Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/X. Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele/Appendice II. - Estratto dal Commentario di Simplicio al Libro II di Aristotele, De Cælo

Appendice II. - Estratto dal Commentario di Simplicio al Libro II di Aristotele, De Cælo

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Appendice II. - Estratto dal Commentario di Simplicio al Libro II di Aristotele, De Cælo
X. Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele - Appendice I. - Estratto dal libro XII della Metafisica d'Aristotele - Capo VIII XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci

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appendice ii




Estratto dal Commentario di Simplicio al libro secondo di Aristotele, De Cæado1.


1. Primo dei Greci. Eudosso di Cnido (come narrò Eudemo nel secondo libro della Storia dell’Astronomia, e Sosigene dietro l’autorità d’Eudemo) dicesi aver per mezzo di simili ipotesi tentato di sciogliere il problema proposto, come narra Sosigene, da Platone a quelli che di tali cose si occupavano; con quali

[p. 96 modifica]supposizioni cioè di moti regolari ed ordinati si potessero rappresentare i fenomeni osservati nei movimenti dei pianeti... Eudosso di Cnido assunse a tal bisogno l’ipotesi delle sfere dette revolventi2.

2. Ad Eudosso dunque, ed a quelli che furono prima di lui, pareva il Sole moversi di tre movimenti, cioè di quello che segue la rivoluzione delle fisse da oriente in occidente, del moto che conduce secondo l’ordine inverso per i dodici segni, e d’un terzo movimento laterale rispetto al circolo mediano dello zodiaco; il qual ultimo fu concluso da questo, che il Sole nei solstizi estivi ed invernali non sorge sempre dal medesimo luogo3. Per questo Eudosso stabilì, il medesimo esser portato da tre sfere, che Teofrasto chiama ἀνάστρους (prive di stelle), perchè non portano alcuna stella, connessa ciascuna con le inferiori, e condotta in giro dalle superiori. Perchè, essendo il Sole animato da tre movimenti, era impossibile farlo muovere in contrarie parti da una sola ed identica sfera; essendo che nè il Sole, nè la Luna, nè gli altri pianeti si muovono da loro medesimi, ma vanno in giro fissati sopra un corpo circolare. Veramente, se il giro del movimento in longitudine si facesse nel medesimo tempo, che la digressione secondo la latitudine, sarebbero sufficienti due sfere: una pel moto, secondo le fisse da oriente in occidente; l’altra girante intorno ad un asse fissato nella prima perpendicolarmente al circolo obliquo, lungo il quale apparirebbe il Sole fare il suo cammino. Così non essendo le cose, e tal circolo essendo percorso in un tempo diverso da quello in cui si restituiscono le [p. 97 modifica]digressioni in latitudine, è necessario supporre ancora una terza sfera, affinchè a ciascuno dei fenomeni osservati abbiasi un corrispondente movimento. Così dunque, avendosi tre sfere concentriche fra loro e concentriche all’universo, (Eudosso) suppose che la più esterna giri intorno ai poli del mondo nello stesso senso che la sfera delle fisse, compiendo la sua rivoluzione nel medesimo tempo: che la seconda, minore della prima e maggiore della terza, giri da occidente verso oriente intorno ad un asse, come abbiam detto, perpendicolare al piano del circolo che passa per lo mezzo dello zodiaco; e che l’ultima e più piccola di tutte sia anch’essa condotta in giro nel medesimo senso che la seconda, ma intorno ad un altro asse immaginato perpendicolarmente al piano d’un certo circolo massimo ed obliquo, che il Sole si suppone descrivere col proprio centro, porta com’è dalla sfera minore di tutte, nella quale è fissato. E il ritardo prodotto da questa sfera (Eudosso) suppone di gran lunga più lento, che quello prodotto dalla sfera che la contiene, ed è media di posizione e di grandezza: com’è chiaro dalla memoria che egli scrisse intorno alle velocità (περὶ ταχῶν). Ora, la maggiore delle tre sfere, nel suo moto con cui accompagna le fisse, rivolge anche le altre due, per questo ch’essa in sè porta i poli (della seconda), e la seconda sfera quelli della terza, a cui è attaccato il Sole. Similmente (la seconda) avendo in sè i poli (della terza), la fa girare del proprio moto, e con essa anche il Sole; onde questo sembra girarsi dall’orto all’occaso. Che se le due sfere media 4 e minima fossero per sè stesse immobili, il Sole si moverebbe di moto esattamente uguale ed isocrono alla rivoluzione (diurna) dell’universo. Ma rivolgendosi quelle due in direzione contraria, il ritorno del Sole da un levare al levare consecutivo ritarda rispetto al tempo sopradetto. E tanto basti del Sole.

3. Rispetto alla Luna, le cose furono (da Eudosso) ordinate parte in modo simile, parte in modo diverso. Anc’essa è portata da tre sfere, perchè anche in essa furono osservati tre movimenti. Di esse, una si muove similmente al moto delle fisse; l’altra gira in senso inverso alla prima, intorno ad un asse perpendicolare al piano dell’eclittica5, appunto come pel [p. 98 modifica]Sole. La terza non è intieramente come la terza sfera del Sole, essendo ad essa simile per la posizione, ma non pel movimento, il quale succede in senso contrario a quello della seconda sfera, e in senso simile a quello della prima, con lenta rivoluzione intorno ad un asse perpendicolare al piano del circolo che sembra percorso dal centro della Luna: di questo piano l’inclinazione sul piano dell’eclittica è uguale alla massima digressione della Luna in latitudine. E manifestamente la distanza dei poli della terza sfera da quelli della seconda, contata sulla periferia del circolo massimo, immaginato per ambidue questi poli, è uguale alla metà di tutto il movimento della Luna in latitudine. La prima sfera poi suppose (Eudosso) per (spiegare) il moto suo (diurno) da oriente in occidente; la seconda per il ritardo che nella Luna si osserva lungo lo zodiaco (moto diretto in longitudine); la terza, perchè essa non sembra raggiungere nei medesimi punti dello zodiaco la sua posizione più boreale e la sua posizione più australe, ma trasporta sempre questi punti contro l’ordine dei segni: onde il moto di questa sfera succede pel medesimo verso che quello della sfera delle fìsse. Ed a cagione della piccola quantità della retrogradazione, che i suddetti punti fanno nello spazio di ciascun mese, (Eudosso) suppose assai lento questo moto della terza sfera verso occidente. Questo per la Luna!

4. Rispetto ai cinque pianeti, Aristotele, esponendo l’opinione d’Eudosso6, dice, che essi si muovono portati da quattro sfere ciascuno, delle quali la prima e la seconda sono le stesse, ed hanno la stessa posizione che le prime due sfere del Sole e della Luna. Per ciascun pianeta la sfera che contiene tutte le altre gira intorno all’asse del mondo dall’orto all’occaso nello stesso periodo che la sfera delle fisse; la seconda, la quale ha i poli nella prima, fa anche la sua rivoluzione nel senso opposto da occidente in oriente intorno all’asse ed ai poli dell’eclittica in un periodo eguale al tempo che ciascun pianeta sembra impiegare a far il giro di tutto lo zodiaco. (Eudosso) dice quindi che per le stelle di Ermes e di Eosforo la rivoluzione della seconda sfera si fa in un anno, per quella di Ares [p. 99 modifica]in due anni, per quella di Giove in dodici, in trenta per la stella di Crono, che gli antichi chiamavano l'astro del Sole.

5. Le altre due sfere (dei pianeti) stanno poi come segue: la terza sfera di ciascuno ha i poli lungo il circolo dell’eclittica, che si può immaginare descritto nella seconda sfera dello stesso pianeta, e si gira da mezzodi a settentrione in un periodo uguale all’intervallo, che ciascuno impiega da un’apparizione all’apparizione seguente7, durante il quale esso prende rispetto al Sole tutte le configurazioni: il quale intervallo i matematici chiamano rivoluzione sinodica8. Questo è diverso per i diversi pianeti, e quindi la rivoluzione della terza sfera non è uguale per tutti (i pianeti); ma, secondo Eudosso, per la stella d’Afrodite dura diciannove mesi, per quella di Ermes tre mesi e due terzi9, per quella di Ares otto mesi e venti giorni10, per le stelle di Giove e di Crono tredici mesi prossimamente per ciascuna. Tale dunque è il moto e il tempo rivolutivo per la terza sfera. La quarta sfera, che è quella che porta l’astro, si aggira secondo un certo circolo obliquo intorno a poli peculiari (e diversi) per ciascun pianeta, con periodo sì uguale a quello della terza sfera, ma in senso contrario da levante a ponente. Questo circolo obliquo è inclinato sul massimo dei paralleli, che sono nella terza sfera, secondo ch’egli dice, nè in modo uguale, nè della medesima quantità in tutti.

6. Manifestamente poi quella delle sfere, che si muove come la sfera delle fisse, fa girare con sè in ugual modo le altre, che portano ciascuna i poli della seguente, e così anche quella che porta l’astro, e l’astro insieme; e per questo modo produce il levare e il tramontare di ciascuno di essi. La seconda sfera poi li fa muovere nel giro dei dodici segni, come quella che si aggira intorno ai poli dell’eclittica, e trasporta verso le parti conseguenti dello zodiaco 11 le altre due sfere coll’astro, [p. 100 modifica]nel tempo che ciascun pianeta a noi sembra percorrere il detto circolo. La terza sfera, che ha i suoi poli nella seconda collocati lungo l’eclittica, rivolgendosi da mezzodì a settentrione e da settentrione a mezzodì, conduce seco la quarta, che porta l’astro, e cagiona il movimento di questo in latitudine. Nè però è sola a produrre questo effetto; perchè, quanto seguendo la medesima (terza sfera) l’astro si è avanzato verso i poli dell’eclittica e si è avvicinato ai poli del mondo, (di altrettanto retrocedendo) la quarta sfera, che gira intorno ai poli del circolo obliquo su cui è l’astro, e compie la sua rivoluzione in senso contrario alla terza da levante verso ponente in egual tempo, gli fa di più traversare l’eclittica, obbligando l’astro a descrivere da ambi i lati di questo circolo la (linea curva) detta da Eudosso ippopeda. Questa occupa appunto (co’ suoi flessi) tanta larghezza, quanto è il moto dell’astro in latitudine; ciò che fu causa di rimproveri contro di Eudosso. Tale è il sistema delle sfere secondo Eudosso: ventisei di numero, distribuite sopra sette (astri), cioè sei per il Sole e per la Luna, e venti per gli altri cinque.

7. Callippo Ciziceno, il quale studiò con Polemarco conoscente d’Eudosso, venne con esso Polemarco in Atene per conversare con Aristotele sulle invenzioni d’Eudosso, e per rettificarle e completarle col suo concorso. Perchè, credendo Aristotele, che tutte le cose celesti dovessero muoversi intorno al centro del mondo, preferì la supposizione delle sfere revolventi omocentriche all’universo, e non quella degli eccentri, adottata da più recenti... Intorno a Callippo, Aristotele scrisse quanto segue, nel libro duodecimo della Metafisica: «Callippo suppose la medesima disposizione di sfere, che Eudosso, cioè la medesima successione nelle distanze, e attribuì il medesimo numero di sfere tanto a Giove che a Crono; ma pel Sole e per la Luna opinò doversi aggiungere due sfere (a ciascuno) per rendere ragione delle apparenze; ai pianeti rimanenti, una per ciascuno». Sono dunque, secondo Callippo, in tutto le sfere cinque volte cinque, più due volte quattro, il che fa trentatrè sfere. Non si conosce però alcuno scritto di Callippo, il quale spieghi la ragione delle sfere, aggiunte, nè Aristotele la diede. Eudemo tuttavia narrò brevemente per ragione di quali apparenze (Callippo) pensava fossero da aggiungersi quelle sfere: riferisce infatti che il medesimo diceva, che se veramente esistono fra i tempi dei solstizi e degli equinozi differenze tali [p. 101 modifica]d’intervallo, quali Eutemone e Metone credettero (d’aver trovato), non sono sufficienti a ciascuno (Sole e Luna) tre sfere per salvare i fenomeni, e ciò a cagione dell’anomalia che ne consegue nei loro movimenti. La ragione poi, per cui (Callippo) aggiunse una sola sfera per ciascuno dei tre pianeti Ares, Afrodite ed Ermes, fu spiegata brevemente e chiaramente da Eudemo12.

8. Ma Aristotele, dopo narrata l’opinione di Callippo intorno alle sfere revolventi, aggiunse: «Affinchè dalla simultanea combinazione di tutte (queste sfere) si renda ragione delle apparenze, è necessario, per ciascuno dei pianeti, aggiungere alle precedenti altrettante sfere reagenti meno una, le quali restituiscano sempre alla medesima posizione la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore, perchè così soltanto è possibile che si producano i movimenti dei pianeti». Queste cose essendo dette da Aristotele così brevemente e chiaramente, Sosigene, nel lodarne la sagacità, intraprese di trovare a qual necessità servissero le sfere da lui aggiunte13; e dice essere necessario introdurle nelle ipotesi, affinchè ne derivi posizione e velocità conveniente tanto per quella sfera che rappresenta il moto diurno di ciascun pianeta, quanto per le altre a quella inferiori. Perchè deve ognuna delle sfere simili (per moto e per posizione) a quella delle fisse, o ad un’altra, moversi con questa intorno al medesimo asse ed in un periodo uguale: delle quali cose niente si può ottenere senza l’addizione delle sfere, di cui parla Aristotele. Prendiamo, dice Sosigene. per spiegarci più chiaramente, quelle sfere che portano l’astro di Giove. Se dunque nell’ultima delle quattro (sfere) di Crono, nella quale questo pianeta è incastrato, adatteremo i poli della prima sfera di Giove: in che modo potranno questi rimanere nell’asse della sfera delle fisse, mentre la sfera che li porta si aggira intorno [p. 102 modifica]ad un asse diverso e obliquo a quello? Eppure è necessario che quei poli rimangano sul detto asse del movimento più esteriore, se vogliamo che la sfera girante intorno ad essi serbi la disposizione che ha quella delle stelle fisse. Ora, poiché le tre (ultime) sfere che portano l’astro di Crono, girano insieme connesse, e connesse colla prima, avendo ciascuna una velocità sua propria: certamente il moto della quarta non sarà semplice, ma composto con quelli di tutte le sfere superiori. Mostreremo infatti, che quando più sfere si rivolgono in sensi fra loro contrari, si perde una parte delle velocità appartenenti alle loro rotazioni; quando invece i movimenti cospirano, alla celerità propria di ciascuna (delle inferiori) si aggiunge altro movimento comunicato dalle superiori. Se quindi all’ultima sfera, a cui è fissato l’astro di Crono, si connetta immediatamente la prima di Giove, assegnandole la velocità che le conviene, affinchè nella conversione (diurna) del mondo compia anch’essa il suo giro nel medesimo verso; i movimenti delle sfere che stanno di sopra non le permetteranno di conservare questa sua velocità, ma vi sarà un’addizione; perchè si moveranno verso l’occaso e la sfera portata e quelle altre pel medesimo verso14. Lo stesso vale delle altre sfere successive; il movimento diventerà vieppiù composto, ed i loro poli usciranno dalla posizione loro conveniente. Ma, come abbiamo detto, è necessario che non avvenga nè l’una, nè l’altra di queste cose. Affinchè dunque ciò non avvenga, e non si produca così alcun disordine, immaginò (Aristotele) «le sfere reagenti, e restituenti sempre alla medesima posizione la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore». Perchè tali appunto sono le sue parole, ed indicano ambo i motivi per cui egli quelle sfere introdusse: cioè col dir «reagenti», la restituzione del movimento alla propria velocità: col dir «restituenti sempre alla stessa posizione la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore», la stabilità dei poli nella conveniente posizione. Secondo questi poli infatti s’immagina la positura delle sfere mobili, essendone questi i soli punti fissi. E disse poi che da quelle sfere restituenti viene ristabilita la prima sfera dell’astro immediatamente inferiore, perchè prendendo questa, in virtù di tale [p. 103 modifica]restitzione15, la posizione e la velocità che le si compete, ogni cosa nelle sfere consecutive (dello stesso astro) si ordina a dovere. Come poi questo accada, lo dimostrò Sosigene premettendo alcune cose utili al discorso, di cui ecco qui un sunto.

9. Date essendo due sfere omocentriche, come DE, ZH16, più una terza esteriore che le contenga, o fissa, o conducente le altre in giro17: poniamo che le due prime si rivolgano di moti contrari (sui medesimi poli) con eguale velocità, ossia in ugual tempo; dico che tutti i punti della sfera interiore canserveranno rispetto alla sfera più esterna una medesima posizione, come se la sfera interiore non fosse stata mossa. Poniamo che DE sia mossa come da A verso B: se essa portasse seco la minore ZH, e questa non si rivolgesse in senso contrario, si vedrebbe, al passare di D sotto B, venir Z sotto B18 in egual tempo.

Ma se la ZH è mossa dalla DE, e nello stesso tempo ruota di moto proprio in senso contrario, di quanto essa ZH è mossa avanti, di tanto essa stessa regredirà: onde, quando D sarà sotto B. Z resterà sotto A dov’era prima, ed apparirà la verità della proposizione. Rimanendo dunque fissa la AB, è chiaro quanto si è dimostrato, e che succedendo i due moti contrari, ogni punto della sfera interiore rivoluta e controvoluta conserverà sempre rispetto ai medesimi punti della sfera esterna la medesima posizione: il che non avverrebbe, se si rivolgesse soltanto in un senso. Se poi A B fosse in movimento, o nello stesso senso della seconda sfera DE o in senso contrario, le stesse cose avverranno circa i punti della terza sfera Z H, purché questa insieme sia rivoluta con DE e [p. 104 modifica]controvoluta come prima. Infatti, se la sfera AB gira da A verso B portando seco la DE in modo che D venga verso E, la sfera di mezzo DE si volgerà o nel medesimo senso che AB, o nel senso opposto a qualsiasi velocità rispetto alla AB, ma però sempre con periodo uguale a quello della ZH; e portando seco questa, farà che il punto Z esca fuori dalla dirittura di A. Ma la terza sfera rivolgendosi (da sè) in contrario, di nuovo porterà Z sotto A, e lo stesso continuamente accadendo, tutti i punti della sfera ZH rimarranno sotto i medesimi punti della sfera AB. Così dunque è dimostrata la proposizione per le sfere che si aggirano intorno al medesimo asse. Lo stesso vale però anche quando non si muovono intorno al medesimo asse19. Perchè la coincidenza dei punti sotto i medesimi punti non è prodotta dal moversi (questi punti) sotto i medesimi paralleli ma dal volgersi e dall’opposto rivolgersi della sfera contenute (ZH) rispetto alla contenente (AB), per cui quella tanto perde di movimento, quanto guadagnava; sia che questi opposti movimenti si facciano in un circolo obliquo, oppure in un circolo perpendicolare (all’asse intorno a cui si muove AB).

10. Di nuovo, se abbiansi due sfere omocentriche mosse nella medesima direzione con certa velocità, e si metta che la minore non solo si muova colla maggiore, ma sia dotata pur di velocità propria ed uguale nel medesimo senso: il movimento così composto (della minore) si farà con velocità doppia. E se la velocità (propria) della minor sfera sarà doppia, la velocità sua composta sarà tripla, e così di seguito. Perchè se la maggiore muoverà la minore di un quadrante, e la minore con ugual velocità propria procederà d’un quadrante, questa avrà avanzato di due quadranti; e quindi il suo moto composto di due sarà doppio del moto dell’altra. Queste cose, dice (Sosigene), stanno pel caso in cui i movimenti si facciano intorno ai medesimi poli. Che se i poli saranno diversi, diverso sarà pure l’effetto, a cagione dell’obliquità dell’altra sfera (rispetto alla prima). Perché allora le velocità non si comporranno in questa maniera, ma, come si usa dimostrare col parallelogramma, produrranno un movimento secondo il diametro20, [p. 105 modifica]composto di due movimenti, dei quali l’uno è quello di un punto che si muova seguendo la lunghezza del parallelogramma, l’altro di un punto che si muova percorrendo la larghezza del parallelogramma in egual tempo che impiega il primo a percorrer la lunghezza. Perchè in tal modo il punto si troverà simultaneamente all’altro estremo così del diametro, come della lunghezza di ciascuno dei lati percorsi: e siccome il diametro non è eguale alla linea spezzata formata da questi lati, ma minore, così la velocità composta delle due sarà minore della loro somma21. Il simile dicasi, quando rivolgendosi due sfere omocentriche intorno ai medesimi poli, od intorno a poli diversi, ed in direzioni contrarie, in guisa che la minore ad un tempo sia portata dalla maggiore, e si mova (di moto proprio) contro a quella: ogni punto della minore impiegherà a far la sua rivoluzione più tempo, che non occorrerebbe, se fosse soltanto invariabilmente connessa colla maggiore. Per questo la restizione del Sole, da un levare a un levare consecutivo, è più lenta che la rivoluzione del mondo, avendo esso un moto più tardo in contrario senso. Che se invece il Sole avesse un movimento uguale a quello delle fisse, la sua rivoluzione accompagnerebbe queste, ed esso nascerebbe sempre col medesimo punto (della sfera stellata).

11. Premesse queste cose, Sosigene, venendo a ciò che fu detto da Aristotele sulla necessità di aggiungere per ciascun pianeta altrettante sfere reagenti (quante deferenti ne assumeva Callippo) meno una, se si vogliono salvare le apparenze, espone come segue la teoria delle sfere secondo Aristotele. Sia dunque, delle sfere che portano Crono, la prima mossa al modo di quella delle fisse, la seconda lungo l’eclittica, la terza si rivolga perpendicolarmente all’eclittica, da ostro verso settentrione; il circolo (equatoriale) di questa sarà perpendicolarmente all’eclittica, avendo in essa i poli, perchè si segano perpendicolarmente i circoli (massimi) che passan l’uno pei poli dell’altro. La quarta sfera poi, che contiene l’astro, lo muova secondo un circolo [p. 106 modifica]obliquo, allo scopo di limitarne l’escursione in latitudine verso l’Orsa, affinchè non si avvicini troppo ai poli del mondo. Bisogna ora immaginare, oltre alle quattro deferenti, un’altra quinta sfera che sia mossa intorno ai medesimi poli che la quarta, in senso contrario ed in egual tempo. Questa, essendo mossa in contrario della quarta, sui medesimi poli, con eguale velocità, distruggerà il movimento della quarta, e la velocità apparirà diminuita22. I punti della terza sfera appariranno sulla quinta sempre secondo il medesimo cateto23. Dopo la quinta bisogna immaginarne una sesta, avente gli stessi poli che la terza, la quale si rivolga colla stessa velocità ed in senso opposto a questa, per salvare le apparenze. Dopo queste bisogna aggiungere una settima sfera, che controvolga la seconda e giri con essa intorno ai poli dell’eclittica in egual tempo, e distrugga la velocità che è propria alla seconda, e dalla seconda è comunicata alle sfere inferiori (perchè la seconda movendosi colla sfera delle fisse, comunicava anche la velocità alle sfere inferiori dall’orto all’occaso). Così dunque (la settima) si moverà al modo delle fisse, ma non avrà tuttavia la medesima posizione che la sfera delle fisse, rivolgendosi intorno a poli diversi da oriente in occidente 24. Sotto questa rimane da immaginarne un’ottava, la quale sarà la prima di Giove, rettamente osservando Sosigene, che non è vero, che l’ultima delle tre reagenti (di Crono) sia la prima delle sfere di Giove, come credettero alcuni, i quali dissero, che l’ultima delle sfere distruggenti i moti superiori è la prima delle sfere portanti l’astro immediatamente inferiore, e che la settima sia quella che noi diciamo ottava, e la prima delle sfere di Giove25. Onde loro bisogna numerare due volte la medesima sfera, per salvare il numero di quelle poste da Aristotele. È infatti [p. 107 modifica]saldo, che per ciascun astro il numero delle sfere restituenti sia d’una unità minore di quello delle deferenti; quindi per Crono e per Giove, che hanno quattro deferenti, tre saranno le restituenti per ciascuno; per gli altri quattro, Ares, Afrodite, Ermes e Sole, che hanno cinque deferenti, le restituenti saranno quattro. Da Crono e da Giove abbiamo dunque due volte tre restituenti, quattro volte quattro eia Ares, Afrodite, Ermes e Sole: tutte insieme sono perciò ventidue. Ma da Crono e da Giove abbiamo otto deferenti, venticinque dagli altri cinque. Alle trentatrè deferenti sommando le ventidue restituenti si ha il numero totale di cinquantacinque sfere. Perchè alle deferenti della Luna non occorrono restituenti, dicendo Aristotele, che quelle non hanno ad esser rivolte in contrario, che portano l’astro inferiore a tutti gli altri. È dunque palese, che tale appunto dev’essere il numero di tutte.

12. Quello poi che soggiunse Aristotele, «che se al Sole ed alla Luna non si aggiungono i movimenti che abbiamo detto, il numero totale delle sfere è di quarantasette», ha prodotto confusione. Perchè, se leviamo le due sfere del Sole e della Luna aggiunte da Callippo, è chiaro che bisogna toglierne al Sole due altre restituenti contrarie a quelle (perchè tolte le due prime, bisogna anche levare quelle che ne distruggon la rotazione): in tutto bisogna dunque levarne sei, cioè, due deferenti e due restituenti del Sole, più le due aggiunte alla Luna da Callippo: così facendo però, invece di quarantasette, peri numero totale rimane quarantanove. Aristotele disse quarantasette, forse non facendo attenzione, che alla Luna non quattro, ma solo due bisogna levarne26. A meno che non si voglia dire, ch’egli abbia tolto al Sole le quattro sfere restituenti da lui stesso aggiunte, più le due aggiunte da Callippo: con che dalle 55 hannosi a sottrarre 8, e rimane 47, numero voluto. Noi potremmo qui ben concedere, che siano tolte le sfere restituenti alla seconda e alla terza delle deferenti solari, avendo egli stesso detto, che le sfere inferiori non hanno le restituenti che ne distruggano il moto27: tuttavia Sosigene [p. 108 modifica]giustamente osserva, che anche per riguardo alla Luna è necessario conservare le restituenti (superiori ad essa), se non vogliamo che la velocità dei moti superiori, aggiunta a quella delle deferenti lunari, faccia correre la Luna con velocità diversa da quella delle stelle fisse verso occidentenota. Ed allora, dato questo, che la Luna sola sia priva di sfere restituenti, il numero 47 non si può raggiungere: ciò che imbarazzò molto Alessandro e Porfirio nei loro Commenti sul XII della Metafisica. Sosigene nota esser meglio ammettere, che sia corso un errore nella scrittura del numero, che creare questa settima e questa ottava delle sfere (necessarie a dedursi dal numero 55 per ottenere il numero aristotelico 47); perchè in nessun modo si arriva a far concordare il numero col discorso, e il numero totale non risulta mai di 47, come Aristotele dice.

13. Aggiunge poi questo Sosigene, esser chiaro dalle cose dette, che in diverso senso queste sfere furono da Aristotele chiamate ἀνελίττουσαι (revolventi), e da Teofrasto ἀνανταφέρουσαι (contraferenti). Esse sono infatti l’uno e l’altro: rivolgono in contrario senso i movimenti delle sfere superiori, e riportano a ritroso i poli delle sfere inferiori ad esse, distruggendo l’effetto di quelli, e riportando questi nella positura conveniente. È necessario infatti, che i movimenti superiori non si propaghino a tutte le sfere inferiori, e che i poli delle sfere inferiori coincidano lungo il medesimo cateto coi poli delle sfere omologhe (degli altri pianeti) affinchè, com’egli dice, siano riportate costantemente alla medesima posizione le prime sfere degli astri inferiormente collocati, e con queste evidentemente anche le altre sfere susseguenti (dei medesimi astri). Così soltanto, dice, si ottiene che il movimento delle stelle fisse produca tutti gli altri. E tanto basti di ciò.

14. E tale è il sistema delle sfere revolventi (ἡ διὰ τῶν ἀνελιττουσῶν σφαιροποιία, il quale non è sufficiente a salvare le apparenze; di che anche lo accusa Sosigene, dicendo: Non valgono le ipotesi dei seguaci d’Eudosso a salvare i fenomeni, non solo quelli scoperti dai recenti, ma anche quelli conosciuti prima, e da loro medesimi tenuti per veri. E che sarà a dire di quegli altri, di alcuni dei quali non potendo dare Eudosso la spiegazione, tentò di darla Callippo Ciziceno, se è vero che 28 [p. 109 modifica]vi sia riuscito? Ma è certo che neppur di questo, com’è chiaro, alcun di loro intraprese la dichiarazione per mezzo di ipotesi prima di Autolico Pitaneo, il quale tuttavia non la potè dare29: intendo parlare del fatto, che gli astri sembrano qualche volta ii noi vicini, qualche volta lontani; ciò che per alcuni di essi è evidente a prima vista. Perchè l’astro detto di Afrodite, e quello detto di Marte, nel mezzo delle loro retrogradazioni30 appaiono molte volte più luminosi, così che quello di Afrodite nelle notti senza Luna fa proiettar ombra ai corpi. Ma anche della Luna è facile vedere, ch’ella non si trova sempre alla medesima distanza da noi, perchè non appare sempre della medesima grandezza a chi la considera paragonandola con un altro oggetto. Ciò risulta anche da osservazioni fatte con istrumenti, perchè occorre ora un disco (τύμπανον) di undici dita, ora uno di dodici, collocato alla medesima distanza dall’osservatore, per impedirne a questo la vista. Intorno a ciò dà testimonianza, in favore delle cose dette, anche quanto accade in occasione delle eclissi perfette (cioè centrali) del Sole, ed è corto argomento della verità di quelle. Perchè, quando accade che i centri del Sole e della Luna si dispongono in linea retta colla nostra vista, non succedono sempre le medesime apparenze; ma talora avviene, che il cono, che è circoscritto alla Luna ed ha il vertice nel nostro occhio, è pure circoscritto esattamente al Sole: altre volte il Sole rimane tutto occultato [p. 110 modifica]a noi por un certo intervallo di tempo; altre volte ancora a questo effetto manca qualche cosa, così che nell’istante medio dell’eclisse, fuori della Luna rimane una specie di lembo annulare che lo circonda31. Onde necessariamente tal diversità delle grandezze apparenti proviene da ciò, che le distanze loro sono ineguali, come accade delle cose che si trovano nell’aria. Quello poi che accade in questi casi, ed è manifesto alla vista, è verosimile accada anche agli altri (astri), sebbene non sia evidente all’osservazione. E non solo è verosimile, ma vero, perchè si manifesta nell’apparente anomalia del loro movimento da un giorno all’altro; mentre per la loro grandezza quale si vede, la differenza non è ovvia, perchè non molto grande è la loro escursione in alto e in basso, quella cioè che i matematici sogliono chiamare: movimento in profondità. Questo dunque essi non hanno cercato di spiegare, come quella (grandezza) sembri variare da un giorno all’altro, sebbene il problema ciò richiegga.

Ma non è neppur lecito dire, che a loro sia rimasta sconosciuta la variazione delle distanze di un medesimo astro. Infatti sembra, che Polemarco Ciziceno la conoscesse, ma che ne abbia fatto poco conto, come di cosa insensibile, perchè egli preferiva l’ipotesi delle sfere concentriche al centro dell’universo. Ed è manifesto, che anche Aristotele nei Problemi fisici32 trova a dubitare delle ipotesi degli astronomi per questo, che la grandezza dei pianeti non sembra costante: dunque neppur egli fu intieramente soddisfatto colle revolventi, sebbene le abbia collocate concentricamente all’universo, dando loro un moto intorno al centro di questo33. Ed invero si vede, da [p. 111 modifica]quanto dice nel XII della Metafisica, che egli non stimava sufficiente quanto fino a lui dagli astronomi era stato detto intorno al movimento dei pianeti, perchè si esprime così34:

Noi assumiamo qui per vero quello che dicono alcuni dei matematici, nello scopo di farci intendere, e per determinare in qualche modo i nostri pensieri intorno al numero (dei movimenti celesti); del resto, possiamo o far ricerca noi medesimi, o profittare delle informazioni ulteriori che possono darci coloro elio sogliono occuparsi di queste cose, tenendo tutti in conto, accostandoci però alla sentenza più certa». Ma enumerati nel medesimo libro35 tutti i movimenti, aggiunge: «E tale sia il numero dei movimenti, onde con probabilità dobbiamo assumere, che le essenze ed i principi immobili e sensibili siano in egual numero: qual sia il necessario (numero), lasceremo dire ai più dotti di noi». Le parole: E tale sia, e, con probabilità, e l’abbandonare la cosa ad altri più dotti, indicano dubitazione intorno all’argomento.

15. Dunque, secondo il consiglio d’Aristotele medesimo, sarà più vantaggioso seguire quei posteriori (astronomi), che meglio resero ragione delle apparenze, sebbene neppur essi con intiera perfezione; anziché i precedenti, i quali non avevano avuto ancora cognizione di tanti fenomeni, perchè non erano ancora arrivate in Grecia le osservazioni di 1903 anni36

[p. 112 modifica]che, sulla preghiera di Aristotele, Callistene aveva spedito da Babilonia, e che, al dire di Porfirio, erano state conservate fino al tempo di Alessandro Macedone; e non avevano potuto dimostrare per mezzo d’ipotesi tutto quello che già conoscevano. Onde li accusa Tolomeo di aver introdotto un così gran numero di sfere al solo scopo di ricondurre la restituzione periodica dei sette pianeti alla rivoluzione delle stelle fisse... I posteriori astronomi adunque, respingendo le ipotesi delle sfere revolventi, principalmente perchè non valgono a spiegare la differenza delle distanze e l’anomalia dei movimenti, alle omocentriche surrogarono le ipotesi degli eccentri e degli epicicli, se pure quella dei circoli eccentrici non fu già ideata dai Pitagorici, come alcuni narrano, e fra questi Nicomaco, e sull’autorità di Nicomaco, Jamblico...37



  1. Brandis, Scholia in Aristotelem edidit Academia Regia Borussica (Berolini 1836), pp. 498-504; Simplicii, Commentarius in IV libros Aristotelis De Cælo ex recensioine Sim. KKarstenii, mandato Regiæ Academiæ disciplinarum Nederlandicæ editus (Trajecti ad Rhenum 1865), pp. 219-229. Non ho tenuto conto dell'edizione aldina del 1526, malgrado le notevolissime differenze ch’essa presenta colle edizioni più recenti. Consta infatti fin dal 1810, per le ricerche d’Amedeo Peyron, d’illustre memoria, che l’aldina non è un testo originale, ma sì bene una traduzione in greco, fatta sopra una versione latina anteriore. Vedi Peyron, Empedoclis et Parmenidis fragmenta ex codice Taur. restituta et illustrata, Lipsiæ 1810, pp. 3-26. Ho pure fatto confrontare alcuni passi col Codice di Simplicio, che esiste presso la Biblioteca della Regia Università di Torino.
  2. ἀνελιττουσῶν. È il nome con cui si trovano frequentemente designate le sfere d’Eudosso dagli autori posteriori a lui. Ho evitato nella presente memoria questa designazione, come quella che presenta qualche ambiguità, avendo Aristotele (v. qui sopra Appendice I) designato col medesimo nome quella classe speciale di sfere da lui aggiunte, che servono a distruggere i movimenti delle altre. Noi indicheremo sempre col nome di deferenti le sfere motrici: con quello di restituenti o reagenti quelle aggiunte da Aristotele: col nome generale di omocentriche o di revolventi l’insieme delle une e delle altre, come nel corso della memoria si è fatto.
  3. Sottintendi dell’orizzonte.
  4. Leggo μέση col Brandis, Karsten ha μεγίστη, ciò che è senza dubbio tronco.
  5. Per brevità, alla perifrasi: circolo che divide per mezzo lo zodiaco, sostituisco la parola eclittica, sebbene questo nome non si trovi usato dagli antichi prima di Achille Tazio, scrittore del quarto secolo dell’era cristiana.
  6. Vedi il passo del libro XII della Metafisica, riferito qui sopra nella Appendice I.
  7. Quando, dopo la congiunzione col Sole, esce dai raggi solari, e forma alla mattina ciò che si chiama apparizione (φάσις) o levare eliaco.
  8. διεξόδου χρόνον. È il tempo della rivoluzione nell’epiciclo secondo il sistema tolemaico.
  9. ἐν μησὶ τρισὶ δίμοιρον, Karsten. Brandis ha la variante equivalente ἐν ἡμέραις δέκα καὶ ἑκατόν.
  10. Questa durata è falsa, ma tutte le edizioni portano tal numero, e cosi pure il latino di Guglielmo da Meerbeke.
  11. Cioè da occidente in oriente: secondo il termine tecnico latino, in consequentia.
  12. Sembra che qui manchi qualche cosa nel testo di Simplicio.
  13. Lungo tempo sono stato dubbioso, se non fosse meglio sopprimere affatto quanto segue da questo punto fino al § 14, dove in più pagine sono diluite idee, che più chiaramente noi esprimeremmo con dieci linee. A giudicare da questo tratto, nel quale Simplicio per lo più riferisce testualmente, o quasi, le parole di Sosigene, dovremmo credere che costui fosse il più prolisso e il più noioso scrittore de’ suoi tempi. Tuttavia mi sono finalmente deciso a non troncar nulla, non foss’altro che per rispetto a quel filosofo-astronomo, del quale questo è forse l’unico saggio di qualche importanza, che sia arrivalo fino a noi.
  14. Cioè le quattro sfere di Saturno, le quali già tutte hanno il moto diurno della prima di esse; la prima di Giove per supposizione.
  15. ἀνάλειψιν Karsten. ἀνείλησιν Brandis.
  16. Vedi la figura 21, la quale non trovandosi in alcuna delle edizioni, ho cercato di ristabilire coll’aiuto del tasto.
  17. Leggo con Brandis εἴτε μενούσης εἴτε περιαγομένης ἐκείνας; ciò che dà un senso migliore della lezione di Karsten, εἴτε κινουμένης εἴτε μενούσης τῆς περιεχούσης, che non spiega abbastanza.
  18. Tanto Brandis quanto Karsten hanno A invece di B: ciò che è manifestatamente un errore, ed in contraddizione con quello che segue.
  19. Cioè quando l’asse della prima sfera AB è diverso dall’asse comune intorno a cui in tempi uguali e in senso contrario si rivolgono la seconda e la terza sfera DE, ZH.
  20. Cioè la diagonale.
  21. Ecco enunziato qui da Sosigene il principio della composizione dei movimenti, con tutta la chiarezza possibile. La dimostrazione di quel principio col parallelogramma era cosa nota nelle scuole. Al medesimo pure allude Gemino, alquanto più antico di Sosigene, presso Proclo Comm. in Eucl., p. 106 ed. Friedlein. La base di queste antiche dottrine sul moto composto sta presso Aristotele nel cap. 2 dei Problemi Meccanici, dove il teorema del parallelogramma delle velocità si trova dimostrato.
  22. Più esattamente: diminuirà il numero delle velocità che compongono il movimento. La quinta sfera, o prima delle reagenti, si innoverà come la terza delle quattro deferenti.
  23. Cioè, si proietteranno radialmente sopra punti identici della quinta sfera secondo un medesimo raggio.
  24. E' falso: i poli sono i medesimi.
  25. L’opinione di questi tali, checché ne dica Sosigene, è la vera. È manifesto, che la terza delle reagenti dì Crono segue appunto il moto delle fisse, e che in essa si può adattare subito la seconda delle sfere deferenti di Giove. Onde è inutile la prima delle deferenti di Giove, come quella che si rivolge esattamente allo stesso modo che l’ultima delle reagenti di Crono.
  26. Questa sembra la spiegazione più probabile dell’errore dello Stagirita.
  27. Simplicio vuol dire, che, data la facoltà di privare delle loro restituenti un certo nnmero delle deferenti più basse, si può privarne non solo lo deferenti della Luna, ma anche le due ultim e sfere del Sole, senza contraddire alla lettera del testo aristotelico.
  28. Espressione alquanto inesatta, della quale però il senso preciso è evidente.
  29. Qui intercalato si trova in ambe le edizioni stampate e nel latino ancora quanto segue: δηλοῖ δὲ ἡ πρὸς Ἀριστόθηρον αὐτοῦ διαφορά, cioè: «manifesta la sua differenza con Aristotele». Ambo i testi hanno veramente Ἀριστόθηρον, e identica lezione ha il M. S. di Simplicio, che esiste nella biblioteca dell’Università di Torino. Questa glosa, la quale interrrompe il senso e non ha qui nulla che fare, fu da noi omessa. Poscritto. — Dopo tre anni mi è riuscito di chiarire questo punto. Il passo non è un’aggiunta posteriore, come io credeva, ma può benissimo rimanere nel testo. Io ho trovato che è esistito realmente un personaggio di nome Ἀριστόθηρος. Egli fu contemporaneo di Autolico (circa 300 a.C.), fu matematico come lui ed ebbe a scolaro il celebre poeta Arato. (Vedi la biografia di Arato nell’edizione degli scritti di Arato fatta dal Beuhle, Leipzig, 1793, vol. 1, p. 4). Dunque ciò di cui parla Sosigene non è altro che una disputatio Autolyci contra Aristotherum, dove verosimilmente Autolico esponeva le proprie idee sul moto dei pianeti, ed alla quale, come a cosa nota, Sosigene si riferisce.
  30. προηγήσεις, progressioni in avanti, cioè in antecedentia o verso occidente, che equivale alle retrogradazioni. Veramente la massima luce di Venere non succede nel mezzo delle sue retrogradazioni.
  31. È da notare, che tutte queste notizie appartengono a Sosigene, il quale avea su tale argomento idee molto più esatte, che non la maggior parte degli astronomi fino dopo Ticone. Ancora sul principio del sec. XVII si dubitava da alcuni della possibilità di un’eclisse totale. Sosigene, nei suoi libri περὶ τῶν ἀνελιττουσῶν, citati da Proclo, scriveva «che il Sole nelle eclissi perigee oltrepassa co’ suoi lembi il disco lunare, coi quali illumina senz’impedimento». Onde si vede che Sosigene conosceva le variazioni del diametro apparente tanto del Sole che della Luna. Anche qui, nei trattare direttamente delle sfere revolventi, egli aveva probabilmente per scopo di confutare quel sistema, dimostrando che la distanza del Sole da noi è variabile. (V. Procli, Hypotyposes, ed. Halma, p. 111).
  32. Oggi perduti.
  33. Tutti questi ragionamenti sui dubbi d’Aristotele intorno alle sfere omocentriche non debbono illudere il lettore: essi servono a scusare la defezione dei peripatetici dalle revolventi dello Stagirita, e l’adesione che (con buone ragioni) essi diedero, dietro l’esempio di Sosigene, alla teoria degli eccentri e degli epicicli.
  34. Metaphys. XII, 8.
  35. Nel passo che forma la nostra Appendice 1.
  36. Tanto Brandis e Karsten quanto il Codice di Torino, leggono: ἐτῶν χιλίων καὶ μυριάδων τρίων: ciò che importa 31000 in luogo di 1903, numero dato dal latino e dall’edizione aldina. Tutti gli eruditi più recenti si sono attenuti alla versione 31000, la quale ha l’inconveniente di convertire in una favola impossibile una narrazione per sè possibilissima e confermata da scoperte recenti. Come dottamente osserva il Lepsius (Chron. der Aegypter, p. 9), il dubbio è derivato dalla trasformazione del segno Ϡ del 900 nel segno M della miriade. In favore della lezione 1903 parla pure la costruzione della frase qui sopra riferita, la quale suona assai meglio surrogando ἐννεακοσίων a μυριάδων: e il fatto, che il codice su cui Guglielmo di Meerbeke fece la sua traduzione latina sullo scorcio del secolo XIII, era probabilmente più antico di quello, da cui trassero la lezione di questo passo il Brandis e il Karsten. La questione sembra abbastanza importante per esser esaminata da capo da persone competenti, coll’aiuto di lutti i codici elle si potranno ancora rinvenire.
  37. Vi è però da dubitare che il Nicomaco qui nominato sia il celebre aritmetico di Gerasa. Secondo Fabricio, Jamblico lo avrebbe citato nel libro X περὶ πυθαγορικῆς αἱρέσεως, del quale libro X l’argomento speciale era περὶ σφαιριξῆς καὶ ἀστρολογικῆς. L’opera di Nicomaco avrebbe avuto per titolo Collectio Pythagoricorun dogmatum, citata da Siriano in Ar. Metaphys. XII.