Poesie (Carrer)/Ballate/Il Cavallo d'Estremadura

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Luigi Carrer - Poesie (XIX secolo)
Ballate - Il Cavallo d'Estremadura
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IL CAVALLO D’ESTREMADURA.


Batte il pian d’Estremadura
     Indomabile un destrier;
     Triste è il regno, e n’han paura
     4Duci, prenci e cavalier.

— Chi gli ponga freno e sella,
     Pur ch’ei sia di nostra fè,
     Sarà sposo d’Isabella,
     8Sarà genero del re. —

Così va di terra in terra
     Proclamando un banditor;
     Da sei mesi son ch’egli erra,
     12Nè comparve il prode ancor.

Di Granata e di Castiglia
     Le contrade visitò,
     Vide Cadice e Siviglia,
     16Tago e Duro valicò.

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D’Ovïedo e di Pamplona
     Trascorrea le piazze invan,
     E la Murcia e l’Aragona
     20E il bel suolo catalan.

Ma un oscuro di Biscaglia,
     Ricco sol del proprio cor,
     Si proferse alla battaglia
     24Col selvaggio corridor.

Ai magnati parve strano
     Quel coraggio, e lo beffâr:
     — Se non hai la striglia in mano
     28L’arte tua non potrai far. —

Non rispose, ma contenne
     La giusta ira dentro sè;
     Ed attese finchè ottenne
     32D’esser tratto innanzi al re.

Quivi giunto, tal ragiona;
     Ma pria il capo si scoprì:
     — È egli ver, sacra corona.
     36Ciò che intesi da più dì?

Che chi ponga freno e sella
     A un destrier che terror dà,
     Sarà sposo d’Isabella
     40E tuo genero sarà? —

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— È mio bando quel che s’ode,
     La risposta fu del re;
     Questo il premio fia del prode,
     44Purchè sia di nostra fè. —

Tacque appena, che il valente
     Mosse pronto pel sentier,
     Dove appar più di sovente
     48L’indomabile destrier.

Poco va che fiero ascolta
     Un nitrito rimbombar,
     E la gente in fuga volta
     52Solo il lascia a battagliar.

Era il sole a cader presso,
     E il re stavasi al veron,
     Isabella avea da presso
     56E moveale tal sermon:

— Partì, sorto appena il giorno,
     Quell’ardito biscaglin;
     Cade il sol, nè fa ritorno,
     60Qual ne pensi sia il destin? —

E la figlia rispondea:
     — Padre mio, non so temer;
     Molto il volto promettea
     64Dell’incognito stranier. —

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Disse appena, che di grida
     La contrada risuonò:
     Riede il prode, e seco guida
     68Il destriero che domò.

Una folla gli fa scorta
     E festeggia il suo valor;
     Ei senz’altro al re si porta
     72Con a mano il corridor.

— Ecco, ei dice, freno e sella
     Il destriero ebbe da me:
     Mia la mano è d’Isabella,
     76E mio suocero tu se’. —

Si conturba a quell’accento
     Il monarca, e vorria già...
     Ma un avanzo di spavento
     80Verecondo e mite il fa.

Indi parla: — Ardita inchiesta,
     Biscaglin, t’ascolto far;
     Il tuo stato manifesta,
     84Perch’io sappia a chi parlar. —

— Di ciò allor non mi chiedesti
     Che a pugnar venni per te;
     Il mio stato son miei gesti,
     88Essi parlano per me.

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A te basti saper questo
     Che anch’io venero Gesù:
     Di me al cielo è noto il resto
     92Che m’arrise e meco fu. —

Ma il monarca gli ripiglia:
     — Biscaglin, garrir non val,
     Non fia sposo di mia figlia
     96Chi non è sangue real.

Chiedi vesti, chiedi anella,
     Ogni cosa avrai da me:
     Ma non chiedermi Isabella
     100Se non sei sangue di re. —

— Non di vesti, non d’anella
     Il mio patto fu con te,
     A concedermi Isabella
     104Obbligasti la tua fè. —

— Del mio regno ogni altra bella
     Con gran dote avrai da me;
     Ma la mano d’Isabella,
     108Non avrà chi non sia re. —

— Non parlarmi d’altra bella,
     Non vo’ dote aver da te:
     Io pugnai per Isabella,
     112La tua fede attienmi, o re! —

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— Or ben dunque quinci parti,
     Arrogante avventurier:
     E tra noi più non mostrarti,
     116Se vuoi vivo rimaner. —

Tacque l’altro e un guardo bieco
     Sul monarca fulminò,
     Poi si mosse e trasse seco
     120Il destriero che domò.

Non s’intese più novella
     Nè di lui nè del destrier,
     Ma sul volto d’Isabella
     124Siede un torbido pensier.

Indi a un anno un re potente
     A richiederla ne vien;
     Non ricusa ella, nè assente,
     128Sempre tacita si tien.

Ma il re padre ha pattuito,
     E le nozze si bandîr;
     Da più parti al sacro rito
     132Genti veggonsi venir.

Nell’augusta cattedrale
     Più e più calca ognor si fa;
     Colla mitra e il pastorale
     136L’arcivescovo v’è già.

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Sulla porta in volto tetro
     Stan valletti e alabardier
     Per tener la plebe addietro
     140E far largo ai cavalier.

Già il real corteo s’appressa
     Delle trombe in mezzo al suon,
     Incominciasi la messa,
     144E al suo posto ognun si pon.

È l’altar parato a festa,
     Molte son le faci e i fior,
     Isabella è in bianca vesta
     148Tra lo sposo e il genitor.

Una voce sorda sorda.
     Che scorrendo intorno va,
     Di Biscaglia l’uom ricorda;
     152Dice alcun: S’e’ fosse qua!

Ma il tremendo ufficio e santo
     Non appena incominciò,
     Della chiesa in qualche canto
     156Un tumulto si levò.

Manda l’organo un concento
     Quasi il tocchi arcana man,
     Ogni lume a un tratto è spento,
     160E rimugge il tuon lontan.

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Poi de’ molti in terra sparsi
     Aprir vedesi un avel,
     E un destriero in su levarsi,
     164Cui ravvisa ognun per quel,

Quel che sella s’ebbe e freno
     Dall’oscuro avventurier,
     Dopo aver di tema pieno
     168Il monarca e il regno intier.

All’orrendo apparimento
     Chi stia fermo più non v’è:
     Tutti incalza lo spavento,
     172E cogli altri sposo e re.

Ma colei che al rito venne
     Senza opporsi nè assentir,
     Al suo posto si mantenne,
     176Mentre gli altri via fuggir.

Il cavallo a lei da presso
     Si va tosto ad accosciar,
     Ed invitala sommesso
     180Sul suo dorso di montar.

Confidente la donzella
     Su vi sale e piglia il fren,
     E il destrier con essa in sella
     184Fugge al pari del balen.

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Fuori uscito della chiesa
     Tutta scorre la città,
     Poi de’ campi la via presa
     188Dove andasse alcun nol sa.

Lo spavento a mano a mano
     Nella plebe si calmò,
     Ma calmarsi cerca in vano
     192Il monarca, che nol può.

Crede ognor tra un rito pio
     Spenti i cerei di veder,
     Ode sempre un calpestio
     196Come zampa di destrier.

Chiede a ognun che gli s’accosta
     D’un stranier che dee arrivar;
     Ed udita la risposta,
     200Si rimette a interrogar.

Così visse senza mente
     Presso a un anno, e poi mancò,
     E al più prossimo parente
     204La corona abbandonò.

Non s’intese più novella
     Dell’ignoto avventurier,
     E nè manco d’Isabella
     208Che scomparve sul destrier.