Plico del fotografo/Libro I/Parte III/Sezione II

Sezione II

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Parte III - Sezione I Libro II

[p. 150 modifica]SEZIONE II.

Della Camera oscura stereoscopica.

Il lellore, per poler ben comprendere l’uso di questa camera oscura, deve conoscere i principi! della visione monoculare e binoculare, e deve conoscere l’ingegnoso islrumenlo cbc serve all’osservazione delle prove stereoscopiche, vale a dire Io stereoscopio. Noi dunque tratteremo Della visione monoculare,

Della visione binoculare,

Dello stereoscopio,

prima di trattare della camera oscura stereoscopica, della forma che conviene dare a questa camera, e del modo di usarla secondo le regole che la scienza prescrive, e divideremo così questa sezione in quattro capitoli dilTcrcnti.

CAPITOLO i.

Visione monoculare.

La visione monoculare è quella che si effettua con un occhio solo, e per farcene un’idea basta il considerare la struttura dell’occhio ed il cammino dei raggi luminosi in esso.

Struttura dell’occhio. — L’occhio propriamente detto è contenuto in una cavità che chiamasi l’orbila dell’occhio: esso ha una forma presso a poco sferica, è composto di varie parli distinte, cioè:

a. Sclerotica. — Questa parte dell’occhio 6 la membrana esteriore, essa è di un tessuto solido, bianco, opaco, essa si chiama anche cornea opaca, e volgarmente chiamasi il bianco dell’occhio. Fissa copre quasi i due terzi del bulbo dell’occhio. Presso la visione diretta se ne scorge solo una parie negli angoli dell’occhio, ma presso la visione obliqua essa si scopre in gran parte.

b. Cornea trasparente. — Immediatamente attaccata alla sclerotica trovasi la cornea trasparente, che chiude il bulbo dcl [p. 151 modifica]l’occhio sul davanti, e sta in relazione colla cornea opaca, come il vetro di un orologio colla cassa dell’orologio. La cornea trasparente ha una curvatura maggiore che non la sclerotica, ed è più prominente di ogni altra parte.

c. Curoidc. — Sulla faccia interna della sclerotica trovasi una seconda membrana di color nero, detta coroide.

d. Relina. — La coroide è ricoperta dalla retina, ossia da una membrana sottile, semitrasparente, formala dall’espansione della, parte midollare del nervo ottico. Essa fa nell’occhio la funzione che fa il vetro appannato nella camera oscura, perchè è sopra di essa che si dipinge l’immagine degli oggetti esteriori.

e. Iride. — Nel punto d’incontro della sclerotica e della cornea trasparente trovasi l’iride dell’occhio, che è una membrana opaca di color grigio o nero, secondo gl’individui, e che dà il colore all’occhio. Questa membrana, posta in posizione quasi verticale nell’occhio, contiene un piccol foro circolare nel centro che chiamasi pupilla, perchè uno che osservi da vicino l’occhio di un altro vi vede dipinta la sua immagine grandemente impiccolita. La pupilla fa l’ufficio di un diaframma nell’occhio; essa, quando la luce a cui si fa la visione è mollo viva, oppure gli oggetti che si guardano sono mollo vicini, si restringe sino a non avere più che 3 millimetri di diametro, e si allunga sino a 7 m.m. Quando la luce che l’attraversa è mollo piccola e gli oggetti che si guardano sono molto lontani. L’iride coll’arrestare i raggi obliqui, che penetrerebbero nell’occhio, ha anche per effetto di correggere l’aberrazione di sfericità.

f. Cristallino. — Dietro e vicino all’iride trovasi un’altra membrana trasparente, delta cristalloide, nella quale è come incassato un corpo solido, diafano, della forma di una lente convessa, delta il cristallino. Esaminando con attenzione il cristallino, si scoperse che esso è composto di strati di densità diversa, la cui facoltà rifrangente va crescendo dalla circonferenza al centro,

g. Umor acqueo. — La parte dell’occhio che è al di qua dell’iride e della cristalloide verso la cornea trasparente è ripiena di un liquido poco diverso dall’acqua, che perciò chiamasi umor acqueo. Questo può venir considerato come la lente anteriore di una combinazione di lenti.

li. Umor viireo. — La parte dell’occhio che sta tra la cristal [p. 152 modifica]Ioide e la retina è ripiena di un liquido più denso che l’umor acqueo, e somigliante al vetro fuso, per cui esso venne chiamato umor vitreo. Esso forma la più gran parte dell’occhio, e può venir considerato come la lente posteriore di una combinazione di lenti.

Curvatura e dimensione delle diverse parti dell’occhio.

Raggio di curvatura della cornea opaca.. 10 millimetri ld. id. della cornea trasparente, 7 »

Diametro dell’iride 11 »

Spessore della cornea trasparente.... 1 »

Distanza dalla pupilla alla cornea trasparente. 2 »

Diametro del cristallino IO »

Spessore del cristallino 5 »

Lunghezza dell’asse dell’occhio 23 »

Indice di rifrazione dei mezzi trasparenti dell occhio.

Umor vitreo.... 1, 40.

Cristalloide 1, 34.

Cristallino 1, 38.

Centro del cristallino.. 4, 40.

L’indice di rifrazione dell’acqua essendo 1, 336.

Cammino dei raggi luminosi nell’occhio. — Da ciò che abbiamo dello l’occhio può assai bene paragonarsi ad una piccola camera oscura.

Sia AB un oggetto posto avanti all’occhio; i raggi di luce divergenti dai punti AB saranno resi convergenti dalla rifrazione nell’umor acqueo che li avvicina all’asse ottico. Una maggior convergenza riceveranno i raggi entrando nel cristallino, e sarà ancor maggiormente accresciuto il loro ravvicinamento intorno all’asse, passando essi nell’umor vitreo, e cosi, coll’azione comhibinata dcH’umor acqueo del cristallino e del viireo, i raggi divergenti da un punto A dell’oggello, che penetrano nell’occhio, concorrono in uno stesso punto a, ed i raggi provenienti dal [p. 153 modifica]Fig. 45.

punto B vanno nello stesso modo a riunirsi in un punto b a formare l’immagine di B. Perciò l’immagine ab, che risulta da un simile andamento di lutti i raggi che vengono daH’oggello AB, sarà sulla retina e rovesciata.

L’occhio è dunque una piccola camera oscura. 1 limili della sua visione, ossia della sua capacità, ò generalmente da 25 centimetri ad una distanza indefinita- Una camera oscura che avesse un oggettivo di 27 centimetri di foco avrebbe una capacità da 45 metri ad una distanza indefinita, e con un oggettivo di 60 centimetri di foco essa avrebbe una capacità da 90 metri ad una distanza indefinita. Questa maggiore lontananza a cui incomincia la capacità visiva di un oggettivo a foco lungo, è causa che spesso nelle vedute fotografiche si trovano dei dettagli che l’osservatore non avrebbe potuto scoprire altrimenti, per causa della grande distanza.

Colla visione ad un occhio solo è difficile giudicare della distanza degli oggetti. L’occhio in questo caso può solo giudicare della distanza per oggetti di grandezza nota, e ciò 6 possibile per la diversa grandezza dell’angolo visuale presso oggetti vicini ed

Fig. 46.

A’ A [p. 154 modifica]oggetti lontani. Se si osserva l’oggetto AB sotto l’angolo visuale Aolì, ossia sotto l’angolo formato dagli assi secondarii tirati dal centro dell’occhio alle estremità opposte deH’oggetlo, si troverà che se l’oggetto si avvicina l’angolo cresce, e decresce se l’oggetto si allontana sino ad 4’ B’, per esempio. Nel primo caso l’oggetto si giudica vicino, e più distante nell’altro caso, e ciò perchè la grandezza dell’immagine proiettala sulla retina è relativa alla grandezza dell’angolo visuale.

I fotografi sanno che quanto più piccolo è il diaframma che si pone avanti ad una lente nella camera oscura, tanto più nitida e ben definita è l’immagine che si ottiene, e che tanto più grande è il limite della distanza focale. La stessa cosa succede nel nostro occhio, presso il quale il restringimento della pupilla è la causa più ovvia della possibilità di vedere distintamente oggetti a distanze mollo diverse. Infatti, se si guarda gli oggetti esterni a traverso di un pezzo di carta avente un piccol foro fatto con un ago da cucire, oggetti vicinissimi possono ancora essere veduti chiaramente anche da un presbita, ed oggetti lontani essere veduti molto bene anche da un miope.

II presbita ha vista troppo lunga, ossia non vede bene alla distanza della visione distinta di un occhio sano, che è di 25 centimetri, ma ad una distanza maggiore, perchè esso ha la cornea trasparente poco convessa, per cui il foco dell’immagine tende a farsi al di là della retina. Perciò i presbiti debbono far uso di lenti a foco negativo, le quali diminuiscono la divergenza dei raggi prima che entrino nell’occhio.

Il miope vede distintamente solo ad una distanza minore di 25 centimetri, perchè ha la cornea trasparente con una curvatura troppo grande, per cui l’immagine si fa al di qua della retina; perciò i miopi fanno uso di lenti con foco positivo, ossia di lenti concave, per accrescere la divergenza dei raggi luminosi, prima che entrino nell’occhio.

La differenza che si osserva tra l’occhio e la camera oscura ordinaria riguardo alla perfezione della immagine che si produce, la qual perfezione nell’occhio è mollo più grande, dipende in parte da ciò, clic nella camera oscura ordinaria l’immagine si forma sopra una superficie piana, mentre nell’occhio si fa in superficie curva, e viene prodotta da raggi che concorrono tutti [p. 155 modifica]nel loro vero foco, il che non succede nell’immagine della camera oscura.

Prospeltira. — Quando si vede un oggetto con un occhio solo, non si ha la sensazione del suo rilievo, ma della sua prospettiva, ossia l’oggetto apparisce come se fosse disegnato su di un piano secondo le leggi della prospettiva, nelle quali s’immagina che tra l’occhio deU’osscrvalore ed il corpo da disegnare sia interposto a poca distanza il piano del disegno, e si noli quindi sopra di esso piano le sue intersezioni colle visuali, che partendo dall’occhio vanno successivamente ai vari punti del corpo da disegnare. La seguente ligura, e relativa spiegazione, che tolgo dalle lezioni sul disegno axonometrico, fatte nel regio Inslilulo tecnico di Torino nel 1856 dal commendatore Quintino Sella, ex-ministro delle finanze del regno Italico, faranno comprendere in qual modo un disegno in prospettiva possa produrre sull’occhio dell’osservatore la slessa sensazione, come se questi avesse realmente davanti l’oggetto.

« Se all’occhio posto in o arriva da un punto A del corpo » un raggio luminoso, l’occhio proverebbe la stessa sensazione ove

Fig. 47.

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» tale raggio gli giungesse da un punto a, là dove la retta Ao » incontra il piano mn del disegno. Si rappresenterà adunque » sul disegno il punto A con un punto a posto nell’incontro » della retta oA col piano del disegno. Un secondo punto B si » rappresenterebbe parimenti nel disegno col punto b, in cui la [p. 156 modifica]» retta o B taglia il quadro. La retta A B sarebbe similmente » rappresentata dalla retta a b, e similmente si intende come » si rappresenterebbe sul quadro del disegno ogni altra linea » retta o curva, segnando sopra di esso quadro la successione » dei punti, secondo cui il taglierebbe una retta, che partendo » sempre dall’occhio percorresse ogni punto della linea, che si

• vuol rappresentare. Se il corpo è poliedro se ne può dunque » disegnare in prospettiva ogni vertice ed ogni spigolo; se in ’ vece esso è terminato da una superficie rotonda, se ne può » sempre indicare il contorno, supponendo una linea che, parli tendo dall’occhio, vada scorrendo sulla superficie del corpo » senza tuttavia penetrare dentro il corpo stesso: e segnando le » successive intersezioni di questa linea col piano del disegno »•

Da questa spiegazione si ricava, che quando si esamina una prospettiva od una fotografia, si otterrà il più grande effetto osservandola con un occhio solo, e stando alla stessa distanza a cui il disegnatore supponeva l’occhio nel fare la prospettiva, od alla distanza della lunghezza focale deH’oggetlivo, se il disegno che si guarda è una fotografia.

CAPITOLO II.

Visione binoculare.

La visione binoculare, come la sua denominazione lo indica, è quella, per cui si veggono gli oggetti coi due occhi contemporaneamente.

Quando si vede un oggetto con due occhi, quantunque si formino due immagini nei due occhi, la sensazione che si ha è tuttavia unica, cioè come se l’immagine fosse una sola. Questa unità di sensazione si attribuisce all’abitudine che noi abbiamo contratta di riferire ad uno stesso oggetto le impressioni simultanee prodotte sulle due retine.

Havvi una differenza essenziale tra la visione coi due occhi, e la visione con un occhio solo. Egli non è che coi due occhi che si può ben giudicare delle distanze ed avere una chiara percezione del rilievo dei corpi, cioè delle loro tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità. [p. 157 modifica]Fig. 48.

X

Quando coi due occhi si osserva un oggetto solo, un punto di esso può essere veduto distintamente in ogni istante, e questo punto è quello, a cui gli occhi, nella loro mobilità, dirigono i loro assi. Se AB sono due punti di un oggetto, gli occhi guardando A non veggono che confusamente B, e reciprocamente.

Ma l’osservatore quasi non si accorge di ciò, perchè gli occhi con estrema rapidità e precisione dirigono successivamente i loro assi sopra entrambi questi punti, e sopra i punti intermedi’!. Dallo sforzo dei muscoli per ottenere gli angoli ottici differenti LAB, LBH, ecc., giudichiamo della distanza di ciascun punto delfoggello. Direbbesi che coi due occhi noi formiamo una rapida misura trigonometrica, la distanza di essi essendo la base del triangolo, mentre la convergenza degli assi determina gli angoli richiesti; e così otteniamo una esatta idea della distanza che, ri feriti alla grandezza conosciuta degli altri oggetti circostanti, ci fa conoscere la grandezza dell’oggello che si osserva. Quando l’oggetto che si osserva coi due occhi è poco distante, i due assi ottici dovendo convergere verso l’oggetto, ne risulta che la prospettiva è notevolmente diversa per eia [p. 158 modifica]scun occhio, ossia ne risulta che le due immagini dell’oggetto sono dissimilari. Ciò è facile a constatarsi, osservando un oggetto vicino ora con un occhio, ed ora con un altro. Questa dissomiglianza delle due immagini è principalmente quella che cagiona la sensazione del rilievo nella visione binoculare.

Nelle lezioni sul disegno axonomelrico ricordate di sopra viene spiegata nel modo seguente la diversità di prospettiva dei due occhi presso la visione binoculare.

« Siano o ed o i due occhi dell’osservatore. A ciascuno di » essi viene un raggio oA o’A da ogni punto, come A del corpo Fig. 49.

» guardato. Quindi è che la prospettiva di A sarebbe o per » l’occhio o, e sarebbe a" per l’occhio o. Similmente si scorge » come la prospettiva di una retta A B del corpo sarebbe a b » per un occhio, e ben diversa da a b’ prospettiva della stessa » linea conveniente all’altro occhio. Inoltre se si guardasse un » corpo rotondo, il suo contorno sarebbe affatto diverso per cia» scuno dei due occhi non solo sul quadro di prospettiva, ma » ben anche sul corpo stesso.

» Quindi è che onde, i nostri sensi ricevessero dall’osserva» zione della prospettiva lo stesso effetto che ricevono dai corpi » stessi sarebbe necessario:

» 1° Che sul piano del quadro fosse segnala ciascuna delle » prospettive del corpo conveniente a ciascan occhio; [p. 159 modifica]» 2° Che ciascun occhio vedesse sul quadro la sola pro» spelliva che gli conviene ».

Tulle queste condizioni sono soddisfalle nello stereoscopio di cui ci rimane a trattare nel seguente capitolo.

capitolo ni.

Dello stereoscopio.

Wheatstone nell’anno 1839 scoprì questo istromenlo, ma non nella forma che esso ha attualmente, la quale è dovuta principalmente a Brewsler. Nello stereoscopio di Wheatstone si produce l’effetto stereoscopico col mezzo di riflettori, ossia col mezzo di specchi, che riflettono i raggi inviati da due prospettive o da due immagini dissimilari di uno stesso oggetto, mentre nello stereoscopio comunemente usato l’effetto si produce col mezzo di lenti da cui è ritratta la luce venula dalle due immagini. La denominazione di stereoscopio si trasse da due voci greche, che significano solido io veggo, ed essa è assai propria, perchè questo istrumenlo fa vedere una duplice pittura coll’apparenza di una’ scoltura.

Dalla figura n° 49 e relativa spiegazione si può comprendere come si produca l’effetto stereoscopico nella simultanea visione delle due prospettive. Noi qui, a costo anche di ripetere parte del già dello, procureremo di renderne più intelligibile la dimostrazione. t° Se si suppone che il piano verticale, che contiene le due prospettive (fig. 49} sia parallelo alla linea che congiunge i due occhi oo’; 2“ se si suppone che la distanza perpendicolare tra il piano e la linea che congiungc i due occhi sia tale che le due prospettive sopra di esso si possano ancora vedere distintamente, vale a dire che questa distanza non sia nè maggiore, nè minore di quella della visione distinta, che, come dissimo prima d’ora, è di 23 centimetri circa; 3° se infine si suppone posta una divisione tra un occhio e l’altro, la quale si prolunghi quasi sino a toccare il piano delle due prospettive in modo che l’occhio destro vegga solo sul quadro la prospettiva destra, e l’occhio sinistro quella a sinistra, allora accade che, osservando nel piano le due prospettive, simultaneamente si vede [p. 160 modifica]una sola immagine coll’apparenza dell’oggetto nella sua naturale posizione e distanza. Infatti gli assi ottici, quando sono nella direzione oa, o a ’, col loro prolungamento vanno ad unirsi in A, e producono sull’osservatore una sensazione unica. Lo stesso si dica degli altri punti veduti dagli occhi. Perciò l’osservatore guardando le due prospettive crederà di vedere realmente l’oggetto da esse rappresentato.

Se si ha un corpo geometrico avanti agli occhi, è facile il costruire sopra un piano la prospettiva che conviene a ciascun occhio, e si hanno regole geometriche per una esatta costruzione, ma se si volesse disegnare nello stesso modo una riunione di oggetti diversi, si troverebbe difficoltà insormontabili. Colla fologralia ciò è non solo possibile, ma facilissimo ad ottenersi, e si opera come segue. Si prende due camere oscure, ciascuna con una lente avente una lunghezza focale di 25 centimetri, si pongono a poca distanza l’una dall’altra, e si osserva che gli assi delle due camere siano paralleli tra loro, ossia si osserva che le due camere producano ciascuna l’immagine sopra un piano comune, ed in tal posizione si prende due vedute fo. tografiche. Queste vedute prese in tal maniera sono comprese da un campo angolare di 15° appena. La simultanea proiezione di esse in ciascun occhio, fatta col mezzo dello stereoscopio, darà all’osservatore la sensazione di una sola immagine con un’apparenza di realtà veramente sorprendente. Lo stereoscopio a specchi venne chiamato stereoscopio riflettente, e lo stereoscopio a lenti venne chiamato stereoscopio rifrangente o lenticolare. L’attigua figura fa vedere la forma e la disposizione che si dà allo stereoscopio riflettente.

Fig. 50. [p. 161 modifica]Dalla descrizione che abbiamo dato prima d’ora dell’andamento dei raggi luminosi quando vengono riflessi da superficie piane, come sono gli specchi comuni, si può dedurre in qual modo operi lo strumento, in qual modo le due immagini, poste alle due estremità, possono confondersi virtualmente in una sola, quando coi due occhi si osservano nei due specchi posti a metà dell’islrumento. Questi specchi debbono formare tra loro un angolo diedro di 90°; ed un piano che divida per metà quest’angolo deve essere parallelo ai piani in cui si pose le due immagini, e perpendicolare al piano in cui vengono a porsi i due occhi dell’osservatore in L Lì [fig. 51). Questa figura ci fa vedere in qual modo si formi la riunione delle due immagini.

Siano PQ due punti simmetr ci nelle due immagini. Un pennello di luce inviato da P si riflette nello specchio, e l’occhio posto in L lo vede in R. e la disianza mR=mP, come abbiamo dimostrato parlando degli specchi piani. Lo stesso si dica dei raggi parliti dal punto Q, e riflessi dallo specchio corrispondente, dunque sarà

mP-t- ml,—m R mL—R L—R lì.

Perciò osservando dai punti LIÌ i due punti simmetrici P Q, l’osservatore li vedrà riuniti in una sola immagine virtuale il. Questo vale per un numero qualunque di punti, perciò le due immagini daranno un’immagine unica, che si presenterà col rilievo stesso che il corpo da essa rappresentato ha in natura.

Fig. 51.

In questo stereoscopio le due immagini sono affatto isolale l’una dall’altra, la loro distanza dai due specchi deve essere

41 Fotografia. [p. 162 modifica]quella della lunghezza focale della tenie nella camera oscura, che servi a produrle. Queste immagini vanno afTallo libere da trasfigurazioni, quando si osservano negli specchi, a differenza di ciò che succede nello stereoscopio lenticolare per causa della rifrazione.

In esso si possono facilmente osservare immagini di varia grandezza, e prodotte con oggettivi di varia lunghezza focale, ma in questo caso l’osservatore farà uso di occhiali convenienti a tali distanze focali. Quando si hanno immagini molto grandi da osservare stereoscopicamente e col miglior effetto possibile, come sarebbe p. e. necessario ad uno scultore che volesse fare un busto con un ritratto stereoscopico, si dovrebbe far uso dello stereoscopio riflettente; ma se si considera lo stereoscopio come destinato ad uso comune, come uno strumento di solazzo o di ornamento, si trova preferibile lo stereoscopio lenticolare, perchè questo è poco costoso, ed è nel tempo stesso elegante e comodo a maneggiare.

Le immagini destinate ad essere esaminale in quest’ultimo stereoscopio vengono prodotte con una camera oscura avente un oggettivo d’una lunghezza focale minore di 25 centimetri, che è quella che abbiamo domandata di sopra, cioè con un oggettivo di una lunghezza focale equivalente di 1 2 a 1 4 centimetri, e ciò collo scopo di rendere maggiore la grandezza angolare del campo.

Le fotografìe dissimilari di uno stesso oggetto, se si osservano senza il soccorso dello stereoscopio, danno egualmente la sensazione stereoscopica a coloro che sono capaci di strabismo, come generalmente i miopi, pei quali non è neppure necessaria una divisione che separi le due immagini, ma quelli che non possono così alterare la direzione degli assi visuali in modo da ottenere la sensazione stereoscopica, osservando direttamente le due immagini, devono far uso dello stereoscopio, e questo strumento per quelli che non possono vedere distintamente alla distanza minore di 25 centimetri ha per effetto di fare apparire gli oggetti di grandezza conveniente. Infatti le immagini se si guardano da una distanza maggiore di quella presso cui vennero prese nella camera oscura appariscono rappresentare oggetti più piccoli del vero, se non si fa uso di lenti nell’osservarle, le quali coU’avvicinare le immagini ingrandiscono gli oggetti, come vedremo qui sotto. [p. 163 modifica]L’adiacente figura fa vedere la forma di uno stereoscopio lenlicolare, come ora si usa comunemente.

£cco in qual modo questo islrumenlo opera nel riunire le due immagini dissimilari che si pongono in esso.

I due occhi deU’osserratore essendo in LV e le due semilenti

Fig. 53.

essendo SS’, i due punti PQ, simmetrici nelle immagini, sono veduti riuniti in un sol punto R per causa della rifrazione, o deviazione dei raggi provenienti dai punti PQ nel passare attraverso le lenti, e da queste ncU’aria, per cui i loro prolungamenti si incontrano in fi; dove si vede la immagine virtuale dei due punii PQ più vicina ed unica.

Si vede nella figura che le due semilenti agiscono precisamente come due prismi. Alcuni obbiellano che con esso si ha una trasfigurazione troppo forte, ed affermano che le due im [p. 164 modifica]macini si veggono meglio con lenti intiere poste alla distanza di 6 centimetri da centro a centro. In questo caso le lenti dovrebbero avere la forma di un menisco convergente colla parte concava verso l’esterno.

L’interno dello stereoscopio lenticolare deve sempre essere annerilo per evitare ogni nociva riflessione di luce verso l’occhio. Il fondo dello stereoscopio dovrebbe essere così fatto da permettere un lieve alzamento ed abbassamento delle stereografie, che in esso si pongono, affinchè possano adattarsi alle differenti viste, e le due immagini devono essere compiutamente isolate l’una dall’altra con una divisione centrale, come si vede nella figura sopra.

Abbiamo dello, che le due vedute destinate all’effetto stereoscopico devono essere prese da due camere, i cui assi siano posti ad una piccola distanza tra loro. La teoria insegna, che per ottenere un effetto identico a quello, che si ha naturalmente osservando gli oggetti, la distanza delle due camere dovrebbe essere quella dei due occhi da centro a centro. Ma in questa maniera si otterrebbero immagini troppo piccole, epperciò i fotografi usano prendere le due immagini con una distanza molto maggiore da una stazione all’altra. In questo caso gli oggetti rappresentali appariscono nello stereoscopio con un rilievo più grande di quello che abbiano realmente gli oggetti, per cui sembra che questi oggetti siano più vicini del vero. Vi fu una lunga discussione nei giornali fotografici, e nelle adunanze delle varie Società fotografiche, circa alla distanza, che più conviene adottare da una stazione all’altra nel prendere le vedute stereografiche, e si fini generalmente per convenire: 1° Che per oggetti vicini si deve operare colla distanza di 12 centimetri circa dal centro di una lente al centro dell’allra, onde poter produrre simultaneamente due immagini abbastanza grandi con una camera a duplice oggettivo; una tale disposizione è specialmente utile per fare i ritratti stereoscopici; 2° Che per oggetti lontani si può crescere la distanza sino a due o tre metri, ed anche di più, operando con due camere distinte, o con una camera sola che si porta da una stazione all’altra, ma conservando agli assi della camera il loro parallelismo. Relativamente a queste distanze ed a questo parallelismo i fotografi non si [p. 165 modifica]attengono sempre a tali prescrizioni, trovando che la trasfigurazione che viene dalla distanza e dalla convergenza degli assi è poco sensibile, perchè il rapporto della distanza degli oggetti a quello della distanza delle camere oscure è comunemente assai piccolo e trascurabile. La distanza delle due stazioni deve essere piccola se si vuole un rilievo poco diverso dal naturale, maggiore se si vuole un maggior rilievo. Allorquando esaminansi delle stereografie in uno stereoscopio, e si trova, che alcune di esse presentano un rilievo troppo esagerato, si può conchiudere, che la distanza delle due camere era troppo grande.

CAPITOLO IV.

Cornerà oscura stereoscopica.

Quando si hanno a produrre delle stereografie per lo stereoscopio riflettente, la camera che occorre non è che una camera oscura ordinaria munita di una lente, la cui lunghezza focale sia di circa 25 centimetri.

Quando poi si hanno a produrre delle stereografie per lo stereoscopio rifrangente, o lenlicolare, la grandezza delle immagini essendo assai limitata, bisogna far uso di una camera oscura particolare, ossia bisogna far uso di una vera camera stereoscopica.

La camera oscura stereoscopica o è fatta a un sol oggettivo, oppure essa è fatta a due oggettivi; quella a un solo oggettivo è della forma di una camera oscura comune capace di produrre una buona immagine del diametro di circa 10 centimetri. Con due di tali camere oscure, munite ciascuna di un oggettivo di 12 a 14 centimetri di foco equivalente, si può prendere ritratti o vedute a piacimento, e polendosi allontanare quanto si vuole una camera dall’altra, si può ottenere immagini col rilievo che si desidera.

La camera oscura stereoscopica a due oggettivi si vede indicata nella figura adiacente. Essa venne impropriamente chiamata camera binoculare. [p. 166 modifica]Fìg. 54.

È evidente, che il suo uso ofTre molti vantaggi per la facilità e prontezza maggiore con cui si opera nel produrre le due immagini, perciò nella produzione dei ritratti, delle vedute istantanee, questa camera ha sempre la preferenza sulla camera ad un solo oggettivo. Dal centro di un oggettivo al centro dell’altro v’è la distanza di 42 a 4 4 centimetri. Con questa disianza si ottiene un rilievo che non è troppo esagerato anche quando si prende una immagine di oggetti vicini, e si ottiene un rilievo naturale per oggetti lontani, od almeno in questi la differenza è impercettibile. Perciò stereografie, che comprendono oggetti vicini, od oggetti lontani, ottenute con questa camera saranno di un buon effetto nello stereoscopio.

Quando si hanno a produrre slereogruDe che comprendono solo oggetti lontani, questi avendo naturalmente poco rilievo, o come direbbesi, poca stercosilà, è più conveniente far uso di due camere che si pongano più distanti l’una dall’altra, o far uso di una sola camera che si trasporla in due stazioni differenti per produrre le due immagini.

In questa camera stereoscopica a duplice oggettivo le due immagini proiettate sul vetro spulilo dai due oggettivi sono del diametro di IO centimetri, e da un centro all’altro di esse, ossia dal punto in cirt l’asse di un oggettivo viene ad incontrare una immagine al punto dell’altra immagine incontrato dall’asse della lente dell’altro oggettivo, vi è, come si vede, la distanza di 4 ì a 4 4 centimetri. Quando si montano le due immagini nello stereoscopio bisogna tagliare queste immagini in modo che da un centro all’altro di esse non vi sia più che la distanza di 6 a 7 centimetri, ed esse debbono venir cambiate di posizione affin [p. 167 modifica]chè gli occhi le possano vedere nello stereoscopio come in natura. Cioè quella di destra deve esser portata alla sinistra, e la immagine di sinistra portata a destra. È facile rendersi ragione di ciò, se si considera che le lenti guardano direttamente gli oggetti, mentre gli occhi, vedendo le immagini di essi oggetti, guardano questi ultimi indirettamente, c, se mi è lecito il paragone, come riflessi io uno specchio, per cui, onde le due immagini possano apparire coll’efTelto naturale, debbono venire cambiate di posizione. Se non si ha una tale avvertenza non si ottiene dunque un effetto stereoscopico, ma solo un effetto pseudoscopico.

Una camera stereoscopica che abbia due oggettivi sarà di un uso più conveniente se i due oggettivi saranno due combinazioni di lenti per ritratti. Questi oggettivi, quando hanno un diaframma interno abbastanza piccolo, servono per le vedute egualmente bene che gli oggettivi semplici. Nei due oggettivi non conviene che sia alterala la forma delle lenti collo scopo di produrre un grande spostamento delle immagini come praticavasi in alcune camere oscure, per esempio nel così detto quinetoscopio, in cui la lente di fronte è tagliata obliquamente al suo asse in una delle sue facce, in modo da avere quasi una forma prismatica, perchè con una tale disposizione l’oggetlivo Hon può a meno di produrre una molto forte aberrazione cromatica e sferica, per cui l’immagine risulta indistinta, e trasfigurata.

Come abbiamo fatto osservare prima d’ora, le due camere nel produrre le due immagini di una stereografia dovrebbero essrre tra loro parallele, sia che esse siano molto vicine, sia che esse siano tra loro più distanti. In questa maniera le due immagini, produccndosi sopra di uno stesso piano, si lasciano poi più facilmente osservare nello stereoscopio in cui sono osservale sopra un piano comune. Tuttavia in pratica è spesso utile inclinare le due camere in modo che l’asse di ciascuna concorra verso uno stesso punto prominente deH’oggelto. La convergenza che cosi si viene a dare alle due camere, come dissimo, è generalmente assai piccola, e poco si scosta da un esalto parallelismo, se si osservano le regole che abbiamo stabilite di sopra circa alla distanza da dare alle due camere tra loro.

Ma se si oltrepassa la distanza da una camera all’altra, che [p. 168 modifica]abbiamo prescritta, l’influenza della mancanza dei parallelismo nelle due camere si farà tanto più sentire, quanto più grande sarà la distanza delle due camere tra loro, per cui le immagini saranno rese insopportabili a vedere nello stereoscopio per causa della troppo grande esagerazione del loro rilievo.

Termineremo con dare alcune brevi nozioni della camera stereoscopica a copiare, e la disposizione che bisogna darle per produrre col suo mezzo delle positive trasparenti su vetro.

La camera oscura stereoscopica a copiare è di lunghezza ed altezza eguale a quella della camera stereoscopica a duplice oggettivo, ma ha una lunghezza un po’ più che doppia di quella che ha quest’ullima. La camera stereoscopica copiatrice ha nel suo interno una divisione che la separa in due per tutta la sua lunghezza ed altezza. Verso la metà della lunghezza si pongono i due oggettivi. Il fronte della camera è mobile come il dietro di essa, ed à capace di ricevere un telaio, in cui si pone la negativa trasparente che si vuol copiare. Questa deve avere il suo rovescio rivolto verso le lenti, mentre lo strato che porla l’immagine è quello che presenta la prima superficie incontrata dalla luce. La lastra che contiene lo strato sensibile si trova dalla parte opposta delia camera. Per produrre l’impressione si rivolge la camera verso il cielo, nel qual modo si ottiene su collodio umido una impressione in pochi secondi. Se i due oggettivi si trovano precisamente alla metà della distanza ira la negativa e lo strato sensibile, si otterrà una positiva della stessa grandezza della negativa. La positiva trasparente così ottenuta non ha bisogno di essere trasportata per essere osservata nello stereoscopio, ma basta guardarla dal suo rovescio, mettendo a contatto dello strato che porla l’immagine una lastra di vetro spulilo onde impedire che si guasti.

FINE DEL LIBRO PRIMO.