Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Per questo motivo aveva contattato Bob Drennan e gli aveva consegnato la lettera del 2 febbraio, in cui aveva inserito “molti dettagli circostanziati con lo scopo preciso di chiedere un parere”.
“Per una ragione, all'epoca, di mio scrupolo che oggi faccio in parte fatica pure io a comprendere, avevo ritenuto opportuno occultare il nome del soggetto che effettivamente mi aveva corrisposto la regalia ed al suo posto avevo individuato un altro mio amico, Carlo Bernasconi che ritenevo altrettanto credibile come fonte del regalo. E’ inutile aggiungere che non mi sarebbe venuto mai in mente che Drennan potesse decidere di trasmettere, su mia insaputa, la lettera. Probabilmente Drennan si è ritenuto obbligato in tal senso, immagino perché era stato precedentemente soggetto di un ordine di produzione di documenti da parte dello SFO”.
L'imputato dichiarava di esser stato “a lungo combattuto sull’opportunità di rettificare” la lettera, sia al fisco inglese sia ai P.M. italiani; li informava che, successivamente all'interrogatorio del 18 luglio 2004, aveva avuto un nuovo incontro con gli ispettori del fisco, e non era riuscito a persuaderli del fatto che, “a prescindere dall'identità del presunto donatore”, “i proventi Torrey potessero considerarsi come una donazione”. Aveva accettato quindi di pagare le relative imposte.
Era “così venuta meno ogni ragione” di “sostenere una tesi non credibile” e poteva “rappresentare la pura semplice verità riguardo all'origine delle somme”.
Negava quindi di aver percepito regalie od altre somme di denaro che non fossero compensi professionali da parte del gruppo Fininvest e/o di Berlusconi.
Riaffermava di aver sempre detto la verità nelle sue testimonianze, “salvo gli inevitabili vuoti di memoria”. Aveva deposto lungamente nel dicembre 1996 e nel 1997 davanti al dottor Greco: “quei verbali erano veritieri sotto ogni aspetto e non sono mai stati contestati; lo stesso vale per le testimonianze rese in Tribunale a Milano”. Era per lui stata una brutta esperienza, e la sua “onesta testimonianza” aveva fatto sì che i suoi “anziani amici” lo considerassero un “traditore” [tra virgolette nel testo], benché non avesse compiuto alcun illecito né sapesse che i suoi clienti lo avessero compiuto.
Ammetteva solo di non aver attribuito correttamente la proprietà di Universal One e Century One, dichiarando che erano di Arner, ma questo non perché glielo avesse detto del Bue quando aveva prelevato i documenti delle società da Edsaco. Così anche quanto ai trusts fatti nel “1991 per Volcameh e l’altra società”: non si ricordava di averli creati. La creazione di un trust era una attività di routine e non aveva memoria di quelli sui quali era stato interrogato, che aveva creato ma di cui non si era più occupato, per tredici anni. “Sono conscio del fatto che un vuoto di memoria può apparire come un tentato inganno, ma non era così.”.
Dichiarava che con l’espressione “tricky corners”, usata nella lettera a Drennan, non intendeva riferirsi “a bugie o reticenze, ma al fatto che non ho mai dovuto rispondere in modo dettagliato ad