per le indagini sul pagamento di Bernasconi. Questa è stata di gran lunga l’idea più stupida del 2004”.
Si è già ricordato il contenuto di altre mail scambiate con Mullins (che il 28 ottobre 2004 scriveva “bisogna stare attenti a come si parla di Struie”, oppure lamentava il gran numero di “revisioni” della lettera da mandare al fisco aggiungendo “Non ho ancora rintracciato il conto extra di CIM”).
E quindi ulteriori valutazioni del comportamento della fiscalista non sono necessarie.
Va anche segnalata – e posta in relazione a quanto verrà nel prosieguo analizzato in ordine sia ai conti di Struie, sia alla deposizione di Marrache, esaminando le consulenze – una precedente mail recuperata dalla memoria del computer di Mills, indirizzata a Benjamin Marrache il 25 novembre 2004: “… potrebbero farti delle domande su un paio di transazioni del 1997. E’ importante collaborare al massimo con ogni richiesta ti venga fatta. Le transazioni in questione sono l’invio a tuo favore di 1.616.780,68 $ il 21 ottobre del 1997 da un conto a mio nome presso la CIM Banque Ginevra, e un ritorno di 1.621.284,86 del 30 novembre sul conto di Struie Holdings Limited sempre presso la CIM Banque. La seconda [NTD cifra] era per ordine di Jawer (Gibilterra) la qual cosa è un po’ strana. So chi sono (una fiduciaria di Ginevra), ma non è chiaro come siano arrivati ad essere gli intestatari del denaro reso. Si trattava della stessa somma che vi è stata inviata più gli interessi. Forse i tuoi documenti saranno in grado di spiegarlo. Struie Holdings Limited era una intestataria (nominée) di Diego Attanasio, se questo può essere utile, ma non nella sua struttura di trust a Gibilterra (Perth, Cave…)…”.
E così Mills, a dir poco (“tu put it mildly”, si potrebbe scrivere con un’espressione dell’imputato stesso), informava Benjamin Marrache della principale questione su cui Marrache stesso avrebbe dovuto fornire risposte agli inquirenti italiani, invitandolo a cercare la relativa documentazione: operazione impossibile, parrebbe di comprendere dal testo stesso della missiva.
Si vedrà, nell’analisi delle consulenze, quali documenti sono stati poi prodotti, valutandone l’efficacia probatoria.
Gli elementi di inquinamento probatorio qui segnalati assumono il dovuto rilievo in una complessiva analisi del valore intrinseco e dell’efficacia probatoria di tutte le dichiarazioni sopra esaminate, ivi comprese quelle rese a Inland Revenue, personalmente o tramite Mullins, a voce o per lettera.
Agli ispettori del fisco Mills si era personalmente presentato, dopo aver cambiato la sua versione dei fatti, solo il 3 maggio 2005: e in quella sede il tenore delle sue risposte, come si è sopra visto, non soddisfaceva affatto gli interlocutori, dalle cui parole – malgrado la tradizionale compostezza britannica – traspare quanto fossero seccati (“to put it mildly”, ancora una volta) con Mills. I compassati ispettori delle tasse di Sua Maestà, in quella e in altre occasioni, senza usare mezzi termini o perifrasi, direttamente a Mills o alla sua consulente, a voce e per lettera, hanno manifestato insistentemente il loro pensiero: a Mills non potevano credere, perché li aveva tenuti occupati per mesi raccontando frottole, perché in relazione a tutte le questioni di rilievo le sue affermazioni non trovavano riscontro documentale.
Invece la modificazione dell’identità del donante, da Bernasconi ad Attanasio, è stata effettuata da Mills tramite uno scritto diretto agli inquirenti, la memoria del 7 novembre 2004, e ribadita all’Autorità Giudiziaria in un altro scritto, la memoria del 22 gennaio 2009. L’imputato così si è sottratto alle domande dei P.M. prima ed alla verifica dibattimentale, con l’esame e controesame delle parti, poi.
La memoria del 7 novembre seguiva incomprensibilmente di mesi l’interrogatorio del luglio 2004. Mills aveva riferito subito a Mullins di aver subito forti pressioni: l’affermazione – di per sé poco credibile, vista se non altro la presenza del difensore, che nulla mai sul punto ha eccepito - lo avrebbe dovuto portare ad una immediata ritrattazione, una volta tornato nel suo Paese ed affrontata a mente serena la questione. Invece Mills aspettava quasi quattro mesi per smentire ciò che aveva in precedenza detto, in tempi diversi, di fronte a soggetti istituzionali di Paesi diversi, almeno 12 volte, come si è già notato.
Balza comunque agli occhi la genericità e parzialità di tutta la ritrattazione, ovunque esposta.
In particolare ciò si nota dalla lettura della memoria, visto che la modifica di quanto in precedenza dichiarato verteva sul soggetto donante, e di conseguenza sulle ragioni relative alla percezione della somma, lasciando inalterati l’importo nel suo ammontare, i tempi e le modalità della dazione.
Deve altresì essere rimarcata l’intrinseca illogicità, al limite del risibile, delle ragioni addotte da Mills a sostegno dell’attribuzione della somma a Diego Attanasio, che egli dichiarava di voler proteggere dalle conseguenze negative della divulgazione, anche in ragione della sottoposizione dello stesso a delicati procedimenti penali in territorio italiano. La dichiarazione si commenterebbe da sé, ma pare più opportuno esplicitare il rilievo.
È pacifico che Mills aveva conosciuto Bernasconi a causa dell’attività di entrambi per il Gruppo Fininvest, ed a tale Gruppo chiunque avrebbe immediatamente ricondotto la persona di costui, qualificato come amico (sempre più caro e sempre più intimo, nella progressione delle 12 dichiarazioni c.d. confessorie citate). Più di dieci anni di “discreta” – come l’ha sempre qualificata lo stesso Mills – attività per il Gruppo Fininvest avrebbero dovuto indurre l’esperto e famoso avvocato ad evitare in ogni modo il rischio della possibile associazione del nome del donante con quello di Berlusconi, associazione che avrebbe posto, come ha posto, tutti in una situazione ben più pericolosa ed anche, fin dall’inizio e per non poco tempo, al centro dell’attenzione massmediatica, non solo in Italia e nel Regno Unito.
“L’idea più stupida del 2004”, l’ha definita Mills: ma si riferiva alla c.d. confessione o alla c.d. ritrattazione?
Silvio Berlusconi rivestiva e riveste la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri: non era e non è paragonabile la delicatezza della posizione dell’imprenditore Attanasio con quella di una delle più alte cariche dello Stato. Anche solo il rischio che il disvelamento dell’origine di una somma ricevuta e non dichiarata al fisco potesse toccare la persona di Berlusconi, avrebbe dovuto impedire a Mills di inventare la “versione Bernasconi” e tutto lo scenario – come egli stesso ha definito le circostanze particolareggiatamente riferite – per far credere vero il falso e proteggere così Attanasio quale autore della dazione.
È così ovvio che fatica persino a scriverlo un Tribunale che non vuole dare nulla per scontato.
E Mills non lo avrebbe neppure pensato?
Con le dichiarazioni del luglio 2004 egli era andato a toccare – e ne era consapevole, come si rileva da ogni sua parola – straordinari e nevralgici interessi del Gruppo Fininvest, imparagonabili a quelli, pur di rilievo, dell’armatore Attanasio, coinvolto, e condannato, per fatti di corruzione gravi (come meglio si vedrà analizzando, unitamente alle consulenze, la sua deposizione dibattimentale) ma delimitati nel tempo e nello spazio.
Non da ultimo, Attanasio ha negato, come si vedrà, di aver fatto regali quali quello qui in esame a Mills. Ha negato di avergli fatto prestiti8. Tutta la sua deposizione, dalla prima all’ultima parola, smentisce la tesi sostenuta dal novembre 2004 in poi dall’imputato e – solo in pubbliche dichiarazioni, senza mai relazione diretta con l’Autorità giudiziaria – dal suo originario coimputato. Ma Attanasio non aveva e non ha un reale e forte interesse a dire il falso in ordine a questa vicenda, ed infatti non lo ha detto, nelle sue lunghe deposizioni, per rendere le quali ha lasciato in due diverse occasioni il Paese africano in cui in quei tempi svolgeva la sua attività professionale.
Riservando ad altro passaggio della motivazione l’analisi dei flussi economici genericamente indicati da Mills sia nella memoria del 7 novembre 2004 sia al fisco inglese, vanno evidenziati qui ulteriori elementi, seguendo pedissequamente lo scritto.
Il suo autore dichiarava di fare lui stesso “fatica a comprendere” le ragioni della lettera “Dear Bob” del 2 febbraio 2004, origine ultima della presente vicenda processuale.
Egli aggiungeva che non gli “sarebbe mai venuto in mente” che Drennan potesse trasmettere la lettera al NCIS: ma offendeva così la propria intelligenza e consumata esperienza, negando di sapere quanto non poteva non essergli noto, proprio in virtù della sua professione di avvocato d’affari, cioè la vigente normativa antiriciclaggio.
Mills riconduceva la motivazione della modificata versione dei fatti alla circostanza che la somma sarebbe stata comunque sottoposta a tassazione dal fisco inglese: proprio per questo, allora, poteva “incassare il colpo” e tacere.
Quanto al merito delle proprie testimonianze, Mills si limitava ad affermare genericamente di aver detto il vero, senza negare di aver taciuto alcune circostanze, silenzio che attribuiva a vuoti di memoria, assolutamente incredibili se si pensa che nel 1997/1998 i fatti in ordine ai quali veniva interrogato non erano risalenti nel tempo, e Fininvest era il suo principale cliente; e ancor più incredibili in considerazione dell’importanza della vicenda, di per sé, e nella sua vita privata e professionale.
Il cittadino di madre lingua inglese Mills offriva poi una traduzione del tutto incongrua e impropria del termine “tricky corners”, da lui stesso usato nella lettera “Dear Bob” per qualificare le modalità delle proprie deposizioni dibattimentali: scriveva, infatti, che le sue risposte erano state determinate dal fatto che le domande gli venivano mal poste. Si rileggano i verbali in stenotipia, nelle parti riportate in questa motivazione: le questioni della proprietà delle società Fininvest e del suo ruolo in Horizon erano state oggetto di plurime ed insistenti domande.
Mills nella memoria lasciava intendere che non era stato approfondito il contenuto della sua conversazione con Silvio Berlusconi dell’estate del 1995 e la “correlata” questione della società Horizon, ma si guardava bene dall’affrontare la questione nel merito, e spiegare la correlazione (la frase, come si evince dalla lettura di uno degli “unallocated clusters”, era stata oggetto di correzione: era stata, come le altre, certamente meditata).
Né l’avvocato inglese spiegava mai i motivi per i quali aveva definito “roundabout way” la modalità attraverso la quale gli era stato fatto pervenire il dono.
Mills affermava di aver avuto pochi e sporadici incontri di persona con i dirigenti di Fininvest dopo il 1996: affermazione non vera, e comunque di poco rilievo, visto che molteplici sono le forme della comunicazione.
Ed ancora, per limitare il discorso ai temi che qui interessano e chiudere, egli allegava allo scritto documenti che avrebbero dovuto, nella sua prospettazione, esaustivamente provare i suoi rapporti economici con Fininvest a far tempo dal 1996 e le movimentazioni sul conto della banca CIM. Entrambe le questioni, però, erano poi state approfonditamente affrontate ed analizzate dal fisco inglese, e proprio la mancanza di prova certa in ordine alle entrate Fininvest, ai conti CIM, al c.d. regalo avrebbero portato al concordato fiscale del 2005 più volte ormai richiamato.
La memoria del 20 gennaio 2009, diretta a questo collegio, ripercorre a volo d’uccello la vicenda senza nulla approfondire, ripete molte delle dichiarazioni qui già esaminate, e contiene qualcosa in più.
In primo luogo le “profondissime scuse” ad Attanasio e Berlusconi, “vittime” dei suoi errori: ma perché scusarsi, se – dopo l’iniziale sbandamento (chiamiamolo così) – era stata detta la verità?
Le scuse offerte, a pari titolo e con pari enfasi, ad entrambi, Attanasio e Berlusconi, lasciano quanto meno perplessi. In un contesto, comunque, di operazioni fortemente irregolari, non ultima una transazione economica di rilevante entità “in nero”, eludendo il fisco.
Va poi sottolineato che Mills ribadiva, ancora una volta, di aver fornito ogni necessaria documentazione al fisco inglese, spiegando i fatti “in linea con la ricostruzione fatta da KPMG [cioè da Gabriella Chersicla], poi corretta e definita accuratamente” dai consulenti delle difese Perini e Tavernari: si vedranno, appunto, i risultati di quelle – per la maggior parte concordanti – ricostruzioni, rese necessarie in tutta la loro ampiezza, proprio dal contenuto della “versione Attanasio”.
E qui tanto basti.
Note
- ↑ La memoria è fra i documenti depositati dal P.M. il 13 aprile 2007.
- ↑ Tutti di documenti provenienti da Inland Revenue sono nel faldone 1 allegato al fascicolo del dibattimento.
- ↑ Per una analisi dettagliata delle movimentazioni del conto è ovviamente opportuna la lettura di quanto riferito dai consulenti, come si vedrà successivamente
- ↑ Attanasio nel corso delle sue deposizioni ha invece riferito che tramite una società iraniana Mills voleva restituirgli parte del capitale e/o gli interessi relativi alle somme da lui investite, e che egli non aveva accettato.
- ↑ Cui si rimanda per una estrema sintesi dell’indagine di Inland Revenue.
- ↑ Cui si è già accennato nel capitolo “Il dividendo Horizon”.
- ↑ Sono tutti gli atti della cartellina K del fascicolo predisposto dal P.M. per la rogatoria, cui si fa riferimento per comodità di esposizione.
- ↑ Vedi verbale in stenotipia dell’udienza 13 luglio 2007, pagg. 54 e 55.