Poeti minori del Settecento/Nota (volume II)
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NOTA
I criteri seguiti nella compilazione del precedente volume di Poeti minori del Settecento mi hanno guidato anche in questa raccolta, che si potrebbe dire dei frugoniani : se non che la scelta è fatta con maggiore parsimonia, almeno in proporzione alla immoderata feconditá di questi verseggiatori.
Né della parsimonia credo dovermi giustificare; né mi par necessario ripetere che chi, per ragion di studi, dovrá rileggere le opere complete del Mazza, del Rezzonico, del Bondi, e degli altri qui riuniti, sarebbe costretto a ricorrere alle edizioni originali, anche se queste ristampe fossero intiere; né infine dimostrare che per dieci studiosi (i quali non se ne varrebbero) nessun editore potrebbe ripubblicar trenta o quaranta volumi !
Piuttosto è da desiderare che nessuno mi accusi di aver dato troppo. Io non ho scelto secondo i miei gusti. Norma mi è stato sempre il giudizio dei contemporanei o dei posteri immediati; cosi che le piú di queste poesie si trovano nelle raccolte del tempo degli scrittori medesimi e riprodotte in Scelte o Parnasi o Fiorite, piú volte dopo la lor morte.
La Raccolta di poemi didascalici e poemetti vari scritti nel secolo XVIII (Milano, Classici ital., mdcccxxviii) e altre di quegli anni, come la Crestcnnazia compilata dal Leopardi per lo Stella e ristampata tante volte, mi sono state a questo proposito di utilissima indicazione. Per le Liriche propriamente dette, mi sono attenuto sopratutto alla scelta del Carducci giá citata nel precedente volume, aggiungendo qua e lá, quando mi è parso il caso.
ANGELO MAZZA i^)
(Parma; 1741-1817).
I piaceri dell’immaginazione (trad. dall’ Akenside), 1763. L’eguaglianza civile, ode di A. M. (Parma, Bodoni, 1794). Odi di A. M. (Parma, Bodoni, 1815).
Opere di A. M. (Parma, Paganino, mdcccxvi-xix), voli. 5 in-8°. Poesie di A. M. (Pisa, Capurro, 3818-22), 3 voli. Intorno al Mazza: Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, voi. vii.
Capasso C. - Studi su A. M. (Camerino, 1901).
A. R0NDANI - ^a^^z di critiche letterarie (Firenze, 1881).
Dopo quanto ho accennato in generale sulla scelta dei componimenti raccolti nella presente edizione, non credo necessarie né utili speciali dimostrazioni: solo avvertirò che l’epistola^ Carlo Innocenzo Frugoni è la dedicatoria premessa alla versione dei Piaceri dell’immaginazione dell ’Akenside (1763: v. Frusta letteraria) e che l’ho collocata in principio, non solo per l’ordine cronologico, ma perché può esser considerata come una specie di programma poetico dell’autore.
E dalle varie edizioni, come ho fatto giá per gli altri poeti, riproduco, e qualche volta riassumo, le note che mi paiono ancora utili, o meno inutili.
I POEMETTI
I. All’Armonia. L’autore può esser detto giustamente il «Cantore dell’Armonia»; tanto di questa, guardata in se stessa e in tutti gli effetti ed
(i) Avverto, una volta per tutte, che indico solo le edd. che ho vedute: e sono le principali. Elenchi compiuti delle stampe, sparse qua e lá per raccolte, sarebbero a me, qui dove sono, impossibili: e lunghe indicazioni sparpagliate, e raccolte a caso su note bibliografiche capitatemi sott’occhio, sarebbero inutili.
aspetti suoi, egli primo in Italia ha trattato ne’ suoi versi, tessendone componimenti di varie specie! Egli prese occasione di farlo dalla festa di santa Cecilia, per la quale ogni anno pubblicava ora un’ode, ora un inno, ora sciolti, ora terze rime o piane o sdrucciole, ora sonetti; talché quanto egli aveva scritto di tale argomento formò giá da piú anni un grosso volume in-40 grande, impresso in Firenze. Dipoi un altro affatto diverso, e in foglio, se ne vide stampato in Parma: né il poeta indi mai ha lasciato sfuggirsi il destro di cantare del tema suo prediletto, che gli ha dato il nome in Arcadia (Armonide Elideo).
Altre due singolaritá, che lo distinguono fra i pochi insigni lirici della etá nostra, sono: l’aver egli vinta la ritrosia delle muse, conducendole a ragionare della piú sublime filosofia, ed a vestirne la severa maestá colle nobili grazie e cogli acconci adornamenti delle immagini e del linguaggio poetico; e la difficoltá mirabilmente superata del rimare in versi sdruccioli, trattando ogni sorta di piú ardui argomenti. I suoi Canti su i dolori di Maria Vergine, che dal chiaro veronese Benedetto del Bene furon riputati degni d’essere tradotti in versi latini, sono anch’essi una luminosa riprova ch’egli signoreggia pure queste difficilissime rime senza lasciarsi da esse punto signoreggiare: il che sembra non potersi dire con veritá degli altri, che lo precorsero nel medesimo arringo... Le sue Stanze al Cesarotti han dimostrato con che facile dignitá, immune di zeppe, egli fa servir questo metro alla filosofia, alla erudizione ed a scolpire i precipui caratteri de’ classici.
II. La grotta platonica. Che le api componessero il mèle sulle labbra di Platone fanciullo, e che Socrate sognasse d’avere in seno un giovine cigno, artista di canti e di voli maravigliosi, e che questo cigno prefigurasse Platone, racconto era comune in Atene, e lo ripeterono gli scrittori della filosofia istorica. Ciò valga almeno per una immagin simbolica della divina eloquenza e del divino intelletto del piú grande fra i discepoli di Socrate.
z^- 77 ^SS- — Si accennano diversi fonti di filosofici deliramenti, giacché «yiihil tatn absurde dici potest, quod non dicatiir ab aliquo philosophorumy> (Cic, De divinai., U).
V. g4 — Epicuro.
V. 146 — Parmenide. Vedi il dialogo di questo nome in Platone e il sottile compendio fattone dallo Stellini. L’«Uno e Tutto» del sistema parmenideo è il vero panteismo, riprodotto geometricamente dal circonciso filosofo d’Amsterdam.
V. 160 — Zenone, capo della Stoa e antesignano del fatalismo.
V. 170 — Le Parche presso alcuni mitologi, come reggitrici delle differenze del tempo, si descrivono calve con la corona in capo.
V. 174 — Il sistema dei due mondi, l’uno visibile, l’altro ideale, esposto luminosamente nel sesto della Repubblica, è il tratto piú importante, e può dirsi la chiave della metafisica di Platone.
^- 193 ^SS- — «Idea» ed «essenza» nel linguaggio di Platone suonan lo stesso: tali sono l’essenze, le idee del bello, del giusto, del retto, dell’onesto, ecc.; essenze che, secondo Platone, hanno il lor essere da quella, che non debbe il suo essere che dalla necessitá di sua natura, cioè Iddio. Talora però tali essenze non molto dissomigliano dalle «emanazioni» pitagoriche, e dalle «fulguraziohi» leibniziane.
vv. 237-8— «Artefice del meglio» fu detto Iddio da Timeo di Locri.
V. 273 sgg. — Dalle sensazioni de’ colori, dalla regolaritá delle forme e dal movimento variamente modificato germogliano le prime idee del Bello visibile. Akenside nel suo poema /piaceri della immaginazione^ da me fatto italiano l’anno 1763, e perciò bisognoso di quella matura riforma, alla quale ho giá posto mano, ne fa un’assai elegante descrizione, non iscostandosi dalle belle tracce segnate dall’Addison nello Spettatore.
II
INNI E ODI
III. Musica direttrice del costume. — Al v. 3 annota il Carducci: «’ Iddea ’ leggo con una ediz. bodoniana di queste odi su la musica, fatta nel 1792; e ’dea’ la chiama piú volte il p. in fin dell’ode. Le altre edizz. hanno ’ idea ’» .
V. 6 — Nobile allegoria di Parmenide nel principio del poema Sulla natura delle cose, conservatoci da Sesto Empirico, illustrata piú largamente da Platone nel Fedro.
V. 26 sgg. — L’arcobaleno è una visibile immagine musicale. Il Newton ha dimostrato che gli spazi relativi de’ sette colori primigèni hanno la stessa proporzione che i sette intervalli diatonici della musica. Un sottilissimo antinewtoniano francese, procedendo da altro principio, immaginò un clavicembalo ottico, che poi ci venne accuratamente descritto dal valoroso professor Tellemann. In Francia, e di poi in Italia, ne fu eseguita con buon successo l’idea; e, comechè un accademico di Berlino estimò non potere ciò riuscire molto dilettevole, persone fornite d’occhi sani e di giusto orecchio attestano d’aver provata una sensazione egualmente piacevole in quella de’ suoni che nella musica dei colori (vedi Newton, Opera; Castel, Optigue des couleurs).
V. 36 — Platone dalle leggi de’ suoni quelle derivò, che, nella forma dell’ottima repubblica attemperando ogni ordine di cittadini, formavano come un semplice concento; e prescrisse doversi moderare le facoltá dell’animo colla stessa proporzione colla quale l’ ima, la media e la somma corda si rispondevano nella cetra. Ma Tolomeo, sottilizzando sul platonico imaginamento, ne amplificò i rispetti ; poiché, non contento di assomigliare
la ragione alla diapason, l’ira alla diapente e la voluttá alla diatesseron, a ciascuna delle facoltá attribuí tante virtú, quante le specie sono d’ogni consonanza. Imperocché, come le consonanze della diapason, sette pur sono, secondo lui, le virtú della razionalitá: acume, del quale è moversi speditamente; ingegno, che mira ad un fine; perspicacia, che le cose discerne; giudizio, che di esse rettamente delibera; sapienza, che versa nella contemplazione; prudenza, che nell’azione; e perizia, che nell’esercitazione si adopera e si raggira; — quattro della irascibilitá, come le consonanze della diapente: mansuetudine, nel frenar la collera; intrepidezza, nel reprimere i terrori delle soprastanti calamitá; fortezza, nell’affronto de’ pericoli ; e longanimitá, nel portar le fatiche — tre finalmente della concupiscibilitá, come le consonanze della diatesseron: temperanza, nel ricusar i piaceri; continenza, in sopportar la miseria; e verecondia, nello sfuggimento delle turpitudini. E comechè aveva egli diviso i suoni in unisoni, consoni e concinni, chiamando «unisoni» i componenti la diapason, «consoni» quelli che costituiscono la diapente e la diatesseron, «concinni» i tonici qualunque e quanti formano la minima delle consonanze; quelle virtú, dic’egli, che appartengono al retto uso della mente e della ragione, rassomigliano agli unisoni, a’ consoni quelle che risguardano un’ idonea costituzione di sentimejiti e di corpo, alla fortezza e alla temperanza, ed ai concinni le relative a qualsivoglia affezione. Finalmente la universale dottrina del costume concorda coli’ universale armonia del perfetto sistema, cosi che, predicandosi l’una dall’altra, avvegnaché convengono nella stessa idea di ordine, può denominarsi la virtú dell’animo una certa concinnitá, e la concinnitá una certa virtú dei suoni (Plat., De rep.\ Plut., Plolom. harnionic).
X. A Teresa Bandettinl, v. 55 — Diodoro (Delfico): l’ab. Saverio Bettinelli.
V. 61 — Rovildo: il conte Girolamo Murari, autore del poema in decima rima, intitolato La grazia.
XI. L’eguaglianza civile. — Fu composta quest’ode l’anno 1794, per l’ingresso al gonfalonierato in Bologna di S. E. il signor Ferdinando Marescalchi, ora «gran croce» dell’ordine della Corona di ferro, «grand’aquila» della Legion d’onore e commissario plenipotenziario imperiale nei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla.
Ili STANZE A MELCHIORRE CESAROTTI
Nel luglio del 1774, per una costituzione epidemica, morirono in Parma molte persone; e nacque allora questo componimento, che cinque anni dopo fu per la prima volta impresso in Roma nel tomo xiii delle Rime degli arcadi; indi ristampato in Vinegia nel Giornale poetico dello Storti, cui presiedeva il benemerito Andrea Rubbi. Due stanze, che qui
Poeti minori del Settecento - ni. 22
sono la IX e la xviii, vi furono aggiunte nella ediz. di Firenze del 1794 in-i6o. Ora, ridotto all’ultime lezioni, è accresciuto di altre otto che qui giova indicare, cioè la xiii, xiv, xv, xvi, xxxv, xxxvii, xl, xlii, ed oflfre inoltre vari notabili cangiamenti.
st. 22 — L’a. era allora occupato nella versione del Pindaro. [È noto che la rifece per intiero due volte, e poi la bruciò].
st. 42 — Ciò vuoisi intendere dell’ indole del melodramma, sempre funesto ai progressi in Italia della tragedia, non giá dell’ incomparabil Metastasio, del cui merito non puossi dir tanto, che piú non rimanga a dire. Bettinelli disse:
Fatto musico Ettor, musico Achille, fé’ di battaglia e d’armonia duello, e cantando s’azzuffa e muor cantando:
cosa veramente ridicola per gli uomini di buon senso, che sventuratamente son pochi. La moltitudine, che ride si spesso, non ravvisa codesto ridicolo, e di esso non ride. Altrimenti gli scrittori di poesia per musica seria farebbero senno, o cesserebbero di scrivere, che sarebbe ancor piú facile e meglio.
si. 4j — Thomson, autore del celebre poema Le stagioni, non piú invidiabile all’Italia dopo quello sullo stesso soggetto dell’insigne abate Barbieri.
st. 44 — Ossian. I leggitori denno rammentarsi che il poeta parla a Cesarotti, e che questi nella prima edizione dei suoi versi ossianici aveva inserite certe note comparative del bardo celtico con Omero, le quali non tornavano quasi mai a vantaggio del greco.
st. 48 — Allude l’autore al suo poema sul Bello, in versi sciolti.
II
CARLO CASTONE REZZONICO DELLA TORRE
(Como, 1742-1796).
È una delle piú curiose fra le molte prove, che si han nel Settecento, di quel che valgano in poesia le «buone intenzioni» o gli alti intendimenti. Cominciò ragazzo ancora, a sedici anni, traducendo V Ero e Leandro di Museo; e dei giovani poeti della corte parmense, presso la quale visse quasi sempre, pur peregrinando per l’Italia e l’Europa, fu il prediletto al Frugoni: e del Frugoni pubblicò le Opere in una bella e troppo copiosa ediz. (Parma, stamp. reale, 1779, in nove voli.).
Fecondo come il suo maestro, scrisse moltissimo; e le opere furoii poi raccolte dal Mochetti in io voli. (Como, Ostinelli, 18151830). G. B. Giovio premise all’ediz. una particolareggiata biografia. Questa ediz. ho avuto sott’occhio, pure attenendomi per le Poesie varie alla scelta parsimoniosa dei Carducci, e limitandomi a dar solo i tre dei Poemetti piú generalmente noti, e considerati dai contemporanei come le sue cose migliori. Per questi mi sono attenuto alla citata ediz. dei Classici, che s’avvantaggiò di correzioni indicate dallo stesso Mochetti, il quale aveva curata l’ediz. di Como.
Dalle note, copiosissime, riferisco qui solo quel tanto che può essere non inutile ai lettori moderni ; i quali, pure gustando assai mediocremente la poesia didascalica, hanno in genere meno bisogno di tutto l’apparato di modesta erudizione di cui quelli della fine del sec. xviii e dei primi del xix si compiacevano.
I. // sistema de’ cieli. — Tamarisco Alagonio è il nome arcadico del marchese Prospero Manara di Borgotaro, [1714-1800], consigliere di Stato e gentiluomo di camera del duca, e traduttore allora celebratissimo delle Bucoliche, e poi delle 6^é’<3rg«r/f<? virgiliane.
V. IDI — Si accennano brevemente le principali cagioni, onde fu mosso Copernico a rigettare l’antico sistema de’ cieli.
V. IJ5 — Ricercando Copernico ne’ libri degli antichi qualche sistema piú corrispondente ai fenomeni celesti, si abbatté nel iii libro di Plutarco: ■rtspL xwv ápsaxóvxwv xol^ cfiXoaocpots, dove leggesi : «Altri pensarono che non si movesse la terra; ma Filolao pitagorico giudicò ch’ella fosse portata in giro intorno al fuoco (cioè al sole), descrivendo un circolo obliquo, appunto come il sole nell’annuo suo corso e la luna ogni mese suol fare. Eraclide Pontico ed Ecfante pitagorico attribuiscono un moto alla terra, per cui non muta il luogo, ma come una ruota sopra il suo asse va rivolgendosi da ponente a levante intorno al proprio centro» .
V. 195 — La prodigiosa distanza di Giove da Marte sembra che domandi o qualche luna intorno a quest’ultimo pianeta, per illuminarne le notti, o qualche altro pianeta, che fra Marte e Giove si rivolga per empiere uno spazio si vasto. [Non era ancora scoperta la zona dei planetoidi].
V. 258 — Abbenchè il sole si ponga nel mezzo al nostro planetario sistema, il centro di gravitá non viene da lui occupato, se parlar si voglia con matematica precisione di termini ; imperocché la reciproca attrazione dei pianeti e del sole fa si ch’egli stesso vien costretto a muoversi, ma con un moto assai piccolo, rispetto a quello degli altri pianeti che lo circondano. Il fuoco adunque delle orbite ellittiche ritrovasi pochissimo
distante dal sole; e perciò si considera come se fosse nel suo corpo medesimo. Un filosofo, parlando il linguaggio poetico, fa di mestieri che alquanto rilasci della sua geometrica precisione, per non essere o troppo arido o soverchiamente diffuso; e questo sia detto per togliere a’ severi lettori ogni titolo di lamentanza, se non ritrovassero ne’ versi posti in bocca a Neutono quella scrupolosa esattezza che si ammira nelle opere sue immortali.
V. 272 — Si sono qui ristrette in pochi versi le leggi della newtoniana attrazione, e quelle di Keplero intorno alla distanza ed a’ periodi de’ pianeti.
V. 37J — Galileo, come ognun sa, fu il primo a rivolgere il cannocchiale, chiamato dall’origin sua «batavo», verso le stelle. Perciò Milton nel suo Paradiso perduto paragona lo scudo di Satana alla luna, che contemplava quel toscano filosofo:
Like te nioon, whose orò
through optic glass the tuscan artist vie^us at evening front the top of Fesolè, or in Vatdarno, to descry new lands, rivers, or mountains in her spotty globe.
III. L’eccidio di Como. Fu letto in Arcadia a Roma dall’a. nel 1790, dopo questa quasi prefazione:
Avendo io, nel tessere un eroico componimento intorno alle origini, alle antichitá ed alle vicende di Como, raccolte con molto studio alcune non volgari notizie, ed instituite laboriose indagini sul vero significato de’ celtici nomi che lá suonano non intesi, credei pregio dell’opera ordinare tutta questa letteraria suppellettile in modo che un compiuto ragionamento, scevero, per la varietá, della noia, se ne venisse a formare, e potesse quindi tener luogo della prosa; elucubrazione, la quale alle poetiche con saggio consiglio avete in costume di premettere, arcadi valorosi, nelle pubbliche adunanze al rinovellarsi del mese. Alludono i versi a molti punti di storia patria, che per la loro poca celebritá si possono dagli stranieri, senza taccia d’ indotti, ignorare; laonde godranno d’esserne prima istruiti per ben intendere il senso ed apprezzare l’artificio del poetico fraseggiamento. Una italica cittá, che ottenne colonie da Pompeo Strabone e da Giulio Cesare, che fu madre de’ due Plini e de’ due Giovii [Benedetto e Paolo], e da cui traggono la chiara origine le famiglie di due sommi pontefici [Innocenzo XI e Clemente XIII], può senza fallo ornarsi di poetiche lodi eziandio nella massima Roma, sol che ravvolga nel pensiero l’antico splendore della sua militare possanza o la maestá di quell’augusta religione, da cui è reso il suo nome piú dell’antico venerabile, dignitoso e solenne a qwanti popoli racchiude il gemino emisfero.
V. I — L’origine di Como si perde nell’alta notte de’ secoli piú rimoti. Plinio afferma, seguendo Catone nelle Origifii, che la fondassero gh orobii (ili, 17). I celti o gaUi, occupatori dell’ Insubria, furono vinti da
Marco Marcello; e, come narra Livio, Como fu espugnata e piú castelli vennero in potere del console vittorioso: allora i romani vi trasportarono una colonia: Coloniola\ ma i reti poi la devastarono. Pompeo Strabone restituille i coloni e Cornelio Scipione vi condusse tremila uomini. Giulio Cesare in appresso ve ne dedusse ben cinquemila, e da tal romano incremento fu detta la cittá Noviim Comum.
V. ji — Il primo avanzo dell’antichitá dei secoli barbarici, che si vede avvicinandosi a Como, è la torre di Baradello: edificolla Luitprando, re de’ longobardi, nel 724 (v. Sigonio, De regno italico, in). La fortezza fu smantellata da Antonio de Leva, generale di Carlo quinto, nel 1527: rimase però in piedi una bellissima torre, e qualthe altro sfasciume ancor mirasi delle antiche fortificazioni, qua e lá, per la schiena del monte.
V. 44 — Napo ed altri principi Torriani, dopo la battaglia di Decimo, in cui rimasero a tradimento sconfitti da Ottone Visconti, furono rinchiusi nel Baradello. Napo vi mori il 1278: con lui eran Corrado Mosca suo figlio, Caverna primo detto Cavernario, Enrico e Guido detto il ricco e Lombardo.
V. 62 — La cittá ebbe l’aggiunto di «cancrina-» dalla sua figura; il sobborgo di Vico e quello di Coloniola, ora detto di Sant’Agostino, stendendosi lungo le rive del lago ed abbracciandolo a ponente ed a levante, vengono a formar le due branche; il lungo sobborgo di Porta Torre la coda, e la cittá tutta il corpo del gambero: quindi si legge un inno in lode di Sant’ Eutichio vescovo colle seguenti parole: «Urbis cancrinae branchia laeva hunc sanctum protulit y>: la branca sinistra è il borgo di Vico, dove nacque il santo.
V. gg — Fra’ molti che vennero coi milanesi all’espugnazione di Como, si ricorda a buon titolo Vidone, figlio di Alberto conte di Biandrate.
V. 117 — Lamberto Rusca difese intrepidamente la patria e mori prima della sua distruzione. Leggesi nella chiesa di San Giacomo il suo epitaffio, che in questi versi ho voluto imitare: «Omnium fere Lombardiae populorutn in rempublicam conspirantium, arma compressi, liberos et fortunas prò reipublicae incoliim.itate devovi, et ad exenipluín romanae constaniiae invictus decessi». Fu console di Como, e condottiere dell’armi sue: riportò insigni vittorie per terra e sul lago (Ballarino, Cron., in, p. 226).
V. 2j6 — La guerra de’ milanesi e de’ comaschi diede argomento ad un poema, composto in latino da uno sconosciuto poeta, e che il Muratori distingue col titolo di «anonimo cumano».
V. 2j6 — I «gatti» erano macchine che i genovesi fecero per l’espugnazione di Como, con molte baliste e quattro torri mobili, di cui fa parola il «cumano», descrivendole rozzamente.
V. 275 sgg. — Sono accennate brevemente le antichitá de’ romani che si vedevano in Como e che nella sua rovina rimasero accolte. Oltre le fortificazioni di Vico e di Coloniola, perirono in quel disastro i preziosi monumenti che a noi restavano delle romane grandezze.
V. 297 — Si è seguita l’opinione dei Ballarino {Comp. stor., i, 11, xii), il quale afferma che Federico primo, scendendo in Italia per esservi coronato, passò per Como: ma è certissimo, per testimonianza di Ottone vescovo di Frisinga, che l’imperatore per quella occasione valicò le Alpi di Trento, e non della Valtellina. La cittá di Como fu da’ milanesi incendiata e distrutta a’ 27 luglio II 27, e giacque da ventotto anni nello squallore e nelle ceneri, con poche capanne erette nel luogo medesimo dagli infelici cittadini, cui fu proibito il tener mercato dai vincitori.
V. J16 — La descrizione della romana trireme è tolta segnatamente dalle Antichitá d’Er colano. È noto che Plinio comandava la flotta romana al Miseno, e che mori soffocato dalle ceneri e dal fuoco nell’eruzione del Vesuvio, ch’egli troppo da vicino volle contemplare.
V. 382 — L’eccidio di Milano avvenne l’anno 1162, cioè 35 anni dopo quello di Como. ... I milanesi, rifacendo la porta romana nell’anno 1171, fra varie sculture effigiarono il loro terribile nemico con un mostro infernale fra le gambe. Questo bassorilievo, illustrato dal conte Giulini, vedesi ancora oggidí nel mezzo della facciata esteriore della Porta romana.
V. J85 — Il Muratori e il Giulini credono favola Paramento del suolo dove fu Milano e la seminazione del sale. Il Meibomio {Rer. Germ.^ I, 625) e il Fiamma lasciò scritto che non tutto il suolo della cittá, ma solamente quello del Broletto vecchio fu seminato di sale. ... Al poeta basta la testimonianza di due scrittori, qualunque ella siasi.
Ili
CLEMENTE BONDI
t (Mozzano Parmense: 1 742-1 821).
Scrisse molto e molto tradusse: le cose sue si trovano sparse in una grande quantitá di Raccolte, delle quali non mi sarebbe possibile dare un elenco compiuto: cito qui le edizz. sue o fatte col suo consenso.
La Giornata villereccia (che ebbe fra i buongustai del tempo cosi incredibile fortuna) usci per la prima volta in Parma, 1773, dedicata «a S. E. il conte Girolamo Silvio Martinengo, patrizio veneto», con una lettera che, ricordata la Batracomiomachia, «piccolo e leggiadrissimo poemetto che Omero ha composto su le battaglie delle rane coi topi» e la «fortuna di Priamo e la nobile guerra», il grosso poema citato da Orazio, viene a dire che non il tema della poesia fa poesia. — E aggiunge: «E non è giá
ch’io qui pretenda di stabilire una indistinta uguaglianza tra gli argomenti; ma, checché siasi di ciò, non deesi per l’ordinario, secondo ch’io penso, questo a quello preporre, se non in quanto l’un, piú dell’altro di sé invogliando il poeta, eccita l’estro ed accende la fantasia». ... «Una cert’aria di lepido non plebeo, misto e, dirò cosi, travestito di una nobile serietá, forma, se non m’inganno, lo spirito e il carattere di questa breve operetta», ecc.
La quale piacque straordinariamente, e fu ristampata assai volte o sola (p. es. Livorno, Giorgi, 1789) o con gli altri scritti del B. Ancora nel 1828 gli edd. della Raccolta dei poevii didascalici sopra citati esprimevano il giudizio comune da oltre mezzo secolo, con queste parole: «Non sapremmo cosa che in genere di poesia scherzevole fosse da preporre a questa leggiadra poesia del Bondi, il quale seppe condurre tre bei canti sopra un nonnulla».
Circa le edizz. delle opere del Bondi, si vedano:
Poesie diverse di C. B. (Padova, Penada, 1776).
Poesie di C. B. (Padova, Penada, 1778).
Versi di G. B. (Lucca, Bonsignori, 1778).
Poemetti e rime varie di C. B. (Venezia, Storti, 1776).
Lam.oda, poemetto di C. B. (nuova ediz., Livorno, Giorgi, 1786).
Le conversazioni, poemetto di C. B. (Livorno, Giorgi, 1786).
Questi due ultimi poemetti per noi forse avrebbero maggior interesse, almeno per la storia del costume: dal ristamparli mi ha trattenuto un po’ la lunghezza, che ha giá fatto escludere da questi volumi i Poemi didascalici, ma piú il giudizio del Parini, il quale, a proposito di questi appunto, ebbe a dire: «So pur troppo che il mio Giorno ha fatto e fará diversi cattivi scolari» (Ticozzi, Continuazione del CoRNiANi, / secoli della leti. ital.).
Si vedano ancora:
Opere edite ed inedite in versi ed in prosa di C. B., voli. 6, (Venezia, Cesari, 1790).
Cantate di C. B. (Parma, Bodoniana, 1794). Opere di C. B. (Vienna, Degen, 1808, 3 voli.).
A tutte le edizz. della Giornata seguono queste noticine che riproduco:
Compose l’autore questo capriccio poetico nell’amenitá di una villa sul Bolognese: però alcuni nomi prese egli dai vicini paesi, non noti altrove; né a questo inconveniente ebbe egli alcun riguardo, poiché nell’ozio
che aveva di pochi giorni, tolti al piú serio lavoro di una tragedia che stava allor terminando, non pensò egli piú oltre, componendo il picciolo poemetto, che a soddisfare il desiderio di chi glielo chiese. Né giá pretende ora lo scarso tempo, che mise a compierlo, far valere a scusa o difesa dell’opera inelegante. Non son piú in uso e non hanno piú credito queste proteste.. Vuoisi che le cose sian belle; e, se noi sono, che importa al pubblico di saperne il perché?
I, st. j — I Crociari eran un luogo di villeggiatura pei convittori del collegio di San Francesco Saverio.
//, st. 2j — Sua Eccellenza il signor Alvise Pisani nobile veneto, di cui qui si accenna il molto genio alla caccia. Tacesi su le sue lodi; che il voler dirne obbligherebbe il poeta a troppo lungo episodio.
IIJ, st. J4 — Melesindo è l’eroe dell’accennata tragedia, che ha per suggetto la liberazione di Balduino secondo, re di Gerusalemme e prigioniero di Balzac turco, re dei parti.
IV
SALOMONE FIORENTINO
(n. a Monte Sansavino; m. a Livorno: 1743-1815).
Poesie di S. F., nuova ediz. con aggiunte (Livorno, Gamba, 1815, 2 voli.).
Poesie di S. F., nuova ediz. con aggiunte (Firenze, Ciardetti, 1823).
Poesie di S. F. (Firenze, poligrafia fiesolana, 1836, 2 voli.).
Parecchie altre ristampe ne furon fatte in Toscana, ma generalmente bruttissime e scorrette.
Intorno al Fiorentino: O. De Montal, Sulla vita e sulle opere di S. F. (Firenze, 1852).
V
FRANCESCO CASSOLI
(Reggio d’ Emilia: 1749-1812).
La traduz. d’Orazio (Parma, 1786). Rime e prose di F. C. (Genova, 1797). Versi di F. C. (Parma, Bodoni, 1802). Poligrafo^ anno II (Milano, Veladini, 1812).
Carducci, Lirici del sec. XVIII, pp. 341-379, alla cui scelta e al cui testo mi sono attenuto, pur avendo sott’occhi l’ediz. parmense del 1802.
Sul Cassoli: Notizie biogr. e lett. degli scrittori dello Stato estense, vol. i (Reggio, Torregiani, 1833: la Vita del C. è di L. Gagnoli; — S. Peri, L’opera letteraria di F. C., in Cultura, i, 1891.
VI
LORENZO MASCHERONI
(Castagneta - Bergamo: 1750-1800).
L’Invito a L. C. fu pubbl. per la prima volta a Pavia, Comino, 1793.
Gli esametri sulla Fabbricazione degli istromenti dei martiri sono dati, quali li pubblicò il Fantoni nella ed. qui citata, quantunque assai brutti (come del resto tutti gli altri versi del M.), soltanto perché esametri, e quindi a mero titolo di curiositá erudita.
Per la bibliogr. generale del M. vedi Ravelli, Bibliografia mascheroniana (Bergamo, 1881).
Una prima ediz. delle Poesie ed. e ined. fu raccolta da A. Sacchi (Pavia, 1823).
Poesie di L. M., raccolte dai suoi manoscritti per Aloisio Fantoni (Firenze, Lemonnier, 1863).
Poesie e prose ital. e lat. ed. e ined. di L. M., testo critico per cura di C. Caversazzi (Bergamo, 1903).
Sul Mascheroni: C. Ugoni, Biogr. di L. M., edita per nozze (Bergamo, Pagnoncelli, 1873); Marchesi, L. M. e i suoi scritti poetici (Bergamo, ist. ital. art. gr., 1893).
Dalle edizz. originali dell’Invito riproduco queste noticine:
Lesbia Cidonia è la signora contessa Paolina Secco Suardo Grismondi di Bergamo. Il M. aveva il nome arcadico di Dafni Orobiano.
V. 2 — Nel tempo che Lesbia pensava di liberare la sua promessa di portarsi a Pavia, ebbe una graziosa chiamata poetica a Roma da S. E. don Baldassarre Odescalchi duca di Ceri, al quale rispose con eleganti terzine. L’autore, temendo non Roma facesse a Lesbia dimenticare Pavia, e venne con quest’Invito ricordando l’antica promessa; e cerca quindi
di metterle sott’occhio quanto possa avere attrattive presso il suo spirito e presso il suo cuore.
V. IO — È notissimo come il Petrarca fosse caro ai Visconti, e come secoloro vivesse alcun tempo nel palagio di Pavia, il quale ancora sussiste sotto nome di Castello. Veggasi a questo proposito la tenera Canzone al Petrarca nella Raccolta in Tnorte del dxica di Belforte, pubblicata in Napoli due anni addietro.
V. 12. — Il chiaro marchese don Luigi Malaspina di Sannazzaro possiede il marmo sepolcrale d’un figliuolino d’una figlia del Petrarca, esistente giá nella chiesa di San Zeno, parrocchia del Petrarca quando era in Pavia, come lasciò scritto egli stesso in un codice di Virgilio. Essendo ultimamente stata soppressa questa chiesa, il marmo passò in mano del signor marchese. Sopra esso è scolpito il celebre epigramma:
Vix: mundi novus hospes iter vitaeque volantis attigeram tenero limina dura pede, ecc.
V. j6 — Donna Daria, contessa di Salasco, nata dei marchesi Belcredi.
V. 2j — Nell’anno 1772 fu dalla sovrana munificenza ristorata ed accresciuta l’universitá di Pavia; e da quel tempo andò salendo per chiari uomini, per celebri opere, per sussidi e monumenti scientifici, a quella fama che tutti sanno.
V. 34 «britanna lance»: equilibrio della forza centrifuga e centripeta, trovato per tutto il cielo col calcolo di Newton.
V. 64 «crisoliti»: varie eleganti cristallizzazioni del ferro.
vv. 76-90 «della porpora ministro»: rmirex, conchiglia dalla quale gli antichi traevano la porpora — «e vinse»: ostrica, malleus, assai rara e di gran prezzo — «carcere e nido», ecc.: pholas dactylus ed altre. Mytilus lithofagus — «scrisse»: Venus litterata — «l’arcana musica»: chiocciola — «voluta musica» : «buccina» , buccinum o niurex tritonis — «macigno»: petrificazioni, ittioliti o pesci impietriti.
V. 98 «il nautilo»: chiocciola: argonauta o nautilus, cui appartengono i petrefatti detti «corni d’Ammone», comunissimi in varie province; benché si ignorino ancora nei mari le circostanze del luogo e della vita di essa chiocciola. Si è seguita per la poesia l’opinione di alcuni naturalisti.
V. 116 — Molti pesci però del Bolca vengono oggi riconosciuti da taluni propri anche dei nostri mari. Veggasi la lettera del signor abate Testa sui fossili del monte Bolca, uscita in quest’anno [1793].
V. 118 — Gerolamo Pompei, letterato chiarissimo amico e maestro di Lesbia, morto nel 1788, e pianto dalla medesima con una soave elegia.
V. 119 sgg. — Petrefatti d’elefanti, che incontransi presso il Po e il Tesino. Sa ognuno il viaggio di Annibale. Ancor qui la poesia ha scelto fra le opinioni de’ naturalisti quella che piú le tornava in acconcio.
V. IJ9 — Tempio d’ Iside e teatro vicino, scoperti in Pompeia e che oggi si ammirano nel real museo di Portici.
V. 145 sgg. — «te risplendente»: Flamand — «te di gemma, ecc.»: upupa o pipra rupicola : comunemente coq de 7’oche americano. Varie anitre e ardee; — «miracol novo», ecc.: ramphastus Aracari, detto comunemente «toucan» — colibrí : trochilus colibrí e t. minimus, detto «uccello mosca» .
vv. 162-4 — «l’ombra rompe»: fulgura lanternaria, da alcuni detta €acudiay> — «l’appiattata fera»: il delfino e il narval, considerati altra volta come pesci, sono però veri quadrupedi e mammiferi.
V. 172 — Raia torpedo e gymnotus electricus: anguilla tremante di Surinam.
V. 182 — Lesbia fu giá in Parigi. Come vi fosse accolta e pregiata dal Buffon e da altri sommi letterati, ne fanno testimonianza molti scritti e fra questi il recentissimo: Vita del bali Sagramoso, al libro secondo.
V. 183 sgg. — Accenna a varie specie di mostri : «rifiuto del delicato sesso»: ermafrodito, propriamente di nessun sesso. — «Strinse l’un contro l’altro»: Due gemelli mostruosi attaccati per lo petto. — «Senza capo e senza petto»: mostro d’agnello ben formato dal bellico in giú e totalmente mancante dalle due cavitá superiori, testa e torace, e dei relativi arti e visceri.
V. 206 sgg. — Vermi viscerali ; raccolta interessante ed unica di tal genere fatta dal celebre Goeze. — «Tal di lor», ecc.: tenia idatigena.
vv. 220-221 — Pazzia delle pecore, nata dalla larva dell’estro, spezie di mosca.
V. 2JI — Nati che siano i figli, il maschio li mette sul dorso della femmina in tante cellette che vi si trovano, finché il sole, maturandoli, li faccia di lá cadere.
^’ 233 — Squalo massimo e carcaria.
V. 2J7 — Sono nel museo di Pavia vertebra, costa e vescica di balena di stupenda grandezza.
VV. 244-45 — Il draco volans (piccola lucertola coi fianchi alati e senza veleno) e il coccodrillo.
V. 25J — «r idolo antico»: la troppa autoritá di Aristotele; — «Giove cinse di stelle»: i satelliti di Giove, detti da Galileo che li scopri, «stelle medicee». — «A corruttibil tempra»: accenna alle macchie del sole; e «l’immobil trono» al sistema copernicano assicurato dalle scoperte di Galileo.
V. 261 — Cavalieri padre Bonaventura [1598-1647J di Milano, autore della Geometria degli indivisibili.
w. 270-71 — La macchina pneumatica e lo schioppo pneumatico.
V. 285 sgg. — Herschell ha scoperto ultimamente il giro dell’anello di Saturno intorno al pianeta in dieci ore, come l’aveva presagito col calcolo mr. Laplace. — Ecclissi dei satelliti di Giove, utilissime a segnare le longitudini, anche dopo l’invenzione delle mostre marine di Harrison e di Mudge. ’
V. 296 — Decomposizione dell’acqua col foco comune e coU’elettrico nei due gas, ossigeno e idrogeno, ossia in aria pura e infiammabile; e ricomposizione della stessa acqua coU’accendere le due arie.
V. ^^10 — Trasformazioni chimiche per via secca coi fuochi di riverbero; colla lampana, o coi fuochi di lenti e specchi ; e per via umida, coi vari sali, ai quali si uniscono per affinitá chimica le varie spezie di terre.
V. J14 — Unione di alcool e spirito di vino, raffinato collo spirito di sale ammoniaco aereato, ossia col liquore della carbonata ammoniacale.
V. 318 — La lisciva di Prussia con soluzione di ferro, ossia le prussiate alcaline e calcari con liquori marziali. Una soluzione di rame coll’alcali volatile.
V. J20 — Il rame posto in soluzione d’argento s’ investe di pellicola bianca. Il rame puro si imbianca dai fumi arsenicali. Non si ha un’esperienza egualmente bella col ferro, che si è sostituito in grazia della poesia.
V. jji sgg. — Opinione di celebri medici, che gli spiriti vitali siano materia elettrica.
V. J40 — Esperienze sulle rane fatte dal signor dottor Galvani in Bologna, e da piú d’uno in Pavia. Il poeta non entra a decidere se l’elettricitá delle esperienze sia eccitata dai metalli o preparata dai muscoli. Veggansi i giornali scientifici di Pavia.
vv. 436-J9 — La lumaca s’accoppia da maschio e da femmina. — Al taglio della testa ritira il ganglio, che si crede essere il suo cervello, giú per l’esofago.
V. 453 sgg. — Preparazione del cuore.
V. 460 sgg. — Varie preparazioni del cervello, dei polmoni, di nervi e di muscoli.
V. 478: il caffé — \^y. jatropha urens — 486: mimosa pudica — 488: cactus m.amiUaris — 489: heliotropium — 492: Dionoea m,uscipula — 510: hedysarum gyrans.