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me causato”, considerate anche le pendenze economiche fra loro. Pensava comunque che l'identità del donatore, agli occhi del fisco, costituisse un elemento secondario.

Fu così che aveva deciso, il 31 gennaio 2004, di attribuire la somma all’amico Carlo Bernasconi, morto nel 2001 e che egli non aveva più visto dal novembre 1995. Trascorreva i giorni del 2 e 3 febbraio [di nuovo sbagliava le date, posto che la lettera era stata consegnata il 2] a stilare una bozza di lettera da inviare a Mullins e Drennan, perché voleva convincere costoro, prima ancora del Fisco. Non avrebbe mai pensato, scriveva, “che Drennan potesse tradirmi nel modo che si è verificato”, con la conseguenza che “unicamente nella storia inglese, due anni dopo una mia corrispondenza privata intercorsa con il fisco è apparsa nel <Sunday Times>”.

Dato per pacifico che il Torrey Global Fund era stato acquistato nel 1999 con i soldi di Struie, società della quale “si è visto nel corso del processo quali denari avesse ricevuto e da chi”, spiegava che “i riferimenti alle ragioni che potevano aver indotto Carlo Bernasconi nella fictio a farmi un regalo erano arricchiti per rendere più verosimile la storia”.

Si era poi subito accordato con il fisco – per non essere in possesso della richiesta documentazione – in ordine alla tassabilità della somma ricevuta, aveva raccolto “tutte le informazioni bancarie necessarie”, aveva reso nota la vera identità del donante, “con un rendiconto del tutto completo e veritiero”, aveva infine sottoscritto la relazione finale, pagando “un basso livello di multe”.

Contestava poi le parole usate dal P.M. nella sua requisitoria, “guilty fear” [sentirsi colpevole], per descrivere il suo comportamento, dettato secondo l’accusa dall’“impulso a confessare” proprio di chi è colpevole: “Non è il mio caso. Se fosse vero che avessi preso denaro per rendere una testimonianza falsa, mi sembra più che ovvio che non sarei mai entrato in una zona – anche ad uno scopo fizzioso [sic: deve intendersi forse fittizio] – così pericolosa.”

Ribadiva di non aver reso mai falsa testimonianza e di non aver mai preso soldi, di aver deciso di “scrivere questa costosissima lettera” per il “terrore di essere processato in Inghilterra”.

Asseriva non esservi alcun legame di Bernasconi, Berlusconi o chiunque dei suoi soci con l’investimento in Torrey Global; negava di aver mai confessato di esser stato corrotto; negava di esser aver reso testimonianze false o reticenti; collegava i “tricky corners” menzionati alla limitatezza delle domande che gli erano state poste negli esami dibattimentali.

“Ho sempre parlato di un pagamento di consolazione fattomi dopo – molto dopo – l’evento”. E poi, passando all’improvviso da un italiano sgrammaticato ad un fraseggiare perfetto e quasi poetico: “… questa è la magica teoria di <guilty fear>: cioè una alchimia intellettuale che converte la scoria – descrizione di un regalo fatto dopo l’evento senza condizioni – nell’oro lucente di una confessione”.