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aspetti suoi, egli primo in Italia ha trattato ne’ suoi versi, tessendone componimenti di varie specie! Egli prese occasione di farlo dalla festa di santa Cecilia, per la quale ogni anno pubblicava ora un’ode, ora un inno, ora sciolti, ora terze rime o piane o sdrucciole, ora sonetti; talché quanto egli aveva scritto di tale argomento formò giá da piú anni un grosso volume in-40 grande, impresso in Firenze. Dipoi un altro affatto diverso, e in foglio, se ne vide stampato in Parma: né il poeta indi mai ha lasciato sfuggirsi il destro di cantare del tema suo prediletto, che gli ha dato il nome in Arcadia (Armonide Elideo).

Altre due singolaritá, che lo distinguono fra i pochi insigni lirici della etá nostra, sono: l’aver egli vinta la ritrosia delle muse, conducendole a ragionare della piú sublime filosofia, ed a vestirne la severa maestá colle nobili grazie e cogli acconci adornamenti delle immagini e del linguaggio poetico; e la difficoltá mirabilmente superata del rimare in versi sdruccioli, trattando ogni sorta di piú ardui argomenti. I suoi Canti su i dolori di Maria Vergine, che dal chiaro veronese Benedetto del Bene furon riputati degni d’essere tradotti in versi latini, sono anch’essi una luminosa riprova ch’egli signoreggia pure queste difficilissime rime senza lasciarsi da esse punto signoreggiare: il che sembra non potersi dire con veritá degli altri, che lo precorsero nel medesimo arringo... Le sue Stanze al Cesarotti han dimostrato con che facile dignitá, immune di zeppe, egli fa servir questo metro alla filosofia, alla erudizione ed a scolpire i precipui caratteri de’ classici.

II. La grotta platonica. Che le api componessero il mèle sulle labbra di Platone fanciullo, e che Socrate sognasse d’avere in seno un giovine cigno, artista di canti e di voli maravigliosi, e che questo cigno prefigurasse Platone, racconto era comune in Atene, e lo ripeterono gli scrittori della filosofia istorica. Ciò valga almeno per una immagin simbolica della divina eloquenza e del divino intelletto del piú grande fra i discepoli di Socrate.

z^- 77 ^SS- — Si accennano diversi fonti di filosofici deliramenti, giacché «yiihil tatn absurde dici potest, quod non dicatiir ab aliquo philosophorumy> (Cic, De divinai., U).

V. g4 — Epicuro.

V. 146 — Parmenide. Vedi il dialogo di questo nome in Platone e il sottile compendio fattone dallo Stellini. L’«Uno e Tutto» del sistema parmenideo è il vero panteismo, riprodotto geometricamente dal circonciso filosofo d’Amsterdam.

V. 160 — Zenone, capo della Stoa e antesignano del fatalismo.

V. 170 — Le Parche presso alcuni mitologi, come reggitrici delle differenze del tempo, si descrivono calve con la corona in capo.

V. 174 — Il sistema dei due mondi, l’uno visibile, l’altro ideale, esposto luminosamente nel sesto della Repubblica, è il tratto piú importante, e può dirsi la chiave della metafisica di Platone.