Piccolo mondo moderno/Capitolo sesto. Vena di fonte alta/I
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Vena di fonte alta
I
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CAPITOLO SESTO
Vena di Fonte Alta.
Il treno diretto diurno di Milano giunse a Rovato, sabato, con venti minuti di ritardo, perchè a Treviglio s’era dovuto aggiungere una carrozza. Jeanne aveva telegrafato a Maironi da Milano, venerdì mattina, che sarebbe partita sabato con quel treno e che sperava incontrarlo a Rovato dove il treno ch’egli avrebbe preso a Lecco arriva in coincidenza col diretto per Venezia. Nessuna risposta era giunta. Per verità il telegramma non richiedeva risposta; tuttavia le angosce di Jeanne si erano strette ora in una sola, nel dubbio di non trovare Maironi a Rovato. Ella era venuta alla Stazione centrale assai per tempo e aveva preso posto in un coupè vuoto; ma prima della partenza vi eran salite altre cinque persone, un cruccio! E il treno era zeppo; impossibile allogarsi meglio. I suoi compagni di viaggio erano, per giunta, italiani, loquaci e curiosi. Due signore noiose, molto eleganti, studiavano la sua toilette, e un signore noiosissimo, elegantissimo, studiava lei. Ell’aveva preso un angolo di sinistra, e appena il treno fischiò appressandosi alla stazione di Rovato, si alzò in piedi, si affacciò, pallida, alla portiera. Ah, c’era, e la cercava con gli occhi. La vide, ed ella gli accennò con un sorriso di venire; gli disse che c’era posto. Nel sorriso, nel saluto ell’apparve padrona di sè più assai che non lo fosse lui. Ma poi, dietro al dorso del facchino che gli collocava la valigetta nella rete, si trasfigurò in una larva di angoscia, gli sussurrò presso al volto: “pietà di me!„.
L’angolo in faccia era occupato. Piero le sedette accanto, scambiando alcune frasi indifferenti con il lei. Ella lo fece meravigliare dicendo che aveva il biglietto per Venezia. Per Venezia? Sì, certo. Jeanne sorrise, aperse un giornale, sussurrò dietro il foglio “per riguardo a Lei„, e gli occhi le si velarono di lagrime. Si morse le labbra, si vinse subito, sorrise ancora, parlò della serata di villa Diedo riuscita così bene, della graziosa fiaba di suo fratello. Piero non sapeva ascoltare, neppure le domandò il soggetto della fiaba. Ed ella continuò a discorrere. Carlino intendeva ritornare da Milano martedì. Giovedì, o al più tardi sabato, sarebbe ripartito con lei. Per dove? Per Vena di Fonte Alta, un bel nome di una bella montagna. Carlino s’era fatto analizzare una goccia di sangue, aveva voluto che il dottore pungesse un dito anche a sua sorella, che analizzasse ancora. E il dottore aveva trovato poveri di globuli rossi l’uno e l’altro sangue, voleva mandare i fratelli a Recoaro. Jeanne non aveva voluto saperne di Recoaro, nè di Saint Moritz nè di altre acque; e così era stato deciso di andare a Vena per una semplice cura climatica. Piero non sapeva dove questa Vena fosse, quale via si dovesse tenere per andarvi. Ne parlarono quietamente. Cinque ore dalla città, due di ferrovia e tre di vettura, mille metri sul mare, boschi di abeti, boschi di faggi, solitudine, quiete. I Dessalle avevano impegnate quattro stanze dell’unico, piccolo albergo. Altre sei erano libere. Jeanne disse queste ultime parole quasi timidamente. Piero non rispose, e la conversazione cadde. Guardando l’uno e l’altra per lo stesso finestrino il verde fuggente, luccicante di sole, sentendo che là, in una linea dei campi parallela al corso del treno, i loro sguardi s’incontravano, si univano, correvano insieme. Forse anche nel ritmico fragore che li portava con sè si toccavano i loro segreti pensieri. Faceva molto caldo. A Brescia Piero offerse una bevanda, che fu accettata, non per sete, con un sorriso di gratitudine, tanto umile, tanto parlante che il viaggiatore seduto dirimpetto a Jeanne guardò subito negli occhi l’uomo a cui la bellissima signora sorrideva così.
“E l’elezione?„ diss’ella. Sulle prime Piero non intese. Ah, sì! Il suocero gli aveva scritto e telegrafato a Brescia supplicandolo di lavorare o almeno di far lavorare. Lettera e telegramma gli erano stati trasmessi in Valsolda. Proprio per questo, neppure voleva fermarsi a Brescia fra un treno e l’altro. Nella galleria di Lonato Jeanne gli prese una mano, se ne recò il polso scoperto alle labbra e poi agli occhi umidi. La mano si arrendeva senza resistere nè secondare. Usciti dalla galleria, guardavano entrambi in silenzio, per il finestrino, i poggi ridenti, ma un lieve ansare li tradiva. Quando apparvero le sfumate montagne grandi e il marino azzurro del Garda, Jeanne domandò: “Com’era il Suo lago, stamattina?„ Piero rispose ch’era drammatico, tutto un tremolio di brillanti a levante nei vapori azzurrini, tutto verde cupo a ponente sotto nere minacce di nuvoloni. Descrisse le battaglie della luce e dell’ombra sulle montagne che cingono il lago, con molto calore, con abbondanza di parole, come rifacendosi del silenzio serbato riguardo ad altre battaglie. Jeanne si fece coraggio. “Quella persona, come l’ha lasciata?„ E accennò impercettibilmente del capo a lui stesso. Piero sospirò e rispose con un atto silenzioso di sconsolata incertezza. “Dio!„ fece ancora lei, come tra sè, dolorosamente, ma pure rianimata nell’intimo. “È una cosa tanto diversa!„ Piero la interrogò con gli occhi ed ella gli chiese quanti minuti di fermata si avessero a..... Venti minuti. Piero intese, si affrettò a dire che aveva colà un convegno col dottor..... e gli era necessario di trattenersi, durante la fermata, con lui. Jeanne conosceva il nome del dottor..... e il suo ufficio presso la demente. Approvò di cuore, mostrando che posponeva il desiderio proprio e sè stessa all’interesse doveroso di lui per sua moglie.
“Sì, sì, fa bene„.
E cercò da capo lo sguardo, l’anima cara là fuori, sulle acque serene del Garda. Aveva temuto il peggio, adesso le pareva di sentire indecisa quell’anima, e sperava, sperava appassionatamente, pronta ad incontrar con gioia ogni sacrificio, a vederlo meno, a interdirsi la dolcezza delle carezze, la dolcezza del tu, s’egli lo avesse chiesto, pur di non perdere il suo amore, pur di non esserne abbandonata. Sperava con timore e tremore, coprendo di triste soavità, chiudendosi nel cuore la sua fragile speranza. In fatto Piero fluttuava tuttavia. Nello scrivere a Jeanne lo aveva agitato un tempestoso ritorno della sua giovinezza credente, un assalto di dolore e di amore, un inenarrabile anelare dello spirito a Dio. Passata la prima violenza di quest’onda, egli si era posto in difesa contro se stesso, contro le proprie tendenze mistiche, contro tutto che potesse condurlo ad abbandonare la sua prefissa via di un apostolato per la giustizia sociale, senza odio alla Chiesa cattolica, ma del tutto indipendente da essa; la via che avrebbe dovuto sognare per lui sua madre quando non credeva che nella idea di giustizia, non adorava che l’idea di giustizia. Egli riconosceva in se stesso il sangue di lei e il sangue del padre, il loro fatale conflitto rinascente. Gli venne il sospetto che la sottomissione di sua madre fosse stata piuttosto amorosa e pietosa che sincera. Subito pensò a quella gran lealtà di lei, a quella fierezza. Come avrebbe mentito? Malgrado tutto, il sospetto ritornava. Gli era tuttavia duro il lottare contro il sangue di suo padre. Gli balenavano nel cuore incerto immagini di vita solitaria, contemplativa, consolata di pratiche religiose, nella casa de’ suoi vecchi, gli balenava nella memoria il consiglio di don Giuseppe Flores. E tosto rompeva con questi sogni. A poco a poco si venne formando in lui la convinzione che il cimento fosse decisivo, che se gli riuscisse di vincere, sarebbe poi rimasto fermo per sempre nel concetto più razionale della vita e del suo fine; che in lui, sciolto da vincoli di dogmi e di Chiese, ma interamente sacro a una causa di giustizia, il sangue di suo padre si sarebbe alfine pacificato; molto più se sapesse prendere certa risoluzione coraggiosa, compiere certo grande sacrificio alla giustizia di cui aveva trovato, e non riferito a Jeanne, la ragione e la proposta nel portafogli. Ma quando anche Jeanne, da lontano, gli avesse letto nell’animo questa vittoriosa riscossa dell’elemento razionale sul mistico, non ci sarebbe stato, per lei, da rallegrarsene molto. Poteva il suo amore accordarsi con i doveri di un apostolato sociale quale Piero lo concepiva? Non era da sacrificare questa debole passione per una donna che non sapeva comprendere la grandezza, la bellezza della sua idea? Non ne sarebbe pure contenta sua madre, se sapesse? Doveva essere austera, sua madre, doveva essere inesorabile per chi, cedendo alla passione, rompe, anche solo momentaneamente, una fede giurata e stringe legami non confessabili, legami che non si coprono senza mentire.
Seduto, nel pomeriggio del venerdì, sul muricciuolo dell’orto fra le rose piantate da suo padre, che gli parevano tanto più soavemente spirituali di quelle voluttuose e orgogliose di Villa Diedo, egli stava pensando che, se Jeanne non gli avesse resistito non sarebbe stato possibile di lasciarla mai più, quando gli portarono il telegramma di lei da Milano. Molesto, quel telegramma. Gli garbava poco d’incontrarsi con Jeanne così presto, prima di aver fermata dentro di sè la via da tenere. Riflettendo su questa impressione sgradevole, si domandò: “l’amo io ancora?„ E subito sentì dentro di sè il freddo della risposta, lo sgomento di una propria possibile ipocrisia. Altre volte, però, nel contatto dello scetticismo di lei, del suo spirito di contraddizione, gli era parso di non amarla più ed erano state freddezze passeggere.
Partire o non partire, l’indomani mattina? Finì con dirsi ch’era meglio affrontare presto questo incontro quasi temuto. Rientrando pensoso in casa dove un giardiniere di Lugano lo attendeva per intendersi circa i rampicanti da sostituire alla passiflora morta, non potè a meno di paragonare il sentimento proprio, anche nel passato, a quello di Jeanne, di riconoscerlo tanto minore di forza e di nobiltà, di dubitare che se non fossero state, nel principio, le appassionate audacie di lei, se non fosse stato in lui un cieco desiderio di libertà, di vita e di amore, il primo incontro in ferrovia non avrebbe avuto alcun seguito.
Il sabato mattina, venuta l’ora della partenza, voci pie di memorie, voci tenere di cose gli ammollirono l’anima come nella sera memorabile. L’arancio, il mandarino del giardinetto, le finestre aperte della sua povera casetta vuota, le rose, il bel pino dell’orto gli parevan guardare a lui mentr’egli passava sul battello, con il dolce sguardo accorato dei dolenti che non han voce. A misura che si allontanava, i richiami del presente più e più potevano contro i richiami del passato, del romito asilo di pace; ma correndo in ferrovia Val Porlezza, lo riprese improvviso nella memoria il senso del turbamento premonitorio che, giorni prima, passando di là e durante tutto il viaggio, aveva provato. Era egli dunque stato tratto in Valsolda da una energia soprannaturale? O forse il primo impulso n’era venuto da un sogno dimenticato? Forse gli eccitamenti di Jeanne e l’abitudine di recarsi sul lago in primavera erano stati causa del sogno? Passata Grandola, all’apparire dell’orientale seno di cielo che oltre il sottile colle di Bellagio si sprofonda fra due ali di montagne in fuga più giù verso Lecco, trasalì come se già gli fosse apparsa Jeanne, non pensò più che lei e il prossimo incontro. A Rovato, passeggiando in attesa del treno di Milano, il cuore gli batteva forte. Al primo vederla si sentì più tranquillo. Gli fu gradito di non trovarla sola. Il mormorato “pietà di me„, benchè giungesse previsto in quella o in una simile forma, gli strinse il cuore. Ella era bellissima nel suo abito di crêpe crème, guernito di velluto nero, col suo cappello Rembrandt a piume nere, con i guanti neri e due larghi cerchi d’oro liscio ai polsi. L’umido fuoco dolce de’ grandi occhi aveva una mestizia implorante, e se il braccio si scostava timido da un lieve contatto col braccio di lui, era con un visibile palpito del seno, con un commento di soavità infinita. Quando ella, nelle tenebre, gli prese e gli baciò il polso, se ne sfiorò gli occhi umidi, egli non ne provò alcuna dolcezza voluttuosa, ma piuttosto una tenerezza riverente. Chi lo avrebbe amato di un amore tanto umile e grande? Non era esso degno di riverenza quanto ogni altra cosa al mondo? E che succederebbe s’ella ora gli dicesse: “Non sono più scettica, mi sono convertita agli ideali tuoi, ne ardo come te, e, nonchè impedirti nell’azione, ti resisterei se tu posponessi il tuo dovere all’amore?„
Alla stazione di ..... che precede di pochi minuti quella dove Piero aveva dato convegno al medico, il viaggiatore seduto dirimpetto a Jeanne discese e Piero si alzò per chiudere lo sportello.
Il medico era lì, lo vide, salì nella carrozza, sedette a fianco di lui che, per non parere accompagnar la signora, aveva preso il posto rimasto libero. Subito venne in mente a Piero che forse il dottore, pensando essere tra sconosciuti, entrerebbe in argomento senza riguardi e fu per presentarlo a Jeanne o per rivolgerle la parola; ma poi non lo fece. Il dottore, non udendosi interrogare, si guardò attorno e solo quando il treno si mosse, disse sotto voce:
“Qualche piccola novità; non buona„.
Piero rispose, pure sotto voce:
“Parleremo„.
Gli occhi suoi e quelli di Jeanne s’incontrarono, s’interrogarono, si sfuggirono. Alla prossima stazione il medico e Maironi scesero, si perdettero nel viavai della gente, Maironi ritornò alla carrozza cinque minuti prima che il treno ripartisse. Jeanne era sola, ora. Aveva mutato posto, si era seduta nell’angolo di destra, con le spalle alla locomotiva, per la stessa ragione che le aveva consigliato di prolungare il suo viaggio fino a Venezia, per non essere veduta, possibilmente, quando egli, forse atteso da qualcuno, discenderebbe a sinistra. Era un riguardo per lui, nuovo, tristemente nuovo.
“Venga venga venga„, diss’ella, piano. E quando Piero le sedette accanto gli piegò la fronte sur una spalla, gli prese una mano, se la strinse al petto, dimenticando adesso, secondo la propria natura, ogni cautela, rispondendo alle prudenti rimostranze di lui con voce piena d’affanno e di lagrime: “Non importa, non importa, non abbandonarmi, non abbandonarmi, quanto male mi hai fatto, Dio, quanto male! Non senti che cosa diversa è, non senti che il tuo matrimonio, la tua unione non è, non ha mai potuto essere come quella di tuo padre e di tua madre, li amo tanto anch’io, sai, caro, i tuoi morti, tanto tanto, ma perchè devono desiderare la mia disperazione, non importa, non c’è nessuno, lasciami dire, perchè, perchè? Cosa ho fatto io a loro, povera creatura? È mia colpa se loro sono morti e se io sono una povera creatura viva che ti ama tanto, non ama che te, non pensa che te, non vive che di te, caro amore mio, amore amore amore...?„
S’interruppe, rialzò il capo un momento, stava per cingere con un braccio il collo dell’amato, ma egli lo impedì; qualcuno entrava. Jeanne si ricompose, il treno partì. Ella tacque, con gli occhi lagrimosi, fino alla prima stazione. Allora mormorò:
“Quello era il medico?„
“Sì„.
“E cosa c’è di nuovo?„
“Qualche leggero, fugace segno di intelligenza da capo e lagrime, molte lagrime, mentre in passato non ha
mai pianto; ma un grave deperimento fisico, progrediente„.
La sommessa voce di Piero suonò accorata.
“Vorrei che guarisse, sa?„ disse Jeanne. “Non mi creda cattiva!„
Egli le strinse la mano così forte ch’ella ne fremè di gioia. Per lungo tempo nessuna parola fu più scambiata fra loro.
Jeanne ruppe la prima il silenzio.
“Verrà bene a Vena?„
“Ma...„.
“Sì sì sì sì?„ Ell’aveva preso coraggio e insistette. “Me lo prometta? Che progetti ha, Lei, per l’estate?„
“Io? Un viaggio, ma non per l’estate solo. Il viaggio ch’Ella sa„.
Jeanne fece una boccuccia fra crucciata e sdegnosa.
“Ancora quell’idea?„ diss’ella in uno de’ suoi accessi inesplicabili di malignità contro gli altri e contro se stessa, non sospettando fino a qual segno fosse disgraziata la sua uscita. Piero si accese in viso, guardò l’altro viaggiatore, tenne deliberatamente, ostinatamente volto il capo a quella parte mentre lei, pentita, si accusava, chiedeva perdono, supplicava, scongiurava con una rapidità febbrile di parole sommesse, concitate, tanto ch’egli alfine aperse rumorosamente un giornale e le intimò: “Basta!„ Jeanne obbedì sull’atto e Piero sentì di essere stato troppo aspro, n’ebbe rimorso.
“Non mi parli più così„ diss’egli, con dolcezza. Ella non rispose; volto il viso al finestrino, piangeva. Piero mormorò dietro il giornale: “Mi perdoni Lei, adesso„. Jeanne rispose quasi inintelligibilmente “grazie„ senza togliere il viso dal finestrino. Egli riprese con dolcezza maggiore ancora: “Se può, non pensi più così„. La risposta fu: “Vorrei morire„.
Egli non osò replicar parola. Parvero assorti l’una e l’altro nel ritmico battito che durante il loro silenzio mortale misurava precipitosamente la fuga degli angosciosi momenti.
Quando il treno rallentò e Piero si alzò a raccogliere il proprio bagaglio, Jeanne trovò modo di chiedergli sotto voce, a mani giunte, la promessa di salire a Vena. Lo guardò, perchè egli esitava, con una inesprimibile supplica negli occhi, ebbe la promessa, la volle ripetuta, solenne, baciò con soavità umile di gratitudine la mano amata. Si lasciarono così.